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Autore: LawrenceTwosomeTime    13/02/2010    1 recensioni
Una breve storia fuori dal mondo, che parla dell'ebbrezza di prendere il bus. E di una serie non meglio precisata di impressioni sullo scorrere del tempo.
Genere: Science-fiction, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutta la mia vita non è che una corsa in bus.
Chiariamoci, non perché qualche crudele scherzo del destino me l'abbia imposto: sono un pendolare del tempo su mia libera scelta.
Non ho mai potuto soffrire il passato, odora di stantio. Come un deposito merci ingombro di vecchie coperte: quell'odore che un tempo ti suonava familiare, ora appare distorto, trasfigurato. Chi vive nel passato gioca a dormire con i morti, e apparecchia la tavola su un letto d'ossa.
Il futuro fa troppo male, perché non esiste: è la terra delle possibilità infinite, che si nutre dell'immaginazione di chi va ricercandolo. Come un cane che rincorra la propria coda, o un novello Beowulf fissato con l'Oro dei Nibelunghi (passiamo sopra al fatto che Beowulf e i Nibelunghi si sposano come i cavoli a merenda). Tanto il futuro non accontenta mai nessuno: è casualità travestita da immaginazione, e come tale non annuncia mai il proprio arrivo; cosicché, quando ci accorgiamo della sua presenza, si è già mutato in passato.
Vogliamo parlare del presente? Secondo alcuni, ne siamo immersi quotidianamente fino alla punta dei capelli; altri, invece, farneticano su possibili quarte dimensioni, istanti immobili, pareti sottilissime da smembrare e rifotografare all'infinito. Ma se il presente è infinito, come mai le persone invecchiano?
Lasciamo forse dietro di noi interminabili colonne di noi stessi, vissuti per un tempo indefinibilmente breve, e così facendo rifuggiamo al giogo dell'immortalità? È una beffa ai danni dell'ordine, la nostra? O non siamo piuttosto schiavi del destino, parassiti e candeline fioche in un flusso clandestino?

Personalmente, preferisco non chiedermelo.
Mi piacciono solo le mezze stagioni, i cosiddetti "piaceri forti" mi danno il voltastomaco e le interpretazioni sottotono sono in assoluto le mie preferite.
E la fermata dell'autobus incarna perfettamente questa concezione: un limbo lontano dal presente, dove il tempo è immobile ma discrimina le persone, il passato è pulito e il futuro non conta niente.
La stasi ha effetti benefici sul corpo, se non altro a livello psicoemotivo: che ci sia burrasca o bel tempo, vento tagliente o tempesta di neve, io sento scorrere dentro di me un'energia inarrestabile. La forza dell'aspettativa.
So di essere confinato in quel luogo di stazionamento, la fermata, per assolvere ad uno scopo non necessario che tuttavia donerà completezza agli eventi futuri.
Il più delle volte non sono solo. Individui unici, caratteristici, orbitano attorno a me come universi semoventi, ognuno magnificato dalla grazia di quell'attesa. L'attesa è sacra, l'attesa ci mette in contatto con i quartieri dimenticati di noi stessi: ripulisce la coscienza, assesta un iniezione di vitalità al nostro ego smantellato dalla frenesia della continuità. Solo chi è capace di fermarsi per rispondere ad un richiamo preciso può capirmi.

E poi arriva l'AutBus. L'OutBus.
Dal momento in cui metto piede dentro la cabina, sento che mi sto davvero fermando: il mondo di fuori continua a correre, scioccamente incede, manovrato dalla sua insaziabile fame di movimento.
Io, invece, sosto vicino all'uscita e vedo, come fosse la prima volta, che l'aria si è congelata. Non fa freddo, la temperatura non esiste. Attraverso i vetri filtra una luce liquida, giallastra, da crepuscolo nascente; e null'altro.
Gli occupanti del bus sono ombre solide, come tanti corpi carbonizzati, e giacciono mollemente in mille pose, ciascuna estremamente umana. La luce dorata li scava a poco a poco: filtra le trame delle sciarpe, separa le teste dai berretti, arrotonda le piaghe dei poveracci e rifila le scollature delle ragazzine. Ogni cosa, a suo modo, cattura la mia attenzione.
Tanto più che su quel bus viaggia una variegata compagnia. Impossibile enumerare le gemme, i mostri, le meraviglie e i fenomeni che costellavano la mia vita prima che morissi. Fortunatamente, sono riuscito a portarli con me.
  
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