Nella moda il Classico non muore mai
La
vasta landa deserta si tingeva d’un lividore opaco ai primi inconsistenti
albori del nuovo giorno.
La
terra brulla giaceva infeconda, sferzata lievemente da una brezza che
trasportava con sé un puzzo impercettibile. Odore di morte.
Fra
le zolle irregolari punteggiate da spruzzi di arbusti secchi e striminziti,
consumati dalla polvere, occhieggiavano macchie biancastre. Frammenti d’un
candore ingiallito dal tempo. Solo osservandoli con estrema attenzione sarebbe stato
possibile rendersi conto di cosa si trattasse. Ossa. Resti umani mezzo sepolti
nel terreno e nell’indifferenza.
E
proprio al centro della piana desolata si ergeva una cupa fortezza di pietra.
Le torri svettanti nella cappa di denso silenzio si tendevano verso il cielo
plumbeo in uno slancio mozzo, le cime diroccate. Una delle facciate era
crollata, rivelando fazzoletti di buio pesto corrispondenti a porzioni
dell’interno della fortezza.
E,
d’un tratto, nello scuro grigiore dell’esordio dell’alba, nell’immobilità
cianotica di quel tetro mattino, un urlo agghiacciante, un urlo bestiale che
pareva provenire dalle remote profondità di quella terra polverosa si liberò
dai recessi della roccaforte in rovina, dilaniando il silenzio stagnante nella
landa.
“Non
è possibile! Sono attorniato da un branco di incapaci! Basta, basta, non se ne
può più! Quei … quegli … quelle specie di … quei maledetti imbecilli!”
Nella
grande sala principale dell’ala ovest del palazzo, dove ad arredare l’ambiente
stavano i relitti d’una sontuosità sfarzosa ormai corrotta dal tempo, un
individuo allampanato abbigliato con un bizzarro mantello porpora e nero
gesticolava concitato accanto al finestrone attorniato da tende sdrucite.
“Che
diamine!”, inveì, sventolando un foglio di carta spessa e raffinata in faccia
ad uno spaurito ometto baffuto dagli occhi bovini. “Questo è troppo!”
“A
… a-a … ave-v-vete … A-avete
ragione, signore.”
“Per
Ecate, certo che ho ragione!”, sbraitò l’individuo
sgranando gli occhi allucinati attorniati da occhiaie viola e moderatamente
antiestetiche. “Per cosa credi che io eserciti la mia venerabile autorità su
quella combriccola di cretini, eh?”
“I-io … i …”
“Rispondi!”
L’omuncolo
incespicò indietro, atterrito. Si umettò le labbra e aprì la bocca senza
emettere alcun suono.
“Parla,
pezzo d’idiota!”, lo aggredì l’altro, irruente. “Rispondi, sottospecie di
braciola ambulante, se non vuoi farmi da spuntino fuori programma!”
“Ah
… Be-beh … I-io credo …”
“Allora?”,
incalzò l’individuo, incrociando le braccia al petto con aria inquisitrice.
“Ecco
… p-per … per amministrare i territori lontani,
signore?”
“NO!”
L’ometto
sussultò quando la mano pallida simile ad un artiglio del suo interlocutore gli
si serrò attorno al collo.
“…E buon appetito a me”, cantilenò l’uomo ammantato, in un
sibilo quasi allegro.
“Oh,
lascialo andare”, intervenne in quell’istante una voce di donna, melliflua.
L’uomo
richiuse la bocca che aveva accostato al collo del disgraziato con un risolino
vagamente isterico. Quindi rizzò il capo con evidente irritazione.
“Posso
sapere cosa diavolo vuoi da me, Roxanne?”
L’interpellata
avanzò nella penombra della stanza con andatura felina, sorridendo bieca.
“Ti
pare il caso di sopprimere gli inservienti in questo modo scriteriato?”
“Come
ti permetti? Ti ricordo che stai ancora digerendo il mio nuovo maggiordomo,
giovincella impudente!”
“Via,
Dracula, non scaldarti tanto”, interloquì la donna muovendo una mano in aria
con espressione annoiata.
