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Autore: Milady 07    18/02/2010    2 recensioni
"Apro la finestra e mi sporgo un po' per vederlo meglio... Cavolo, diventa più figo ogni giorno che passa!Fisico slanciato e atletico, capelli corvini, viso d'angelo e quegli occhi, quello sguardo... mi ha letteralmente rubato l'anima! Come si fa a resistere ad uno così? Come si pùo' non essere follemente attratte e pazzamente innamorate del proprio vicino di casa?"
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaede Rukawa
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VII°

RICORDI

 

 

 

 

-Anna…-

Sanae mi segue come un’ombra e continua a parlare, a farmi un’infinità di domande. Ma le sue parole mi giungono all’orecchio ovattate, incomprensibili, come se arrivassero da lontano. Non capisco che cosa mi sta dicendo. Nemmeno una sillaba. Le gambe non mi reggono e mi accascio sull’ultimo gradino della scalinata come una marionetta a cui hanno appena tagliato i fili. Il cuore mi batte forte. Mi sfioro le labbra con la punta delle dita. Sorrido. Ho ancora il sapore della sua bocca sulle labbra. Un sapore dolciastro. Di tramezzini al tonno.

-Ho combinato un casino…-

 

 

 

 

 

 

 

La squadra di baseball ha terminato presto gli allenamenti pomeridiani. Il coach ha dato il resto del pomeriggio libero per permettere ai giocatori di riposare in vista della partita di domani. Per fortuna. Non ero molto in grado di connettere. Ho pensato e ripensato a quello che ho fatto oggi sul terrazzo. Non ci credo ancora.

Senza rendermene conto, mi ritrovo a pochi passi dalla palestra dove la squadra di basket si sta ancora allenando per l’incontro contro il Ryonan. Inizia a fare caldo, e le porte sono aperte. Un mucchio di ragazze urlanti ci si accalca sopra, spintonandosi, per riuscire a scorgere qualcosa. Per riuscire a vedere Rukawa in azione. Dopo lo splendido incontro disputato contro il Kainan, è diventato ancora più popolare tra le ragazze della scuola. Sono diventate talmente esaltate che non gli danno più un minuto di tregua. Sono arrivate a pedinarlo pure al bagno… In mezzo alla folla, riconosco un paio di compagne di classe che si sgolano eccitate urlando a tutta voce il suo nome. E ovviamente non può mancare l’Akagi con le sue inseparabili amiche. Sanae, Youhei e i suoi folli amici sghignazzano divertiti fra loro. Sorrido. Forse Hanamichi ha combinato una delle sue, scatenando le ire del capitano o di qualche compagno. Mi allontano. Non me la sento di andare da loro. Non ho il coraggio di incrociare lo sguardo di Kiko. Non per vergogna, non mi pento di avergli rivelato quello che provo. Ho paura di vedere che distoglie lo sguardo dal mio.

-Mamma, sono arrivata.-

Mi chiudo lentamente la porta dietro alle spalle e mi ci appoggio sopra di peso, sospirando, in cerca di un sostegno. Il mio cagnolone arriva scodinzolando, felice di riavermi a casa. Vederlo mi strappa un sorriso. Mi chino e lo abbraccio di slancio, affondando il viso nel pelo della sua schiena, cercando nel mio amico un po’ di coraggio e d’affetto dall’unico essere che, sono certa, mi ama. Posso fare ed essere quello che mi pare, ma l’affetto di Kojiro è sincero come lo sono i suoi occhi.

Mi tolgo le scarpe e le sistemo ordinatamente accanto a quelle di mia sorella. Infilo le pantofole che mia madre, pignola donna di casa, lascia sempre a disposizione accanto allo scalino che divide l’entrata dal resto della casa e seguo Kojiro che scodinzolando si dirige verso la cucina da dove arrivano chiare delle voci divertite e qualche risata. Riconosco il modo di ridere lieve e riservato di mia madre. L’altro, più cristallino e sonoro, è della mamma di Kiko. Adoro il suo modo di ridere, così spontaneo e sbarazzino. Spesso lei e mia madre si ritrovano a chiacchierare per delle ore, spettegolando di qualche vicina oppure a commentare l’ultima puntata del serial televisivo che entrambe guardano da tempo immemore. E qualche volta sento la mamma di Kiko mettersi a piangere, e la mia che in qualche modo tenta di consolarla.

