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Autore: itsmemarss    24/02/2010    0 recensioni
Sophie, Lizzy, Megan, Chloe ed Emma sono cinque ragazze come tutte le altre. Ognuna però vive l'amore a modo suo e qualcosa sembra unirle a coloro che amano - che il loro legame sia giusto o sbagliato - il filo rosso: quello che, secondo una leggenda, legherebbe due persone per tutta la vita. Non puoi provare a disfarlo o rompere il legame, perchè non porterebbe altro che infelicità. Eppure le persone si ribellano al destino, a una forza più grande di loro che sembrerebbe decidere la loro vita prima ancora che nascano. E, irrimediabilmente, finiscono per rimanere deluse e tristi. Allora perchè ci si ostina a non ascoltarlo? Cosa costerebbe per una volta seguire il filo invisibile? - Leggete e lo scoprirete!
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo sempre adorato i ragazzi più grandi di me di qualche anno. Matt, Lucas, Alec… e potrei continuare la lista ancora per molto. Molte mie amiche avevano cercato di psicanalizzarmi nel corso degli anni, cercando di trovare un motivo a questa mia mania: bisogno di sicurezza, complesso di Edipo o forse semplice opportunismo. Nessuna di queste. Semplicemente li trovavo più affascinanti di altri. Eppure non mi sarei mai immaginata d’innamorarmi di lui, Paul Sanders. Aveva venticinque anni ed era il mio professore di matematica. In più era anche un adulto e non mi era mai capitato. Solo con diciottenni o al massimo ventenni. In fondo avevo solo sedici anni.

Tutto cominciò quando lo vidi insieme a una donna, mentre facevo shopping con alcune amiche. Nulla di strano visto, che c’erano coppie molto più… particolari. Ad esempio una vecchia signora sulla cinquantina era in compagnia di un giovane di appena vent'anni. Decisamente, una passione insolita. Allora perché avrei dovuto trovare strano che il prof avesse una fidanzata? Senza motivo, presi il cellulare dalla tasca e scattai una foto. Non dissi niente alle ragazze e, il giorno dopo, a scuola, feci l’errore di essere beccata a scrivere dell’accaduto alla mia amica, seduta due banchi prima di me. Avrei potuto usare un bigliettino, ma era rintracciabile e volevo che solo pochi fossero a conoscenza della cosa. Così optai per gli sms, ma fu un disastro totale.

Dopo le lezioni, andai in sala professori per farmelo ridare e, per paura che potesse leggere i messaggi, mi ritrovai a supplicare quel vecchiaccio di Sanders.

<< La prego, professore, me lo ridia. Abbia pietà di una come me. >> dissi, sbattendo le ciglia più volte e unendo le mani a mo di preghiera.

<< Okay, per questa volta la passi liscia, ma solo perché non posso resistere alle preghiere di una bella ragazza. Non scriverò niente sul registro, niente note, ma per il momento il cellulare lo terrò io. >> disse, sorridendo sotto i baffi.

<< Non può fare così, professore! >> dissi, afferrando il cellulare e togliendoglielo dalle mani. Bastarono un paio di click e sullo schermo apparve la foto che avevo scattato il giorno prima. Gliela mostrai. << Ecco, guardi qua. Ieri se l’è spassata proprio bene ed ecco la prova. >>

<< Quando l’hai scattata? >> sembrava sorpreso.

<< Non ha importanza. Potrei farla vedere in giro, a meno che- >> cercai di minacciarlo, sperando di riavere il cellulare senza troppi problemi.

<< Fa pure. >> per poco non mi venne un colpo. Aveva appena ammesso che non gliene fregava nulla, se quella foto faceva il giro di tutti gli studenti della scuola. Avevo i miei mezzi e anche i numeri di tutti i miei compagni di classe, che a loro volta lo avrebbero inoltrato ai loro amici, eccetera. Ma se la metteva così, la cosa era inutile.

