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Autore: Utopy    21/02/2010    5 recensioni
“Ahm. I’m Bill” Tentò di dire. “I’m.. Ahm, go.” Arrancò, facendo camminare l’indice e il medio sul palmo aperto della mano mimando il verbo andare “Go.. My brother.”
Dalla faccia della ragazza, Bill capì di non riuscire a farsi comprendere.
E te lo credo! Le parli alla “Io Tarzan, tu Jane”
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera fanciulle ( E fanciulli, non si sa mai xD)!
Bene, bene, bene. Questa è una piccola, beh mica tanto piccola, one shot che ho partorito circa una settimana fa. Non ne sono molto entusiasta, ma un paio di persone che l’hanno letta (Chi vuole intendere intenda XD) sostengono il contrario. Ben venga, io la posto.
E’ prevalentemente sul comico, cosa che non mi riesce molto bene ma ci ho provato. Non sono una cima nel far ridere la gente, spesso quando racconto le barzellette sembra che stia facendo una predica a un funerale -.- Non scherzo.

Coooomunque!  Spero possa piacervi comunque anche se non è il massimo e ne sono consapevole, un commentino è sempre gradito. Insomma, combattete la vostra timidezza e uscite fuori tutti! XD

P.S. Con questo mio scritto non intendo dare rappresentazione veritiera di fatti o persone. I Tokio Hotel, purtroppo, non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro. Quanto segue è frutto della mia fervida immaginazione.

P.P.S. Non fatevi ingannare dalla lunghezza, è molto scorrevole da leggere.

P.P.P.S.  BUONA LETTURA! XD

Ale

 

Lost… And found

 

“Che noia.” Sbuffò, guardandosi un’ unghia laccata di nero, per poi portare la sua attenzione sulla strada che scorreva velocemente sotto di loro. Erano in America, a Los Angeles, da poco più di due settimane, ma non aveva fatto in tempo a visitare la città, né a farsi conoscere adeguatamente.. Il tempo era poco e gli impegni troppi.. “Che insostenibile noia.” Continuò sbuffando, cominciando a picchiettare le dita sul tavolo del tourbus. “Che colossale, galattica, esponenziale noia.” Strillò acuto, battendo un piede per terra.

“Che cazzo Bill! Guarda fuori dal finestrino e tappati la bocca!” Lo riprese burbero il biondino occhialuto seduto di fianco a lui. “Se Georg si sveglia sono cazzi amari.” Incrociò le braccia al petto, riprendendo a leggere la rivista di macchine di fronte a lui.

Era tardo pomeriggio, stavano tornando all’hotel dopo un interminabile sessione fotografica e un altrettanto interminabile intervista. Erano sbarcati da poco in quella nazione, volevano farsi conoscere anche li. Anche se era splendido poter girare a piedi, più o meno, indisturbati. La gente ancora non li riconosceva.

Erano distrutti, ma l’unico super attivo sembrava essere il cantante. Quello nemmeno le fatiche di Ercole lo stancavano!

“Almeno possiamo svegliare Tomi? Io mi sto annoiando, Gus.” Mormorò, facendo sporgere il labbro inferiore e allargando gli occhi.

Gettò un’occhiata al fratello, che si era appisolato di fronte a lui con la testa appoggiata al finestrino e la bocca semi aperta. Stava lasciando una scia di bava fresca su tutto il vetro.

“Buona fortuna.” Borbottò Gustav facendo un gesto distratto con la mano. “A me piace vivere”

“Come sei melodrammatico.” Bofonchiò, sporgendosi sul tavolo quel tanto che bastava per poter toccare Tom. “Tomi..” Sussurrò, scuotendolo per una spalla. “Tomi.” Continuò, mantenendo più ferma la voce e aumentando l’intensità delle scosse. “Tomi!”

“Uhm.” Biascicò l’altro, aprendo un occhio, trovandosi davanti al viso l’enorme faccione di Bill, completo di sorriso a trentadue denti. “Che vuoi?” Farfugliò, non ancora del tutto sveglio.

“Finalmente Tomi.” Ridacchiò il fratello. “Come stai?”

“Tu mi hai svegliato per chiedermi come sto?” Ringhiò, ripensando a tutte le ore di sonno che avrebbe dovuto recuperare una volta arrivato all’albergo. “E tu gliel’hai permesso?” Continuò, spostando lo sguardo su Gustav, che leggeva beatamente il suo giornale.

“Ehi, fratello tuo problema tuo.” Alzò le mani davanti al viso, stampandosi in faccia la miglior espressione innocente che potesse trovare.

