Capitolo 23
Non è Un Lieto Fine, Ma Un Giusto Inizio-Da Sola Con Te
01/03/10, ore 15: 48
Caro diario,
eccomi qui a scrivere
la quindicesima pagina sotto consiglio di Marco. Solo a lui poteva venire in
mente un’idea malsana come quella di tenere entrambi un diario in cui
raccontare i vari momenti della nostra storia! Se ci penso, quasi quasi mi
pento di avergli rivelato di aver scoperto di amarlo anche grazie ad un vecchio
diario, ma, vabbè, sapevo a cosa andavo incontro quando ho deciso di perdere la
testa per lui e quindi mi accontento xD
Non mi sembra vero che
stiamo insieme da quasi un mese ormai, e l’unica cosa che me ne fa rendere
conto è il fatto che all’Università chiedo spesso gli appunti a Grazia, una
ragazza che frequenta i miei stessi corsi, dato che non faccio altro che
distrarmi o divertirmi a disturbarlo con squilli ed sms quando so che anche lui
è in facoltà. Mi sto proprio rincretinendo, ne sono pienamente consapevole,
sembro Stella2, la vendetta! Ma cosa ci posso fare se ogni secondo passato con
Marco mi resta scolpito nell’anima, come se l’avessi scritta con un pennarello
indelebile?
Ieri siamo andati ad
una mostra di quadri di un suo professore, sai quanto adora l’arte, e giuro che
se non ci fosse stato lui al mio fianco avrei dato di matto nel vedere decine
di quadri in cui non si capiva un tubo, fin troppo astratti e dalle forme
incomprensibili. Eppure, non potevo non sorridere nel vedere l’espressione
rapita che assumeva ogni volta che un quadro attirava la sua attenzione in modo
particolare, e alla fine, al ventottesimo quadro, quando l’ha notato ha detto:
“Perché mai allora non ridi anche quando guardo te così?”. Ho smesso di ridere
all’istante e ho abbassato lo sguardo come la più grande delle deficienti,
finchè non ho sentito il suo braccio attorno al mio fianco e la sua voce che mi
sussurrava che anche lui ne aveva abbastanza di quella mostra e voleva andare a
mangiare qualcosa con me *_*.
Comunque, non ti dico
quante risate che si fa zia Kitty quando le parlo di me e Marco… Dice che siamo
nati per essere una coppia, un insieme di due persone che non avrebbero il loro
fascino al fianco di qualcuno che non sia l’altro. Ricordo ancora quando le
dissi che io e lui stavamo insieme… Hai presente un terremoto con i capelli
rossi e due braccia pronte a stritolarti? Ecco, quella era lei. Per non parlare
dei nonni! Due giorni fa mi hanno beccata mentre” salutavo” Marco fuori al
portone, ma non hanno fatto obiezioni e sono felici per me. L’unica ancora
incredula e scettica ormai è Miriam, che non vede l’ora di averci come ospiti
alla sua festa per i diciannove anni dopodomani…
Ora vado, tra un po’
devo chiamare papà e vedere che sta combinando e soprattutto sapere quando
cavolo finisce quel servizio che gli ha assegnato la redazione!
Luna.
Posai il diario e la penna in quello che chiamavo il “Mio cassetto
segreto” e mi affrettai a prendere il cellulare. Papà era partito da quasi un
mese e ogni santa volta che lo chiamavamo diceva che sarebbe tornato a breve,
ma così dicendo erano passate già tre settimane. Ero un po’ preoccupata, anche
se non avevo motivo di esserlo, ad essere onesti.
In realtà da quando stavo con Marco non avevo avuto modo di pensare più
di tanto alla sua assenza dal momento che ero presa dalle nostre uscite, solo
che non volevo farlo insospettire con telefonate rade e rapide.
Stavo giusto componendo il numero che la vibrazione mi informò di un sms
ricevuto e sorrisi nel vedere la bustina gialla sul display. Ovviamente,
dimentica dell’azione che stavo per compiere, mi precipitai a leggere, vedendo
che il mittente fosse Marco.
“Mi hanno convocato per
la partita di domani… Vieni all’allenamento oggi? Voglio presentarti un paio di
amici”.
“Ok… Basta solo che poi
mi dedichi qualche canestro, sempre se riuscirai a farlo, distratto dalla mia
presenza XP” risposi ridacchiando. Inviai l’sms e attesi
trepidante una risposta, che come al solito non si fece attendere.
“Mi dispiace ma durante
gli allenamenti il mio unico amore è sempre e solo la palla da basket, che
almeno non può parlare e infastidirmi come fai tu XP XP XP”.