<< Come? >>

<< Mostrala pure a chi vuoi. Non ho fatto niente di male. >> rimasi sorpresa dalle sue parole. Non ci potevo credere. << Certo, se giungesse alla commissione genitori-insegnanti avrei dei problemi, quindi per questa volta ti rendo il cellulare. >> fu l’ultima cosa che disse, prima di lasciarmi andare con il mio cellulare in mano. Era stato troppo facile.

Fuori dalla scuola, c’erano Emy e Kristal che aspettavano impazienti. Le conoscevo dall’inizio della scuola ed era con loro che passavo la maggior parte del tempo. Non si assomigliavano per niente tra di loro. Emy era bassina e bionda, mentre Kristal era una stangona e mora.

<< Allora, te l’ha ridato? >> mi chiese Kristal.

<< Vittoria! >> esclamai, sorridendo e mostrando il bottino.

<< Allora cos’era quella cosa incredibile che avevi visto? >> mi chiese Emy. Era con lei, che avevo massaggiato durante matematica.

<< Non ci crederete mai, ma il prof- >> cominciai a dire, ma poi qualcuno chiamò il mio nome e mi costrinsi a voltare. Si trattava di Mark, il mio attuale ragazzo. Aveva due anni più di me ed era all’ultimo anno di liceo. Mi accompagnava a casa tutti giorni sulla sua bicicletta, per lo meno quando nessuno dei due aveva allenamenti. Lui faceva parte della squadra di Football ed io delle Cheerleader. Non sapevo perché mi fossi iscritta. Forse perché così avrei potuto conoscere più ragazzi. O forse no. Era stata una cosa impulsiva. << Scusate, ragazze, ma devo andare! Ci sentiamo domani. >> urlai già dando loro la schiena e correndo incontro a Mark. Ci frequentavamo da poco, ma sapevo che aveva un incredibile fondoschiena e i capelli più belli del mondo. Ogni volta che ci baciavamo e vi ficcavo le dita, era come se toccassi della seta.

Ecco, non parlavamo mai molto, ma in compenso passavamo la maggior parte del nostro tempo a baciarci. Camminavamo tenendoci per mano fino al parco e, una volta arrivati lì, ci nascondevamo dietro un paio di cespugli. Facevamo cose leggermente spinte, ma lo fermavo non appena tentava di abbassarmi la gonna della divisa. Povero ragazzo. Lo facevo penare troppo, però almeno su questo ero stata chiara con lui: niente sesso, solo baci. Non mi andava di perdere la verginità con il primo che mi capitava a tiro, nemmeno se aveva un bel culo.

Tornando a casa, mi chiesi se anche il professore baciasse con la lingua. Mi sembrava una domanda naturale, ma quando m’immaginai il prof fare certe cose, be… arrossii di colpo e cercai di nascondere la mia espressione a Mark.

La mattina dopo, a scuola, ci stavo ancora pensando e fu così anche per molte altre mattine. Ogni volta che avevo matematica, osservavo Sanders e mi chiedevo che tipo fosse, cosa nascondesse sotto la camicia e la giacca da prof. Non sembrava un tipo troppo muscoloso, ma nemmeno magrolino. Ora che mi ero interessata a lui, mi facevo spesso domande del genere. Avrei tanto voluto slacciare quei bottoni, che mi prudevano le mani.

Purtroppo non ero l’unica a pensarla così. Metà della classe e dell’istituto la pensava allo stesso modo. In fondo era un bell’uomo, sui venticinque anni, dai tratti marcati e la mascella larga. Aveva gli occhi azzurri e i capelli castani, tenuti in ordine. Eppure, per quante ci provasse, alcune ciocche gli ricadevano sulla fronte dandogli un’aria sbarazzina e quasi infantile.

Ero talmente persa nei miei pensieri, che non mi accorsi che il prof stava dietro di me. Doveva aver notato il mio sguardo assente, così pensò bene di svegliarmi dandomi il registro sulla testa.

