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Autore: Ulissae    17/02/2010    2 recensioni
Fanfiction partecipante all'iniziativa "2010: a year togheter" indetta dal CoSLa morte lo ripugnava. Sua, di altri.
Tutto ciò che era morto lo rendeva irritabile. Come se la putrefazione lo assalisse, se fosse il suo corpo quello morente.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Aro, Volturi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ideale utopistico'
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Ripugnanti resti

2. «Parlano di morte, parlassero di divertimento!»

Osservava rapito la vetrata, come se i piccoli spicchi di colore lo potessero inghiottire. Si cibava di quella bellezza frammentata, mentre giocava meccanicamente con il bicchiere di cristallo pieno di sangue.
Lo portò alla bocca lento, ritraendolo immediatamente: freddo, troppo freddo.
Il vestito, di uno smeraldino verde, riluceva debolmente all'ombra del fuoco, che scoppiettava nel camino di marmo bianco.
Al suo fianco giaceva la maschera.
Era scappato dalla festa e ora si ritrovava lì, a pensare.
Ah! I pensieri! Lame magnifiche nelle menti degli uomini!
Ma era forse lui un uomo?
Si guardò la mano, di un candore ultraterreno, e la strinse. Le nocche si sporsero, i tendini si tirarono, il muscolo si contrasse.
Quanta carne morta si impiegava per un semplice movimento.
Dalla sala da ballo provenivano i suoi acuti degli archi, i minuetti aggraziati rimbalzavano tra le pietre medievali della dimora. La inondavano, la irradiavano. Eppure soccombevano, poiché al suo orecchio non giungeva che un suono soffuso, ovattato.
Il freddo l'aveva soffocata.
Continuava a fissare la vetrata e a perdersi dentro di essa, divenendo le linee di bronzo che ne fungevano da contorni.
Il passo inudibile di Marcus lo prese alla sprovvista. Il calice gli sfuggì di mano, cadendo  al suolo. Rimbalzò elegantemente sul tappeto, rovesciando il suo contenuto, che andò a macchiare tutto intorno a sé.
Voltò la testa; i capelli corvini, prima raccolti in una coda, si sciolsero, scendendo sulle spalle e incorniciandogli il viso spigoloso.
«Oh, Marcus, non ti avevo sentito» mormorò.
Lo scoppiettio del fuoco era sempre più flebile. Il mantello rosso dell'altro sembrò fluttuare fino a lui, seduto su una poltroncina rossa, sprofondato dentro di essa.
Ci fu un attimo di silenzio, nel quale Aro guardò fuori, verso la campagna.
Quei giorni erano tremendi; il fantasma di Didyme continuava a ritornare, con un'ostinazione posseduta solo dai folli.
Era, quindi, lui folle?
«Non ti manca mai?» sussurrò la voce rauca, come erosa, graffiante di Marcus.
Troppo silenzio rende muti.
Aro si gelò. Un brivido percorse le sue membra, arrivandogli fino al cervello. Un senso di nausea lo pervase e la testa divenne improvvisamente pesante.
La sentì ciondolare, lo stomaco gli si attorcigliò e la voglia di urlare, di spaccare tutto lo invase.
Tutto ciò lo ripugnava.
La morte lo ripugnava. Sua, di altri.
Tutto ciò che era morto lo rendeva irritabile. Come se la putrefazione lo assalisse, se fosse il suo corpo quello morente.
Ed ogni anno  lui ritornava, come se non bastasse la sua coscienza!
E faceva sempre la stessa domanda. Come se così avesse potuto riportarla in vita!
Ah, lo stolto! Assillante.
«Marcus! Smettila!» sbottò, alzandosi di scatto. Fissò con ira l'uomo davanti a lui. Così fragile. «Smettila! Smettila! Ogni anno... basta! Mi ripugna! Mi ripugna!» gemette, premendosi le tempie con le dita.
Il fratello l'osservò a testa china, le labbra tese.
«Morte! Morte! Solo di questa parlate... solo di morte!» diede un colpo feroce al camino, che rimase scheggiato.
Gli occhi neri, vacui si fissarono su quelli di lui, vitrei, persi nel nulla.
Il respiro affannato di Aro rimbombava per la stanza, i capelli gli erano ricaduti sul viso, deformato dalla frustrazione.
«Dove è la vita? Marcus... dove è?» la voce fioca sembrava il sibilo del vento.
L'uomo si stringe nelle spalle.
«È morta» rispose. Non lapidario, non tetro. Semplicemente atono.
Ci fu silenzio e poco alla volta i polmoni di Aro ripresero un ritmo regolare. Ritornò in posa eretta, composta e lo guardò.
Stanco, esausto.
«Parlano solo di morte! Parlassero di divertimento! Niente arte, nei vostri discorsi, niente di bello. Ho fatto una festa, ma niente! Di nuovo qui, a parlare di morte. Le maschere non ti catturano, i colori non ti avvolgono. Sempre morte. Solo morte. » Si voltò, repentino e lo fissò.
«Vita! Ah! Quanto vorrei assaporarla, Marcus!» mormorò, sedendosi e affondando il viso nelle mani.
L'altro rimase fermo, lo guardò. Ma non gli poteva dare niente. Nulla era degno di interesse, nulla poteva risollevarlo.
Uscì nello stesso modo in cui era entrato, lasciando un uomo, o il suo guscio, a gemere sui vetri rotti di un passato spezzato.



Angolo autrice:
Se fossi un'immortale la morte mi farebbe schifo. Un po' come succede a noi, adesso. Appena vediamo qualcosa di morto lo togliamo: capelli, pelle, animali e tutto ciò che volete, morto lo togliamo.
Credo che anche Aro, amante dell'arte, provi la stessa sensazione, soprattutto se ha le mani macchiate di quella morte, la peggiore (il fraticidio ç.ç). Il periodo è carnevalesco (febbraio, quindi) e vicino al 14, visto che per me è quello il giorno in cui la sorella è stata uccisa (per chi ha letto la mia prima ff su Marcus e Didyme lo sa).
Fanfiction partecipante all'iniziativa "2010: a year togheter", indetto dal Fanfiction Contest ~ { Collection of Starlight since 01.06.08 }
Detto ciò, basta; è tutto ♥



Notizia inutile: ._. non riesco più a scrivere come una volta ç.ç
   
 
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