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Autore: Mannu    18/02/2010    2 recensioni
Riccardo vuole molto bene alla nonna: anche se è un po' matta, gli racconta favole bellissime e storie incredibili, dove appaiono guerrieri invincibili e draghi sputatori di fuoco. Purtroppo per Riccardo, i draghi non esistono...
Genere: Fantasy, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I draghi non esistono'
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Elkan Rocard
ELKAN ROCARD

- Ecco, ora sì che sei davvero un bel signorino! Un vero cavaliere.
La giacchetta gli tirava un po' sulle spalle e non gli piaceva molto doversene andare in giro con le maniche lunghe: faceva già troppo caldo. Ma era festa e la mamma ci teneva che lui fosse vestito bene una volta tanto.
- Posso andare a giocare con gli altri?
- Non ti sporcare – gli rispose la madre mentre puntellandosi sulle sue stesse ginocchia, nascoste dall'ampia gonna scura che indossava, si rizzava alta e magra com'era.
Corse via, contento di aver avuto il permesso. Si precipitò fuori dalla sua casa, attraversò correndo il cortile ansioso di andare a cercare i suoi amichetti. Probabilmente loro non avevano dovuto perdere tutto quel tempo a vestirsi. Ma lui ora era un cavaliere e gli altri non avrebbero potuto farci nulla.
- Non correre! - la voce della mamma lo raggiunse chiaramente anche se lei si trovava ancora sull'uscio di casa. Rallentò il passo e uscì in strada. Un carretto trainato da un cavallo gli passò vicino: per un attimo ebbe la tentazione di farsi dare un passaggio all'insaputa del conducente, ma temette che la madre potesse vederlo e lasciò stare.
- Riccardo!
I suoi amici erano già tutti insieme, radunati nell'ampio cortile della casa di Mathias, il più grande di tutti. Lui e la sua famiglia di contadini avevano una casa grande al piano di sopra mentre sotto c'erano le stalle con le mucche e i cavalli. Riccardo corse nel cortile: gli piacevano tantissimo i cavalli. Un giorno, quando sarebbe stato grande abbastanza, la nonna gli avrebbe insegnato a cavalcare. Gliel'aveva promesso.
- Sei sempre l'ultimo, Riccardo! - lo canzonarono per il ritardo, per come era vestito, perché tutti avevano la loro spada di legno e lui no. Ma a quello c'era rimedio.
- Si gioca alla battaglia, cavalieri contro orchi. Ci manca un orco per essere pari!
Mathias gli venne vicino e cercò di pestargli un piede per sporcargli le scarpe pulite.
- Dài, trovati un pezzo di legno e fai l'orco!
Riccardo non voleva fare l'orco: era vestito da cavaliere. Gliel'aveva detto la mamma, ma tutti risero quando rivendicò il ruolo che pensava gli spettasse di diritto.
- Sbrigati... con te siamo pari, così possiamo giocare bene una volta tanto!
Riccardo guardò l'amica che aveva appena parlato. Riccioli biondi, la gonna lunga e pulita, una spada di legno fatta con due assi inchiodate. Non aveva nemmeno la punta.
- Giochiamo a dare la caccia al drago! - esclamò. Sua nonna gli aveva raccontato molte volte del grande e potente drago, ma papà gli aveva detto che i draghi non esistevano. E che se ne erano esistiti, ormai erano morti tutti.
Tutti i suoi amici protestarono: volevano giocare alla battaglia fra orchi e cavalieri e gli rinfacciarono il fatto che i draghi erano cose per mocciosi: nessuno ne aveva mai visto uno e quindi non esistevano.
- Lo so io perché dici così... - intervenne Mathias – è quella citrulla di tua nonna che ti racconta le storie sui draghi, vero?
Lo canzonarono ancora un po' per quello. Era vero, la nonna era molto vecchia e un po' sciroccata, ma con lui era tanto buona. Gli raccontava sempre una storia e anche se capitava sempre più spesso che si ripetesse o che si confondesse, le sue storie erano molto più belle di quelle che gli raccontava il papà o delle filastrocche che gli cantava la mamma.
- Vado a prendere la spada! - disse infine, desideroso anche lui di cominciare a giocare. Sarebbe stato l'orco meglio vestito che si fosse mai visto e quello con la spada più bella. Così bella che quando l'avessero visto impugnarla, avrebbero fatto a gara per giocare a fare i cavalieri con lui. Infatti suo padre l'aveva portato tempo prima dal falegname vicino a casa per insegnargli la strada e per aiutarlo a fare delle commissioni. Nel tempo che erano rimasti dall'artigiano, che non aveva figli, avevano fatto amicizia. Quell'uomo alto e magro all'inizio gli aveva fatto paura: gli mancavano due dita di una mano e la vista del moncherini lo aveva spaventato. Ma poi gli aveva fatto vedere i cavallucci di legno che sapeva fare e subito tutto era cambiato. Era tornato a casa con un bel cavallino di legno stretto tra le mani e una promessa che gli echeggiava ancora nelle orecchie. Avrebbe fatto per lui una spada di legno.