Ridono tutte e due più forte. Entro in cucina incuriosita e individuo subito il motivo di tanta ilarità. Appoggiato sul tavolo, accanto ad un paio di tazze da the e una teiera fumante, c’è un grosso album di fotografie. Stanno guardando per la centesima volta le foto di me, mia sorella e Kiko da piccoli. Davvero il momento giusto per farmi ricordare come eravamo belli e cari da bambini io e il ragazzo cui ho appena rivelato, in maniera abbastanza esplicita, di essere attratta da lui.

-Ciao.-

-Ciao Anna.- mi salutano in coro, nascondendo i risolini dietro ad una mano.

Mia madre volta veloce l’album verso di me, cercando di farmi partecipe dei loro ricordi.

-Guarda Anna…-

Sbuffo. -Non ho tempo, mamma. Mi cambio e porto fuori Kojiro.-

-E i compiti?-

-Li faccio dopo.-

-Anna, lo sai che se tuo padre…-

-Li faccio dopo!- le urlo, mentre salgo di corsa le scale.

La porta della camera di Sakura è aperta. Lei, invece di studiare, se ne sta comodamente sdraiata sul letto a leggersi tranquilla l’ultimo numero della sua rivista di moda preferita, mentre sulla scrivania una pila di libri scolastici, praticamente quasi intonsi, aspettano sfiduciati di essere aperti almeno un’altra volta nella loro miserabile vita. Tra qualche settimana iniziano già gli esami di fine trimestre, ma la sua unica preoccupazione, quella fondamentale, è di non rimanere indietro nemmeno di un mese con le ultime tendenze in fatto di vestiario e accessori vari. Per lei è più importante avere le scarpe all’ultimo grido che passare gli esami. E’ all’ultimo anno di liceo, quello che dovrebbe essere il più impegnativo e stressante, ma non le frega assolutamente nulla di diplomarsi con dei buoni voti e soprattutto non ha la minima intenzione di frequentare una qualunque università. Peccato che papà ancora non lo sappia…

-Ti serve qualcosa?- mi chiede, alzando lo sguardo dalla rivista.

Sono rimasta in piedi sulla soglia della sua stanza per un paio di minuti, e per un breve ma intenso istante, mi è venuta l’assurda idea di confidarmi con lei. Infondo in fatto di ragazzi è sicuramente più pratica di me e magari, dico magari, potrebbe dirmi come cavolo mi devo comportare con Kiko adesso.

-Allora?- mi fa, spazientita.

-Volevo… chiederti…-

Sbuffa, scocciata. -Sì?-

-Niente.-

Socchiudo velocemente la porta. Devo essere proprio fusa. Raccontarle quello che è successo oggi è fuori discussione. Mia sorella è un vero fenomeno a mantenere un segreto. Te lo promette e ripromette, ma nel giro di mezz’ora lo deve spifferare per forza a qualcuno o si sente male. E con una sola telefonata alla sua amica del cuore, tale Midori, lo saprebbe tutto il liceo nel giro di un paio d’ore.

Entro in camera mia. Il mio gattone se ne sta comodamente acciambellato nel suo cesto blu appoggiato sopra al davanzale. Dorme così profondamente che quasi non si accorge della mia presenza. Gli accarezzo la testolina e lui parte a fare le fusa, lieto di quelle coccole che tanto gli piacciono. Ataru me l’ha regalato Kiko. Un pomeriggio di un paio di inverni fa all’uscita da scuola, mi si è presentato con una robina piccola, piccola e nera fra le mani e ho quasi stentato a capire che era un gattino. Tutto magro e tremante miagolava disperato con un minuscolo filino di voce. L’ha trovato sotto ad un cespuglio nel cortile della scuola, gli ha allungato un po’ del suo pranzo e lui non ha più mollato il suo salvatore. Ma il suo salvatore lo ha mollato a me. Anche se io e Sakura siamo riuscite a metterci d’accordo sul nome, Kiko lo continua a chiamare ancora “gatto” o “quell’affare col pelo”, perché,  per lui, dare un nome ad un animale è una perdita di tempo.