“Dai Tomi, facciamo una partita a ruba mazzetto?” Bill tirò fuori dalla sua borsa un mazzo di carte, sventolandole sotto il naso del chitarrista. “Puoi cominciare tu se vuoi.”

“Ruba mazzetto.” Inarcò un sopracciglio, guardando prima le carte poi il fratello.

Perché a me tutta l’intelligenza?

 

***

 

Sbuffò guardando la sua suite. Aveva appena svuotato le valigie e si era già fatto la doccia e asciugato i capelli.

Si diede un’occhiata in giro, era orribile quella camera. Era..Spoglia, vuota. Ok, si.. Il televisore al plasma c’era, il minibar anche, la vasca idromassaggio non poteva di certo mancare, però.. Un po’ di colore, che diamine!

Cos’era quel bianco smorto? E quelle tende gialline? E la moquette grigiastra?

Sembrava un ospizio. Una casa da vecchi, ecco.

“La conosco quell’espressione insoddisfatta. Vedi di accontentarti fratellino.” Sbottò una voce alle sue spalle, che riconobbe come quella di Tom.

“E’ orribile questo posto. Ci potremmo portare nonna!” Piagnucolò, sedendosi sul letto a gambe incrociate.

“Non fare la checca, Bill.” Scrollò le spalle sconsolato. “Sono venuto ad avvisarti che tra due ore David ci vuole nella hall, a quanto pare ci ha fissato un’intervista a sorpresa.” Borbottò. “Dovrete pur farvi conoscere!”  Fece una smorfia, imitando la voce del manager e sparendo dietro alla porta, chiudendola con un tonfo.

Uhm, due ore eh? Un giretto posso farlo.

 

***

 

Complimenti, Bill! Sei un genio! Non ti hanno visto nemmeno di striscio, quei bestioni! Oh che mente superiore, mi bacerei da solo!

Prese a camminare fischiettando, verso nemmeno lui sapeva bene dove. Camminava e basta, aveva voglia di una passeggiata pomeridiana.

Era magnifico poter camminare liberamente senza che nessuno lo riconoscesse, anche se per precauzione si era ficcato su un cappello e si era avvolto la faccia con una sciarpa. Fortunatamente era pieno autunno.

Era già buio, nonostante fossero solo le sei e mezzo di sera, e faceva anche piuttosto freddo. Cacciò le mani in tasca, calciando distrattamente un sassolino che aveva visto sull’asfalto.

Era una bella via, quella che stava percorrendo. Gli alberi delimitavano la strada, crescendo proprio ai bordi e ombreggiando i marciapiedi. C’erano un infinità di bar e pub con le loro scritte al neon che brillavano nel buio. Da li poteva vedere, attraverso le vetrate, qualche signore seduto al bancone con il proprio cocktail tra le mani, o dei bimbi insieme ai loro nonni, davanti ad una cioccolata calda.

Era tutto così.. Normale.

Da quanto tempo non andava a bere qualcosa da solo con Tom? Quel’era stata l’ultima volta che aveva camminato per così tanto tempo, senza security al seguito?

Una vita, era passata una vita.

Sorrise sereno, tirando un sospiro di sollievo, alzando il capo e guardando il cielo già cosparso di stelle e la luna.. Dio, gli sembrava di non aver mai visto una luna così bella. Era più luminosa e più grande. Forse non si era mai soffermato a guardarla davvero.. Non aveva più tempo per le piccole cose.

Una passeggiata era proprio quello che ci voleva.

Si, però ora dove sono?

Si guardò in giro impaurito, doveva aver svoltato un paio di volte da quando era partito. Bella mossa, ora però non aveva la più pallida idea di come ritornarci in quel fottuto albergo.

Accidenti a me, perché non sono andato sempre dritto?!

Cominciò a tremare impercettibilmente. Si portò una mano alla tasca dei jeans. Vuota. La tastò freneticamente, come se per magia il suo cellulare potesse materializzarsi da un momento all’altro. Batté un piede a terra, con gli occhi colmi di lacrime nervose.

Il cellulare idiota. Quante volte ti ho detto che il cellulare è come il pisello? Da tenere sempre pronto all’uso!

La voce di Tom riecheggiò nelle sue orecchie, facendolo sentire tremendamente piccolo e tremendamente spaventato.

“Tomi..” Mormorò.

Non aveva portato nemmeno il portafogli, quindi una cabina telefonica era fuori discussione.

Anche perché.. Che schifo! Le cabine telefoniche le toccano tutti, chissà quanti batteri sono appiccicati a quelle cornette sudice.

