Per sempre tua
Ti
svegli lentamente, concedendoti tutto il tempo necessario per alzarti.
Non
hai fretta: è domenica, non hai bisogno di scattare in piedi ed iniziare a fare
le solite corse mattutine. L’ufficio è chiuso. Non sei in ritardo.
E’
domenica, punto.
Ti
rigiri un po’ nel letto, godendo del raggio di sole che ti si poggia
delicatamente in viso, scaldandoti lo stretto necessario. Fai per distenderti
meglio, abbracciando il soffice cuscino alla tua destra, strusciando i piedi
fra le lenzuola morbide…
Eppure
c’è un qualcosa che ti impedisce di stare al meglio: cerchi di capire cosa sia,
socchiudendo gli occhi, ed è in quel momento che ti accorgi della mano che sta
ferma lì, sul tuo petto.
La
vedi e ti chiedi come sia possibile che ti sia dimenticato di lei, anche solo
per quei pochi momenti: lei è lì con te, alla tua sinistra, sdraiata al tuo
fianco.
Come
hai fatto a non ricordartene?
Ti
sembra impossibile che il tuo cervello sia riuscito a non pensare a lei in quel
breve lasso di tempo: lei che occupa tutto il tuo tempo, da diversi mesi a
quella parte.
Lei
che non è mai esclusa dai tuoi pensieri, nemmeno per un attimo… almeno fino a
dieci minuti fa.
Lei
che ti ha stregato.
Non
credevi sarebbe mai successo: convinto di essere invincibile, perfetto e
invulnerabile.
Perché
non avevi mai provato veramente l’amore.
Non
ti eri mai innamorato.
Eri
arrivato a convincerti che non esistesse.
Se
i tuoi amici ne parlavano, o si presentavano in casa tua nel cuore della notte
in lacrime, tu che facevi? Gli ridevi dietro. Ridevi della loro ingenuità.
Divertito
dal fatto che fosse per loro così facile essere resi deboli da una donna.
Tutto
perché non avevi conosciuto lei.
Lei
che ti è svenuta fra le braccia in metropolitana.
Lei
che hai accompagnato in ospedale.
Sempre
lei: con i suoi capelli neri, e i suoi occhioni neri. Quegli occhi che
sembravano un pozzo senza fine, e che poi quando sorrideva, come per incanto,
iniziavano a brillare.
La
prima volta che ti ha sorriso il tuo
cuore ha mancato un battito.
E
tu non volevi crederci, ma era così: ti piaceva, e tanto.
Ma
proprio tanto, e da tempo non ti succedeva.
Hai
imparato a conoscerla, amando ogni suo più piccolo gesto: come si mordeva i
capelli quando era nervosa, come si leccava le labbra quando era in difficoltà…
E
così via, sempre di più.
Sorprendendo
te stesso con la tua gentilezza, con i tuoi modi di fare: perennemente
concentrato su di lei, sulle sue esigenze. Scoprendoti più volte a studiare e
osservare solo lei: di cui non riuscivi più a fare a meno.
Lei
che era diventata unica per te.
E
quando i tuoi amici cominciarono a prenderti in giro, perché volevi che la
incontrassero, bè non riuscisti nemmeno a prendertela: perché avevano ragione,
te lo meritavi.
Tu,
quello che non credeva nell’amore, si era dannatamente e irrimediabilmente
innamorato.
Innamorato
perso.
Ormai
avevi capito di esserlo.
Dentro
di te lo sapevi gi da un pezzo: da quando ti era scappato il primo grazie con
lei, da quando avevi accettato di andare a fare volontariato al canile pubblico
con lei, o avevi passato la domenica del football con suo nipote.
Ma
non importava: avresti fatto di tutto per lei.
Perché
in fondo, ti aveva rubato il cuore.
E
ora guardi la sua mano, quella che hai baciato un’infinità di volte, quella che
ti ha accarezzato ovunque, quella che potresti riconoscere fra mille.
La
manina di lei: bianca, sottile, poggiata sul tuo petto. E il respiro diventa
affannoso, mentre realizzi che lei è sdraiata a pochi centimetri da te, che la
sua coscia è avvinghiata alla tua gamba e che quel peso leggero che sentivi
sullo stomaco, è la sua testa.
Cerchi
di calmarti, di rallentare il battito del cuore che sembra essere impazzito,
perché temi di svegliare lei, sempre lei, ancora la stessa.
