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Autore: Bellissima Cullen    14/02/2010    4 recensioni
Lui scoppiò a ridere. Lui-scoppiò-a-ridere. Non prese il mio regalo, non mi disse niente. Semplicemente si voltò e si avvicinò ai suo amici, lasciandomi lì come una scema a fissare il vuoto. [...]
Una scommessa. Quel bacio era stato una scommessa. Io ero stata una scommessa. [...]
Quasi come un bambina a Natale, avevo avuto la folle idea di scrivere una lettera a Cupido, per chiedergli di risparmiarmi, almeno per una volta.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima vota che ho capito davvero cosa significava “San Valentino” è stato in quarta elementare: avevo 9 anni ed ero alle prese con la mia prima cotta. Si chiamava Filippo, ed era un mio compagno di classe. Era bellissimo: occhi azzurri, capelli biondi e un sorriso fantastico. Ogni volta che mi rivolgeva la parola non potevo fare a meno di sorridere. Ma fino a quel momento ero stata troppo timida per dichiararmi. Mi vergognavo troppo! La mia migliore amica, Elena,  mi costrinse a comprare una scatola di cioccolatini, come aveva visto fare in alcuni film, e quel giorno la tenevo stretta nelle mani, e la nascondevo sotto il banco. Il pomeriggio precedente lo avevamo passato a pianificare tutto: nell’intervallo io mi sarei avvicinata a lui sorridendogli, gli avrei dato il regalo e gli avrei augurato Buon San Valentino. Avevamo pensato ad ogni piccolo particolare, e passato a rassegna tutto il mio guardaroba prima di scegliere i vestiti adatti. Avevo indossato una gonnellina in velluto color cioccolato, a cui avevo abbinato un copri spalle panna  e una camicetta dello stesso colore.
<< Si questo sarà perfetto! Ha un’aria romantica >> Aveva commentato Elena osservando la nostra scelta.
In quel momento mi ero trovata pienamente d’accordo con lei; ma in quel momento non ero poi così sicura di voler essere romantica. Infondo c’erano molte mie amiche che erano assai più carine di me, e non c’era nessuna ragione per cui Filippo avrebbe dovuto preferirmi. Io ero anonima. Di bassa statura, con capelli castani e occhi marroni. Una qualunque, comune. Anonima appunto. E poi io non sapevo sorridere e cinguettare come faceva Rosa con il suo fidanzato: lei era perfetta. Io no.

Elena stava seduta sul muretto della finestra con la sua merenda ancora intatta accanto a lei, e le mani che si muovevano in gesti plateali alla disperata ricerca della mia attenzione. Quest’ultima l’aveva ottenuta appena aveva iniziato a lanciarmi occhiate interrogatorie, ma io avevo finto di non averle notate, ostentando indifferenza. Avevo cambiato idea, non mi sentivo pronta, non volevo farlo. Non più. La campanella suonò di nuovo, segnando così la fine dell’intervallo: io non mi ero mossa dal mio posto, non avevo preso la mia merenda e non avevo dato il regalo a Filippo. Un completo insuccesso, in pratica.
Quando Elena tornò al suo posto, accanto a me, mi lanciò una delle sue occhiate irose, e non mi rivolse la parola. Un insuccesso che mi aveva anche fatto litigare con la mia migliore amica: Grandioso!

<< Bene bambini! Per oggi può bastare potete anche andare a casa! >> Non appena la maestra finì di salutarci, iniziò  il rumore di sedie che si spostavano e di libri che finivano alla rinfusa negli zaini. Finalmente quella giornata si era quasi conclusa, anche se Elena non mi aveva ancora parlato. Nonostante i miei tentativi di spiegazione, lei non si era nemmeno degnata di lanciarmi uno sguardo, continuando a mostrarsi indifferente. Avevo continuato a parlare anche fuori scuola mentre aspettavamo il pulmino che ci avrebbe portato a casa.
<< Mi dispiace, ok? Ma non ci sono riuscita! Io ho paura! E mi vergogno! >> Ormai avevo ripetuto quelle parole già parecchie volte, e come le precedenti, non avevo avuto alcuna risposta. Ero stanca e frustata di quel comportamento, ma lo sapevo: Elena era tremendamente testarda, e l’unico modo per farle passare la delusione era fare come voleva lei. O come volevo anche io fino al pomeriggio precedente.