<< Hale, alla lavagna. Risolvi l’esercizio 26. >> mi ordinò, alzando la voce. Restia, mi avvicinai alla lavagna e cominciai a svolgere l’esercizio. Era un’ingiustizia bella e buona. Pensava di potermi comandare a bacchetta, solo perché era nato prima di me. Questo però significava anche che sarebbe schiattato prima di me. “Ben gli sta a quel vecchio porco!”, pensai.

Quando il prof vide che ero abbastanza preparata da non potermi dare una nota, decise di mandarmi a posto. Ma lo ferma prima, chiamandolo e indicandogli un punto sulla lavagna. << Scusi, professore, c’è una cosa che non capisco qua. >> dissi, indicando la scritta ‘vecchio porco’ che avevo tracciato col gessetto. In fretta si mise a cancellarla e ridacchiai senza farmi vedere. Prima che però potessi tornarmene al mio banco, Sanders mi ordinò di farne altri cinque di esercizi. Maledetto!

Iniziarono così tante piccole vendette personali ai danni del mio professore. Una di queste fu mettere tanti piccoli pezzi di carta con scritto a caratteri cubitali ‘vecchio porco, maiale’ eccetera nel suo armadietto. Purtroppo un giorno mi chiamò dopo le lezioni e mi disse che mi stavo trasformando in una piccola bulletta, mostrandomi i bigliettini che avevo scritto io.

<< Può forse dimostrare che sono stata io? >> dissi, annoiata.

<< Be… avresti potuto evitare di usare il retro del tuo compito, no? >> mi disse, voltando il foglio. Dietro c’era scritto il mio nome e una parte di una mia verifica, con relativo voto nella media. Sentendomi una stupida, chiesi di restituirmelo e lo infilai nella borsa. Quando però rialzai lo sguardo, notai che Sanders era seduto davanti a me, così vicino che le nostre ginocchia si toccavano. Mi sentivo strana, come se tanti piccoli brividi attraversassero il mio corpo.

<< Ora basta con la guerra, d’accordo? >> mi disse, sorridendo. << Ricorda che però le lettere d’amore sono ben accette. >> ecco che spuntava la sua perversione.

<< Ma lei ce l’ha già una ragazza, o sbaglio? Quella con la quale si stava sbaciucchiando quella volta. >>

<< Ti dispiacerebbe così tanto il ruolo di amante? >> mi chiese, mostrando un sorriso sghembo.

Credo fu allora che iniziai a provare qualcosa di davvero reale per lui. Se prima non lo sopportavo, ora sentivo il bisogno di baciarlo. Incredibile come la situazione si fosse capovolta, vero? Mi alzai di scatto, facendo cadere la sedia all’indietro, e sbattei forte le mani sul banco. << Certo che sì! >> quasi urlai, prima di prendere la borsa e uscire dalla classe.

Forse Sanders non riusciva a capire quanto fosse utile nella mia vita. Facendogli scherzi o parlando male di lui, rendevo ogni giornata meno monotona e più divertente. Un po’ una frase da ragazzina viziata, se ci penso.

Per colpa sua, iniziò a cambiare in peggio anche la mia vita sentimentale. Perché un giorno Mark mi chiese di fare sesso. Eravamo a casa sua e ci stavamo baciando come sempre. Poi dal nulla me lo chiese.

<< Non resisto più, perché non lo facciamo? >> nemmeno gli risposi e me ne tornai a casa a piedi. Non potevo farlo con lui. Nella mia mente avevo come deciso che se mai lo avessi fatto, sarebbe stato con il signor Sanders. Per questo sarei morta vergine, molto probabilmente, e forse anche zitella. In fondo non può un uomo vivere senza sesso quando è sposato. La regola del ‘vergine fino al matrimonio’ decade.

Sulla strada di casa, decisi che sarei andata a trovare il prof. Sapevo dove abitava e avevo voglia di sfogarmi con qualcuno. Così scelsi lui, piuttosto che infastidire mio fratello. Lo trovai, che stava innaffiando alcune piante del suo giardino. Aveva una grande casa, anche se sembrava occuparla tutto da solo.