“Che scemo” dissi ad alta voce, salvo poi scoppiare a ridere a più non
posso. Lo adoravo ancora di più quando ci prendevamo in giro, se possibile,
tranne quando eravamo soli e finivamo col fare a gara a chi si buttava di più
addosso all’altro tra una carezza e un bacio e l’altro, ovvio…
“Qualcuno qui sta ridendo?” chiese la voce gaia della mia gemella,
entrando nella stanza. Mi voltai e la vidi mentre teneva in mano una pila di
biancheria intima appena lavata e la poggiava sul suo letto.
Annuii e mi affrettai a rispondere all’sms, ricordando che più tempo ci
avrei impiegato nel rispondere e più soddisfazione gli avrei dato.
“Allora presenta la
palla ai tuoi amici e sbaciucchiati lei
la prossima volta U_U” risposi rapidamente,
salvo poi dedicarmi a mia sorella che aveva l’aria di volermi dire qualcosa.
“Stasera i nonni vanno a cena da Flavia e Clemente” disse con
noncuranza. “Per cui volevo dirti che se vuoi puoi invitare Marco a casa visto
che io e Mario andiamo al cinema” aggiunse.
La guardai un po’ incredula, levando un sopracciglio. “Da dove esce
tutto questo altruismo?” chiesi, fissandola con aria sospetta.
“Dal semplice fatto che non mi va di stare chiusa in casa, fidati”
dichiarò, sbadigliando. “Già sto sempre chiusa in quel negozio…”.
“Il lavoro inizia a pesarti, eh?” osservai, prima di notare che Marco mi
aveva risposto.
“Che rispostacce! Ho
capito, devo raddolcirti un po’… Ti passo a prendere alle cinque e andiamo a
prendere una bella creepes, che dici?”.
Sorrisi tra me e me e Stella rise.
“Va bene scemo. E porto
il cd di Vasco che ascolteremo in auto così
ti romperò le scatole per fartela pagare!”
“Ma tu non mi rompi mai
le scatole, semmai me le fai solo girare un po’ ma è per questo che ti amo…
;-)”
“Ti sei salvato in
calcio d’angolo con la frase finale… Ti amo anch’io”.
Ero consapevole del fatto che se qualcuno avesse letto gli sms che io e
Marco ci mandavamo, raramente avrebbe compreso che stavamo insieme, ma io ero
felice per questo e per il fatto che non fossimo una di quelle coppie smielate
e monotone.
Erano le quattro e un quarto, così iniziai a prepararmi per l’uscita e
stavo giusto sistemando i capelli che mia sorella, mentre si infilava le sue
amate Hogan bianche, disse improvvisamente: “Stamattina ho visto Paola”.
Mi rabbuiai all’istante e le lanciai un’occhiataccia attraverso lo
specchio: da quando io e quella ragazza non eravamo più amiche il solo sentila
nominare mi faceva imbestialire perché davanti a me non vedevo altro che
l’ennesima delusione in ambito delle mie amicizie e non sopportavo tutti gli
artifici e le idee che si era fatta su di me. “E allora?” chiesi strafottente.
“E allora c’è che non mi ha salutato e mi ha girato la faccia. Non
voglio farti arrabbiare nominandola, ma il fatto è che non mi capacito di cosa
sia stata capace! Intanto, però, te l’avevo detto che teneva Antonio lontano da
te…” disse con una strana aria saggia mentre si rialzava e prendeva la borsa.
“Carissima, non so che farmene del tuo “te l’avevo detto”, lo sai, no?”
sbuffai, posando la spazzola e voltandomi verso di lei.
“Io so solo che se fossi stata in te le avrei dato molto di più che un
semplice schiaffo” disse risoluta. “E suo fratello non è da meno, rompere
l’amicizia con Marco e cambiare squadra solo perché di sicuro gliel’ha ordinato
la sorellina…” disse con disprezzo, e così dicendo indossò il cappotto e mi
salutò.
Esitai un minuto, ricordando gli avvenimenti che si erano succeduti dopo
la fine dei rapporti tra me e Paola: Mattia aveva fatto una partaccia a Marco
per non avergli detto di essere interessato a me, ovviamente aveva difeso Paola
in tutto e per tutto, avevano litigato e lui aveva accettato la proposta di un
allenatore di Caserta, così che non dovesse più stare nella squadra di Marco.
Spesso mi ritrovavo a pensare che probabilmente io e Marco avevamo
sbagliato nel non esporre i nostri sentimenti con i nostri amici, ma che colpa
ne avevamo se a stento noi eravamo certi di ciò che provavamo per l’altro,
presi dalle lotte con il nostro orgoglio e la convinzione di non interessare
all’altro?
Il suono del citofono mi risvegliò dai miei pensieri, così risposi e
dissi a Marco di aspettare qualche minuto. Presa da un’improvvisa idea, aprii
il frigo e la dispensa, e dopo aver appurato che ci fosse cibo a sufficienza,
mi dissi mentalmente di dover comprare solo qualche candela.
