Salve a tutte!
Ebbene si, sono ritornata, dopo un pò di tempo, ma ci sono.
Ritorno con una
idea, forse non come quelle che ho di solito, ma pur sempre un'idea.
Questa
volta però, ho deciso di arrivare fino in fondo, di concludere questa storia,
perchè non so per quale motivo, ma mi sento già legata a questa vicena e ai
personaggi.
Questa volta, si parte da zero, si ricomincia da
capo.
Sarà una storia che avrà di tutto, o forse niente.
Mi auguro
solo che leggiate e che magari, mi facciate sapere, perchè le vostre opinioni
sono il motore dell'azione.
Ed ho bisogno di voi :)
Aggiornerò una volta a
settimana (spero vivamente di riuscirci) e la storia non sarà esageratamente
lunga.
Spero davvero, con tutta me stessa di ricevere un minimo
interessamento.
Detto questo, vi lascio alla storia!
Ah!
Il titolo
(canzone dei Kings Of Leon) non ha molto a che vedere con la storia,
cioè si, ma non vi spiego perchè, si capirà più avanti.
E vi dirò anche
perchè proprio questa canzone. Per quanto riguarda questo primo capitolo è
giusto una introduzione e dunque, spero di non annoiarvi!
Ringrazio Abigail
(abigailw13) per avermi spronata a postare!
Un abbraccio affettuoso a
tutte!
Lety.
I Jonas Brothers non mi appartengono. Ogni
aspetto del loro carattere è frutto della mia fantasia.
I nuovi personaggi
introdotti sono una mia creazione ed in quanto tali, mi appartengono.
La
storia non ha alcuno scopo di lucro.
Buona Lettura!
Use
Somebody.
Vi racconterò di una ragazza,
di quello che ha vissuto, di come la sua vita sia cambiata da quando,
abbandonata la vecchia strada, ha deciso di incamminarsi su quella
nuova.
Munita
soltanto di forza di volontà e di vivere, cercherà in tutti i modi di combattere
per sé stessa.
La sua vita si intreccerà in maniera inscindibile con quella
di un ragazzo, che sarà per lei una svolta definitiva, quel cambiamento che
aspettava da tanto.
Forse, le mie parole serviranno a poco, ma ci
tenevo.
Dopotutto è sempre una storia.
Avete presente una delle scene
iniziali del cartone animato “Anastasia”?
Ma si,quando lei, ormai cresciuta, abbandona
l’orfanotrofio, seguita da quella vecchia bisbetica che le blatera dietro di
averle trovato lavoro nella pescheria in fondo la strada.
Ecco, se vi siete
fatti più o meno una idea della scena, torniamo sui nostri
passi.
Laetitia
si tirò su dal naso, rabbrividendo appena il suo piede fu finalmente fuori da
quel posto maledetto. Non che avesse odiato l’orfanotrofio di Suora Evelina, per
carità, ma non riusciva più a sopportare la puzza di carne avariata o pesce
marcio che aleggiava nei corridoi, oppure quegli orripilanti poster che
campeggiavano sulle pareti terribilmente intonacate di quel posto.
Per
fortuna, le suore erano delle maniache della pulizia, e perlomeno,
l’orfanotrofio brillava sempre di Mastro Lindo, malgrado i suoi terribili
odori.
Laetitia posizionò di fianco a lei la pesante valigia e lo scatolone
colmo di cianfrusaglie per sistemarsi il cappellino in lana bordeaux che
dominava la sua chiama ribelle.
Non avrebbe mai creduto di poter lasciare
quel posto, specie ora, che aveva 19 anni, e riteneva vana ogni speranza di
farsi una vita propria fuori da quelle mura.
Nonostante ciò, per un momento,
voltandosi verso l’edificio, una lacrima raggiunse le sue labbra.
Sorrise al
pensiero dei mille ricordi.
Ma non desiderava nulla di più, voleva soltanto
iniziare una nuova vita, sui suoi passi, costruendo con le proprie mani, un
futuro limpido e sereno.
O almeno, questo era quello che si
augurava.
<< Abbi cura di te. >> disse suora Evelina, che la
raggiunse a piccoli passi.
Le sarebbe mancato quel “piccolo barilotto” dalle
guance arrossate e dall’aria sempre affannata e indaffarata.
<< Si, lo
farò. >> rispose la ragazza sorridendo. << La ringrazio per tutto.
>>
Gli occhi della suora si fecero tutto d’un tratto lucidi. Fece cenno
a Laetitia di avvicinarsi a lei, e disse a bassa voce << Ho lasciato la
tua stanza a Ludovic. E in più, ti ho messo qualcosa da mangiare nello
scatolone. Ora và! O farai tardi! >>
Il tono di voce della superiora si
fece alto nelle ultime frasi.
La ragazza sorrise e mimò un altro grazie con
le labbra.
Prese la sua roba e si avviò verso il cancello, che simboleggiava
ormai, il definitivo abbandono.
Poi, delle voci confuse arrivarono al suo
orecchio.
Si voltò ancora, e l’intero orfanotrofio la raggiunse
correndo.
<< ASPETTA! >> urlò la piccola Ludovic. <<
Aspetta, non ti abbiamo dato questa.. >>
La bambina le porse una
bambola di pezza, con gli occhi castani ed i capelli del medesimo
colore.
<< Si chiama come te. >> aggiunse la bambina.
<<
L’abbiamo preparata per tutta la settimana. >> precisò il piccolo
Edward.
<< Non dimenticarti di noi! >> esclamarono tutti
insieme.
Gli occhi di Laetitia di riempirono di lacrime, che le rigarono
goffamente il volto.
<< Non lo farò mai, ve lo giuro. >> fece un
altro passo e disse << Vi scriverò ogni settimana! Vi voglio bene!
>>
I bambini annuirono, seppure dai loro sguardi, era evidente la
tristezza, che li avrebbe accompagnati forse sempre.
Perché quei bambini non
avevano né una mamma, né un papà.
E in loro, l’unica certezza che poteva
apparire sincera, era quella che forse anche loro un giorno, avrebbero avuto una
vita normale, che avrebbe donato loro una famiglia.
Era questa, l’unica cosa
che desideravano.
Ed anche Laetitia ci sperava.
La sua vita sarebbe
cambiata, ne era certa, e seppure non sapeva come, era pronta a vivere la sua
sfida, quella per cui aveva lottato.
Raggiunse la fermata del pullman con le
mani già arrossate.
Si guardò intorno, e vide da lontano, la sagoma del mezzo
avvicinarsi lentamente.
Sospirò.
Non sarebbe stato facile, nessuno le
aveva garantito nulla, ma di certo, non le interessava.
Avrebbe impiegato
ogni attimo della sua vita per combattere.
Nei suoi occhi castani, regnava
ora, solo la voglia di combattere, essere sé stessa.
Forse vincere.
Forse
perdere.
Forse..
Ma soprattutto vivere.