Appoggiai un piede sul tubo della pompa e mi nascosi dietro alcuni alberi. Il prof allora guardò ne buco di uscita con espressione sorpresa e tolsi il mio peso. L’acqua ripartì e naturalmente finì per bagnare Sanders. Risi così forte che mi sentì persino lui.

<< Non c’è niente da ridere, Hale! Mi si è bagnato persino il portafogli. >> disse, quasi urlando da dietro una finestra della casa. Si stava asciugando con un asciugamano ed era a torso nudo. Vidi così che non era affatto magrolino, anzi tutto il contrario. Era decisamente… in forma.

<< Imbroglione. Non è per niente pelle e ossa. >> pensai ad alta voce, arrossendo un po’.

Il prof non doveva aspettarselo, perché si affacciò dalla finestra e mi guardò come se fossi pazza.

Fu verso il weekend che decisi di mollare Mark. Non gli diedi troppe spiegazioni. Fu semplicemente lui a capire la cosa. Mi piaceva un altro. Tentai anche di scusarmi, ma non voleva scuse. Così mi ritrovai single e con una cotta per una persona che non avrebbe mai ricambiato. In fondo ero solo una ragazzina, mentre lui ormai era un uomo. Appunto però… un uomo.

Dopo le lezioni, venerdì pomeriggio, andai in sala professori a cercare Sanders e lo trovai alla sua scrivania. Stava sfogliando alcune circolari, muovendo ritmicamente il piede sul pavimento. Come potevo fargli capire che ero innamorata di lui?

<< Oh, ciao Hale. Potresti portare questi compiti in classe e metterli dentro al cassetto della scrivania. Ho finito di correggerli. >> mi disse, porgendomi dei fogli e tornando a guardare le circolari.

<< Preferirei di no, è una tale seccatura. >> biascicai, abbassando lo sguardo sulle mie scarpe e incrociando le mani dietro la schiena. Cercai di mostrare un po’ più di scollatura o di gambe, ma a parte qualche piccola occhiatina, sembrò poco interessato a me. << Va bene, glieli porto io. >> dissi alla fine, tendendogli la mano.

<< Non fa niente, tanto ho ancora un’ora da passare a scuola. Ci penso io. >> disse, leggermente scocciato. Si era forse arrabbiato? Cavolo, non era mia intenzione farlo incazzare. Ora non sapevo più che fare.

Mi ritrovai così, mezza disperata davanti alla persona che amavo, a piangere come una fontana senza riuscire a smettere. Il prof si preoccupò visibilmente. << Hale! Che ti prende? >> cercò di farmi rialzare da terra, ma ormai mi ero acquattata carponi e mi tenevo il viso fra le mani. Cercavo di nascondere il pianto, ma ormai era fin troppo evidentemente. Non riuscivo più a parlare e mi faceva male anche la gola.

Fu allora che Sanders mi prese tra le braccia. << Ti porto in infermeria. >> disse, camminando veloce fuori dalla porta. Cercai inutilmente di coprirmi le mutande, ma la gonna era troppo corta. Mi agitavo talmente tanto che sarei potuta benissimo passare per un pesce.

<< No, mi metta giù. Mi si vedono le mutande. >> iniziai a urlare, ormai persa per sempre.

Quando poi mi fui sdraiata su uno dei letti dell’infermeria, ripensai a quello che era accaduto. Se mai avessi avuto la possibilità di sposarlo, cosa avrei detto ai miei figli? “Sai, le prime parole che mamma a rivolto a papà sono state ‘mi si vedono le mutande’.” Dio che situazione ridicola e soprattutto impossibile. Il prof non mi avrebbe mai sposato.

Dovevo ammetterlo, però, mi era piaciuto essere tenuta fra le sue braccia. Forse per questo che, quando venne a chiedere come stessi, mi arrischiai a chiedere se mi avrebbe permesso di farlo per la ‘prima volta’ con lui. Per tutta risposta, al prof per poco non venne un colpo. Ne andarono però le tende dell’infermeria, che si ruppero sotto il suo peso.