Scosse la testa, doveva smetterla di pensare alle cazzate. Era una cosa seria, Cristo! Si era perso! Si era perso in una città sconosciuta, in cui non era mai stato. Che diavolo si inventava adesso?

Continuò a camminare finché, in lontananza, scorse una piazza su cui erano state messe un paio di panchine. Era leggermente illuminata.

E leggermente vuota.

Sospirò sconsolato, per l’ennesima volta. Se non altro poteva sedersi a meditare, i piedi gli facevano un male cane. Quelle scarpe da ginnastica erano nuove di zecca e ancora non ci aveva fatto il callo.

Si lasciò cadere a peso morto sulla panca verde, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e reggendosi il viso con le mani.

E ora?

Ricapitolando: aveva camminato per circa tre quarti d’ora, guardando vetrine e bar senza preoccuparsi di memorizzare la strada che stava percorrendo, aveva dimenticato il portafogli e il suo preziosissimo cellulare in hotel, non aveva la minima idea di dove fosse in quel momento e, come se il resto non fosse già sufficiente, non conosceva nemmeno un fottuto centimetro di quella stramaledettissima città!

Uhm, carino, bel quadretto.

Si tirò dritto con la schiena, avvicinando il polso al viso per controllare l’ora. Le otto. In quel preciso istante l’intervista sarebbe cominciata e lui era sperduto chissà dove.

Oddio, Tomi mi ammazzerà! E se sarà troppo clemente ci penserà David a finire il lavoro per lui!

Tirò le gambe verso di sé, appoggiando i piedi alla panchina, circondandole con le braccia e nascondendoci in mezzo il viso.

Aveva una stramaledettissima voglia di piangere.

 

***

 

“Ehi..” Si sentì tirare la manica del giubbotto, ma le palpebre sembravano incollate e lui era troppo stanco per scoprire chi fosse. “It’s all right?” Si sforzò di aprire gli occhi, almeno per guardare in faccia il disturbatore del suo pisolino pomeridiano.

Pisolino pomeridiano? Stai dormendo come un barbone su una cazzo di panchina!

Sgranò all’istante gli occhi, ricordandosi immediatamente quello che era successo. Non era un sogno, per la miseria!

Scattò in piedi, guardandosi intorno terrorizzato.

“It’s all right?” Ripeté la stessa voce di prima, che subito Bill associò ad una donna.

Abbassò lo sguardo di qualche centimetro. Davanti a lui c’era una ragazza che non doveva avere più di vent’anni, i capelli leggermente ondulati e castani, la pelle molto chiara e due occhi grigi.. Da far venire i brividi. Grigi come il ghiaccio.

“Eh?” Manifestò tutto il suo disappunto facendo una smorfia buffa, alla quale la ragazza non riuscì a trattenere un sorriso. Non era mai stato una cima a scuola, in inglese soprattutto.

“You are ok?” Sorrise, mettendogli una mano sulla spalle e pulendogli la manica della giacca, leggermente sporca di terra. “Why you’re sleep on the bench? You feel bad?” Aggiunse poi, nella medesima lingua che Bill non riuscì a capire. Un po’ per la sua scarsa cultura linguistica, un po’ per il suo stato semicomatoso.

“Ahm. I’m Bill” Tentò di dire. “I’m.. Ahm, go.” Arrancò, facendo camminare l’indice e il medio sul palmo aperto della mano mimando il verbo andare  “Go.. My brother.”

Dalla faccia della ragazza, Bill capì di non riuscire a farsi comprendere.

E te lo credo! Le parli alla “Io Tarzan, tu Jane”

“I don’t understand” Scosse la testa mortificata. “I’m Abigail” Si sedette di fianco a lui, studiandolo attentamente, non aveva idea di cosa potesse farci un ragazzo così carino a dormire su una panchina alle dieci e mezzo di sera.

“Abigail..” Ripeté lui, annuendo debolmente con la testa. E ora che sapeva il suo nome?

Rincoglionito, ma non vedi che curve? Come minimo io la..

Scosse energicamente la testa, facendo scemare la voce del suo Tom interiore. Non era il caso di farsi i film porno mentali con una sconosciuta. Anche se, insomma.. Era piuttosto carina. Decisamente carina.

“Don’t you have a place to go ?” Continuò, imperterrita, a parlare quella lingua che Bill non riusciva proprio a comprendere alla perfezione, nemmeno sforzandosi.

“Non ti capisco..” Piagnucolò, coprendosi la faccia con le mani, atterrito.

“Potevi dirlo subito che sei tedesco.” Ridacchiò Abigail, dandogli una spinta sulla spalla, “Ci saremmo evitati questo penoso teatrino!”