“Stasera sei invitato da me per una cenetta intima!” esclamai appena
entrai nell’auto, per poi baciare il mio ragazzo che mi trattenne a sé che per
chissà quanto tempo prima di staccarsi e lanciarmi un’occhiata curiosa. “I
nonni non ci sono e Stella esce con Mario” spiegai, allacciando la cintura.
Si aprì in un sorriso ed annuì con fermezza. “Perfetto allora! Ci voleva
proprio una seratina solo per noi due…” aggiunse a bassa voce, guardandomi con
profondità.
Dire che udendo quel tono non mi stessi sciogliendo sarebbe stata una
bugia colossale, ragion per cui cercai di sostenere il suo sguardo finchè non
finimmo per baciarci di nuovo, questa volta come se avessimo dei tentacoli che
ci impedivano di scioglierci. Ero decisamente partita per quel pianeta in cui
esistevamo solo io e Marco, ormai ne ero consapevole mentre lo avvertivo
stringermi con sempre più decisione e avvertivo il suo respiro incontrollato
più che mai… E maledii mentalmente l’auto della signora del secondo piano che,
alle nostre spalle, iniziò a suonare il clacson infastidita dato che doveva
parcheggiare. Scoppiai in una risatina nervosa mentre il mio ragazzo sbuffava e
ritornava alla guida.
“Secondo me è stata una cattiva idea inviarti all’allenamento, mi sa che
non riuscirò a fare nemmeno mezzo punto” annunciò mentre entravamo nel
Palazzetto dello Sport, rigorosamente mano nella mano.
“Meraviglioso! Non sai che la squadra avversaria mi ha ingaggiata
proprio per distrarre il fuoriclasse dell’altra squadra?” ironizzai, felice più
che mai. Grazie a lui avevo dimenticato
i brutti pensieri che prima stavano occupando la mia mente.
“Almeno i miei avversari hanno bei gusti… Ehi, ragazzi!” esclamò
improvvisamente, muovendo la mano libera in direzione di due ragazzi che
parlottavano tra loro vicino una porta bianca. Eravamo entrati nel Palazzetto e
c’era un via vai di gente, sia delle squadre che avevano appena finito
l’allenamento che di quelle che stavano per iniziare. I due ragazzi alzarono lo
sguardo e gli fecero un cenno, prima di bloccarsi alla mia vista.
Marco sorrideva, sicuro di sé.
“Mirko, Luigi, lei è Luna” disse, indicandomi con un qualcosa che, con
mia somma gioia, poteva tradursi in fierezza.
I tipi chiamati Mirko e Luigi- entrambi bruni con gli occhi scuri e la
solita stazza enorme, tipica dei giocatori di basket- erano ancora increduli
mentre mi stringevano la mano ed io li salutavo. Marco notò che sembravo
sorpresa dal comportamento dei due ragazzi, per cui si congedò e mi condusse
fino alla spogliatoio. “Tutti sono rimasti colpiti sia da te che da Stella
quando veniste all’inizio di dicembre” spiegò. “E non credevano che sarei
riuscito a stare con te” aggiunse, con una certa soddisfazione.
“Ah, ed è così che ti vanti,eh?” lo presi in giro, dandogli un colpo sul
braccio.
“Si, proprio come fai tu” rispose, stringendomi a sé.
“Io non mi vanto di te” protestai, ma ormai era inutile lottare contro
di lui, la sua presa sempre più forte e il suo viso sempre più vicino al mio…
“Ehm ehm, scusateci piccioncini” disse la voce di Luigi mentre ci
stavamo baciando, approfittando del fatto che lo spogliatoio fosse ancora
vuoto. Sentii Marco sbuffare sulle mie labbra prima di allontanarsi e guardare
con rimprovero i suoi compagni.
“Ok, ho capito, io vado sugli spalti” dissi, comprendendo che al momento
il mio ragazzo avrebbe dovuto rispondere alle numerose domande dei suoi amici
proprio come era toccato a me quando avevo detto la novità a Miriam e ad alcune
amiche dell’Università che avevo conosciuto ultimamente.
Uscii dalla stanza e poco dopo mi ritrovai seduta sugli spalti, con un
paio di tipe dietro di me che aspettavano entusiaste l’entrata dei ragazzi in
campo.
“Io ho sentito che il numero diciassette è niente male” disse una delle
due, di cui non potei distinguere il volto vista la sua posizione, ma potevo
comunque percepire l’eccitazione che palpava ogni parola da lei pronunciata.
“Ma che, il numero dieci è il migliore, è un fenomeno in tutti i sensi,
bellissimo, bravo e affascinante!” rispose l’altra.
Sorrisi ascoltando quella mezza conversazione, ricordando quando ero
andata lì la prima volta con Miriam. Fu in quel momento che mi resi conto di
non sapere che numero avesse Marco.
