You
could be my unintended
Choice to live my life extended
You could be the one I'll always love
You could be the one who listens to
my deepest inquisitions
You could be the one I'll always love
I'll be there as soon as I can
But I'm busy mending broken pieces
of the life I had before.
Muse,
unintended.
Capitolo sei
Bob
e Rachy
«Una
birra.» disse Kellan prendendo posto su uno sgabello,
davanti al bancone di legno logoro ed invecchiato.
«Anche per me.» dissi poggiandomi on un gomito
sulla superficie. La barista,
una ragazza dai capelli rosso fuoco, annuì e ci sorrise,
strizzando un occhio e
allontanandosi per riempire due bicchieri.
Eravamo in un tipico bar irlandese, costituito da pareti di legno e
luci
soffuse, anche se nella periferia di Los Angeles. Era una buona
ricostruzione,
quel pub, in fondo. Kellan era passato a prendermi, come deciso, e
durante il
tragitto non aveva fatto altro che parlare. Distrattamente gli prestavo
ascolto. Inutile dire che già aveva scelto la meta,
perciò volente o nolente,
mi sarei dovuto adeguare.
«Te l’avevo detto che questo posto era
magnifico.» disse su di giri Kellan,
voltandosi verso di me.
Corrugai la fronte. «E’ passabile.»
ammisi guardandomi velocemente intorno.
Rise e scosse il capo. Aprì la bocca per replicare ma da
essa non vi uscii
suono, poiché la barista arrivò con due enormi
bicchieri di birra fredda. I
suoi occhi indugiarono sui miei, e una luce maliziosa lampeggio in
essi. Guardo
Kellan e poi, sorridendo, si allontanò.
«Eh, Rob, adesso fai colpo anche su innocenti ragazze dietro
un il bancone di
un bar.» scherzò Kellan.
«Ha guardato te allo stesso modo, quando siamo
entrati.» disse prima di bere un
sorso di birra. Fredda scese fino allo stomaco, solleticandomi
l’esofago.
«Non me ne sono accorto.» disse corrugando la
fronte e guardando la ragazza
che, dall’altro lato della stanza, gli sorrise maliziosamente.
«Ricordati di Eliza.» lo canzonai.
Kellan si voltò di scatto. «Non potrei mai
dimenticarla.», ed una strana luce
gli illuminò gli occhi chiari. «Che idea
assurda.»
Quella luce era il leggero canto del suo cuore, ne ero certo. Vi era
dolcezza,
quando pronunciava il suo nome, il tono di voce era morbido e denso
come il
miele. Sorrisi. Non era da Kellan essere così.
«Qualcosa mi dice che te ne sei innamorato.» dissi
bevendo ancora una sorsata
di birra.
«E’ così evidente?» chiese
quasi imbarazzato.
«Solo per un buon osservatore.» risposi. Quelle
parole, uscite senza
premeditazione dalla mia bocca, mi riportarono al pomeriggio, al viso
di Rachel
alla sua voce sottile e i suoi strambi discorsi. Fissando un punto
indefinito
del bancone, sorrisi a me stesso.
«Pensi a qualcuno in particolare?» chiese curioso.
Alzai il capo e feci segno di no con la testa, mentendo. Non mi andava
di raccontare
a lui di Rachel… anche perché non c’era
nulla da raccontare.
«E’ strano vederti così.»
«Così come?» chiese confuso.
«Così… così innamorato.»,
e sorrisi.
«Arriva il tempo, Rob, in cui l’amore ti ruba
l’anima.» disse. E sembrava
essere sincero, credere davvero a quel semplice, ma complicato,
concetto. Io,
in fondo, ci credevo. Avevo perso la testa per Kristen, ero convinta di
amarla,
di desiderala con tutto me stesso. Ed in quel momento era
così. Ma la vita
riserva sempre un sacco di sorprese, avvenimenti che non ci
è dato conoscere.
«Ma come siamo profondi oggi.» ridacchiai.
«Il momento arriva per tutti.» disse serio.
Lo guardi negli occhi per istanti interminabili, poi feci un risolino e
scioccai la lingua prima di affondare il viso nel bicchiere.
Forse… arriva per tutti…
La mattina
successiva la sveglia suonò alle sei ed, io, ero
andato a dormire solo quattro ore prima.
Presi un foglio dal taccuino in cucina, vicino a telefono e, con una
grafia da
far invidia ad una scimmia, scrissi disordinatamente “non
farsi abbindolare
dalle crisi esistenziali di Kellan Lutz”. Presi una semplice
calamita nera e
appesi il foglio al frigo, lì, in bella mostra. Sorrisi
soddisfatto di me
stesso, prima di bere un buon caffè, che riuscì
appena a darmi la forza per
chinarmi ad allacciarmi le scarpe.