“Parli il tedesco?” Gli occhi di Bill si illuminarono e il suo sorriso si allargò, partendogli da un orecchio e finendogli all’altro. Sembrava avesse appena avuto una rivelazione divina.

“Si, mia mamma è tedesca.” Sorrise teneramente. “Ma non parliamo di me. Piuttosto, che ci facevi addormentato qui fuori al freddo?”

“Mi sono perso.” Ammise, chinando il capo e guardandola di sottecchi. Si sentiva terribilmente patetico.

Lo sei.

“Come ti sei perso?” Socchiuse la bocca, guardandolo stupefatta. “Da dove vieni?”

“Non lo so!” Strepitò, sentendo gli occhi gonfiarsi di lacrime.

Non cominciare con i piagnistei. Bill, sii uomo!

“D’accordo, calma.” Sospirò, chiudendo gli occhi.

“Senti, io sono un cantante! Canto in una band! Se non torno subito all’albergo mio fratello mi uccide! Ho già saltato un’intervista e per questo il mio manager mi farà subire le pene dell’inferno! Devo tornare immediatamente da loro, capisci? Vorranno la mia testa su un piatto d’argento! Sono il frontman, hanno bisogno di me!” Strillò concitato, alzandosi in piedi e cominciando a camminare avanti e indietro, con le mani artigliate fra i capelli scuri.

Abigail alzò un sopracciglio, guardandolo scettica.

“Mi sa che hai preso troppo freddo.” Mormorò, alzandosi a sua volta. “Puoi venire da me, se vuoi. A Louise non dispiacerà sicuramente e poi non ti lascerei mai da solo in centro città.” Annuì sorridente, prendendogli un braccio.

“Non sono pazzo! Sono davvero il componente di una band! I Tokio Hotel!” Gridò sull’orlo di una crisi nervosa.

“Certo.” Annuì rassicurante, come si fa con i malati mentali “Magari ti preparo un the caldo.”

Ci mancava la bigotta malfidente!

 

***

 

“Who is?” Chiese incuriosita una voce non appena Bill mise piede nell’appartamento di Abigail.

Apparteneva ad una ragazza leggermente più alta dell’altra, con due profondi occhi neri e i capelli biondo ossigenato corti e sparati in aria. Era.. Mascolina.

“Lou parla tedesco, questo è Bill, è nuovo della città e si è perso.” Lo guardò tristemente. “Non ha un posto dove andare.” Sospirò dispiaciuta. “Bill questa è Louise, mia sorella.”

“Ma tu non sei il cantante di quella band per ragazzini?” Alzò un sopracciglio scettica, spostando il peso del suo corpo da una gamba all’altra e portandosi le mani sui fianchi.

“Ti amo!” Strillò Bill avvicinandosi a lei e avvolgendola in un abbraccio stritolatore “Ti amo, ti amo, ti amo, TI AMO!” Continuò, saltellando.

“Abbie! Levamelo di dosso, mi soffoca!” Rise la ragazza. Lo trovava piuttosto simpatico, anche se molto scemo.

“Bill, calmati.” Ridacchiò prendendolo per una spalla e riportandoselo al fianco. “Hai detto la verità prima” Aggiunse pensosa, portandosi un dito sotto al mento. “Vieni.” Lo prese per mano, trascinandoselo dietro, mentre Louise seguiva la scena divertita.

 

“Questo sono io, ovviamente, questo è Tomi, lui è Gustav e quello li è Georg.” Sorrise fiero, indicando i vari componenti della band, con il dito sullo schermo del computer.

“Che gruppo.. Eccentrico.” Constatò Abbie, inclinando la testa di lato “Ma mi incuriosite, sentirò le vostre canzoni. Ora forse è meglio andare a letto, è tardi.”

“Io vi saluto, domani la mia sveglia suona alle cinque!” Louise scompare dietro la porta, fischiettando e arrivando nella sua stanza.

“Vieni, ti faccio vedere la camera degli ospiti.” Abigail prese una mano a Bill, accompagnandolo lungo un corridoio.

Bill sorrise, guardando la sua mano intrecciata a quella della ragazza. Era tanto tempo che non si trovava di fronte ad una persona di sesso femminile che non piangesse, urlasse, o sbavasse in sua presenza, era parecchio confortante e piacevole poter stare nella stessa stanza con una ragazza che lo trattasse come essere umano e non come Dio onnipotente.

“Ecco qua.” Scosse la testa, risvegliandosi dai suoi pensieri, e si guardo intorno. Era in una stanza abbastanza spaziosa, con le tende azzurre e le pareti del medesimo colore, c’era un armadio in mogano e una scrivania un po’ più chiara, su cui era appoggiata un abatjour verde acqua.
Il letto era ad una piazza e mezza, ricoperto da una trapunta dall’aria riscaldante, bianca a pois verde chiaro.