Aspettai una decina di minuti, poi vidi l’allenatore entrare insieme ai
ragazzi.
“Ecco, ecco il numero dieci! Quello con i capelli neri!”continuò
imperterrita la ragazza, evidentemente indicando anche con il dito.
All’udire quella frase scattai su, e fui pervasa da un moto di gelosia
quando notai che il numero dieci fosse proprio Marco. Lo conosceva?
“Ho capito chi è! Hai ragione, è troppo figo, quello due anni fa stava
con Claudia, l’amica di mia sorella, hai presente…?”.
Ignorale,ignorale e
basta, tanto è tutto tuo… mi diceva in
continuazione una vocina dentro di me, e non so quanto sforzo impiegai per
ascoltarla.
L’allenamento proseguì rapidamente, non riuscivo a non staccare gli
occhi di dosso a Marco; pensare che tre mesi prima l’avevo definito sudato e in condizioni peggiori di una
scimmia per descriverlo mentre giocava mi risultava assurdo. Era come se
al momento per lui esistesse sola la palla e il suo corpo con cui si muoveva
armoniosamente, come se stesse danzando… Segnò numerosi canestri e lo vidi
guardarmi con la coda dell’occhio, sotto le incitazioni dell’allenatore che gli
chiedeva di passare la palla ad un altro ragazzo.
“Ooooh,
che darei per poter essere quella palla ed essere toccata così da lui!” disse
una delle ragazzine all’improvviso.
“Si,
che dici, dopo scendiamo a congratularci?” propose l’altra.
L’udire
quelle parole fece sì che la mia gelosia aumentasse del triplo, così mi dissi
di fare un bello scherzetto alle due tipette appena ne avrei avuta l’occasione.
“Si!
Così semmai riusciamo anche a sapere come si chiama e lo aggiungiamo su Facebook”
continuò l’amica.
“Giusto!
Così chattiamo, gli chiediamo il numero…”.
Lasciai
che le loro fantasie vagassero e raggiungessero limiti mai visti, mentre venivo
distratta dal mio cellulare che mi annunciò di aver ricevuto l’ennesimo sms.
“Luna, appena puoi vieni a casa, devo
dirti un po’ di cose…”
Era
zia Kitty. Subito risposi con un: “Ok, ma
posso avere un’anticipazione?” sperando che non si trattasse ancora di
eventuali sofferenze dovute ancora a quel Giuliano. Mi sentivo un po’ in colpa
perché nelle ultime settimane c’ero stata poco e niente per lei, presa da
Marco, per cui volevo subito rimediare.
“No, niente anticipazioni! Ti aspetto
a casa domani pomeriggio, ok?” furono le sue uniche
parole di risposta, così fui costretta a rassegnarmi e a ritornare ad ascoltare
il chiacchiericcio delle due ochette, che si spense solo quando il Mister
fischiò segnando la fine dell’allenamento. Senza che gli dicessi nulla, Marco
mostrò l’intenzione di volermi raggiungere sugli spalti e, ovviamente, notandolo,
le due ragazze iniziarono a fremere.
“Mi
avrà notata, ne sono certa!” esclamò una.
“No,
avrà notato me!” protestò l’altra.
Non
riuscii a non trattenere un sorriso quando, contro ogni loro rosea previsione,
Marco si avvicinò a me con un sorriso stampato in faccia.
“Amore,
sei stato bravissimo!” dissi con enfasi per poi baciarlo rapidamente,
nonostante fosse sudato. “Permetti che ora sono io che mi vanto per un minuto
di te!” sussurrai, e così dicendo mi voltai verso le due ragazze che ci
guardavano allibite, con l’aria simile a quella di un killer che sta
progettando l’omicidio del secolo.
“Scusatemi,
ma ho cercato di farvelo capire nel modo più educato dopo tutte le vostre
congetture e sogni che purtroppo devo infrangere” dissi, con una faccia tosta che
non sapevo di possedere, cercando di non ridere mentre continuavano a fissarmi,
questa volta con più odio che incredulità.
Presi Marco per mano e lo condussi lontano dalle loro maledizioni,
spiegandogli il tutto con adeguati particolari, con il risultato che per un
pelo non si piegò in due dalle risate.
Era in quei momenti che capivo che ormai lui per me era molto di più che
un semplice fidanzato; ormai era una persona su cui avevo fatto totalmente
affidamento, e adoravo condividere con lui ogni singola gioia ed emozione
perché avevo l’impressione che riuscisse a capirmi già prima che terminassi di
esporre il mio pensiero.
“Lo sai cos’è
Io non posso stare senza te”
Un’ora dopo eravamo a casa dei nonni, e mentre lui se ne stava
spaparanzato sulla sedia dopo le innumerevoli fatiche dell’allenamento, io
cercavo di cucinare qualcosa che, nel suo insieme, potesse almeno remotamente
definirsi cena.