Lo sguardo mi vaga per la stanza e si sofferma sulla scrivania. D’impulso, allungo una mano e capovolgo la cornice che ci sta sopra, facendola quasi cadere sul pavimento.

Io e lui.

Forse mi sono sbagliata l’altra sera. Forse ho interpretato male quello che mi stavano dicendo i suoi occhi. Ho letto quasi indifferenza, oggi invece non mi ha respinto. Direi proprio di no. Una leggera scossa parte dalla nuca, percorrendomi veloce tutto il corpo. E mi accorgo di aver una voglia matta di risentire quelle sensazioni, di sentire le sue mani che mi sfiorano dove nessun altro prima d’ora ha mai avuto il permesso di arrivare. E’ come se i miei sensi si fossero accesi tutti insieme. Come quando inserisci la spina e le lucine dell’albero di Natale si accendono tutte assieme, all’unisono...  Il cuore aumenta i suoi battiti, lo sento distintamente pulsare dentro alle orecchie, come se invece di starsene al posto suo, nel petto, avesse deciso di salire a far compagnia alla testa. Chiudo gli occhi. Le emozioni che provo sono del tutto nuove per me, non le ho mai provate sino ad ora. E all’improvviso mi sento spaventata da me stessa. Dalla voglia che ho di lui…

Indosso la tuta e scendo veloce le scale. In fretta. Non voglio pensare. Se mi fermo un secondo di più, il cervello si rimette in moto e inizia nuovamente ad immaginare. E immagina una realtà dove lui mi dice, senza tanti giri di parole, che quello è successo è stata una grande cavolata, un grande sbaglio, perché è innamorato di Ayako. Sì, perché nei miei folli ragionamenti è lei. E’ lei quella che gli sta facendo perdere la testa.

Mia madre aspetta sulla porta della cucina con l’imbracatura e il guinzaglio di Kojiro in mano.

-Dove lo porti?- mi chiede.

-Non lo so.-

Il mio volpino ci guarda con aria impaziente, come se si stesse chiedendo perché non ci sbrighiamo a mettergli quel coso addosso e finalmente gli concediamo la sua ora libera all’aria aperta.

-Fagli fare il giro dell’isolato.- mi consiglia.

-Ha bisogno di correre, mamma. -le dico, mentre mi infilo le scarpe da ginnastica.

-Non andare alla spiaggia! A quest’ora gira gente poco raccomandabile.- mi fa, preoccupata, consegnandomi il guinzaglio.

-E’ vero.- commenta la mamma di Kiko, sorseggiando lentamente dalla tazza -Non vuoi aspettare che ritorni Kiko? Così magari ci andate assieme. - e mi sorride, con aria da complice.

Arrossisco. Aver capito che la madre del ragazzo di cui sei innamorata, amica da una vita della tua e che ti conosce da quando eri alta come un tappo, ha compreso perfettamente che cosa provi per il suo bel figliolo e che probabilmente ci vorresti pure “fare” qualcosa, è davvero imbarazzante.

-Io… io vado…-borbotto, mentre finisco di sistemare l’imbracatura addosso a Kojiro.

-Non stare via molto. E mi raccomando…-

-Ciao!- concludo secca io, mentre le chiudo praticamente in faccia la porta.

La spiaggia. Ecco la metà preferita del mio amico a quattro zampe. E mi ci trascina quasi a forza, infischiandosene altamente delle raccomandazioni di mia madre. Ha ben chiaro in mente dove vuole andare a passeggiare stasera, e tira come un dannato, cercando di farmi aumentare il passo.