Questa è una stanza come si deve!

“Che graziosa.” Mormorò Bill, continuando a guardarsi in giro. “Mi piace.” Sentenziò, riportando il suo sguardo su Abigail, di fianco a lui.

“Perfetto, io ora vado a –“

“NO!” Gridò il moro, preso dal panico. “No, no. Tu devi restare con me! Io non riesco a dormire nei posto che non conosco! Tomi rimane nella mia camera la prima notte che passiamo un in albergo, per abituarmi, altrimenti non chiudo occhio!” Piagnucolò lamentoso, tirandole la manica della felpa.

“Sei adorabile, sai?” Sorrise amorevole, facendo qualche passo e sedendosi sul bordo del letto.

Bill avvampò, sentendo le guance arrossarsi, guardando quegli occhi grigi che lo mettevano in soggezione come pochi riuscivano.

 

“Ahahah era nuda?! Oddio non ci credo!” Strillò tra le risate Abigail, tenendosi la pancia e asciugandosi con un dito una lacrima sfuggita per il troppo ridere.

“Te lo giuro! Era nella mia camera d’hotel ed era completamente nuda! Ho rischiato l’infarto quella sera.” Annuì, ripensando a quella fan psicopatica.

“Oh Gesù, lo credo bene.” Biascicò, una volta che gli attacchi di risa si furono placati.

Era più di un’ora che rimanevano rintanati in quella camera a parlare e ridere insieme, sdraiati entrambi sul letto, con la schiena appoggiata alla testata.
Per Bill non esisteva niente di più piacevole.

“Senti ma, dove state tu e la band durante la vostra permanenza a Los Angeles?” Chiese ad un tratto la ragazza “Magari conosco il posto.”

All’hotel Hilton.

“Ahm.. In un albergo.”

L’hotel Hilton.

“Mi dici il nome? Può darsi che sappia dov’è.”

Hilton.

“Io non so se.. Cioè, non credo di ricordarlo”

Hilton.

“Come non te lo ricordi?”

“Ci sono stato così poco, nemmeno un’ora, poi sono uscito e mi sono perso.. Non me lo ricordo.”

HILTON!

“Ok, non ti preoccupare, in qualche modo faremo.” Annuì incoraggiante, accarezzandogli un braccio.

Bill sorrise affabile, lasciandosi accarezzare come un gatto. Se lo ricordava bene il nome dell’albergo, oh se se lo ricordava! Ma che male c’era se voleva rimanere ancora un po’ con quella ragazza? Entro un paio di giorni si sarebbe fatto ritornare la memoria.

Tomi ti ucciderà, David ti farà a pezzi e Georg e Gustav rinchiuderanno i tuoi brandelli in una valigia che verrà gettata nel fiume più profondo della città.

 

***

 

Sbatté velocemente le palpebre, aprendo gli occhi. Tentò di alzarsi ma qualcosa lo costrinse a rimanere dov’era, anzi qualcuno. Inclinò leggermente il viso di lato, notando la testa di Abigail comodamente appoggiata alla sua spalla.

Sorrise intenerito, accarezzandole i capelli e spostandoglieli dietro l’orecchio.

“Buongiorno.” Sussurrò Abigail, la voce ancora impastata di sonno. “Dormito bene?” Si levò a sedere, guardandolo mentre si stropicciava un occhio.

“Si benissimo, grazie.” Annuì felice. “E tu?” Inarcò un sopracciglio, divertito.

“Sei un po’ spigoloso, ma fondamentalmente comodo.” Rise lei, spingendolo debolmente per una spalla. “Vieni, andiamo a fare colazione.”

 

“Buona questa roba, come hai detto che si chiama?” Domandò Bill, con la bocca mezza piena, mentre continuava a trangugiare quel pane con su spalmata della roba deliziosa.

“Burro d’arachidi.” Ridacchiò Abigail, addentando la sua razione.

“E’ straordinariamente buono!” Sorrise giocoso, saltellando sulla sedie e spalmandosene ancora su alto pane, sembrava un bambino che aveva appena scoperto le patatine fritte.

“Vuoi fare un giro più tardi? Che ne so.. Magari ti viene un lampo di genio e ricordi la strada.” Mormorò lei. Nonostante lo conoscesse da poche ore, la sua compagnia la faceva sentire serena, non era poi così felice all’idea di perderlo.

“Uhm, va bene.” Annuì poco convinto, ingoiando l’ultimo boccone.