<< M-ma cosa stai dicendo, Hale. Sono un tuo insegnante. >> cercò di dire lui, sedendosi su una sedia accanto al letto e passandosi una mano fra i capelli. Sembrava visibilmente in imbarazzo.

<< Appunto, dovrebbe essere pagato per insegnarmi. E poi sono innamorata di lei. >> cercai di dire.

<< Anche se fosse, io ho già una fidanzata, e sicuramente non t’insegnerei come fare sesso. >>

<< Non potrebbe lasciarla? >>

<< Non ne ho nessuna intenzione. >>

<< Vuole sposarla allora? >> chiesi, abbassando lo sguardo a terra.

<< Forse sì. >>

<< Allora la tradisca con me! >> continuai, ormai impazzita del tutto. Dovevo tentare l’impossibile per far sì che quell’uomo fosse mio.

<< Non avevi forse detto che non te la sentivi di essere la mia amante? >>

Mi accorsi solo allora di aver detto delle grandi cavolate. << La prego, professore, non mi permetta di fare cose simili. >>

<< Certo che non te lo permetto. Tranquilla. >>

<< D’accordo. Questo vorrà dire che andrò in giro per la città di notte, vestita solo con una minigonna e un look provocante. Sarebbe una cosa pericolosa, no? Quindi lei, come mio docente, sarebbe tenuto a salvarmi. >>

<< Mi stai facendo una dichiarazione d’amore oppure mi stai ricattando? Non riesco a capire. >> disse, mettendo le mani sui fianchi e guardandomi male.

<< E’ la dichiarazione del secolo, professore. >> tentai di dire.

Mi mise una mano sulla spalla e cercò di dirmi, con più calma possibile: << Io penso che tu sia semplicemente impaziente di diventare grande. Ma non per questo vale la pena precipitare le cose. >>

<< Non sono impaziente di diventare adulta o che. Sicuramente sono molto più matura di tante altre mie coetanee ed è per questo, che le sto chiedendo di farlo con lei. Perché la amo e voglio che la mia prima volta sia con qualcuno di speciale. >> mi alzai dal letto e gli andai incontro, arrivando a pochi centimetri da lui. Ora ero io quella arrabbiata. << Mi dica cosa c’è di sbagliato in questo, nell’amore. In fondo è attraverso l’amore che si diventa grandi, no? Si desidera diventare una determinata cosa, solo se ne siamo inebriati. Quindi, professore, la prego. Lasci che la ami! >>

Fu così, con queste parole, che riuscii ad avere un appuntamento con il prof. Fino a quel momento, non avevo pensato che potesse essere possibile, ma ora ero lì con lui. Stavo passeggiando per le vie della città con la persona che amavo. Ed ero agitatissima. Arrivai in anticipo e mi sedetti sotto la statua cui c’eravamo dati appuntamento. Pochi minuti dopo, arrivò in orario. Era vestito molto più casual rispetto al solito. Indossava un paio di jeans chiari, una maglietta bianca e una giacca di pelle nera. Non sembrava nemmeno il prof di matematica che avevo visto fino ad ora. Era davvero… bellissimo.

Quando però mi si avvicinò, notò le mie occhiaie – sebbene le avessi nascoste accuratamente con del correttore. Ero rimasta, infatti, sveglia tutta la notte. Non ero riuscita a dormire per i troppi pensieri riguardo al giorno dopo e avevo finito per rimanere insonne.

<< Vedo che sei stanca, Hale. Torniamo a casa? >> mi chiese, sorridendo. Lo guardai sorpresa. No, non sarei per niente tornata a casa adesso. Non ora che avevo realizzato i miei sogni. O almeno quasi.

<< Manco per sogno! Cosa sta dicendo? Non abbiamo ancora fatto niente. >>

<< Ma che dici? Sono venuto per riportarti sulla retta via, quindi il discorso finisce qua. >>

<< Non è vero. Il nostro deve essere un vero appuntamento. >> continuai, per niente decisa ad arrendermi.