“Che ne dici se questo fine settimana non diciamo ai miei che stiamo
insieme? Ormai sono convinto che sospettano qualcosa…” propose mentre cucinavo
dei wurstel nella padella.
Mi bloccai, arrossendo un po’. “Perché dovrebbero sospettare?” domandai
evasiva, ancora di spalle.
“Perché mi chiedono sempre come mai esco così spesso ultimamente, perché
faccio più tardi del solito, e soprattutto perché sono sempre sorridente…”
spiegò, decidendo di alzarsi e avvicinandosi con passo felpato, per poi
abbracciarmi da dietro. “Per te è un problema?” aggiunse premurosamente.
“In realtà io… Non lo so, mi sento in imbarazzo, ecco” ammisi,
voltandomi verso di lui, dimentica del cibo in padella.
Lo fissai negli occhi e vi lessi un moto di comprensione. “Capisco. Ma
lo sai che mamma ti adora, vero? Non fa altro che chiedermi di te, cosa che con
Stella non è mai successa” mi fece notare, continuando a fissarmi deciso.
Esitai, senza sapere cosa dire. Il perché del mio comportamento non lo
sapevo nemmeno io… Non volevo tenere segreta la mia relazione con Marco, ma era
come se avessi paura che, una volta usciti allo scoperto al cento per cento,
qualcuno avrebbe potuto portarmelo via, proprio come quelle ragazzine poco
prima all’allenamento. Era la mia prima storia, e per di più era partita con
buoni propositi ed una certa serietà, ma ciò non voleva dire che dovevamo
sentirci soffocati da cene di famiglia e via dicendo, non volevo che un domani,
nel caso qualcuno dei due avrebbe deciso che non se la sentiva di continuare la
relazione, si sarebbe dovuto sentire condizionato dal fatto che i genitori già
sapessero tutto e questo potrebbe portarlo all’astenersi da prendere un
provvedimento, anche se era un brutto pensiero da fare visto che eravamo così
felici.
Ma comunque, ripensandoci, non dovevo farmi condizionare da quei
pensieri, e i signori Valenti erano delle splendide persone che non si
sarebbero comportate “all’antica”.
“E va bene, glielo diciamo, ma lo
sai che voglio che ciò non cambi nulla, niente cene frequenti dai suoceri e via dicendo” acconsentii
infine, decidendo di mettere i puntini sulle i.
“Ovvio, e poi non le sopporterei. Mia madre potrebbe tirare fuori da un
momento all’altro un album di vecchie foto e videocassette e mettermi in
imbarazzo…” rispose lui, cercando tuttavia di mettere la situazione
sull’ironico.
Sorrisi al solo pensiero, prima di sentire un certo fruscio provenire
dalla padella e ricordarmi dei poveri wurstel quasi abbrustoliti. “Oddio!”
esclamai, liberandomi dalla sua presa e spegnendo subito i fornelli, mentre
Marco iniziava a ridere come un cretino, guadagnandosi una serie di occhiate
torve.
“Diciamo che il cibo troppo cotto non è il mio preferito, giusto per
fartelo sapere per un’altra eventuale cenetta” disse sarcastico un quarto d’ora
dopo, mentre mangiavamo i wurstel conditi con ketchup e accompagnati da alcune
frittelle a lume di candela. Se la rideva un mondo, il signorino, sembrava così
divertito… In quei momenti mi veniva da chiedermi se non si fosse messo con me
solo per assicurarsi delle risate certe a causa della mia goffaggine ogni santo
giorno.
Non risposi, decidendo di fingermi offesa, mentre mangiavo una
frittella.
“Eddai, scherzavo, lo sai che non sono un bravo consolatore” sussurrò,
un po’ più serio.
“E’ solo colpa tua perché mi hai distratto con i tuoi discorsi. A
Firenze ero io la cuoca di casa, quindi devi ringraziarmi se la tua migliore
amica non è mai morta di fame o di colesterolo per tutte le volte che sarebbe
dovuta andare al Mc Donald’s in assenza di mamma” ribadii seria , con un tono
glaciale. E, senza dire altro, fregai un wurstel dal suo piatto e ne mangiai un
pezzo. “Visto che ti fa tanto schifo…” spiegai con nonchalance.
Mi guardava senza parole, non capivo se stesse per scoppiarmi a ridere
in faccia o meno.
“Che c’è? So che sono bella da guardare, ma l’aria da pesce lesso non ti
dona” sbuffai. Cavoli, e meno male che volevo fare la finta offesa! Me la stavo
pendendo sul serio, non era possibile…
“Invece a te quella arrabbiata ti dona eccome” se ne uscì lui, per nulla
turbato, e sii riprese la metà del wurstel che mi ero gentilmente fregata.