“Forse è il caso che tu adesso faccia una doccia rilassante, che dici?”

“Sarebbe fantastico.”  Sorrise. Dopo tutto quello che aveva passato una doccia era quello che gli serviva.

 

***

 

“Non mi ricordo proprio che strada avevo fatto, ieri.” Sospirò sconsolato.

E anche se me la ricordassi non te la direi. Non ancora.

“E’ un bel guaio.” Sbuffò atterrita. “Ma non ti preoccupare, qualche cosa ci inventeremo.”

Camminarono ancora un po’, quando si ritrovarono nel parco comunale, pieno di alberi e cespugli.

“Entriamo?” Chiese Bill, guadando allegro quella distesa di verde. Non ricordava di essere stato in un parco, negli ultimi anni. Anzi, forse l’ultima vola in cui ci aveva messo piede doveva essere stato ancora alle elementari!

“Certo.” Sorrise Abigail, prendendogli timidamente una mano e conducendolo all’entrata principale. Si sedettero su una panchina marrone, in legno chiaro e massiccio, guardando i bambini correre sul prato, tenuti attentamente d’occhio dalle madri, che chiacchieravano tra di loro.

“Penso di non essere mai stato tranquillo come in questo momento, non ultimamente almeno.” Sospirò Bill, girando appena il capo per vedere l’espressione della ragazza.

“Mi fa piacere che tu stia bene.” Sorrise, guardando avanti a sé “E, in tutta onestà, sono felice di averti trovato, ieri sera.” Concluse in un sussurro, azzardandosi a guardarlo negli occhi.

“Comincio a trovare carina l’idea di essermi perso.” Ridacchiò alzando la testa e perdendosi a guardare il cielo terso di quella mattina limpida e senza nuvole. Strano, in novembre.

La ragazza tossì, avvicinandosi a lui e prendendogli una mano, cominciando a disegnare cerchi immaginari sul palmo, rilassando così i lineamenti del moro.

“Sei.. Davvero bello, lo sai?” Mormorò imbarazzata.

Alle orecchie del moro, quel semplice complimento, apparve come il più vero e sincero mai ricevuto. Di solito si sentiva dire “Sei figo” o “Ti scoperei”, cose di questo genere, insomma. Abigail invece si era limitata ad un tenerissimo “Sei bello.” E lo aveva detto con una dolcezza ed un’ingenuità tali da mandare in fumo il povero cervello di Bill.

“Sei bella anche tu.” Annuì, intrecciando le dita con le sue.

 

***

 

“Sono a casa!”

“Ciao Lou!”

Louise entrò in cucina, trovando Abigail intenta a sfornare quella che aveva tutta l’aria di essere una teglia di lasagne e Bill che la guardava deliziato.

“Ciao rockstar.” Ridacchiò, sedendosi di fronte a lui.

“Ciao!” Trillò a sua volta, esibendo uno dei suoi migliori sorrisi, rischiando di far ruzzolare a terra Abigail, che si era appena girata verso di loro per servire il pranzo.

“Com’è andata al lavoro?” Chiese, rossa in volto, distribuendo una fetta di lasagne a testa, per poi sedersi di fianco al moro, che la  guardò sorridente.

“Tutto a posto, Frank mi ha affidato un nuovo incarico.” Annuì, ripensando a tutti i disegni che avrebbe dovuto fare per il nuovo numero della rivista che stava per uscire nelle edicole. Lavorava per un’azienda di grafica pubblicitaria. “Tu e Bill?”

“Siamo andati a fare un giro, lo smemorato non ha idea di come tornare al suo albergo.” Inarcò le sopracciglia, tutt’altro che dispiaciuta.

Bill fece un sorriso di circostanza, addentando una forchettata di cibo per evitare di parlare.

“Non ti staranno cercando?”

Se mi staranno cercando? Quelli mi uccidono appena mi ritrovano!

“Spero che mio fratello non sia così insensibile da fregarsene della mia scomparsa.”

“Forse dovremmo mettere i volantini in giro per la città, come si fa con i cani.” Scherzò Louise, scoppiando in una fragorosa risata allo sguardo accigliato e anche un po’ offeso di Bill.

“Lou, non essere cattiva.” Esclamò Abbie, mordendosi la risata che sentiva salirgli in bocca.

Bill sorrise, respirando quell’aria allegra e così fottutamente, dolorosamente normale.

Non sarà per sempre, questo lo sai Bill, vero?

