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Autore: Endlessly    15/02/2010    2 recensioni
SELF DESTRUCTION -seconda parte-
Brian vuole Matthew, Brian Desidera Matthew e, dopo gli EMA questo desiderio insopportabile si trasforma in sentimento. Le circostanze però, rendono questo nuovo sentimento una dannazione: i due a causa di un equivoco vivono dell'amore, la disperzione del rifiuto e,...
Genere: Erotico, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Unhappy Ending 2 -Eppure-
WITHOUT YOU I'M NOTHING

***
Endlessly:Ok, ammetto di averci messo un po troppo tempo a scriverlo e allo stesso modo ammetto che è come sempre un'immensa cavolata XD, in realtà non è che io ci abbia poi messo cosi tanto il problema è che non avevo mai tempo, devo ammetterlo, quindi scrivevo due righe e rimandavo ogni volta, spero che non ne abbia perso in organicità quindi ç_ç, comunque è palese che son tutte cazzate di mia invenzione e che nulla di tutto ciò accadrà mai - e menomale! pensate che rischio!!!!- a parte ciò, se non vi fa troppo schifo, recensite, anche se credo che nessuno legga più questa fic da più o meno due o trecento anni, visto l'inesistenza di recensioni recenti. Va beh io adoro scriverla e questo mi basta per adesso, poi quando mi sentirò abbastanza ignorata magari la smetterò anche.
Buona lettura!


***
CAPITOLO 2

-EPPURE-


Since we're feeling so anaesthetised
In our comfort zone
Reminds me of the second time
That I followed you home

We're running out of alibis
From the second of May
Reminds me of the summer time
On this winter's day

See you at the bitter end
See you at the bitter end

Every step we take that's synchronized
Every broken bone
Reminds me of the second time
That I followed you home

You shower me with lullabies
As you're walking away
Reminds me that it's killing time
On this fateful day

See you at the bitter end
See you at the bitter end


(Placebo " The Bitter End")

Amore.
Amante.
Amare.
Quanta delicatezza… quanto poteva essere strano l’accostamento di cinque lettere se ad esse veniva incatenato il significato di un sentimento?, di un tuo sentimento? L’amore.
Troppo strano.
Era esageratamente, dannatamente, incredibilmente troppo strano.
Stentavi a credere potesse esistere qualcosa di talmente forte da poterti ridurre in quello stato, da farti provare quel miscuglio di centinaia di sensazione, una più diversa dall’altra eppure talmente unite insieme nel creare quella meravigliosa armonia che ti pulsava convulsamente nell’anima, nel cuore, in ogni cellula, in ogni atomo del tuo essere.
Come ti sentivi?
Ti sentivi come agitato da una febbre aliena, ansiosa, impetuosa.
Ti sentivi sconvolto da una pazzia inspiegabile.
Ti sentivi implodere.
Ti sentivi fluttuare…
E poi il tuo cuore… il tuo cuore, quel cuore che ne aveva sopportate tante, sembrava, come dire…sparito, come se avesse accelerato tanto i suoi battiti da fermarsi, o meglio, consumarsi.
Come poteva esistere un sentimento talmente intenso? Come poteva essere possibile?
Eppure era vero. Si. Esisteva. E, non saresti mai riuscito a crederci se non lo avessi provato in prima persona. MAI.

Mentre osservavi un punto incerto dell’orizzonte immerso in quelle tue riflessioni, una scossa ti aveva riportato al presente. L’aria si era fatta ancora più fredda e migliaia di brividi ti martellavano dall’interno. Le gambe ti si erano addormentate, la bottiglia di birra -che nel frattempo avevi abbandonato accanto a te sull’altalena, vuota- nello sforzo per slegare le tue gambe dal torpore, era piombata sul pavimento, rompendosi in miliardi di piccoli frammenti verdi sul marmo bianco.
‘Cazzo’ avevi giustamente pensato ed eri lentamente sceso, dirigendoti verso la camera da letto in cerca del maglione più pesante nel quale spalmarti.

Passando per il corridoio il tuo sguardo si era poggiato su un oggetto di forma strana che il tuo cervello annebbiato dalla fame, dal freddo e dal troppo uso, aveva faticato a riconoscere per i primi cinque secondi ma, a cui la tua coscienza ti aveva inspiegabilmente spinto ad avvicinarti. Passati i cinque secondi di break, avevi faticosamente riconosciuto cosa fosse il “particolare” per non dire bislacco apparecchio. Signore e signori: un telefono (un mostro) a forma di banana di 30 cm d’altezza, 60cm di lunghezza e 25cm di profondità, nascosto- a quanto pare non abbastanza bene- sulla mensola appositamente costruita per “la cosa” dietro la porta della cucina.
“La cosa”  era esattamente un regalo/imposizione che ti era stato donato- dire con amore sarebbe più che palesemente ironico- da Matthew, a natale. Tu per la cronaca gli avevi regalato un nuovo materasso matrimoniale del valore di 6500 euro. Il vecchio era  troppo duro per i tuoi gusti.
Non potendo sotterrare o bruciare al rogo l’arnese,ovviamente solo e soltanto per paura di perdere il miglior culo mai concupito, avevi dovuto esporlo nella tua amata casa, nella cavità più lontana in cui occhio umano sarebbe mai potuto arrivare.

