105.
Solo le
cose candide sono dimenticabili
~
Un mezzo sorriso puntò
dal viso grondante di sangue –
a prendersi gioco dei suoi occhi dilatati a raccogliere tutta la paura
di quel
dannato momento.
Un mezzo sorriso leggero come un’illusione, poi svenne tra le
macerie ancora
fumanti.
Batté le palpebre un paio
di volte sotto la vivace
luce dell’infermeria e un ansito gli sfuggì dalle
labbra contratte: non
riusciva a muoversi.
«Cazzo…» sibilò, prima che
uno sbuffo di fumo sottile entrasse all’ estremità
del suo campo visivo. «Cuoco, sei tu?»
Qualche secondo dopo, anche la zazzera bionda del cuoco gli
riempì gli occhi,
mentre quello appoggiava i gomiti sulle ginocchia foderate di velluto
nero;
come al solito inspirò una breve boccata di fumo e, solo
dopo, si espresse in
un aspro grugnito.
Zoro provò anche a roteare gli occhi, ma aveva la sensazione
che anche le
pupille gli facessero male – sbattendo all’interno
delle cavità oculari.
«Se sei qui a rompere le palle, non sono in vena»
mugugnò, senza ricevere
risposta.
Sanji sospirò profondamente, poi allungò le gambe
fino ad incrociare le lucide
scarpe sulle lenzuola candide, sfiorandogli la gamba fasciata
«Sei abbastanza
vivo da lamentarti?» Gli fece, appoggiando comodamente gli
avambracci ai
corrimani della poltrona di Chopper.
«Mpf, sì» replicò lo
spadaccino, limitandosi a girare impercettibilmente il
capo.
«Ritrovarti per l’ennesima volta bendato come una
mummia mi riempie di gioia,
Marimo» lo stuzzicò Sanji, ricevendo un’
imprecazione in risposta.
«Cuoco, non ho voglia di starti a sentire. Vattene»
sbottò Zoro, pensando che
le prese in giro dell’altro erano l’ultima delle
cose che desiderava in quel
momento.
La cenere della sigaretta scivolò silenziosamente a terra,
seguita dal
mozzicone stesso che venne schiacciato con violenza dal cuoco, mentre
si alzava
di scatto.
«Ora invece mi stai a sentire Marimo! E’ mai
possibile che devi andartene al
macello ogni santo giorno?»
Zoro provò, con un singulto alquanto patetico, a scrollare
indifferente le
spalle. Maledizione, gli dolevano anche quelle!
«Perché non ti fai gli affaracci tuoi, dannato
torciciglio?» Poté solo
ringhiare, immobile.
Sanji spedì un calcio veloce alla tastiera del letto che
traballò, trasmettendo
un insolito tremore anche alla testa dell’altro
«Sei. Un. Idiota.» Scandì Zoro,
con la mezza idea di farlo sbattere fuori da Chopper, con la scusa che
gli
stesse distruggendo tutta la camera.
Il biondo emise un verso di disgusto «Tu e la tua dannata mania
di fare
la prima donna… si può sapere a che cazzo ti
serve?»
Come se quello non fosse stato un discorso già ampiamente
sciorinato da tutta
la ciurma – soprattutto da Nami – e da
un’altra mezza dozzina di gente che non
centrava un emerito cazzo con la sua vita.
Zoro sbuffò seccato, sentendo la pelle ribollire per la
frustrazione di non
potersi muovere ad affettarlo, poi lo fissò «Lo
sai il perché, maledetto
cuocastro!»
«Oh, in realtà no» ribatté
quello, buttandosi sulla sedia. «Spiegamelo, già
che
sei lì a marcire».
Una vena si riempì sulla fronte accaldata dello spadaccino,
giacché il
desiderio di menarlo gli stava pompando il sangue nelle vene; purtroppo
– come
gli aveva gentilmente ricordato – non poteva scappare.
«Devo diventare più forte» disse solo,
piantando lo sguardo al soffitto. «Lo
sai» aggiunse, quasi a mo’ di rimproverò
che l’altro, però, non colse.
Un sospiro trattenuto sfuggì alle labbra sottili del cuoco,
che cominciava
seriamente a credere che quel decerebrato fosse una specie di cyborg,
altro che
Franky.
«Per diventare lo spadaccino più forte,
non hai bisogno di andare a
morire contro tutti i nemici di questo Mondo»
replicò stancamente: un discorso
trito e ritrito divenuto sempre più presente su di loro,
come una membrana
opprimente ma quasi impercettibile.
Tuttavia non poteva farci niente.
Quello stupido incosciente lo avrebbe fatto morire di crepacuore, un
giorno, e
il suo spirito gli avrebbe infestato quel cervello bacato che si
ritrovava.
Dal canto suo, Zoro avvertiva che quelle continue spiegazioni
lo stavano
sfibrando dall’interno. Odiava, odiava con tutto se stesso
dover spiegare a
parole qualcosa che non poteva essere visto, ma solo sentito
– avvertito,
semplicemente, con l’anima.
Si girò a fissare quel cretino, con gli occhi colmi di una
rabbia che non aveva
nulla a che vedere con le ferite o le fasciature o la sua stupida
insistenza
«Sì, invece. E’ necessario. Come la
ferita di Mihawk, come i tagli di Kuro,
come il sacrifico con lo Shichibukai» sibilò,
apparentemente pacato, ma era
Sanji a perdere vistosamente la pazienza.
«Tu sei un perfetto idiota!» Sbottò,
alzandosi di nuovo. «Se sei tanto
convinto, allora fai come cazzo ti pare!» Concluse, facendo
qualche passo verso
la porta.
«Io… ho promesso di essere lo spadaccino
migliore… e per farlo devo essere ricordato
dalla storia» ribatté Zoro, con voce
flebile a causa dello spasimo che gli
saliva per il braccio sinistro.
Sanji si girò a fissarlo «A cosa serve tutto
questo sangue?»
L’altro ghignò, anche se ben presto
sfumò in una smorfia di dolore «Solo le
cose candide sono dimenticabili. Sono banali, mediocri.
Io non voglio
essere mediocre».
E se quello stupido di una Testa D’alga poteva vantarsi di
aver combinato
qualcosa di buono nella vita, quella confessione strappata al dolore
poteva
facilmente annoverarsi tra le prime due.
Si era spiegato chiaramente – forse
per la prima volta.
E Sanji lo aveva sentito, ma delicatamente sulla pelle.
Con un sospiro e una scrollata del capo, il cuoco accese una nuova
sigaretta
infilandosela tra le labbra quasi rassegnate «Piantala di
startene senza fare
niente e muoviti a renderti utile,
Marimo-sminuzzato…» sibilò, per poi
uscire
silenziosamente.
N/a
La fiction partecipa sempre al
“A year together” del
Collection of Stalirght, prompt in alto.
Spero come al solito di aver descritto bene la psicologia dei due
personaggi,
nel caso fatemi sapere.
Scusatemi ma sono troppo stanca per scrivere due parole in
più XD
Buona lettura!