 

***

 

Era stato un pomeriggio fantastico. Bill, Abbie Lou si erano piazzati davanti alla televisione a guardare un film, con pop corn, patatine, e le schifezze più impensate.
Avevano ascoltato le canzoni dei Tokio Hotel nel computer di Abigail, e questa le aveva considerate “Stratosferiche” rendendo il povero cuoricino di Bill una poltiglia indefinita.
Avevano cenato mangiando carne e patate fritte, per la gioia incommensurabile del nostro cantante, che aveva preteso addirittura la seconda razione.
Finito di mangiare Lou si era rintanata in camera per farsi una dormita, visto che il suo lavoro cominciava all’alba, mentre Bill e Abbie erano nella camera degli ospiti, questa volta senza richiesta di Bill.

“Sai, devo confessarti una cosa.” Sussurrò ad un certo punto il cantante, una volta che le loro chiacchiere infinite sulla loro vita e il loro interessi furono cessate.

“Dimmi.” Sorrise incoraggiante, girandosi a pancia in giù per poterlo guardare meglio.

Era disteso supino, con un braccio piegato dietro la testa, e l’altro teso verso di lei. Era bello, straordinariamente bello. Abbie non pensava di aver mai visto un ragazzo con un viso così.. Mozzafiato. Aveva un viso delicato, tenero.. Per non parlare di certi suo atteggiamenti così.. Infantili e infinitamente dolci. Gli occhi buoni e ingenui.

“Io penso di averti detto una piccola bugia.”

Piccola?

“Cioè?” Boccheggiò, sgranando gli occhi. Che bugia poteva mai avergli detto?

“Io credo di saperlo il nome dell’hotel.” Sospirò, rivolgendo gli occhi al pavimento, tirandosi lentamente a sedere. Non voleva vederla la sua espressione. Non voleva sapere se era arrabbiata, o triste, o sollevata.. Non voleva saperlo e basta.

“Quindi, tu avresti mentito per.. Stare con me?” Sfiatò, guardandolo con gli occhi lucidi e increduli.

“Beh, l’intendo era quello, si.” Borbottò, incrociando le braccia al petto.

“Sei.. Adorabile.” Biascicò, avvicinandosi a lui e abbracciandolo, appoggiando la testa sul suo petto.

Bill, sorpreso, non potè fare altro che accoglierla tra le sue braccia e stringerla. Stringerla perché era consapevole che presto, prima di quanto pensasse, non avrebbe più potuto farlo e non si spiegava il perché.. Non si riusciva a spiegare come una ragazza potesse essergli entrata così tanto nel cuore, nonostante la conoscesse da appena due giorni.

“Però..” Mormorò Abigail, rimanendo stretta al suo corpo. “Suppongo che adesso te ne dovrai andare.” Bisbigliò con la voce incrinata.

“Temo di si..” Sussurrò nel suo orecchio, con gli occhi tristi. “Sai dov’è l’hotel Hilton per caso?”

“Temo di si.” Annuì stancamente. Eccome se lo sapeva, ci era passata davanti un sacco di volte. “Domani ti ci porto.”

“Non essere triste.” Sorrise Bill, per quanto potesse riuscirci “Ci possiamo rivedere.” Le alzò il mento con un dito, costringendola a guardarlo negli occhi, perdendosi nei suoi grigi. Stupendi.

Abigail annuì, per poi.. Presa da una frenesia tutta sua, avvicinarsi al viso di Bill e lasciarli un soffice bacio sulle labbra. Un bacio timido e leggero, sicuramente diverso da tutti quelli mai ricevuti da Bill, in una vita intera.

“Buonanotte, Bill” Mormorò, accoccolandosi al suo petto e cercando di prendere sonno.

Come faccio ad andarmene?

 

***

 

“Eccoci..” Mormorò Abbie, guardando dritto avanti a sé, dove si ergeva l’enorme hotel a cinque stelle. L’hotel Hilton.

“Eccoci..” Ripeté assorto Bill, osservando quasi sprezzante l’albergo di fronte.

“Senti, non mi va di fare la melodrammatica, non voglio inscenare un addio degno delle telenovela.” Sorrise, guardando il marciapiede. “Quindi ora abbracciami e.. Ci vediamo, si.” Annuì, più a se stessa che al ragazzo, stendendo le braccia verso di lui.

Bill, dal canto suo, non potè fare altro che avvicinarsi a avvolgere il suo corpo magro e snello con le sue braccia rachitiche ma comunque forti. La strinse con prepotenza, quasi.
Gli sembrava assurdo e insensato, ma non voleva lasciarla.

“Ci vediamo Abbie, promesso. Il mio numero ce l’hai” Annuì, scostandosi e baciandole una guancia, pericolosamente vicino all’angolo delle labbra. Un bacio sulla bocca, però, avrebbe reso le cose tremendamente più difficili. Per lui, almeno.