Lei
che dorme nel tuo letto da undici mesi.
Lei
che passa con te tutto il tuo tempo libero.
Lei
di cui non ti sei stancato e non ti stancherai mai,
Lei…
Lei
che è la prima per te in quel senso: la prima a rapirti in questo modo, l’unica
ad aver dormito con te per più di una notte, la sola.
E
ripensi a quegli occhi: quelli che hai provato tante volte a disegnare, quelli
che hai ripreso in centinaia di fotografie. Ma nessuno schizzo o scatto è
riuscito a riprodurre quello scintillio.
Quel
brillare leggero, dolce, ammiccante, spavaldo e provocante.
Il
luccichio che cerchi sempre.
Quello
al quale sei legato a doppio filo.
E
poi senti scendere una lacrima per la guancia.
La
senti scivolare, seguendone il percorso fra te e te, fino a che non la senti
che ti si ferma sulle labbra e a quel punto la assapori, godendo del suo sapore
amaro.
Piangi,
e lo sai: conosci benissimo il perché, ma non vuoi ammetterlo a te stesso.
Stringi
forte gli occhi e poi lentamente li riapri, conscio della fitta lancinante di
dolore che attraverserà quello che resta del tuo cuore.
Abbassi
lo sguardo sul tuo petto, dove or ora si è spostata l’inclinazione del sole, e
lì, nel mezzo di quello sprazzo di luce non c’è niente: nessuna mano.
Sai
di essertela sognata: ti succede sempre.
La
stessa storia ogni mattina…
…
ogni pomeriggio, ogni notte. In continuazione.
Sogni
lei, lei che non c’è più.
Lei
che è morta nello stesso modo in cui l’avevi conosciuta: svenendoti fra le
braccia nella metro.
Ironia
del destino?
No:
aneurisma cerebrale.
Letale.
Morte
istantanea.
Lì
per lì hai gridato, cercando di farla svegliare: ignorando il fatto che non
respirasse più, che quell’esile petto non si muoveva più.
Ignorando
il fatto che non lo avrebbe fatto mai più.
E
poi seguirono la rabbia, quindi la disperazione.
E
ora?
I
sogni, la tua tortura quotidiana: quelle immagini terribili, quelle torture
indefinibili.
Il
ricordo di lei: il suo profumo, una canzone, un cane… tutto riportava il tuo
pensiero a lei.
Alle
volte ridi di te: tu che eri invincibile, distrutto da te stesso.
No,
distrutto da lei.
Lei
che non si sveglia più con te, la cui mano non si poggia più sul tuo petto. Lei
che non ti sorride più, riuscendo a farti ridere nei momenti più bui,
proteggendoti da te stesso.
Lei
che non c’è più.
Dai
un pugno rabbioso alla testata del letto, accogliendo il dolore con un sorriso.
E’
quello che ti meriti: perché non l’hai salvata.
Tutti
ti hanno sempre detto che non avresti mai potuto fare niente, perché era
inevitabile.
Ma
tu continui a tormentarti, sentendoti male al pensiero che non hai capito:
perché non ti sei mai realmente preoccupato del fatto che la prima volta ti è
svenuta fra le braccia.
Tu
lo hai preso come un segno del destino.
E
ora lei è morta.
Poi
succede: il raggio di sole si sposta ancora, riflettendosi sullo specchio.
E
tu segui la luce con lo sguardo involontariamente, e la vedi fermarsi su una
delle tante foto che hai attaccato lì: su una foto di lei.
E
la luce del sole ci riesce: fa brillare ancora una volta i suoi occhi.
Li
osservi brillare, lì davanti a te.
E
ridi…
Ridi
fra le lacrime.
Sorridendo
a quello scintillio, quello che ami con tutto te stesso.
E
continui a sorridere, perché una parte di te sta un po’ meglio. Perché senti
che lei in qualche modo è ancora lì con te.
E
sai che sarà con te per sempre, anche quando sarai riuscito a ricostruire il
tuo cuore: una parte di esso sarà sempre e solo sua.
Di
lei che non dimenticherai.
E
ti sembra quasi di sentire la sua voce, mentre lo scintillio svanisce:
“Amore,
ci sono io con te”
E
il sorriso non ti sparisce dalle labbra.
Lei,
in fondo lo sai…
Sarà
per sempre tua.
*