Ci scambiammo un’occhiata truce prima di scoppiare e ridere
eccessivamente circa la nostra stupidaggine. Il risultato fu che completammo la
cena con una busta di patatine e una di pop corn, io rigorosamente seduta sulle
sue gambe e lui che sembrava badare più al cibo che a me, che ogni tanto
fingevo di imboccarlo per poi mangiare a
mia volta la patatina che volevo dargli.
Non erano nemmeno le dieci che sentimmo la chiave nella toppa della
porta d’ingresso, mentre continuavamo a mangiare, e non ci muovemmo certi che
fosse Stella visto che i nonni non si portavano mai le chiavi dietro, sapendo
che o io o mia sorella fossimo in casa. Ragion per cui feci un balzo di mezzo
metro quando vidi entrare in cucina papà, che ci fissava allibito.
“P-papà!” biascicai, rossa in viso, mentre Marco si passava una mano tra
i capelli, imbarazzato. “Bentornato” aggiunsi, cercando di alleviare la
pillola. Era sempre stato molto geloso, quindi di certo non gli doveva aver
fatto molto piacere vedermi addosso a un ragazzo, abbracciata a lui mentre mi
accarezzava i capelli ed io lo stavo imboccando. Sentii il mio ragazzo
deglutire a forza la patatina che gli avevo dato prima di guardarmi
nervosamente.
“Ciao Luna, ciao Marco, a quanto pare mi sono perso qualcosa in mia
assenza…” disse, con un tono quasi severo, ma poi, cosa che credevo fosse un
miraggio, mi sorrise calorosamente. “Sapevo già che vi foste messi insieme”
spiegò pazientemente, prima di avvicinarsi e abbracciarmi con calore.
Lo guardammo con tanto d’occhi, stupiti.
“E chi…?” chiesi, ma lui mi interruppe.
“Ti spiego tutto dopo” disse, per poi voltarsi verso Marco. “L’ho sempre
saputo che eri cotto di mia figlia, ragazzo, ma ho sperato fino all’ultimo che
continuaste a fare finta di nulla, cosa che ovviamente non è successa. Mi
raccomando, se ti azzardi a fare un passo falso te la vedi con me” e così
dicendo sorrise candidamente prima di far scoccare le nocche in un modo
alquanto minaccioso.
Lui restò un attimo interdetto prima di annuire e ricambiare il sorriso,
stringendogli la mano. “Ma certo, stia tranquillo, anche perché credo proprio
che Luna se la sappia cavare da sola…”.
“Infatti, diglielo” ribadì,
facendo l’occhiolino.
“Resta il fatto che mi stai più simpatico di tuo fratello, Marco” disse
infine papà, e mi lasciai scappare un risolino, contenta che non fosse stata
una cosa imbarazzante.
“Luna, ho chiamato Stella e sarà qui a momenti, dovete venire un attimo
con me che vi devo dire una cosa importante. Puoi venire anche tu, Marco, tanto
mi sa che viene anche Mario” aggiunse educatamente.
“Cosa ci devi dire?” chiesi subito, un po’ preoccupata. “Quella della
redazione ti hanno proposto di lavorare per sempre fuori?”.
“Ma no, Luna, no. E’ una cosa che credo vi farà molto piacere” mi
rassicurò, e fu così che venti minuti dopo io, Marco, Stella e Mario ci
ritrovammo in macchina con lui, tra le strade silenziose di Maddaloni.
“Non capisco da dove provenga tutto questo mistero, papà, mi stai
facendo morire dalla curiosità” sbottò Stella ad un certo punto, ed io annuii
con vigore. Marco e Mario se ne stavano in religioso silenzio, quasi come se si
sentissero imbarazzati.
“Ne varrà la pena, Stella, credimi” disse solo papà, e non potei non
dargli ragione quando lo vidi sostare a via Nino Bixio, davanti al condominio
in cui avevamo vissuto prima di partire tutti per Firenze.
“Non ci posso credere! Papà, vuoi dirmi che torneremo a vivere qui…?”
chiesi subito, sentendo un’eccitazione pervadermi. Il palazzo era sempre lo
stesso, con sei piani e delle balconate enormi, sulle quali io e Stella da
piccole prendevamo il sole per imitare le ragazze delle pubblicità, in estate,
o facevamo deporre la piscina gonfiabile.
“Tutto a tempo debito, un attimo di pazienza. Resta il fatto che dovete salire, su” rispose
rapidamente, aprendo il cancello e facendoci segno di seguirci.
“E’ la nostra vecchia casa” sussurrò Stella a Mario.
Ritrovarsi in quel condominio fu strano, tutto mi parve decisamente più
piccolo di quanto ricordassi, forse perché all’epoca ero ancora una bambina;
ricordavo che le scale fossero chilometriche, la finestra di ogni piano mi era
sempre sembrata troppo alta per potermici affacciare, invece ora avevo la
sensazione di essere una gigantessa in confronto alle vecchie proporzioni.