“Non scaldarti tanto? NON SCALDARTI TANTO? Come puoi …”
“E-eh … signore …”, tossì intanto l’ometto, gracchiando
fuori la poca aria che transitava attraverso la gola ancora chiusa nella morsa
del celeberrimo vampiro, in quell’istante un filino su di giri.
Il
conte Dracula non si curò minimamente dell’intervento.
“…
Rivolgerti così a me? Dico a me, che
…”
“S-signore …”
“…
Sono l’essere più …”
“Signore
…”
“…
Più …”
“Signore
…”
“Che
diavolo vuoi, razza di pirla privo di utilità alcuna?! Ho anche perso il filo,
porca d’una miseria!”
“Ma
… m-ma, signore …”
“Cosa
c’è?!”
“Ecco
… L-la … la vostra …”
“Cosa?”
“La
…”
“Insomma,
che vuoi?”
“L-la vostra mano, signore.”
Il
vampiro battè un paio di volte le palpebre livide,
perplesso. Corrugò le sopracciglia.
“La
mia mano? Che diavolo c’entra la mia mano?”
“Si
… s-si sta … si sta sciogliendo, signore.”
Il
conte fissò l’omuncolo con aperta ostilità, visibilmente incapace di
comprendere le sue parole.
“Che
hai detto, razza di …”
“La
tua mano, Dracula”, intervenne Roxanne, placida. “Si
sta sciogliendo. Spostala”, suggerì poi, ghignante.
Il
vampiro lasciò andare istantaneamente l’ometto indifeso, che caracollò a terra
rotolando sul tappeto consunto, e voltò il capo con uno scatto.
“Oh,
maledizione!”
L’arto
sinistro del conte, sulla traiettoria della scarsa luce filtrante dalla
vetrata, era esposto al barbaglio soffuso e stava squagliandosi sul dorso,
colando in una sostanza biancastra.
“Fossi
in te farei dare una rinnovatina all’arredamento, a
cominciare dalle tende”, commentò serafica la donna, studiando con compiaciuta
immobilità il collega che controllava i danni. “Qui cade tutto a pezzi.”
“Zitta,
tu”, ruminò quello, inviperito. “Non è certo colpa mia se le mie rendite hanno
subito un crollo spaventoso, negli ultimi tempi.”
“Non
se più molto richiesto, eh?”, canterellò Roxanne con
beffarda noncuranza. “Sei passato di moda, caro il mio conte.”
“Ti
ho detto di tacere! Che razza di sgarro … Oggi è la mia giornata sfortunata. Ho
bisogno di qualche creatura innocente su cui scaricare la mia ira distruttrice
… - Roxanne alzò gli occhi al cielo - … Tu!”, tuonò
il conte additando l’ometto summentovato, che frattanto aveva tentato di
darsela a gambe, salvo poi arrestare la propria fuga incespicando terrorizzato
di fronte alla donna ospite del suo padrone pochi passi più in là. “Tu, essere
inutile! Fa’ impalare i prigionieri!”
“M-ma, mio signore”, obiettò quello, ragionevole, “pochi
giorni or sono mi avevate ordinato di lasciarli morire di fame …”
“Ho
cambiato idea! Esegui!”
“S-s-s-signorsì, signore!”
E
con evidente sollievo l’ometto sparì, scaraventandosi a ridosso delle pareti
fuori dalla stanza.
Dracula
sospirò beato, sciogliendo le spalle.
“Mi
sento già meglio.” Poi, come ricordandosi improvvisamente di dover essere
profondamente e irreparabilmente nonché apocalitticamente
infuriato, scosse il capo con vigore e sbraitò: “Ma quello sciame di poveri
idioti …”
“Oh,
ti prego”, si lamentò la donna di fronte a lui con uno sbuffo. “Niente
melodramma. Qual è il problema?”
“Qual è il problema? E tu mi chiedi qual è il problema?!”
“Ecco
che ricomincia”, sospirò sconsolata Roxanne, senza
essere minimamente calcolata dal conte.
