Cosa ci lega? Perché non posso fare a meno di voi?
Potrei ora cimentarmi nell'esecuzione di qualche pezzo di repertorio, tentare una cover di qualche gruppo di nicchia, discretamente capace ma ignorato dalla critica; eppure la tentazione è troppo grande, lo stimolo irresistibile.
Chiudo gli occhi, trattengo il respiro. Improvviso. Quello che suono non è frutto di un lungo lavoro di pianificazione, è soltanto ciò che mi scorre per la mente in quel momento, è la traduzione in musica del presente, del mio stato d'animo, di me stesso. A volte viene fuori qualcosa di sgradevole, di dissonante, di sbagliato, ma non importa. Ciò che importa è quello che comunico a me stesso producendo quel suono. E' un dialogo con me stesso quello che conduco, io solo "parlo" e io ascolto.
Un tenebroso e inquietante riff in palm muting sorge dalla chitarra, una successione di accordi jazz prende vita sul mosaico bianco e nero della tastiera. Non sono forse queste le migliori esplicazioni di me? Non sono forse migliori di mille sproloqui a vuoto, di parole scolorite e consumate da un utilizzo tante volte improprio, corrotto dall'ipocrisia, dalla superstizione, dal pregiudizio?
I due strumenti sembrano soddisfatti: hanno avuto quello che chiedevano. Una parte di me è rimasta su di loro, una parte di loro è rimasta in me. Mi allontano, continuando a improvvisare anche mentalmente: una melodia prende vita dentro di me, si evolve, si arricchisce di armonici e strumenti extra per poi svanire nel buio abisso dell'oblio, coperta dalla musica che sento in giro. E' morto qualcosa, ma altro si prepara a nascere.