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Autore: nightswimming    24/02/2010    2 recensioni
Due amiche, un pacchetto di sigarette e una verità difficile da mandare giù.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Pronto? Pronto…? -
Adesso dirà qualcosa del tipo “amoooore! Sei tu!” o in alternativa “Marchino, tesoro, finalmente!”.
 - Ah, amore, sei tu! Finalmente! –
Ecco, appunto.
- E’ che ti si sente male, malissimo… Ah,è perché sei in galleria. Avevo immaginato. Ma quanto… Ah. Ah-.
Ha ripetuto due volte il suo “ah”. Brutto segno. Anzi, pessimo. Un vero e proprio presagio di sventura.
- Scusa, ripeti? No, perché mi auguro per te che non sia vero quello che hai detto, cazzo.
Per gli altri, naturalmente.
- Cosa?! Ma tu vuoi scherzare! Due ore di ritardo, dico, ancora due ore di fottuto ritar… Non me ne frega un cazzo della neve e di tutte le disgrazie che sei riuscito a tirarti addosso! Sono già tre quarti d’ora che ti aspetto!! No, vaffanculo, Marco! Vai a farti… Non mi interessa!! Sì che è colpa tua, ci scommetto le palle che non ho che sei partito più tardi di quanto… Lo sapevo! -
Ahi ahi. Altro ritardo. Qualcosa mi dice che sarebbe meglio per Marchino non tornare affatto, non stasera. O perlomeno, non nelle braccia assassine della sua amorevole fidanzata.
E adesso Dio solo sa cosa Dichi si aspettasse da quella rovina del suo ragazzo.
- Oh sì, povera Chiaretta, che non aveva un passaggio fino a casa e che è venuta a mendicarlo da voi gentiluomini… Povera Chiaretta ‘sti cazzi, Marco! S’arrangia, quella zoccola! Sempre lì a ronzarti in… Oh sì, che è vero! E non provare a darmi della gelosa ora!! –
Okay, limite raggiunto e oltrepassato. Dichi ha smesso di camminare e si è fermata in ascolto. Con una mano si tiene il cordless attaccato alla guancia  mentre con l’altra riempie furiosamente di croccantini la ciotola del gatto, che agita la coda tutto contento strofinandosi contro le sue gambe. Fossi in lui mi sposterei.
Sì, perché quando Dichi comincia a fare altro che partecipare attivamente alla telefonata, vuol dire che per lei la partita è già conclusa.
E non sportivamente.
- … Sai che ti dico allora? Fottiti, stronzo! – strilla a pieni polmoni, chiudendo la chiamata con un feroce colpo d’unghia e sbattendo il cordless sul ripiano della cucina. Poi, lentamente, si gira verso di me e con un gesto esasperato si passa una mano fra i capelli.
Detesto avere sempre ragione. 

***

Ok, direte voi: in questa coppia ci sono degli evidenti problemi. Se non di sostanza, sicuramente di comunicazione. Tanti problemi, e gravi, anche.
La questione è in realtà più complessa ed è d’obbligo una preliminare chiarificazione. Dichi, ovvero Federica Gariboldi, ovvero la mia migliore amica e “sorella di birra” – come lei ama definirmi – è fondamentalmente una scaricatrice di porto, con la bocca più sporca di un posacenere e le maniere grezze quanto un pezzo di carta vetrata. Se deve parlare, se deve dischiudere le sue morbide labbra ricoperte di Labello trasparente per manifestare il suo pensiero, allora si è sicuri che ci scappa l’insulto. Contro di te, contro Marchino, contro Eva o Giuda – per non parlare di Dio – è irrilevante. Per lei le parolacce non sono intercalari: sono parti fondanti, se non fondamentali, del discorso.
Per farvi capire, mi è sempre riuscito facile immaginarmi una Dichi bebé, adorabilmente bionda e ricciuta, strillare contro sua madre uno scocciato “e porca troia, mamma, quando arriva ‘sto cazzo di biberon?!”
Ma non divaghiamo – tutto quello che volevo puntualizzare è che scaricare addosso al suo ragazzo più merda che dolcezze non è necessariamente manifesto del fatto che le cose vadano male. Lei è così e basta.