La solita macchina, mi lasciò davanti
quell’edificio che antro poco avrei considerato
la mia seconda casa… forse. Scesi, e sospirando salutai
Oliver, l’autista, e mi
diressi verso la grande entrata affiancata da grandi vetrate. Arrancai
sui
pochi scalini che mi separavano dall’entrata, quando udendo
lo stridio delle
ruote, mi fermai e
mi voltai di scatto.
Una macchina sgommò prima di premere il freno e fermarsi di
colpo in un posto
macchina del parcheggio.
Osservai ad occhi spalancati la piccola macchina gialla, sapendo bene
di chi
fosse. Lì, diversa fra la moltitudine di macchine nere e
grigie. Sì… diversa.
La portiera della macchina canarino
si aprì di scatto, per poi essere sbattuta con violenza.
Rachel, con i capelli
arruffati, borsa e felpa fra la braccia, si
precipitò verso l’edificio.
D’un tratto, però,si voltò e
ritornò alla macchina,
chiudendola con la chiave. Risi, dell’immagine di quella
ragazzina con i
capelli arruffati e la fronte corrugata di preoccupazione.
Prese a correre, saltando agilmente un’aiuola che divideva
l’entrata
dell’edificio dal parcheggio, senza esser costretta ad
aggirarla. Quando arrivò
in prossimità dei gradini si bloccò, incontrando
il mio viso.
Arricciai le labbra e inclinai il capo di lato. «Il
traffico?» chiesi alzando
poi un sopracciglio.
Rachel sbuffò e rabbrividì quando una leggera
folata di vento mattutino le
sfiorò le spalle. «Okay, okay, ho fatto
tardi.» sbuffò alzando gli occhi al
cielo e infilandosi la felpa. «Scusa, ti dispiace
tenermela?» disse lanciandomi
la borsa rossa che riuscii a prendere per un soffio.
«Ma certo.» mormorai trattenendo una risata.
«So che vuoi ridere.
Perciò fallo. Ma
ricorda, la testa è tua.» aggiunse come fosse un
insignificante dettaglio.
Sorrise amorevolmente, facendo spallucce.
Sospirai, e gli porsi la borsa quando allungò il braccio.
«Buono a sapersi.» dissi osservandola. Gli occhi
chiari erano turchese vivo
alla luce del mattino. I capelli erano color della pece anche alla
luce…
involontariamente mi ricordarono quelli di Kristen e scossi il capo,
cercando
di cacciare via dalla mente l’immagine del suo viso. Rachel
se ne accorse, e
fraintese. Si spostò appena col busto, per guardare la sua
immagine riflessa
nella vetrata dietro di me. Sgranò gli occhi e
indietreggiò col capo,
scioccata. «Oh, cavolo.» disse poi affinando lo
sguardo e avvicinando
nuovamente il capo, con gli occhi ridotti a due fessure. «Ma
sono io quella?»
chiese prendendo una ciocca di capelli e sollevandola in aria, quasi
fin sopra
il capo.
Feci un risolino. «Ti chiami Rachel? Occhi chiari e capelli
scuri?»
Annuì ed alzò lo sguardo su di me.
«Bene, allora sei tu.» dissi sorridendo.
«Ah-ah, divertente. Sto morendo dalle risate.»
disse mettendosi eretta e
salendo gli scalini, passandosi la mano fra i capelli, nel tentativo di
domarli.
Sorrisi e scuotendo appena il capo la seguii dentro
l’edificio.
«Ehi, armadio a due ante, mi fai entrare?» chiese
Rachel con voce angelica
quando fu davanti ad un addetto alla sicurezza.
«Certo signorina Stevens.» rispose lui accennando
un inchino degno dei tempo
del seicento. Scordante con l’aspetto burbero
dell’uomo. Rachel rispose anch’ella
con un inchino, fingendo di tenersi un vestito immaginario con le dita
esili.
L’uomo ci fece entrare.
«Buona giornata, Steve!» esclamò allegra
e raggiante Rachel.
«Buona giornata anche a te Raky!» tuonò
l’uomo.
«Oh andiamo, Steve! Non credi basti?»
«Mmm… no, Raky.», e le
strizzò un occhio. Rachel sbuffo e alzò la
braccia al
cielo per poi farle ricadere sui fianchi, borbottando qualcosa di
incomprensibile, mentre la porta alle nostre spalle veniva chiusa. La
risata
sommessa di Steve svanì.
«Raky?» chiese confuso corrugando la fronte.
Rachel, che camminava davanti a me, si voltò di
scattò.
«Sssh!» sibilò portandosi un dito sulla
labbra. Si guardò un attimo intorno
accigliata, poi si ricompose, mettendosi dritta.