Presa da non so quale coraggio, presi i cioccolatini dallo zaino, e iniziai a camminare a passo deciso verso Filippo, anche lui in attesa del pulmino. Quando gli arrivai di fronte però, tutta la carica che mi aveva portato fino a lì andò scemando, e iniziai a sentire forte il desiderio di allontanarmi da lì. Ma ricordavo lo sguardo di Elena, avevo tradito la sua fiducia, e volevo recuperarla. E poi a me piaceva: perché non avrei dovuto provarci ? Mi schiarii la voce per ottenere la sua attenzione, che infatti rivolse verso di me. Mi guardò con uno sguardo interrogativo, spostando gli occhi dal mio viso e dal piccolo pacchetto che avevo tra le mani.
<< Ciao >> sussurai, pentendomene subito dopo.
1. Perché sicuramente non mi aveva sentito.
2. Perché in quel modo ero sembrata una scema che stava lì a fissarlo senza nemmeno il coraggio di rivolgergli la parola.
Ma evidentemente doveva avermi sentito visto che mi sorrise.
<< Ciao, Erica >> disse, ricambiando il saluto.
Come quello di un ebete, un sorriso mi spuntò involontario sulle labbra, e le mie gote si scaldarono, arrossendo. Ci fu un momento di silenzio, in cui sentivo solo il mio cuore battere furioso nel petto e vedevo il suo viso davanti al mio. Non c’era nient’altro.
<< Ecco, Io volevo augurarti Buon San Valentino. Ehm … Si, tieni >> balbettai in più punti arrossendo ancora di più e porgendogli il pacchetto, la cui carta era ormai stropicciata in diversi punti, con mano tramante. Avevo fantasticato su quel momento in più di un’occasione: mi ero immaginata il suo volto illuminato da un sorriso, gli occhi brillare, sorpresi e stupidi dal mio gesto. L’avevo figurato titubante all’inizio, incerto sul da farsi, ma poi sicuro, consapevole dei suoi sentimenti, che rispecchiavano i miei, e allora avrei potuto sentire le sue labbra sulle mie, per il mio primo bacio.
Avevo vissuto molte volte quella scena nella mia testa, con varianti e altre situazioni, ma nessuna di quelle aveva mai rispecchiato quello che successe realmente.

Lui scoppiò a ridere. Lui-scoppiò-a-ridere. Non prese il mio regalo, non mi disse niente. Semplicemente si voltò e si avvicinò ai suo amici, lasciandomi lì come una scema a fissare il vuoto. Dopo qualche istante mi voltai, lentamente e mi tornai da Elena, che mi guardava scioccata con la bocca semi-aperta: di certo quella non era nemmeno la scena che lei si era figurata.
<< Mi dispiace >> sussurrò quando fui abbastanza vicina. Mi voltai verso di lei ma non dissi nulla. Avrei voluto piangere, lo desideravo con tutta me stessa. Ma non lì, non davanti a tutti. Mi morsi il labbro inferiore cercando di trattenere quelle lacrime che mi stavano inondando gli occhi.
Riuscii a tornare a casa con il viso ancora asciutto, salutai mia madre velocemente e andai diretta verso la mia cameretta. Elena mi seguiva, ma non parlava. E non parlò neppure per le seguenti ore in cui io mi svuotai di tutto il mio dolore riempiendo il cuscino di tutte le mie lacrime, stretta tra le braccia della mia migliore amica.

Visti i risultati della mia prima esperienza, non avevo più voluto tentare nessun approccio con i ragazzi. Le mie amiche mi bastavano, loro non mi ridevano in faccia facendomi sentire meno di zero. Anche se ancora un po’ di quella sensazione era viva dentro di me. Infondo mi trovai al San Valentino di terza media, in una pizzeria, circondata da sei coppiette felici, a fare il tredicesimo incomodo: un ragione ci doveva pur essere, no ? E mentre fissavo un punto tra la testa di Elena e quella di Camilla - appiccicate ai loro ragazzi-  pur di non aumentare la mia glicemia, fatta salire alle stelle da tutte le loro frasette sdolcinate e quei sbaciucchiamenti, incontrai uno sguardo d'onice: due occhi profondi e scuri come il fondo di un pozzo stavano guardando .. Me! Il proprietario di quelle pupille che mi avevano fatto aumentare il battito, era seduto ad un tavolo di soli ragazzi, che probabilmente di erano fermati a mangiare qualcosa e a progettare la caccia della nottata.

