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Autore: bibie    23/02/2010    0 recensioni
Non potevo resistergli, nonostante lo odiassi, lo amavo ancora. Che cosa voleva il mio cuore freddo non lo sapevo neanche io, fatto sta che stavo ricambiando il suo bacio. Un bacio che non ricordavo così passionale e dolce. Una vampira, il suo creatore e l'umano...
Genere: Triste, Sovrannaturale, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Questa è la prima storia che posto qui. Spero di trovare qualche recensione al mio ritorno. Ahahahaha. Okay, grazie in anticipo! Bacio a tutti


Primo Capitolo. - Nuovo inizio.
Mi sembrava impossibile fuggire da quell'inferno, ma ce l'avevo fatta. Fuori da quella città così buia e sporca. L'unica cosa che rimpiangevo era Liz. In quella città così fuori dal comune, unica nel suo genere, lei era stata l'unica persona ad aiutarmi e sostenermi in tutte le mie strambe idee.
   «Perché stai fuggendo?», mi aveva chiesto poco prima che partissi.
   «Non sto fuggendo, Liz», le avevo risposto molto vaga. «Sto solo cambiando aria. Mi sono stancata di questa vita». Volevo andare in un posto in cui non mi conoscesse nessuno, così che non avrebbero avuto informazioni sul mio passato e non potessero giudicarmi per quello che avevo fatto. Ero un emarginata in quella città.
   Così presi la mia macchina e mi misi sulla strada, senza una meta.
   Mi ero fermata ad un distributore per far rifornimento e vidi il nome di una città. Sembrava bello, soleggiato e così decisi di dirigermi lì.
   Seguii le indicazioni e arrivai nella bella città. Era proprio come l'avevo immaginata leggendone solo il nome.
   Feci un paio di giri e mi fermai sulla spiaggia a sud, dove c'erano delle villette. Avevo abbastanza soldi per pagarmi l'affitto per quasi due anni, comunque avrei potuto trovarmi un lavoro solo per distrazione.
   Parcheggiai la macchina e chiamai il numero che c'era indicato sul cartellone.
   «Pronto?», mi rispose un uomo.
   «Salve, sono Blair Clark. Sarei interessata ad affittare una delle sue villette sulla spiaggia».
   «Oh, sì. Vorrebbe vederla?».
   «Sì, esatto. Quando potrebbe mostrarmela?», chiesi.
   «Anche domani alle 9, signorina».
   «Perfetto!».
   «Come ha detto che si chiama?», mi chiese.
   «Blair Clark», ripetei. Lo salutai e rimisi in moto l'auto. Un altro giro e trovai un bell'hotel a 5 stelle. Sì, volevo stare comoda almeno per una volta.

La mattina dopo pagai l'albergo e andai al luogo dell'appuntamento. Il cielo era nuvoloso, sembrava voler piovere.
   Parcheggiai nello stesso posto del pomeriggio precedente e quando avvistai un uomo in giacca e cravatta che poteva essere l'agente immobiliare, scesi e lo raggiunsi. Rimasi colpita dalla sua giovane età e dal suo bell'aspetto. Era alto, moro e dai profondi occhi verdi bluastri.
   Mi vide e rimase un attimo immobile a fissarmi a bocca aperta. «Blair Clark?», chiese incerto porgendomi la mano.
   «Sì». La strinsi con fermezza e sorrisi.
   «Sono Christopher Davis. Venga, le faccio vedere la casa», disse cortesemente. Mi fece segno di entrare.
   La villetta era bellissima. Pareti bianche, mobili nuovi e moderni, proprio come piacevano a me. Il salotto era spazioso ed il divano era semplicemente enorme, avrei potuto anche dormirci. Mi aprì tutte le porte mostrandomi le tre enormi stanze e i due bellissimi bagni. «Verrebbe a stare qui da sola?», mi chiese quando tornammo in salotto.
   «Sì», gli sorrisi.
   «Queste villette sono nuove», m'informò. «Comunque l'affitto è abbastanza alto, credo sia meglio per lei cercarsi un coinquilino», mi propose.
   «Sono in grado di pagarlo», ribattei secca. «Sono un tipo solitario».
   Lui alzò le sopracciglia e mi portò in cucina. Corrugai la fronte e scossi la testa per il suo comportamento sgarbato.
   «La cucina è grande e se a lei piace cucinare è perf...».
   «Senta...», lo interruppi. Schioccai le dita cercando di ricordarmi il suo nome.
   «Christopher».
   «Ecco, Christopher. Dove devo firmare?».
   «Ha deciso di prenderla?».
   «Sì, lo avevo deciso da ieri quando l'ho chiamata», risposi sarcastica.
   «Oh, ma ieri lei ha parlato con mio padre».
