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Autore: ellii    15/02/2010    1 recensioni
Una famiglia troppo nobile alle prese con passioni umane. Una madre separata, una figlia trasparente e un ragazzino confuso. Milano, la mia Milano, è lo sfondo. < br > E' la mia prima fic pubblicata in assoluto, vi prego siate clementi e recensite! Grazie
Genere: Generale, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutti i personaggi della storia sono maggiorenni, vaccinati ecc.

Qualunque riferimenti a persone e/o eventi reali è puramente casuale.

Buona lettua!

 

A mia sorella.

 

Uno.

Armistizio

Il suo matrimonio con Lavi era stato una guerra. Il giorno in cui avevano detto sì, la dichiarazione. I ventun anni che erano seguiti, una sequenza di sanguinose battaglie.

Quel giorno, si sentiva molto più leggera di quanto non si ricordasse. Come un vecchio comandante che tira un sospiro di sollievo quando firma l'armistizio che gli permetterà di vivere il resto dei suoi giorni in esilio volontario. Stava per andare in esilio, Marta, in un esilio d'amore.

Si sentiva troppo sdolcinata anche solo a pensarlo, ma era di questo che si trattava. Il giorno che aveva pronunciato la parola “Separazione” davanti a Lavi, aveva sentito che non avrebbe potuto più sostenere una guerra. Mai più, nemmeno una debole schermaglia.

Andava in esilio, ponendo quella firma. Il suo armistizio personale, che non coinvolgeva Lavi. Per niente, lui non c'entrava. In fondo, la sua vita non sarebbe cambiata molto. Avrebbe continuato a fare l'attore, ad essere strapagato per parti minuscole e sempre uguali, ad atteggiarsi come se fosse un grande interprete drammatico. Lavi non aveva mai recitato in un dramma. Non avrebbe avuto problemi nel portarsi a letto tutte le comparse delle sue prossime commedie. L'unica cosa importante che la separazione avrebbe comportato per lui, sarebbe stato il vedere meno i ragazzi. I suoi ragazzi, come se fossero un “merito” suo. Come se i capelli a macchia d'inchiostro di Lodovico, la pelle nivea di Clio, fossero una cosa sua. Che arrogante.

<< Una firma qui, Marta. Lavi, da questa parte. >> l'avvocato Armandi parlava con tono rassicurante, dall'alto dei suoi anni li guardava sorridendo. Sembrava un padre che mostrava ai figlioletti le strade per andare a scuole diverse, le due porte delle stanze sullo stesso pianerottolo. Aveva una voce profonda e roca, come quei vecchi cantanti jazz. Aveva la faccia da cantante jazz, in effetti, con la pelle scura, raggrinzita da sottili rughe color cioccolato, il naso schiacciato e le labbra gonfie come le sue dopo le sessioni di botulino.

La firma svolazzante di Lavi usciva dai margini prestabiliti, ovviamente, con quella vezzosità odiosa che lo contraddistingueva. Sapeva sempre come farsi notare. Lei cercò di mettere una certa distanza fra quell'uomo e la sua orgogliosa persona, scrivendo il suo nome in piccolo, ma calcando bene le iniziali. Marta Cetto Gabrio Castelli di Fontana Nuova. Un nome così lungo, era molto meno appariscente e sfacciato di quello di Ennio Lavi. Il suo ex marito.

<< Grazie mille, avvocato Armandi. Dobbiamo firmare qualche cosa d'altro, o possiamo tornare al lavoro? >> ovviamente a Lavi premeva far sapere perfino al suo avvocato, perfino nel giorno della sua separazione, che aveva una nuova commedia in cantiere. Una commedia sua, che segnava la sua grande entrata nel novero degli sceneggiatori << Sa, scrivo una commedia e oggi sono nello stato d'animo perfetto >>

<< Dev'essere una commedia molto interessante, verrò certamente a vederla quando sarà messa in scena >> disse Armandi gentilmente, Clio avrebbe sorriso e sussurrato che era molto kind. Dio solo sapeva quanto aveva giovato al suo inglese farle trascorrere un anno scolastico in America, ma ormai parlava come una vera ragazza snob. Ovviamente, sia lei che Lavi apprezzavano molto questo suo cambiamento, la tanto attesa ascesa di Clio: da semplice ragazza ben vestita a nobile, con tutte le integrazioni in altre lingue che ciò comportava.