Rimasi a guardarlo per molto tempo, tra un morso e l’altro della mia margherita, sempre attenta a non farmi scoprire. I suo lineamenti erano davvero belli: non erano ancora marcati, come quelli di un uomo, ma aveva ormai abbandonato la forma arrotondata dei bambini. Non poteva avere più di 16 anni, e oltre a possedere due occhi incantatori, aveva anche un sorriso mozzafiato. Seguii tutti i suoi movimenti, e quando si alzò, mi sentii quasi delusa dal fatto che andasse via così preso. Per fortuna però, si diresse al bagno, e tornò poco dopo.
<< Potremmo andare in centro dopo, no? Cosa ne dici Ery ? >> sentii Elena parlare, e forse anche nominarmi ma ero troppo attenta a guardare altro, per avere davvero voglia di prestarle la dovuta attenzione. Ma qualcuno non sembrò molto d’accordo con la mia decisione, ed infatti mi pizzicò un braccio.
<< Cosa guardi, Bell’Addormentata ? >> chiese la mia migliore amica. Mi voltai dopo qualche istante verso di lei, interrompendo il mio contatto visivo.
<< Niente, non guardo niente >> risposi prontamente, arrossendo. Non volevo che gli altri mi cogliessero in fallo.
<< Si certo. Allora cosa ne pensi? Ci andiamo? >> mi domandò, prima di prendere un sorso di cola dal suo bicchiere.
<< Dove? >> ribattei allarmata, spaventata dal fatto di dover abbandonare il mio cavaliere nero.
<< In centro!! >> esclamò quasi esasperata, lanciando un’espressione agli altri che sembrava voler dire “Siamo alle solite”. Elena infatti mi accusava di essere sempre con la testa tra le nuvole, io invece mi consideravo solo leggermente distratta.
<< Oh .. Ok >> risposi con poco entusiasmo. Ma a quanto pareva stavano tutti aspettando una mia risposta, visto che subito dopo che la ottennero tornarono a prestare la loro attenzione ai rispettivi compagni.
Sbuffai, ma non persi tempo e subito tornai a cercare quelle iridi nere. Ma mi bastò una sola occhiata per constatare che erano sparite. Agitata, controllai anche gli altri posti del suo tavolo, sperando che si fosse semplicemente spostato. Ma non c’era. Ero delusa, non sapevo nemmeno io da cosa, ma mi sentivo delusa. Forse era più una delusione nei miei confronti, per aver passato un’intera serata a fissare un ragazzo senza però fare niente.

Mi concentrai sulle bollicine del mio bicchiere, continuando a pensare a quello che avrei potuto fare, crogiolandomi del malumore che era tornato, più vivo di prima, in me. Sobbalzai quando sentii una mano posarsi sulla mia spalla. Mi voltai di scatto e il cuore mancò un battito quando vidi chi c’era dietro di me: era il ragazzo occhi-pozzo!
<< Ehi, vieni >> disse andando a prendere la mia mano posata sul tavolo e stringendola. Era stato diretto, non aveva avuto particolarmente intonazioni. Non sapevo cosa fare: era uno sconosciuto, non avrei dovuto seguirlo. Ma quando mi sorrise capitolai: fino a qualche istante prima ero lì a pensare a quello che avrei potuto fare ora che avevo davvero l’opportunità di fare concretamente qualcosa, perché non buttarsi ?
Ricambiai il sorriso e mi alzai, il ragazzo sembrava soddisfatto e veloce si voltò e iniziò a camminare. La mia mano era ancora stretta nella sua, e fui quindi costretta a seguirlo. Questa era una sorta di scusa: io volevo seguirlo, volevo andare con lui.

Si fermò quasi vicino all’uscita: eravamo leggermente distanti dal resto dei tavoli, ma la sala era ancora visibile. Potei vedere lo sguardo di Elena che mi guardava curiosa, stava sicuramente pensando a tutte le domande che mi avrebbe fatto dopo. Ma non era quello il momento: adesso ero con lui. Sembrava nervoso, spostava il peso da un piede all’altro, e mi fissava. Non sapevo cosa fare, non ero un’esperta di quelle situazioni.
<< Io sono Er- >> iniziai dopo qualche istante, per rompere il silenzio, ma le mie parole furono soffocate dalle sue labbra che si posarono sulle mie. Fu come toccare il cielo con un dito: più sentivo la sua bocca premere e muoversi sulla mia, più sentivo l’euforia montarmi dentro. Stavo baciando un ragazzo!
Dopo poco però si staccò, troppo poco. Avevo appena iniziato a godere appieno di quelle sensazioni, non potevo smettere adesso. I nostri volti erano ancora vicini, e lo stomaco fece qualche capriola quando sentii il suo respiro vicino il mio orecchio.
<< Grazie per avermi fatto vincere la scommessa >> sussurrò prima di allontanarsi del tutto, e tornare dai suoi amici con un sorriso vittorioso,
Una scommessa. Quel bacio era stato una scommessa. Io ero stata una scommessa.
Ancora una volta a san Valentino, sentii i miei occhi riempirsi di lacrime.