L’emozione di ritrovarmi davanti la porta del quarto piano, in noce come
sempre con una targhetta dorata con su scritto i nomi dei miei genitori fu
indescrivibile.
“Nessuno ci ha mai più abitato qui?” domandai, ma non aspettai risposta
dal momento che vidi papà suonare il campanello.
“Perché suoni…?” domandai, ma la domanda mi restò intrappolata in gola
quando vidi la porta essere aperta e, dietro di essa, comparire mia madre,
sorridente e in ghingheri come al solito.
Io e Stella ci bloccammo, interdette, e probabilmente i ragazzi si
guardarono confusi.
“Mamma?” biascicammo senza capire, e non ricordo come e perché mi
ritrovai seduta nel nostro vecchio salone, con le pareti color pesca che prima
invece erano bianche. C’era la stessa mobilia del solito, ma si vedeva che era
stato messo tutto a nuovo. Non ci capivo nulla, cosa poteva mai significare
tutta quella situazione?
“Ci potete spiegare cosa succede?” chiesi infine Stella, non potendone
più di tutto quel mistero.
Papà e mamma si guardarono con uno sguardo d’intesa, all’impiedi al
centro della stanza. Sembravano nervosi e noi non riuscivamo ad afferrarne il
significato.
“Innanzitutto non posso non esprimere il mio consenso per il fatto che
stai con Marco, Luna!” iniziò mamma. Sbuffai, e con una certa nota di
disapprovazione vidi mia sorella guardarsi intorno un po’ imbarazzata.
“Gliel’hai detto tu?” chiesi, incrociando le braccia.
Stella continuava a guardarsi intorno, evasiva. “Beh, si, continuava a
chiedermi di te e così…”.
“Cosa ti avevo detto, piccolina? Due mesi e mi dirai che state insieme,
anche se a dirmelo è stata tua sorella! Oh, come sono felice, posso
abbracciarvi…?” la interruppe mamma, con il suo solito brio, stringendo me e
Marco con fare fin troppo coinvolgente. Ecco chi aveva detto a papà di noi!
Se Stella l’aveva detto a mamma,era
ovvio che lei lo avesse detto a papà…
“Grazie, signora…” borbottò Marco.
“Chiamai Cristiana, caro!” gli impose lei, così annuì e mi guardò con un
mezzo sorriso.
“Si, ma ora volete dirci cosa ci facciamo qui e perché mamma è qui a
Maddaloni?” chiesi spazientita, appoggiandomi con le schiena contro il divano,
in attesa di una buona e esauriente spiegazione.
Annuirono, e dopo un’ultima occhiata papà iniziò con un: “Vedete,
ragazze, vi ho mentito. In questo mese non ho lavorato, ma sono tornato a
Firenze da vostra madre. Quando Luna è stata male, ci siamo ritrovati a parlare
dei vecchi tempi, quando voi eravate piccole e vi ammalavate e facevamo i turno
per starvi vicino, e non so come vostra madre mi ha confessato di aver deciso
di lasciare Carlo perché in quella situazione aveva capito che ciò che provava
per lui non si poteva remotamente chiamare amore”.
Tutti e quattro li guardammo con tanto d’occhi, fin quando, dopo una
breve pausa, mamma non prese la parola.
“Così ho chiesto a vostro padre se gli andava di aiutarmi a lasciare
Carlo, per questo lui, contro ogni mia aspettativa, ha accettato e ci siamo
messi d’accordo per una sua eventuale visita appena si sarebbe liberato dal
lavoro. A febbraio è venuto, mi è stato vicino quando ho detto a l’altro che
era finita, e poi… Poi è stato tutto un caos, e in pochi giorni abbiamo capito
che probabilmente, come siete cresciute voi siamo cresciuti anche noi insieme
all’affetto che proviamo per l’altro e abbiamo deciso di ritornare insieme,
cercando di recuperare questi otto anni
persi ma che comunque ci sono serviti” terminò, e fu una cosa bellissima
vederla afferrare la mano di papà con decisione.
Stella scoppiò in un’esclamazione gioiosa mentre io non riuscii a non
commuovermi con qualche lacrima di troppo. I miei genitori di nuovo insieme?
Era magnifico, il regalo che tutti i ragazzi che hanno i genitori separati
vorrebbero ricevere. Cercai di nascondere le mie lacrime, ma Marco comprese e
mi strinse a sé, proprio come mamma e papà poco dopo.
“E’ b-bellissimo” riuscii solo a biascicare, sorridendo tra le lacrime.
“Allora è per questo che siamo qui? Torneremo a vivere in questa casa?”
chiese speranzosa mia sorella, ancora abbracciata a mamma.
I nostri genitori si guardarono per un attimo prima di sospirare.