<< Comunque qui abbiamo finito, potete pure tornare alle vostre vite. Spero che ci rivedremo molto tardi, Marta. Lavi >> li congedò con un caldo cenno del capo e una stretta di mano, mentre si metteva a riordinare le carte combattendo con il suo grasso che gli impediva di muoversi, loro due lasciarono la stanza. Lavi camminava leggermente avanti, sembrava sospeso trenta centimetri sopra il terreno. Essere separato gli dava il tocco bohèmiene di cui aveva bisogno per diventare sceneggiatore. Adesso era perfetto, bello come mai nella sua giovinezza, con quel ciuffo grigio in mezzo alla fronte, somigliava a Lodovico da far male. Meno male che suo figlio aveva il suo sguardo ombroso, verde all'inverosimile, e non gli accesi turchesi di Lavi, se no avrebbe potuto tranquillamente pensare che suo marito avesse perso dieci chili e parecchi centimetri in altezza, trovandosi davanti a suo figlio.

Si salutarono freddamente, sollevati dalla loro disunione. Felici e incuranti del vuoto che ci sarebbe stato a capotavola da quel giorno in poi.

La Porsche grigio metallizzato le sfrecciò davanti con uno stridente rumore di ruote, Lavi le fece l'ultima beffa superandola sulla lunga via alberata del Tribunale di Milano. Diceva “Francamente, cara, me ne infischio”.

Non provò nemmeno a premere un po' di più il piede sull'acceleratore della Mercedes, era stufa delle competizioni idiote, dei giochetti, delle prese in giro di Lavi. Voleva soltanto lasciarselo alle spalle, entrare nel suo tanto agognato esilio.

La Marta orgogliosa e combattiva, ovviamente, protestava furibonda nel suo petto, ma la cera lucida della Marta sconfitta non lasciava trapelare emozioni. Dubitava che perfino Clio, vedendola, avrebbe potuto riconoscere qualcosa al di fuori della calma, in lei.

Mentre Lavi proseguiva verso la Bovisa, Marta e la sua Mercedes imboccarono le caotiche vie del centro. Di venerdì mattina, poi, una cosa impensabile. Per raggiungere Via Monte Napoleone, ci mise tre quarti d'ora, accendendosi una sigaretta dopo l'altra e scordando perfino di usare il bocchino che le aveva regalato sua figlia a Natale, solo un paio di settimane prima.

Le vacanze non erano ancora finite, e la casa era ancora più vuota di quando i ragazzi andavano a scuola. Si godevano gli ultimissimi giorni di svago puro, dopo St.Moritz non li aveva quasi più visti. E non aveva neppure potuto accompagnarli in montagna, bloccata dal lavoro e dalla separazione com'era stata negli ultimi mesi.

Per questo, chiudendosi la porta alle spalle a lanciando il suo mazzo di chiavi nella piccola ciotola d'argento accanto al telefono, sospirò di sollievo per l'ennesima volta. Perchè sapeva che, quella sera, avrebbe finalmente cenato con i ragazzi, li avrebbe guardati con i suoi nuovi occhi di esiliata.

 

Il suo studio era bellissimo, arredato come poteva esserlo uno studio dell'Ottocento. Non le era mai piaciuto il minimalismo di Lavi, lei amava i broccati e i velluti, e si rilassava soltanto se seduta composta su una bella poltrona di pelle. Aveva passato un pomeriggio inutile, a scrivere inutili lettere e a scarabocchiare come una ragazzina annoiata. Era il suo primo vero pomeriggio inutile da mesi, da anni forse.

Il lavoro da sbrigare – teneva la contabilità di un teatro, era così che aveva conosciuto Lavi – era tanto, ma non se ne dava pena. Non quel giorno, non quando poteva liberamente assaporare tutte le varie sfumature della parola single. Non le serviva che un re-inserimento in società, ora, e un nuovo taglio di capelli. La crocchia in cui si ostinava a raccogliere i suoi lunghi spaghetti ramati aveva ormai perso la sua utilità, e cioè levarle una preoccupazione in più. Adesso che non doveva più preoccuparsi di suo marito, poteva benissimo pensare ai suoi capelli. Era uno scambio equo, dopotutto, si disse. Il suo matrimonio per una vita vera, non riusciva quasi a crederci.

Telefonò al suo parrucchiere fissando un appuntamento per l'indomani, e continuò a sprecare il suo tempo stillando una lista di invitati per un possibile ricevimento. In un futuro meno prossimo del parrucchiere, però. Se doveva ripresentarsi come single indipendente, lo avrebbe fatto in gran stile, non con uno chignon troppo stretto.