«E’ un… soprannome che mi ha
affibbiato Steve e non voglio che circoli. La mia carriera potrebbe
essere
troncata sul nascere.» spiegò voltandosi
teatralmente e prendendo a camminare,
fiera.
«Rachel?» la chiamai incrociando le braccia al
petto.
«Si?» si voltò lei. Le indicai un
cartello con le indicazioni per la stanza
occupata il giorno precedente.
«Oh, sì.» disse scuotendo il capo,
«giusto. », e prese a camminare dalla parte
opposta, verso di me. Fu allora che non riuscii a trattenermi, sfociai
in un
momento di forte ilarità e Rachel mi guardò
scioccata. Poi l’espressione sul
suo viso mutò e, nel giro di due secondo, si
piegò su stessa tenendosi l’addome
per le troppe risate.
«Adiamo, ragazzina.» disse poi aiutandola a
mettersi eretta e cercando di darmi
una controllata.
«Grazie… Bobby.» disse prendendo a
camminare ancora fra le risate.
Sconcertato la fissa per alcuni istanti… Bobby?
«Ehi!» esclamai.
Entrammo nella stanza dalla pareti color del latte e il grande tavolo
di vetro
e metallo, in perfetto orario… più o meno. Tutti
erano già seduti ai loro
posti, quelli del giorno prima, e parlavano fra loro, sollevando nella
stanza
un fastidioso chiacchiericcio, più simile ad un insistente
cicaleccio.
John e Adam, parlavano fra loro, maneggiando scartoffie e annuendo, o
scuotendo, di tanto in tanto, la testa. In silenzio Rachel prese posto
ed, io,
girando attorno al tavolo raggiunsi il mio, guardando la ragazzina
con la coda dell’occhio. Fissava un punto indefinito,
oltre la finestra, ma non potei vedere e capire quale. A tracolla aveva
ancora
la borsa rossa, un colore che sembrava una costante in lei…
almeno, nelle poche
occasione in cui ero stato giovato della sua compagnia.
Scuotendo il capo, come riprendendosi dal momento di ipnosi nel quale
era
caduta, si tolse la borsa e la felpa. Rise.
Corrugai la fronte e mi voltai a guardarla e nello stesso istante i
suoi occhi
turchesi incontrarono divertiti i miei.
«Ridi da sola, adesso, ragazzina?»
sibilai senza voce, aggrottando la fronte e sorridendo appena.
«E’ un reato… nonnino?»
mimò con le
labbra, prima che un angolo della sua bocca si sollevasse verso
l’alto.
«Raky.», ed incrociai soddisfatto le braccia,
poggiandomi allo schienale della
sedia. Fece una smorfia di disapprovazione.
«Bobby.» ribatté poi facendomi la
linguaccia.
«Signorina Stevens, crede per caso di essere al
circo?», la voce di John fece
sobbalzare Rachel sul posto. Lei voltò il capo con occhi
sgranati e bocca
spalancata. Soffocai un risolino portandomi una mano sulle labbra.
«Ma io…»
«Non cerchi scuse.»
«Ma…»
«Niente ma.»
«Si, però…»
«Stevens!» sbottò John sgranando gli
occhi. Rachel sobbalzò e poggiando un
gomito sul tavolo, si appoggiò con mento sul palmo della
mano.
«Mi perdoni, capo.» disse in una smorfia, e non
potei non pensare ai tempi del
liceo, in cui venivo costantemente ripreso dagli insegnati per la mia
scarsa
attenzione.
Con un sorriso a colorarmi il viso, fissai Rachel che, dopo ave
sbuffato,
poggiata ancora alla mano, scomposta sulla sedia, mi lanciò
uno sguardo
inceneritore. Feci spallucce e le strizzai un occhio.
Era evidente che si sforzava di tenere il broncio e rimanere seria, ma
le sue
labbra piene alla fine si incresparono in un sorriso che
illuminò i grandi
occhi turchese.
Poi tornai a guardare, con mio grande dispiacere John e ne fui sorpreso.
Perché i miei occhi desideravano i suoi?
Per tutto il pomeriggio non facemmo altro che provare
delle scena che sarebbero state girate nei
gironi successivi, in modo tale che sia io che Rachel avremmo potuto
lavorare
con tranquillità alle canzoni che sarebbero stare inserite
nella colonna sonora
del film.
Ad ogni modo, dopo aver parlato e provato per ore, fummo rilasciati ad
una vita
normale, anche se per solo mezz’ore. In sintesi, avemmo una
pausa.