“C’è
un problema, eccome se c’è! Un enorme problema! Eccolo qui”, sputò quello schifato,
con voce stridula, schiaffandole sotto il naso il foglio di carta spessa, su
cui campeggiava un messaggio in grafia curata. La donna lo prese tra le dita
affusolate come fosse stato un rifiuto radioattivo.
“Uh,
to’ guarda”, cinguettò atona. “Un messaggio dei Volturi.”
“Volturi”,
ripeté il conte Dracula, orripilato. “Puah.”
“Quello
biondo non è male”, osservò distrattamente Roxanne,
rigirandosi in mano il foglio.
“Sì,
beh, quello biondo non … Ehi, un momento! Cosa sto dicen
… Oh, roba da matti. A parte che non è biondo, è albino. Albino, ma renditi
conto. A che punto siamo arrivati. E tu vedi di risparmiarmi le tue valutazioni
fondate su basi empiriche.”
“Su
che cosa?” La donna sollevò il capo di scatto. “Di’ un po’, credi che mi sia
passata Caius?”
“Caius, Sempronius e Tiberius Graccus! Aggiungi
Cicerone e Cornelio Nepote e hai la collezione
completa, perdiana!”
“Screanzato!”
“Ma
che screanzato e screanzato, riflettevo sull’elenco di nominativi. Oh, al
diavolo, accidenti a questa nuova generazione di vampiri. Non hanno un minimo
di credibilità, e intanto mi fanno perdere il lavoro. Twilight di qua, New Moon di là … e chi siamo noi, i figli della serva? Dove sono andati a
finire i sani principi dettati dalla tradizione?” Scosse ripetutamente il capo,
facendo ondeggiare l’ottocentesco codino dietro la nuca, ostentando profonda
indignazione. “Guarda tu che situazione. Tutta la mia gloriosa, secolare fama
di spietata e fascinosa creatura della notte gettata al vento per colpa di un …
una sfilza di cretinetti smidollati che fanno ridere i polli, sfornati da
quella disgraziata …”
“Oh,
e falla finita.”
“E
no, eh! Ora ne ho piene le tasche. Indistruttibili, ricchi sfondati, sberluccicanti, impomatati e snob. Ma di’, sono vampiri,
questi? Eh?”
“Hai
dimenticato fighi da paura.”
“Oh,
certo! Questa poi. Cosa se ne fa, un vampiro, di essere figo?
Un vampiro le dissangua, le donne, non ci prova con loro! Al limite può fare
entrambe le cose … Ma ci va una certa esperienza per questo. Vedi il
sottoscritto.”
“Oh,
ma per piacere. Dunque, vediamo … Egregio
Signor Conte Dracula, leader indiscusso di tutte le comunità di vampiri sparse
in ogni terra e appartenenti ad ogni generazione …”
“…
Io dico, un vampiro è un essere crudele, implacabile, è una creatura
invereconda, spregevole, che detesta profondamente la luce, che di giorno dorme
nella sua brava bara senza dar fastidio a nessuno, diamine, e soprattutto senza
giocare al faretto catarifrangente che cammina, e che di notte si diletta a
terrorizzare le brave persone prima di ficcare i canini nella loro giugulare e
…”
“…
Siamo spiacenti di informarLa
che nonostante gli strenui sforzi da parte di ogni membro della casata il
nostro tentativo di arrestare la sommossa che ha visto coinvolti molti dei clan
di vampiri …”
“Falliti”,
sibilò Dracula, tra sé, assorto nell’ascolto della lettura.
“… Molti dei clan di vampiri a noi noti si è
rivelato fallimentare …”
“Pezzenti.”
“Disgraziatamente il numeroso clan di Olympia
…”
Dracula
fece scattare avanti il mento in un moto di puro fastidio, assumendo un’espressione
sofferente.
“… E’ riuscito ad organizzare una forza di
notevole portata per mezzo della quale ha osato osteggiarci nel nostro
immediato intervento, causato dal fondato sospetto dell’esistenza di una
creatura di dubbia natura nata da … Oh, porca vacca, che disgusto.”