La testa di Lodovico, che spuntò come un porcospino arrabbiato da dietro la porta, la sorprese a tracciare distrattamente il profilo del suo fermacarte.

<< Mamma? >> chiamò, in tono quasi timoroso. Era così sensibile, Lod, forse capiva che momento era per lei. Quanto quell'inutile pomeriggio l'avesse cambiata profondamente. << E' pronta la cena >>. Le fece un minuscolo sorriso, flash di denti bianchi, e scomparve giù per le scale.

Marta si alzò senza fatica, con una forza nuova ma tanto attesa a sorreggerla. Scese le scale lentamente, reggendosi al corrimano con fare regale e guardandosi intorno. Più si compiaceva dell'arredamento che aveva scelto, come ogni volta che faceva quei gradini, più si chiedeva come non aveva potuto accorgersi di una stonatura incredibile nella sua vita “precedente”. Lavi, le sue ribellioni, la sua mitomania, tutto di lui stonava con la placida e decadente realtà bordeaux di casa sua. Se l'avesse visto un'altra volta davanti alle grandi porte finestre, ai vetri smerigliati delle vetrinette in corridoio, al grande quadro del suo bis-nonno in ingresso, sarebbe certamente scoppiata a ridere. Che cosa ci faceva un essere come lui, un libertino dal cognome insignificante in casa sua? Non aveva forse fatto bene, a buttarlo fuori dopo ventun anni di patita convivenza?

Attraversò nuovamente il corridoio principale e raggiunse la sala da pranzo. Sia Clio che Lodovico erano già seduti, ovviamente, e Carmen aspettava la sua venuta per servire la cena.

Mangiarono arrosto e patate al forno e non parlarono molto, assorbiti dalle loro vite in fase di svolgimento. Pensavano tutti a cose diverse, forse Clio rifletteva su come introdurre la sua vasta conoscenza dello slang newyorkese nei discorsi così noiosi dei professori di giurisprudenza, forse Lodovico rimuginava su quanto fossero piccoli i suoi polsi – si guardò le braccia, scoperte dalle maniche corte della Lacoste, per tutto il tempo -, lei decise immediatamente che avrebbe chiamato suo padre. Più tardi, quella sera, magari avvolta nella sola luce lunare del suo studio, avrebbe parlato con Lodovico Senior, come l'aveva ribattezzato Clio, del più e del meno.

“Ho intenzione di tagliarmi i capelli, non lascerò che mi riducano lo stipendio, stamattina ho firmato per la separazione, chissà dove andrà ad abitare Lavi”. In effetti, non gliel'aveva nemmeno chiesto quando, due settimane prima, era uscito di casa munito di appariscenti valigie Louis Vuitton. Sapeva per certo che abitava nei pressi della “nuova” Milano, di quel quartiere che il sindaco era deciso ad abilitare in tempo per l'Expo del 2015, ma nulla di preciso. Vaghi ricordi, stracci di conversazioni dei suoi figli. “Laggiù da papà”, “Fino da papà”.

<< Qualcuno di voi due sa se Lavi è andato ad abitare sotto un ponte? >> buttò lì al momento del dessert, una mediocrissima mousse al cioccolato. Lei se ne servì subito, seguita da una colpevole Clio. Lodovico aveva sempre mangiato poco, e comunque non impazziva per i dolci. Non ne prese nemmeno un cucchiaio.

<< Oh, vicino ad una galleria d'Arte, mi pare >> azzardò la ragazza, sistemandosi un boccolo miracolosamente sopravvissuto al rituale di “piastraggio” quotidiano.

<< In un loft >> azzardò l'altro, carezzando con l'indice sottile lo stelo del suo bicchiere da vino. << E' una casa senza privacy. Tutto troppo aperto >>

<< Everyone's a critic >> sogghignò Clio, che sembrava intenzionata a prenderlo in giro. Cosa che il fratello non sopportava.

<< Forse se parlassi in italiano, potrei anche ridere >> ribattè, fissando concentrato il lampadario.

<< L'ironia non punta alla risata >> sorrise enigmatica, prima di essere interrotta da Marta.

<< Quindi, una casa moderna >> se lo aspettava. Era forse un tentativo di sedurre i ragazzi, proporre loro tanti spazi nuovi, atmosfere stimolanti?

<< Già >>

<< Uhm >>.

Sorrise fra sé. I suoi figli erano immersi totalmente nella calda atmosfera di casa loro, delle loro tende pesanti e dei baldacchini con le coperte color panna. Non si sarebbero fatti incantare da linee pulite e sedie trasparenti, ce l'avevano nel sangue.



  
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