E proprio una bellissima spada di legno aveva ricevuto, tempo dopo, di nascosto da mamma e papà che non volevano. La spada sembrava vera: aveva la punta e non era fatta di assi inchiodate. L'elsa era scura, tornita e intagliata con un disegno sinuoso e l'impugnatura era rotonda, terminante con una pallina di legno diverso. La lama invece era di legno chiaro e sembrava affilata davvero. Aveva provato a tagliare una corda vecchia e un po' deluso aveva scoperto che la lama non tagliava affatto. Ma non se n'era preoccupato: aveva pur sempre la spada di legno più bella che si fosse mai vista.
L'aveva nascosta nella stalla per paura che mamma e papà la trovassero e lì si diresse, ricordandosi di smettere di correre prima di entrare nel cortile. Faceva già un gran caldo per essere solo mattina e la mamma si sarebbe accorta se lui avesse corso a lungo. Non appena fu dentro la stalla ombrosa ma puzzolente dell'odore delle bestie, si accorse che mancava Drad, il pezzato bianco e nero di papà. Capitava che lo usasse anche la nonna, sebbene facesse una gran fatica a salire in sella. Volse lo sguardo verso i sostegni orizzontali dove suo padre metteva le selle e infatti mancava proprio la sella da amazzone della nonna. Sapeva perfettamente che mamma e papà non volevano che la nonna andasse a cavallo. Era già caduta una volta e si era fatta male, facendo stare in ansia tutti quanti. La mamma aveva anche pianto. Perciò Riccardo corse immediatamente in casa a riferire la scoperta, certo che la mamma sarebbe stata contenta di lui: si stava comportando proprio come i grandi. Era cresciuto, un vero signorino!
- Oh, santa pazienza! - disse la mamma lasciando perdere le faccende e affacciandosi alla finestra.
- Karl! Karl! - chiamò, ma non ottenne risposta – Vai a cercare papà.
Sentendosi all'improvviso importante, Riccardo non se lo fece dire due volte: corse fuori a fare il giro della casa per vedere dove fosse andato suo padre. Lo trovò al pozzo, con i secchi pieni d'acqua attaccati al bilanciere che gli gravava sulle spalle. Aveva sentito la mamma chiamare ma non poteva certo sbrigarsi con quel peso! Gli raccontò tutto, omettendo solo il motivo per cui era entrato nella stalla.
- Coraggio, andiamo a cercarla... - disse il papà con tono urgente, posando i secchi dell'acqua contro il muro della casa, all'ombra. La mamma apparve sull'uscio proprio in quel momento.
- Non alzare la voce con lei, Karl...
- No, no...
- Riccardo, dove vai tu? - il tono della madre era quello del rimprovero.
- Vado con papà!
- No, resta qui!
- No! Voglio andare anch'io! - protestò Riccardo impuntandosi.
- Stai tranquilla, non gli succede nulla – la rassicurante voce di papà non sembrò avere alcun effetto sulla mamma, che rimase accigliata. Si vedeva chiaramente che la cosa non le andava a genio.
- Farò il bravo!
- Cerca di non cadere! - la mamma usò un tono di maggior rimprovero: ma che almeno lo lasciasse salire in sella prima di dirgli di non cadere!
Riccardo guardò il padre sellare rapidamente l'altro cavallo e poi condurlo fuori dalla stalla. Attese ansioso che il padre montasse per farsi aiutare salire a sua volta. Prima di uscire in strada Riccardo si voltò verso la mamma e le fece un cenno di saluto.
Era già capitato che la nonna fosse uscita a cavallo senza avvisare nessuno. Zitta zitta prendeva la sua spada, da cui non si separava mai anche se non riusciva più a impugnarla per via dei dolori alle mani, la appendeva alla sella insieme alla fiaschetta di cui era gelosissima e senza far rumore se ne andava. L'ultima volta l'avevano trovata per strada, abbastanza lontano, smarrita: non si ricordava più da che parte andare. Papà l'aveva riportata a casa che l'ora di cena era già passata da un pezzo. Riccardo si ricordava ancora l'ansia della madre, rimasta in silenzio tutto il tempo e scattata come un gatto non appena si era udito lo scalpicciare degli zoccoli sul selciato del cortile di casa.
Si inoltrarono lungo il medesimo viale alberato di quella volta. Forse perché era festa, non c'era nessuno oltre loro: Riccardo sapeva che quella strada portava lontano, verso posti che non aveva mai visto. Stava già fantasticando un'avventura adatta al suo rango di cavaliere quando all'improvviso il cavallo cominciò a comportarsi male. Soffiava e scartava, rifiutandosi di procedere. Capì che si trattava di una cosa seria dalla premura che ebbe suo padre nel farlo scendere immediatamente. Preoccupato, guardò i tentativi inutili di riportare alla tranquillità il cavallo dal manto bruno.
- Ma che cos'ha?
- Non lo so. È nervoso, tutto d'un tratto. Gli hai fatto qualcosa?
- No, davvero! - Riccardo alzò una mano come per conferire maggior vigore alla sua affermazione. Fu in quel momento che udì rumore di zoccoli alle sue spalle.