Quando John disse: «Pausa. Ci vediamo qui fra trenta minuti
esatti.» sperai di
poter passare quel tempo con Rachel e bearmi della sua risata
contagiosa. Ma
quando mi alzai per andarle incontro, le sparì, oltre la
porta bianca della
stanza. Sbattei più volte le palpebre, corrugando confuso da
fronte. Così mi
diressi verso la porta ed uscii anch’io dalla stanza. Mi guardai intorno in
cerca di Rachel, ma il
corridoio era vuoto e di lei non vi era traccia.
Perché desideravo così tanto vederla?
Perché desideravo ridere con lei? Forse,
semplicemente, volevo… sentirmi in pace con me stesso e, per
qualche
inspiegabile motivo, con lei ci riuscivo. Forse era la sua
semplicità, la sua
allegria a farmi sentire… il ragazzo di ventitré
anni che ero. Forse era quella
la chiave di tutto: avevo perso me stesso, mi ero dimenticato chi ero e
non mi
stavo godendo quella giovinezza che mai più sarebbe tornata.
Sospirai, poggiandomi al muro e passandomi una mano fra i capelli,
indugiando
sulla nuca, ignorando le persone che si dirigevano verso le scale o
l’ascensore.
«Bob?» alzai di scatto il capo, guardando prima a
destra, ma non notando
nessuno. Così guardai a sinistra e la vidi infondo al
corridoio. Aveva la mani
penzoloni all’altezza del ventre.
«Rachel.» risposi sorridendole.
«Cosa ci fai qui?» chiese inclinando il capo.
Feci spallucce. «Pausa, ricordi?»
«Oh, giusto.» annuì. Si
avvicinò saltellando, fino a che non mi fu di fronte.
«Che hai intenzione di fare?» mi chiese scrollando
le mani bagnate davanti al
mio viso. Mi allontani istintivamente quando goccioline
d’acqua bagnarono il
mio viso.
«Non lo so.» dissi passandomi una mano per
asciugarmi.
Rachel corrugo la fronte, preoccupata, guardandosi le mani.
«Aspetta non sono
ancora asciutte.» disse poi strofinandosi le mani sulle mie
guance.
«Rachel!» l’ammonii scrollandomi le sue
mani di dosso ed allontanandola. Lei
rise e si poggio con una spalla al muro.
«Scusa. Non ho resistito.» rispose cercando di
reprimere le risate.
Alzi un sopracciglio e le roteò gli occhi scuotendo il capo.
«Tu non hai fame?»
chiese.
Accennai un sorriso. «A dire il vero… un
po’.»
«Bene, perché prima di andare alla toilette per
donne,» disse indicando con
pollice dietro di sé, la fine del corridoio,
«avevo intenzione di chiederti se
ti va una cioccolata calda. Oggi non credo di aver ingerito abbastanza
zuccheri.»
«Mi piace… Rachy.»
Lei sbuffò e afferrandomi per un braccio mi
trascinò lungo il corridoio, verso
le scale.
*
Ringraziamenti.
Ryry_ : ciao,
Sò! Ooooh, sono contenta ti sia
piaciuto lo scorso capitolo! E spero ti sia piaciuto anche
queste… un po’
molto noioso. Tu sei troppo buona,
davvero! Oh, non sai quanto mi abbia resa felice la tua recensione,
davvero. Un
bacio, ragazza sfacciata XD
Xx_scrittirce_xX: ciao, Ely!
Ovviamente a te va un ringraziamento speciale – per ovvi
motivi. Non credevo la
reazione di Rachel ti facesse questo effetto! Waw. Comunque
è una cosa che non
posso spiegare ora, saranno i capitoli successivi a mostrarti il tutto
^.^
Grazie davvero di cuore, tesoro.
Nessie93: ciao, Chirè! Se
mi scrivi
cose del genere è normale che poi mi gongolo e mi sciolgo.
Sono contenta di
sapere che il capitolo precedente è stato di tuo gradimento!
Quella macchina è
la mia preferita, sai? Dovevo per forza inserirla in qualche
fiction… e quale
meglio di questa? Secondo me, rispecchia a pieno il personaggio. Spero
di non
averti troppo annoiata con questo capitolo Grazie, mille, ancora.
Railen: ciao, Ire! Oh, non sai
quanto mi renda felice leggere le tue recensioni! Ci tengo al tuo
parere, sul
serio. E lo sai. Ad ogni modo, sono contenta ti piaccia la storia! *-* Spero ti sia piaciuto
anche questo capitoli,
in caso contrario, ti prego dimmelo. Grazie davvero di cuore, cara.
Grazie davvero.
Lucy_Scamorosina: ciao! *-* Sono contenta ti sia
piaciuto il capitolo e
che tu abbia riso! Spero di non averti annoiata con questo! Grazie di
cuore per
la recensione!
A
voi, con affetto,
Panda.