   «Sì, non importa. Mi faccia vedere il contratto e le pago anche il mese subito se vuole», dissi brusca. Lui mi guardò male e tirò fuori dalla sua 24ore un documento.
   «Lei è nuova da queste parti?», chiese curioso. Ma le mie rispose brusche non lo avevano messo a tacere? Insistente il ragazzo.
   «Sì», dissi firmando il contratto. «Quando posso occupare la casa?».
   «Anche subito se mi paga il mese in anticipo». Gli pagai in contanti e lo accompagnai alla porta. Mi diede le chiavi della casa e del garage. «Qualsiasi cosa le serva, può chiamarmi subito», disse porgendomi il suo biglietto da visita. Gli sorrisi forzatamente e gli chiusi la porta in faccia.
   Sbuffai e mi sedetti sul divano, spaparanzata. Che tipo strano quel Christopher. Nonostante avessi fatto l'antipatica lui mi aveva trattata bene. Sarà il suo lavoro, pensai.
   Uscii per prendere la mia roba che era rimasta in macchina e approfittai per metterla in garage.
   Prima di rientrare in casa qualcuno mi urlò: «Ciao!». Mi fermai e mi girai per guardare bene in faccia la ragazza. «Io abito qui di fianco», disse indicando la sua casa. Le sorrisi mentre lei mi raggiungeva. Mi porse la mano, e si immobilizzò al tocco della mia mano. Era come se una scossa avesse attraversato i nostri corpi. Avvertivo anche io qualcosa di strano nella sua calda pelle. Lei scosse la testa e sospirò.
   Forse solo un equivoco e più che altro non mi andava di fare nuove amicizie. Non mi fidavo più di nessuno. Preferivo stare da sola, almeno fino a quando non mi fossi abituata alla nuova città e alla nuova situazione. «Io sono Eden, Eden Martines», disse poi sorridendo come se niente fosse. Aveva occhi castani a mandorla e lunghi capelli lisci che le arrivavano quasi fino al sedere, tipica ragazza sudamericana.
   «Blair, Blair Clark», precisai e le strinsi la mano.
   «Non sapevo che venisse ad abitare qualcuno qua, mi avvisano sempre quando c'è qualche visita».
   «Sì, ho fatto in fretta. Non hanno avuto tempo».
   Lei rise della mia battuta. «Senti, per qualsiasi cosa, puoi venire a bussare da me». Ma perché questa gente è così cordiale e gentile?
   «Grazie», le risposi forzatamente. Non era una delle parole da me più usate. Fece per girarsi. «Eden», la fermai ricordandomi stranamente il suo nome. «Sai per caso se da queste parti hanno bisogno di una cameriera o qualcosa del genere?».
   «Vuoi un lavoro?».
   «Sì, esatto».
   «Io lavoro in un pub, lì stanno cercando delle cameriere e bariste. Ci sai fare?».
   «Me la cavo...», le dissi sorridente.
   «Allora puoi venire con me questa sera. Ti presento il capo e gli darò una buona parola su di te».
   «Grazie mille», e quel “grazie” uscì incredibilmente più facile dalle mie labbra.
   Entrai in casa e ripensai a tutto quello che era successo nella mia vita. Come era diversa quella città dalla mia. Avevo fatto bene a cambiare aria. Eden sembrava una brava ragazza ed una buona vicina, così rimasi a vagare per la casa, spostando i mobili dove mi sembrava meglio che stessero, quando suonarono alla mia porta.
   Era già sera e vidi dalla finestra Eden. Era passato molto tempo da quando mi aveva lasciato, eppure io non me n'ero accorta. Forse ero talmente abituata alla solitudine che per me il tempo passava troppo velocemente.
   «Ehi, pronta?». Dovevo prepararmi? Ah, già.
   «Scusami, stavo mettendo apposto i mobili. Due secondi sono da te», la feci entrare e sedere sul divano. Andai nella camera che avevo scelto come mia stanza, presi la borsa con i vestiti che mi ero portata e presi i miei pantaloni neri, stretti. Mi misi una camicetta bianca a maniche corte e un gilet nero, magari il capo di Eden mi avrebbe preso a lavorare subito come barista.
   Mi vestii in quattro secondi e mezzo, senza esagerare, non volevo far perdere tempo ad Eden. Scesi da lei, presi la mia borsa ed uscimmo.
   Lei si dirigeva verso la strada. «Dove stai andando?», le chiesi.
   «A prendere l'autobus», mi rispose tranquillamente lei.
   «Autobus? E quanto ci si mette?».
   «40 minuti circa».
   «Quara... Senti, prendiamo la mia macchina. In macchina quanto ci si mette?».
   «Un quarto del tempo. Non sapevo avessi una macchina».
   «Già». Aprii il garage e tirai fuori l'auto. «Salta su», le gridai.
   In un quarto d'ora raggiungemmo il locale.