“In realtà no, cioè , abbiamo riflettuto molto e abbiamo deciso che non
è giusto che stiate ancora sulle spalle dei nonni e sapendo che non avreste
lasciato di nuovo Maddaloni” e così dicendo papà lanciò uno sguardo molto
colloquiale ai due ragazzi, “Abbiamo comprato di nuovo l’appartamento per
consentirvi di viverci da sole, visto che noi, se per voi va bene, vorremmo
vivere insieme a Firenze. Vostra mamma mi ha già trovato un lavoro in una
redazione lì, la stessa in cui lavoravo prima della separazione….”.
“Ma se voi volete ancora vostro padre vicino non ci sono problemi, verrò
nei week end….” aggiunse subito mamma, vedendo che io e Stella non
rispondevamo.
Alla fine ci guardammo con un’occhiata eloquente, annuimmo e così dissi:
“Ormai siamo abbastanza grandi per cavarcela da sole, no? Voi pensate a stare
insieme e a essere felici, ve lo meritate. Semmai veniamo a trovarmi noi ogni
tanto…”.
Stella fece un cenno di assenso, stringendomi un braccio. “Si, e poi noi
abbiamo Marco e Mario che baderanno a noi” disse con un sorriso.
“In realtà è questo che mi preoccupa” borbottò papà, sempre ironico, e
fu così che decidemmo che quella sarebbe stata la nostra casa per la seconda
volta.
Io e Stella da sole in casa, senza nonna Luciana che ci preparava pranzo
e cena e teneva in ordine l’appartamento… Bollette da pagare, spese da fare,
panni da lavare e stirare… Di certo non ci aspettavano dei mesi semplicissimi,
ovvio, ma la cosa bella era che non eravamo sole e poi, dopo i diverbi che
avevamo superato, convivere da sole risultava la cosa più semplice del mondo.
*°*°*°
E così eccoci arrivati all’ultimo capitolo prima dell’epilogo! Cosa
dire, mi sento stranamente emozionata, anche perché quando ho iniziato a
scrivere questa storia quel non troppo lontano 29 settembre ero così indecisa
che ho riscritto i primi due capitoli centinaia di volte. Non so perché, ma ho
sempre contato molto su questa storia, più che altro è stata una mia sfida
personale perché ho parlato di cose che non fanno parte della mia realtà: non
ho una sorella, non ho una zia fantastica come zia Kitty, purtroppo non ho mai
conosciuto i miei nonni (nel senso quelli maschi), non sono un’universitaria, non
ho i genitori separati e ovviamente non ho mai avuto l’opportunità di conoscere
il “Mio Marco”. Non dico questo perché in una fic si debba inserire la propria
fotocopia, assolutamente, era solo per cercare di farvi capire che più che
altro è stato un progetto di immedesimazione e immaginazione allo stato puro,
quindi mi scuso per eventuali errori commessi, passaggi non approfonditi etc…
E con questo vi dico che purtroppo non sono riuscita a scrivere nemmeno
tutto il primo cap della seconda parte, cosa a cui tengo assolutamente ma che
purtroppo mi sta capitando di scriverla in un periodo che non è uno dei più
rosei, specialmente dal punto di vista creativo. Vi è mai successo di leggere
qualcosa da voi scritto e pensare che non valga assolutamente la pena leggerlo?
Ecco, io ora mi sento così. Non che mi sia mai vantata di essere eccellente, al
contrario, ma quel poco di soddisfazione e entusiasmo che provavo leggendo i
vari cap mi è passata e non so nemmeno perché, così, all’improvviso. Ogni volta
che provo a scrivere mi ritrovo a cancellare quasi tutto senza esitazione, e
ciò non fa altro che spaventarmi perché non mi era mai successa una cosa
simile; il massimo che mi è capitato in questi quasi tre anni che pubblico fic
è stata la mancanza d’ispirazione, nulla più. Questo è uno dei motivi che mi
hanno condotto ad aggiornare in ritardo, oltre al fatto che a scuola mi sono
iscritta ad un corso di teatro che mi sta sottraendo del tempo. Mi scuso per lo
sproloquio, ma volevo solo farvi capire uno dei motivi che probabilmente mi
porterà a pubblicare solo il prologo della seconda parte e che provvederò ad
aggiungere i capitoli successivi appena questo periodo passerà, perché ci tengo
molto a questa storia e non vorrei danneggiarla scrivendo in un momento no,
anche perché ho tantissime idee che mi balenano in testa e spero di riuscire ad
esporle nel migliore dei modi il più presto possibile.
Detto ciò, ringrazio di cuore tutti coloro che seguono questa storia, la
inseriscono tra i preferiti e le seguite e che hanno recensito lo scorso
capitolo, ovvero Lola SteP, XXX_Ice_Princess_XXX
e Cricri88. Grazie di cuore!
La vostra milly92.