La stagione balneare non è ancora iniziata. A quest’ora, con il sole che inizia pigramente a pensare di avvicinarsi all’orizzonte e di scomparire dietro al mare increspato da leggere onde, ci sono poche persone a passeggio sulla riva. Coppiette in palesi atteggiamenti amorosi, atleti in vena di allenamenti extra, e qualche vecchietto in cerca di un qualche beneficio che l’aria salmastra porta dal largo. Kojiro così può correre liberamente dove vuole, fare amicizia con altri cani, e tuffarsi in mare alla ricerca del bastone che puntualmente tiro e che lui mi riconsegna scodinzolando, orgoglioso e felice di averlo ritrovato e riportato.

Mi siedo sulla sabbia, con le braccia distese all’indietro, seguendo con lo sguardo le scorribande di Kojiro. Io e Kiko… Quel maledetto album mi ha riportato indietro nel tempo e, anche se in realtà non ne ho nessuna voglia, la mente inizia a far riaffiorare i ricordi. I miei e i suoi. E me ne tornano alla mente tanti. Tutto quello che ho diviso e condiviso con lui. E abbiamo condiviso sempre tutto, dai pannolini alla prima sbucciatura su un ginocchio. E sappiamo pure un mucchio di cose l’uno dell’altro. Ad esempio lui sa perché con i miei non ho un bellissimo rapporto. E anche perché odio tanto i pagliacci (Ho letto “It” e mi è venuta la fobia! Mi viene male solo a vedere un naso rosso!). Come io so perché ad ogni inizio partita si sistema quella fascetta che porta sul braccio sinistro. Agli occhi di tutti può sembrare un gesto scaramantico, ma non lo è. Tempo fa quella fascetta era bianca, in segno di lutto. Adesso è nera. Nera come la parte più profonda della sua anima. Quella che lo rende rissoso, a volte menefreghista, asociale e taciturno. Fino a sei anni fa non era così, no davvero. Sorrideva. E rideva. Abbiamo riso un casino assieme… Poi il papà di Kiko si è ammalato. Uno di quei mali che non lasciano scampo, anche se presi in tempo e in pochissimi mesi si è spento, logorato nel corpo e nell’anima da quel mostro che lo stava divorando dall’interno, senza che nessuno riuscisse a fare nulla per catturarlo e sconfiggerlo. Ecco perché a sua madre spesso salgono le lacrime agli occhi, quando ripercorre il viale dei ricordi assieme alla mia. E perché Kiko è cambiato. Sistemarsi quella fascetta ad ogni incontro è un modo per sentire ancora vicino suo papà. Gli ricorda che sta giocando anche per lui. Gli rammenta che se sta diventando uno dei migliori giocatori della Prefettura, lo deve anche a lui. A quella prima palla arancione che lui gli ha portato direttamente dall’America, quando aveva solo cinque anni. Alle domeniche passate insieme al campetto. Alle vacanze estive passate a ripetere mille e mille volte  i palleggi, i tiri sotto canestro e quelli da fuori area. E non perché volesse inculcare lo sport che amava a Kiko, ma solo perché era un modo come un altro per stare assieme. Padre e figlio. Adesso che non c’è più, Kiko si sta impegnando con tutte le sue forze per diventare un campione nello sport che tanto amava suo padre.

La mia vita e la sua hanno sempre viaggiato parallele, come i binari di un treno, senza mai intralciarsi tra loro, ma facendo avanzare un’amicizia profonda e maledettamente perfetta agli occhi di tutti. E adesso, per colpa di questo affare che mi batte dentro al petto ( e agli ormoni impazziti ), ho incasinato il microcosmo in cui mi sentivo protetta e al sicuro da tutto il resto del mondo. Niente tornerà più come prima…

Kojiro mi saltella intorno, cercando di tirarmi su il morale. Si è accorto anche lui che oggi non è una delle migliori giornate per la sua padroncina, e timidamente mi lecca una mano.

-Ho fatto un gran casino, Kojiro…- gli mormoro, arruffandogli il pelo marroncino sotto il collo con entrambe le mani. -un gran casino…- lo abbraccio.

Una decina di passi più avanti, qualcuno attira l’attenzione del mio cane. Senza darmi il tempo si fermarlo, si lancia abbaiando verso la riva e inizia a saltellare attorno al nuovo venuto, annusandolo, come se fosse felice di rivedere un vecchio amico.