   Entrati, mi guardai attorno. Che bello vedere facce nuove e sopratutto cordiali che non ti guardavano male. Era tutto dannatamente diverso dalla città dove sono nata. Mi sembrava di stare in paradiso, se sempre per me fosse possibile.
   «Ciao piccola», la salutò con un bacio sulla fronte un biondino. Aveva all'incirca ventotto anni, non di più. «Sei in anticipo». Il suo capo era anche il suo ragazzo?
   Lei lo abbracciò e poi si girò verso di me. «Ethan», richiamò la sua attenzione, «lei è Blair, una mia amica che avrebbe bisogno di un posto di lavoro. Hai qualcosa per lei?».
   Lui si avvicinò a me e mi squadrò dalla testa ai piedi. «Sì,» disse toccandosi il mento con l'indice. «Ma dovrei fare un colloquio con lei», disse indicando il suo ufficio.
   Ci entrai e lui si accomodò sulla sua sedia di pelle. Mi guardò con occhi socchiusi e sorrise.
   «Da dove vieni?».
   «Da molto lontano», dissi distaccata, ma poi lui mi guardò con un sopracciglio alzato. «Dimlight», dissi controvoglia.
   «Immaginavo...», corrugai la fronte e rimasi lì a fissarlo. «Ho capito cosa sei...», disse tranquillo.
   «Cosa sono?», chiesi curiosa inclinando la testa di lato.
   «Sei una vampira. Ormai ho imparato a riconoscervi». Sgranai gli occhi e mi allontanai con la sedia da lui. Forse era un cacciatore. Mi tenni stretta alla sedia, in posizione di attacco, la stavo quasi per rompere. «Tranquilla... non sono un cacciatore», disse alzando le mani.
   «Co... come...?», scossi la testa.
   «Perché sei scappata?», m'interruppe.
   Abbassai la testa e mi rassegnai. «Come fai a sapere tutte queste cose?». Lui fece spallucce. «Lavoravo per un certo Kozer e...»
   «Ryan Kozer?», m'interruppe ancora. «Lo spacciatore?».
   «Sì. Lui. Mi minacciava. Aveva preso mio fratello. Gli trovavo il sangue e quando non trovavo qualcuno disponibile, ammazzavo qualche vampiro o gli davo il mio di sangue.»
   «Gli fornivi il VP?». Il Vampire Potion era ormai la droga che girava di più tra gli umani a Dimlight. Kozer era lo spacciatore più fornito. Ah se sapessero cos'era quella droga.
   «Sì».
   «Perché non bevi sangue umano?», chiese.
   «E tu che ne sai?», chiesi minacciosa.
   «Avrei sentito al tg di qualche omicidio in città e poi avresti già ucciso Eden», alzò le spalle. Aveva ragione infondo.
   «Non sono come Kozer... Anche io sono stata umana e non voglio sterminare la loro razza come sta facendo Kozer a Dimlight. Ormai gli umani sono pochi».
   «E tuo fratello? È scappato con te?».
   «No. Kozer l'ha ucciso», dissi cupa.
   «Mi dispiace».
   «Non farlo. Senti, me lo dai questo lavoro o devo tornare da Kozer? Sì, magari mi nutro di te e poi gli do il mio sangue per vedere se gli piace. È un sacco che non mi nutro di sangue umano. Si sentirebbe subito nel VP», dissi, ma sicuramente non l'avrei privato della sua vita, ero solo un cane che abbaiava ma non mordeva.
   Rise. «Sei assunta. Mi piace il tuo caratterino». Mi alzai per uscire dal suo ufficio. «Non uccidere i miei dipendenti», disse sorridendo.
   Mi girai sorridendo. «Non mi abbasso a questo livello». Sorrisi ancora ed emisi un verso di autocompiacimento. Uscii con classe ed andai al bancone a sedermi ed ammirare quello che sarebbe stato il mio squallido posto di lavoro. Parlare con Ethan mi aveva messo tristezza. Mi ricordai di mio fratello Brian, eravamo stati trasformati solo 24 anni prima. Eravamo ancora vampiri neonati. Avrei dovuto avere 43 anni adesso, ma ero intrappolata nel corpo di un eterna diciannovenne.
   Un dito sulla mia spalla mi fa girare di scatto. Era Eden.
   «Ehi, allora?», mi chiese.
   «Allora mi avrai come collega di lavoro. Comincio domani».
   «Grande!», esultò poi uno dei clienti la chiamò e lei dovette lasciarmi. La fermai. «Eden, a che ora stacchi?»,
   «Alle 3, quando Ethan chiude».
   «Ti porta a casa lui?», chiesi e sperai che fosse un sì, perché avevo bisogno di cacciare, non potevo rimanere ad aspettarla.
   «Sì, come sempre», mi confermò lei.
  
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