Il
conte annuì febbrilmente, poi scosse il capo, poi emise un rantolo rauco,
arricciando il naso aquilino.
“E’
una vergogna!”
“E
io che credevo che alle donne umane di adesso venisse inculcata fin dalla prima
infanzia l’attenzione per l’uso dei contraccettivi …”
“Contraccettivi,
già, già …”, borbottò tra sé il conte Dracula, prendendosi il mento tra l’indice
e il pollice. “… Già … No, un momento … Ma cosa … Oh, perdiana, Roxanne, che diavolo c’entrano adesso i contraccettivi? Ma
non ti rendi conto? Non capisci a quale scempio siamo arrivati?”
“Farsi
mettere incinta da un vampiro”, ponderava intanto la donna ad alta voce, senza
degnarsi di ascoltarlo. “Bisogna essere proprio cretine …”
“Cretine? Cretine è dir poco! Ma come si
fa, dico io? Come?”
“Le
ragazze d’oggi sono disposte a tutto, pur di avere un briciolo di fama …”,
mormorò distrattamente Roxanne, riprendendo a
scorrere il messaggio con gli occhi.
“Chiamalo
briciolo”, piagnucolò Dracula, tirando di più la tenda sulla finestra, attento
a non esporsi alla tenue luce del primo mattino. “Com’è triste ripensare ai bei
tempi andati, quando ero ancora l’essere più temuto e rispettato di ogni terra …
Di giorno nella mia splendida bara in mogano, di notte nelle stanze delle
duchessine dei territori limitrofi …”
“Duchessine
che l’indomani, casualmente, si risvegliavano con due buchi sul collo e i
canini tre volte più lunghi del normale”, lo troncò incolore Roxanne, con una certa acredine.
Dracula
s’interruppe con una mano sollevata a mezz’asta, battendo le palpebre. Sollevò le
sopracciglia, riaccostandosi alla vampira con espressione conciliante.
“Via,
tesoro, non vorrai farmi credere che avresti preferito restare a vita in quella
fogna camuffata da corte raffinata al massimo del fulgore? Avresti fatto la fine
di tua madre …”
“Dracula,
non ti starai mica scusando?”, lo canzonò l’altra, provocatoria. “Fammi il
favore, se non mi avessi portata via tu per aggiungermi alla tua collezione me
ne sarei andata io. E certo non avrei avuto la possibilità di vivere svariati
secoli. Questo non toglie che tu sia un perfetto idiota.”
“Spudorata”,
borbottò il conte tra sé, corrucciato.
“Dunque”,
mormorò la donna, indifferente al broncio del collega, avvicinando il foglio al
viso.”Vediamo qui … E siamo stati perciò
costretti … bla, bla, bla … In ogni caso ci
siamo premurati di sincerarci che l’umana fosse divenuta una … bla, bla … E dunque pare che per il momento la situazione non crei … bla, bla, bla
… Abbiamo dunque per il momento raggiunto
un accordo, nonostante non siamo riusciti a perseguire lo scopo di arruolare i
soggetti interessanti nelle nostre fila. È per questa ragione che ci è parso
opportuno inviarLe i saluti dell’intera famiglia Cullen.”
“Cullen!”, gridò il conte Dracula, strabuzzando gli occhi e
portandosi una mano alla gola, come se il solo pronunciare quel nome avesse
potuto farlo morire asfissiato. “Cullen! Io odio i Cullen!
Li detesto! Accidenti a loro e alla loro fottuta dieta animale! È colpa di
quella famiglia di disgraziati senza spina dorsale che sono in queste
condizioni! Cullen! E quei cretini dei Volturi osano
farmene il nome! Maledizione, che razza di incapaci! Neanche a leccarmi i piedi
come Dio comanda suono buoni!”
“Datti
una calmat …”
“Calmarmi?!