Era Drad. Sellato e bardato di tutto punto, con la spada e la fiaschetta della nonna che penzolavano dal suo fianco sinistro. Ma la nonna non era in sella.
Riccardo corse verso il cavallo, che stava posando gli zoccoli sulla strada proprio in quel momento. Proveniva dal grande prato che stava a sinistra della strada polverosa ombreggiata dal lungo filare di alberi che l'accompagnava lontano. Prese le briglie per cercare di trattenerlo, ma quello pur senza correre non gli permise di fermarlo. Con un deciso strattone che lui non si aspettava dal mansueto Drad, quello si liberò e deciso si incamminò da solo sulla via del ritorno. In quel momento Riccardo colse qualcosa con la coda dell'occhio, qualcosa alle sue spalle. Si voltò verso il grande prato.
Non avrebbe mai più dimenticato quanto i suoi occhi videro in quel momento. Una enorme sagoma scura china sulla nonna che stava seduta nel prato vestita di bianco e coi capelli insolitamente sciolti al vento. Non ebbe problemi a identificare l'enorme sagoma: era quella di un drago.
Aveva le ali chiuse e poteva vedere chiaramente il collo difeso da spine di tutte le dimensioni. Era accucciato a terra come un gatto ma vedeva bene la coda che si agitava. Si spaventò al ricordo di quello che la nonna stessa gli aveva detto della coda del drago: col suo sperone falcato poteva tagliare in due un guerriero in armatura. Riccardo fu paralizzato da quanto i suoi occhi videro in quel momento. Sua nonna stava accarezzando la testa del drago come se fosse un cucciolo.
- Per Elzer... - fu tutto quello che sentì dire da suo padre. Non si voltò nemmeno a guardarlo: non aveva mai sentito parlare suo padre con quel tono di voce così flebile e incerto. Riconobbe la paura del genitore e si spaventò, ma solo per un attimo.
Lui non aveva paura. Se il drago si lasciava accarezzare, non c'era pericolo. Ma d'un tratto fu travolto da un nuovo pensiero: la nonna aveva ragione. Non era affatto matta come si diceva. All'improvviso tutte le favole diventavano vere, tutte le storie della buonanotte, tutte le cose che lei gli aveva raccontato su cavalieri, streghe, spade incantate e draghi... era tutto vero. La nonna aveva davvero combattuto al fianco di un guerriero grande come una montagna che poteva schiantare dieci soldati alla volta. La nonna aveva davvero fronteggiato mostri custodi di caverne magiche e davvero aveva viaggiato tantissimo e visto tutte le cose che gli aveva raccontato.
Vero.
Era tutto vero.
Compreso il drago!
Vinto dal senso di colpa, Riccardo cominciò a piangere. La nonna non era matta e lui si ripromise di suonarle a tutti coloro tra i suoi amici che avrebbero osato dirlo ancora. Ma le sue lacrime durarono ben poco. Il drago si era rizzato sulle quattro zampe e aveva aperto le ali. Enormi, anzi immense. Membranose e terribili da vedere, le sbatté tanto forte che il rumore giunse molto bene fino a lui. Il drago se ne stava andando.
Sconvolto dal senso di perdita che non avrebbe nemmeno potuto descrivere, Riccardo cominciò a correre. Voleva raggiungere la nonna, voleva raggiungere il drago prima che se ne andasse. Voleva vederlo più da vicino, voleva accarezzarlo anche lui, sentire che odore avesse un vero drago. Ma quello in tre balzi si staccò da terra e volò via in un baleno. Continuò a correre.
- Nonna! Nonna!
La raggiunse e le abbracciò il grembo, aggrappandosi alla sua esile vita.
- Era il drago! - non fu capace di dire altro. Avrebbe voluto smettere di piangere, ma non poteva più. Il rimorso lo stava sopraffacendo.
- Sì, bimbo mio. Io l'ho chiamato.
Riccardo ora avrebbe difeso quelle parole a spada tratta.
- Volevo andare via con lui, ma non ha voluto.
- Resta, nonna! - disse lui tra le lacrime. Alla sola idea della nonna che se ne andava via a cavallo del drago, i singhiozzi aumentarono.
- Sì, caro... resterò ancora un po'.
I singhiozzi si calmarono un poco e la nonna si liberò dal suo abbraccio.
- Da bravo ometto, adesso smetti di piangere – la voce secca come la carta vecchia, la nonna gli aveva parlato dolcemente. Lei che era sempre severa, che non sorrideva mai, ora lo guardava benevola. Riccardo si sfregò gli occhi arrossati con forza come per cancellare ogni traccia del pianto. Tirò su col naso rumorosamente.
- Andiamo dal papà.
Si incamminò stando vicino alla nonna che gli teneva una mano adunca stretta sulla spalla. Il papà non era visibile, forse era corso dietro a Drad. Erano quasi giunti alla strada quando si decise a porre la domanda che gli arrovellava la mente.
- Nonna... ma allora i draghi sono buoni?
La risposta giunse dopo un attimo di esitazione.
- Sono come gli uomini. Ve ne sono molti buoni, e molti cattivi. Solo pochi, molto pochi sono meravigliosi e splendidi. E difficilissimi da incontrare.
   
 
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