Per tutta risposta il prof mi prese a braccetto e mi portò verso il parcheggio. Lì premette un pulsante su un piccolo telecomando e mi fece salire in macchina. Fu allora che vidi la stessa donna che avevo beccato insieme al professore la prima volta. Solo che era in compagnia di un altro uomo. Anche il prof sembrò accorgersene.

<< P-professore. Presto le vada dietro! Deve essere esserci sicuramente un equivoco. >> dissi, cercando di spingerlo fuori dalla macchina, ma lui era troppo forte.

<< Non fa niente, Hale. Non è più un mio problema. Ci siamo separati. >>

Per un attimo mi sento felice, al settimo cielo. Ora che il prof è libero, potrà essere tutto per me. Poi torno a terra e mi sento cattiva per aver pensato di essere felice, calpestando i sentimenti del prof. Perché vedo come la guarda e lui non deve sorridere come niente fosse.

<< Torniamo a casa. >> dice a bassa voce, inserendo le chiavi e cambiando le marce. La macchina parte e ci allontaniamo dalla città, tornando – attraverso l’autostrada – verso la zona residenziale dove abita Sanders. Quando scendo con lui dalla macchina e – piuttosto che tornarmene a casa a piedi – entro con lui in casa, non fa una piega. Si limita semplicemente a sorridere e chiudere la porta dietro di se. Vederlo così, fragile e vulnerabile per colpa di una come quella, mi fa venire voglia di abbracciarlo e poi correre dalla rispettiva colpevole e rasarla a zero. Mi immagino la scena e per poco non scoppio a ridere.

Se ne va in camera e si siede sul letto, tenendosi la testa fra le mani e guardando a terra. Si vede che sta pensando alla sua ex. Non a me. A lei. E la cosa mi fa male. Mi sento come tradita. Così mi avvicino e salgo sul letto. Lo abbraccio e cadiamo entrambi sul materasso. Lui sotto, io sopra. Sento il cuore battermi forte, ma non posso fermarmi. Devo andare avanti e, anche se lui non mi fermasse, devo continuare su questa strada. Poi lo bacio, ma lui è rigido. È come se fosse una marionetta nelle mie mani. No, non deve andare così. Non dovrebbe.

Mi stacco e lo guardo negli occhi. Per un po’ sembra non vedermi, poi qualcosa si accende nel suo sguardo. Si abbassa la zip dei pantaloni e mi prende la testa fra le mani, abbassandomela e facendomi capire che… dovrei fare quello che facevo anche con Mark e gli altri, quando mi rifiutavo di fare sesso, ma loro erano troppo pazzi di me. Così, mordendomi il labbro, mi accingo a farlo quando una mano mi tira indietro e scoppio a piangere.

Il prof mi guarda come se fossi pazza. Come se fossimo entrambi pazzi allo stesso modo.

<< Chloe! Ti prego, perdonami. Ti prego, perdonami! >> dice, abbracciandomi. È la prima volta che mi chiama per nome. Un po’ mi sento felice. Continuo a piangere, però, e tra le braccia del prof mi sento così al sicuro. Vorrei rimanere così per sempre. << Ti prego, perdonami. Cosa diavolo stavo facendo? Ero talmente sconvolto, che per poco non facevo del male anche a te. >> 

Forse, però, il prof è impazzito. Ho ricevuto così tante ferite come questa, che ormai non farebbe più differenza. Una più, una meno.

Rimango abbracciata al prof per tutto il pomeriggio, fino a quando il suono del mio telefono non mi avvisa che qualcuno mi sta chiamando. Mi alzo a fatica e rispondo. È mia madre, vuole che torni a casa subito. Okay, dico, che altro posso fare?
Così mi sistemo e do un ultimo bacio al prof. Sta dormendo così serenamente che non voglio svegliarlo. Lo guardo un’ultima volta, prima di uscire dalla stanza e mi accorgo che ha pianto. Insieme con me. Sorrido, uscendo dalla porta e fuggendo verso casa. Di colpo ricomincio a piangere. Piango perché lui ha versato delle lacrime per me. E’ stato abbastanza triste da piangere anche per me. Ora, professore, non mi dica che questo non è amore!

   
 
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