Non ci penso nemmeno, a calmarmi! Cullen! Quei
maledetti! Sviliscono la nostra nobile razza, nutrendosi di gazzelle come una
qualunque belva senza capacità di intendere e di volere, e per di più stanno
sempre alla ribalta, lasciandomi nell’oblio e nella comune dimenticanza! Io sono
Dracula, che diamine, il conte Dracula! Non un vampiro, IL vampiro! E quei poveri imbecilli spuntati come funghi da non si
sa dove mi hanno soffiato il posto, la fama e la gloria imperitura! … Nessuno
si ricorda più di me …! … Sono rovinato”, singhiozzò disperato il conte,
afflosciandosi su una poltrona ricoperta di strappi. Aveva i capelli in
disordine e un’espressione afflitta, afflitta come solo l’espressione di un
vampiro afflitto poteva essere.
“Su,
su”, mormorò scuotendo il capo Roxanne, prendendo a
fargli pat-pat su di una spalla. “Non è mica la fine
del mondo … E poi tu sei sempre tu … Voglio dire, tu sei il Conte … Chi sono
loro, eh? Nessuno. Sono quei successi immediati e brevi … E’ una meteora, un
momento fugace … Non appena … Oh, guarda qui”, fece improvvisamente fissando il
fondo del foglio. “In particolar modo Carlisle Cullen.”
Il
conte Dracula emise un verso strozzato, sollevando il capo di scatto.
“Carlisle Cullen …”, ripeté Roxanne, assorta.
“Non
pronunciare quel nome.”
“Carlisle …”, seguitò imperterrita la donna, riflettendo con
le sopracciglia corrugate.
“Basta
…”
“Carlisle …”
“Ti
prego …”
“Carlisle Cullen …”
“Eh,
ma allora ce l’hai con me!”
“Cosa?”,
si riscosse lei con un sussulto, puntandogli gli occhi sul volto. “Oh, scusa”,
fece incurante sventolando una mano inanellata. “E’ che questo nome mi ricorda
qualcosa …”
“Ma
va’? Sarà mica perché tutti i nomi
maschili ti ricordano qualcosa?”
La
vampira si voltò con uno scatto repentino, inarcando un sopracciglio. “Mi stai
dando della sgualdrina?”, si informò asettica.
Dracula
emise una specie di grugnito, mettendo su un broncio infantile.
“L’unico
che non degni di uno sguardo sono io …”
“Guardati
allo specchio e capirai il perché. Sei diventato un catorcio, orm … Oh, ma certo!”, trillò improvvisamente, battendo una
manata sullo schienale della poltrona. “Ora ricordo”, dichiarò indifferente. “Dev’essere quel tizio che qualche secolo fa quando abitavo
in quella cittadella mortalmente noiosa mi portava le uova la mattina. Poveraccio,
all’epoca doveva avere quattordici anni, e mi sbavava dietro senza ritegno … E
dire che io lo consideravo molto appetibile
… Non nel senso che avrebbe voluto lui, però.” Scoppiò in una risatina perfida,
beandosi della propria genuina malvagità di vampira d’altri tempi.
“Non
posso crederci”, brontolò il conte, disgustato. “Ma ti rendi conto?”, tuonò
scattando nuovamente in piedi. “Non abbiamo un picco e la colpa è di uno che
sventrava le proprie galline a costo di poter contemplare il tuo divino
fondoschiena ogni santo giorno! Lui, quel … quel … Ah, ma ci penserò io, a
sistemarlo! Mi presenterò direttamente a casa sua, e gli farò vedere cosa
significa essere un vero vampiro! Lo
farò a pezzettini, gli leverò quel maledetto sorriso ebete dalla faccia a suon
di schiaffoni, gli farò pentire di stare al mon …”
“Dove
vuoi andare, se saranno dieci anni che non metti piede fuori da questo schifo
di contea?”
“Silenzio!
Dimostrerò al mondo chi è Dracula!”
“Calmati,
ti farai venire una crisi di nervi.”
“Oh,
maledizione”, imprecò il conte col fiatone. Si sedette, si rialzò, si
risedette, si passò una mano tra i capelli, arruffandoli completamente, scattò
in piedi, si alzò sulla poltrona, cacciò un urlo, scese con un balzo e prese ad
andare avanti e indietro per la stanza, rosicchiandosi febbrilmente le unghie.