“Stammi bene e la prossima volta che vuoi fare un giro da solo in un posto che non conosci, portati dietro il cellulare” Ridacchiò, allontanandosi di qualche passo.

“Lo terrò a mente.” Sbuffò una risata, mettendo la mano sull’enorme maniglia d’orata dell’hotel.

La stavano buttando sullo scherzò, ma il magone che attanagliava entrambi era forte e potente.

Ed ora, la parte più difficile.

 

“BILL KAULITZ!” Strillò una voce adirata alle sue spalle, si girò verso la hall, trovando davanti a sé tutti i componenti della band, il suo manager, due poliziotti e l’intero staff.

“Ehi..” Sorrise nervoso, alzando un braccio vicino al viso. “Come va?”

“Bill.” Tom fece un passo avanti, aveva due profonde occhiaie violacee sotto gli occhi e questi ultimi sembravano iniettati di sangue. “Te lo giuro, se non cominci a correre ti inchiodo un tacco nel cervello.” Sillabò, apparentemente tranquillo, sfoggiando una scarpa con un tacco di minimo otto centimetri nella mano destra. Probabilmente era di Dunja.

Gettò un’occhiata al resto della comitiva: lo staff aveva le mani nei capelli e lo guardavano sconsolati, Georg e Gustav sembravano nelle stesse condizioni di Tom, ma almeno loro se ne stavano al proprio posto e lasciavano che Tom sfogasse la sua ira funesta anche da parte loro. David aveva lo sguardo da pazzo e parlava concitato con gli agenti, probabilmente spiegando che era, più o meno, tutto a posto.

“Tomi.. Posso spiegare.” Pigolò spaventato, allargando gli occhi, che divennero enormi e lucidi.

“Stai zitto.” Ruggì, prendendo a correre.

Almeno ne è valsa la pena.
Abbie..

 

***

 

“Complimenti ragazzi! Ottima performance.” David Jost si avvicinò ai suoi ragazzi, picchiettando una spalla a Georg, che sorrise raggiante.

“Grazie Dave” miagolò il bassista, portandosi alla bocca una bottiglietta d’acqua.

“Bill, bravo anche tu.” Borbottò, guardandolo di traverso. “Ma sono ancora profondamente arrabbiato con te.”

“Si lo so, lo so.” Fece un gesto con la mano, rintanandosi nella zona relax, subito seguito da Tom, mentre Georg e Gustav si preparavano per l’after show.

“Che ti prende?” Sorrise il chitarrista. A lui la rabbia era passata in fretta, in tempo di lanciargli dietro i tacchi di Dunja e già lo aveva abbracciato come non aveva mai fatto. Si era preoccupato a morte. “Sei stato bravo, si. Ma ti trovo fiappo.” Appoggiò la testa su una spalla, sorridendo dolce.

“Mi manca Abbie.” Mormorò malinconico. La notte del suo ritorno l’aveva passata nella sua suite con Tom, raccontandogli la sua avventura nei minimi dettagli, non tralasciando nemmeno il particolare più superfluo.

“Non disperarti, la rivedrai.” Gli diede una pacca fraterna sulla spalla.

“Non ne sono convinto, anche se ha il mio numero.. Non credo mi chiamerà.” Abbozzò un sorriso mesto, convinto delle sue parole.

Non lo farà perché tanto.. Che senso avrebbe?

 

Salì sul minivan nero, sedendosi accanto a Tom e infilandosi le cuffie dell’ iPod nelle orecchie, guardando nostalgico fuori dal finestrino.

Gli sarebbe mancata Los Angeles, gli sarebbe mancato l’hotel Hilton. Gli sarebbe mancata lei.. Gli sarebbe mancata veramente, perché in sua compagnia era riuscito a sentirsi apprezzato davvero, non per i soldi, non per la fama. Per essere se stesso e basta..

Si era sentito normale.

Sospirò mentre il minivan partiva con un rombo. Guardò il nugolo di fan che lo acclamavano in strada, reclamando un autografo o una fotografia insieme a lui.

Non ho voglia, ragazze.

E mentre si apprestava a cambiare canzone, il suo sguardo incrociò due occhi grigi che lo osservavano sorridenti attraverso il vetro leggermente oscurato del minivan.

Si agitò ansioso sul sedile, prendendo la mano di Tom e saltellando sul posto, incapace di formulare una frase di senso compiuto, mentre il fratello lo guardava come se fosse un bambino ritardato.

Riuscì solamente a sporgersi verso la postazione dell’autista, con espressione allarmata e impaziente.

“FRENA!”

 

  
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