Per tutto il corso della mia adolescenza mi ero convinta che Cupido, il 14 febbraio, si mettesse in spalle l’arco, prendesse le frecce e ogni volta che gliene si spezzava una, la scagliava contro di me. Ed infatti fu così anche il San Valentino dei miei 16 anni: dopo 5 mesi, il mio ragazzo mi lasciò. Avevamo passato la serata insieme a tutte le altre coppie della compagnia, con Elena che non faceva che dirmi << Te l’avevo detto che sarebbe arrivato anche il tuo momento >>. In quella circostanza non potevo fare a meno di sorriderle, consapevole di quelle parole. Ero felice, entusiasta e mi sentivo bene, come non mi sentivo da molto tempo. Peccato che tutta quella magia finii sotto casa mia, quando al momento dei saluti mi sporsi per baciarlo e lui si scansò.
<< Io non credo di amarti. Non più >> così disse, prima di voltarsi ed allontanarsi veloce da me.
Erano state poche parole, ma che mi avevano lasciato in lacrime di nuovo.

Chissà se anche quest’anno sarebbe finito in lacrime. Era un pensiero che mi attraversava la mente fin da quando mi ero svegliata e non mi aveva ancora abbandonato. Davanti allo specchio faccio una piccola giravolta, per controllare che sia tutto apposto. Voglio che questo giorno sia perfetto. Voglio che il mio 25° San Valentino mi renda felice, per una volta. Quasi come un bambina a Natale, avevo avuto la folle idea di scrivere una lettera a Cupido, per chiedergli di risparmiarmi, almeno per una volta. Per fortuna ci avevo ripensato, ma l’imbarazzo di averci solo pensato mi aveva fatto arrossire. Che sciocca!
<< Aaaa tesoro sei bellissima! >> commenta Elena battendo le mani. Viviamo insieme da qualche anno, abbiamo realizzato il nostro sogno. Da piccole infatti avevamo già arredato il nostro appartamento, facendo degli schizzi. Durante il trasloco abbiamo trovato i nostri progetti, ma abbiamo constato che era meglio non seguirli: il colore predominante era il rosa e di certo non volevo andare ad abitare in una casa delle bambole.

Il campanello inizia a suonare, e il suo rumore dura per qualche istante. E’ lui.
<< Ok .. Io vado allora! Augurami buona fortuna e incrocia le dita per me! >> urlo con il cappotto su un braccio, vicino alla porta.
<< Ma non essere sciocca e divertiti! >> ribatte Elena che mi ha raggiunto vicino alla porta, e la tiene aperta mentre io aspetto l’ascensore.
<< Fallo! >> le ordino prima di entrare nell’ascensore. Lei mi fa una linguaccia, ma vedo comunque le sue dita incrociate: con gli anni si è convinta anche lei che per me quel giorno non è tanto fortunato.
Il tempo che impiego per arrivare nell’atrio lo passo a controllare ancora una volta il trucco nel piccolo specchietto che ho portato con me. Le porte si aprono ed io esco, raggiungendo veloce l’esterno. Il mio fidanzato è lì, appoggiato accanto alla sua macchina, ed è bellissimo nel suo completo. Appena sente il rumore del portone chiudersi porta lo sguardo verso di me. I suoi occhi si spalancano leggermente, e non posso fare a meno di sorridere compiaciuta: il rosso fa sempre la sua figura. Si avvicina, troppo lentamente per i miei gusti. Sono pronta a  sentire le sue labbra sulle mie ma mi sorprende: infatti afferra una mia mano tra le sue lascia una leggero bacio vicino all’anulare destro, dove fa bella mostra l’anello di fidanzamento.
<< Sei stupenda>> sussurra dopo aver rialzato il capo, e averlo portato accanto al mio. I nostri respiri si mescolano e, desiderosa, lo bacio.
Si, questo San Valentino sarà perfetto.



Ok .. Esperimento concluso XD
Mi è venuta questa stramba idea è l'ho messa giù ^^

  
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