“Calmati”,
ripeté Roxanne, imperturbabile.
“Certo,
certo. Devo calmarmi.” Si schiarì la gola, sistemandosi il colletto col dito
indice. “Dove sono i miei tranquillanti? Osvaldo! … Ah, già, Osvaldo è morto, l’hai
mangiato proprio iersera.” Tirò indietro i capelli, si massaggiò le tempie. Improvvisamente
trasalì, lanciò un’esclamazione terrorizzata, serrò la mano destra attorno al
polso sinistro.
“Roxanne!
Oh, no! Oh, no!”
“Che
c’è?”
“Non
c’è polso!”
La
vampira lo fissò un istante con aria stralunata, quindi assottigliò gli occhi,
incrociando le braccia al petto.
“Dracula.”
“Non
c’è polso! Ecco, lo sapevo! Lo sapevo, che prima o poi questa faccenda mi
avrebbe ucciso!”
“Dracula.”
“E’
la fine! Per me è la fine!”
“Dracula.”
“Me
ne andrò per sempre! Per crepacuore entrerò nell’eterno obl
…”
“DRACULA!”
Il
conte si interruppe ad occhi sgranati, immobilizzandosi al centro della stanza
in ginocchio e con le braccia levate al cielo.
“Cosa?”
“Dracula.
È ovvio che non ci sia polso. Tu sei morto.”
Il
vampiro batté le palpebre un paio di volte, abbassando gradualmente le braccia.
“Oh.”
Si tirò lentamente in piedi, grattandosi il mento. “Hai ragione.”
Roxanne
scosse ripetutamente il capo, critica. Il conte si alzò del tutto e attraversò
la stanza, sedendosi in poltrona vergognoso.
“Mi
sentirei di suggerirti la terapia sostitutiva”, congetturò la donna, beffarda. “uno
degli effetti primari della menopausa come dell’andropausa consiste nelle crisi
isteriche.”
“L’andr … Ma cos … Roxanne! Io non
sono affatto in andropausa, perdiana! Sono un vampiro, tanto per cominciare. E come
tale sarò sempre giovane e aitante.”
Roxanne
sollevò un sopracciglio con evidente scetticismo.
Dracula
corrugò la fronte.
“Oh,
beh, al momento non sono nella mia forma migliore, ma … Di certo resto comunque
… Il mio fascino inimitabile … Voglio dire … Ho sempre il mio perché.”
“Oh,
su questo non c’è dubbio. Anch’io guardandoti mi chiedo spesso perché quel branco di poveri umani che
fai sgobbare dalla mattina alla sera – anzi, dalla sera alla mattina – si ostina
ad obbedirti. Come fanno a non capire che ormai sei perfettamente innocuo?”
“Innocuo?!
Io innocuo?!”
“Ma
certo.” Roxanne proruppe in un’imprecazione
infastidita quando un filo di luce filtrata dalle tende e dallo strato di nubi
basse sull’orizzonte le colpì un avambraccio, scostandosi bruscamente. “Uh,
ormai saranno le sette passate. È ora di ritirarsi.”
“Io
non sono affatto innocuo”, mugugnò il conte alzandosi di malavoglia,
permettendo alla donna di guidarlo fuori dalla stanza. “Sono Dracula … il conte
Dracula …”
“Su
questo non ci piove”, disse lei indulgente, abbassando la maniglia in ottone
ossidato.
I
due sparirono oltre la porta, silenziosi come fantasmi.
E
così quella mattina la stanza rimase vuota, immersa nel silenzio, interrotto
solo dallo sfrigolare del fuoco acceso per ordine del conte nel caminetto. Tra le
fiamme ardeva la missiva dei Volturi.
Nello
stesso istante in cui il disco luminoso del sole emerse completamente dalla
fascia di nubi, splendendo in tutto il suo fulgore, nelle viscere della torre
più alta della fortezza il conte Dracula chiuse su di sé il coperchio della
bara in mogano.
…Perché, lui
sì, è un vampiro come si deve.