-Ehi! Ciao bello!- il ragazzo in questione si china ad accarezzargli la testa.

E’ l’ultima persona che credevo di incontrare da solo in spiaggia. Mi alzo, togliendomi con le mani la sabbia dai pantaloni, e mi dirigo anch’io nella stessa direzione di Kojiro.

-Ciao Sakuragi. Sei in meditazione per la partita di domani?- chiedo, ironica.

-Spiritosa!- esclama, seccato -Sappi, carina, che il genio non ha bisogno di meditare su un bel niente. Domani sconfiggerò il Ryonan, puoi stare tranquilla.- si batte un pugno sul petto.

-Tutto da solo? Non vuoi farti aiutare dal resto della squadra? -domando, seria. -Magari anche gli altri hanno voglia di giocare.-

-Sarò io il migliore in campo. Prenderò tutti i rimbalzi. Farò più punti di Rukawa…-

E inizia a scandire, come una cantilena, il suo personalissimo mantra. Speriamo che la sua opera di auto-convincimento sortisca qualche effetto e che domani in campo non combini qualche casino.

-Rilassati, eh?- gli do una leggera pacca sulla schiena, cercando di riportarlo nel mondo di noi comuni mortali, ma non c’è verso di farlo smettere. Ma almeno ha cambiato frase…

-Domani farò vedere a tutti chi è veramente la matricola più promettente dello Shohoku!- continua imperterrito. -Ti farò vedere io chi è il vero asso della squadra, Rukawa!- urla poi, mettendosi a ridere come un deficiente, a bocca spalancata.

E la bella scenetta va avanti per altri dieci minuti buoni, mentre le persone a passeggio ci schivano e ci evitano, impauriti, come se fossimo due squilibrati in carenza di tranquillanti. Io non sono sicuramente la persona più assennata del mondo, una bella visita psicologica dovrei  farla anche io in verità, ma Hanamichi ha davvero qualche rotella che gira troppo veloce o nel senso sbagliato. Comunque, grazie a lui mi sono distratta e non ho pensato a Kiko.

-Avvisa il tuo amico che domani…-

-Grazie.- lo interrompo, prima che possa andare avanti con un altro sermone.

-Di che cosa?- mi chiede, stupito.

-Non importa di cosa, ma grazie.-

-Hn?-

Mi guarda perplesso, mentre rimetto il guinzaglio a Kojiro. Per tutto il tempo il mio cane è rimasto accucciato accanto ai miei piedi, seguendo per tutto il tempo, con lo sguardo quasi divertito, il tizio con i capelli rossi.

-Con questo taglio di capelli sei davvero caruccio, sai?-

Dopo la partita contro il Kainan si è tagliato i capelli quasi a zero, per ricordarsi dell’errore che ha commesso e che hanno perso per colpa sua. E lo rendono veramente più interessante.

-Davvero?- mi chiede, arrossendo imbarazzato.

Oh, cavolo! Meglio mettere subito le cose in chiaro con questo qui. Non vorrei che pensasse…

-Non… non ti sto facendo una dichiarazione, ok?- preciso sorridendo.

-Non sono il tuo tipo, Ayase?- mi domanda, carezzandosi i capelli con una mano, sorridendomi malizioso.

-E dai, Hanamichi! Questo siparietto l’abbiamo già fatto, sai?-esclamo divertita.

-Non mi ricordo…-

-Io sì.-

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti! Per prima cosa vorrei ringraziare davvero, davvero, davvero di cuore chi sta seguendo la mia ff e l’ha addirittura messa tra i preferiti! Grazie mille all’infinito!!!! Ripeto che per me è assai strano sapere che c’è qualcuno che si sofferma a leggere quello che mi passa per la mente e che cerco di mettere nero su bianco… Ma grazie a voi mi permetto di spostare anche questo capitolo. Fatemi sapere che ne pensate. Spero solo di non avervi annoiato troppo…  

Kiss kiss Milady 07.

Ancora una cosa e poi non stresso più, promesso!

I personaggi non sono miei, a parte qualcuno, ma del signor Inoue.

 

  
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