Eppure, lo avevi visto. E, cosa ancora più spaventosa, ti c’eri avvicinato.

Che fosse quella la risposta ai tuoi problemi? Chiamarlo?! Si, infondo era solo una telefonata. Che male avrebbe potuto mai fare? Piuttosto avresti tastato il territorio prima del faccia a faccia.

Con il dito avevi accarezzato la banana immaginando ad occhi aperti di toccare la pelle morbida ed invitante di Matthew. L’idea di averlo accanto e di accarezzarlo ti estasiava ed eri impaziente all’idea di poterlo risentire e di tornare ad avere la sua pelle a tua disposizione.
Si, ti sembrava proprio una buona idea chiamarlo. Niente compromissione soltanto le vostre voci e i vostri sentimenti. Niente sguardi esitanti e niente espressioni vuote a fermarti. I suoi occhi cobalto non ti avrebbero paralizzato e avresti potuto finalmente svelargli ciò che veramente racchiudevi nel tuo cuore.
Gli avresti detto che la situazione ti era diventata insopportabile. Che lo volevi sentire tuo. Gli avresti detto che amavi stargli accanto in modo vero e non soltanto quando ti trattava come un bambolotto scopa e getta.. Gli avresti detto tutto e forse anche che lo amavi. E lui avrebbe capito. E lui ti avrebbe amato. E tu avresti avuto il tuo lieto fine.
Tutto in una telefonata.

Afferrando la cornetta ti eri sentito svenire dall’emozione. Mentre schiacciavi un numero dopo l’altro il tuo cuore diventava sempre più rumoroso e pesante. Come se avessi avuto una bomba a tempo pronta ad imploderti nel petto.

Tuuu… tic tac
Tuuu… tic tac tic tac
Tuuu… tic tac tic tac tic tac

Forse avresti dovuto prima prepararti le parole giuste da dire. Forse dovevi riattaccare. Oddio, stavi sudando, oddio stavi ansimando e, oddio, potevi avvertire i singoli pensieri annebbiarsi e disperdersi nel buio del tuo cervello, proprio come ti succedeva da piccolo, a scuola, quando interrogato, iniziavi a balbettare e a dire frasi sconnesse e senza logica.
Che fare? Tuuuu….

Niente: ormai eri fottuto. << Pronto, Brian. >> Aveva risposto Bellamy con tono inespressivo.
Il riconoscitore telefonico. Ora non avresti nemmeno potuto riattaccare e far finta di nulla, cosa gli avresti detto?

<< Matt, ci-ciao >>

Intanto era un inizio.

<< Si. Cosa vuoi? >>

Deluso. Si eri deluso. Perché cazzo doveva essere sempre così fottutamente apatico? Possibile che fosse veramente così tanto disinteressato dal vostro rapporto?  
Fanculo, allora gli avresti risposto come fa  Brian Molko. Gli avresti detto tutto senza giri di parole e poi… e poi…e poi avresti aspettato e, nel frattempo, sperato.

 << Matt. Io non sono un maniaco. Non mi piace, non mi da nessun gusto andare con qualcuno che non sembra nemmeno capace di godersela una scopata. Capisci cosa intendo? >>

…aspettato. tic tac tic…

<< Bene, addio allora. >> aveva concluso artico dopo un interminabile attesa, riattaccando subito dopo. Aveva scandito quelle tre parole in maniera inumana, ne aveva compitato cristallinamente persino la virgola e il punto.

Ti sembrava di essere diventato un personaggio dei fumetti e di poter leggere chiaramente il tonfo del tuo cuore che moriva. BUM. Era imploso, non di gioia, bensì di dolore.

Quindi la tua speranza era infondata. Matthew non ti voleva e lo aveva chiaramente spiegato senza troppi giri di parole. Aveva distrutto il vostro rapporto. Aveva detto “addio”, aveva scritto FINE nel vostro romanzo e ne aveva apposto persino il punto conclusivo.

Fissavi un punto inesistente invaso da questi pensieri, con la cornetta ancora poggiata sull’orecchio, con il plaid sulla spalla, con le lacrime salate che ti morivano sulle labbra.

In boxer e calzettoni difeso da un unico ed insignificante plaid , eri uscito nel polare dicembre inglese, in cerca di pace, consapevole di aver acquisito la forza per raggiungerla.

Eppure sembrava amore.
Eppure non lo era.
Eppure sembrava il tuo lieto fine.
Eppure era solo la tua fine.






  
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