Con Dichi, bisogna preoccuparsi quando comincia a comportarsi in maniera carina.
- Ve… - mugugna, lamentosa.
Io sbatto candidamente le ciglia e alzo gli occhi dal libro di chimica, l’immagine stessa della regale indifferenza.
- Sì…? -
- Ho esagerato, secondo te? -
Fingo di pensarci un attimo.
- Naa. E’ solo rimasto sepolto sotto cinque tonnellate di neve a rischio della propria vita e di quella degli altri - Mi passo un dito sulle labbra, pensierosa - Ma in effetti potrebbe aver pagato Zeus o chi per lui per far nevicare, appositamente per arrivare in ritardo e darti fastidio. Quindi no. No, direi che hai fatto bene a incazzarti, e ad abbassare la sua autostima a un livello di poco superiore a quella di Kurt Cobain prima del suicidio -.
Lei stringe le labbra in una smorfia di insofferenza e si chiude con un gesto automatico la zip della felpa fino al mento.
- Merda -.
Fiuuu. Meno male. Due frasi senza neanche una bestemmia o un’imprecazione, stavo cominciando a preoccuparmi.
- Sta’ calma, Dichi. Quando tornerà ti farai perdonare. Ne sono sicura -.
- Lo so, ma ora mi vengono i sensi di colpa-.
- Sai cosa sono? Ma dai. Non pensavo… - butto lì riprendendo a sottolineare con gli occhi fissi sul libro, e lei in risposta alza il medio nella mia direzione con un ghigno. Stuzzicare Dichi e farmi stuzzicare a mia volta è uno dei piaceri della vita a cui non rinuncerei mai. Anche se lo ammetterò solo in punto di morte o che ne so, prima di sposarmi, prima di decidere eventualmente di cambiare sesso; insomma, solo in prossimità di un evento che scuota sufficientemente il mio equilibrio interiore tanto da dichiararle l’affetto smisurato che provo per lei. Fino ad ora, per fortuna, non c’é mai stato bisogno di questa ovvia dichiarazione di vicinanza.
E poi il suo ego si monta come panna naturalmente, anche senza il mio aiuto.
- Non lo faccio apposta – bofonchia lei, concentrata sulla sigaretta che si sta accendendo con un gesto secco e ormai famigliare. Inspira lentamente il fumo, riflettendo, poi apre la bocca in una smorfia di atona complicazione verbale e comincia a gesticolare con la mano libera – Non è che sono stronza, o chissà cosa, e nemmeno gli voglio male, anzi. Mi fa stare bene. Mi fa stare meglio… - sussurra, ma poi si ferma e si morde un labbro.
Avanti, Dichi, dillo.
-… meglio di prima. – termina, distogliendo lo sguardo dal mio. Io chiudo stancamente il libro di chimica e volto la sedia verso di lei, cercando alla cieca il pacchetto di sigarette sul tavolo.
Ripeto: finché ti insulta, ti maltratta psicologicamente e fisicamente e poi magari ci fa anche una risata sopra, è normale.
Ma quando dopo le vengono i sensi di colpa, o peggio dei pensieri… Allora c’è qualcosa che non va.
- Meglio che con Leo – scandisco, atona, sbuffando un filo di fumo. Le mie parole sembrano cadere a terra, pesanti e inesorabili come palle di piombo, per poi rimbalzare tutto intorno e colpirla infine con la violenza di uno schiaffo. Si gira con un movimento calmo, misurato, la sigaretta leggermente tremante fra le mani.
Spera che io abbassi gli occhi ma casca male. Sapevo dove mirare e ho centrato il segno con crudele precisione, ma non per questo sarò così bastarda da nascondere la mano che ha lanciato il sasso.
Ora dillo, avanti. Dimmi la verità.
- Sì, certo. – dice a bassa voce, con tono ovvio e disinvolto.
Faccio spallucce e mi alzo dalla sedia, passandole accanto per dirigermi verso il frigo e prendere una bottiglia d’acqua gelida. Bevo a canna, tranquillamente, placidamente. Lei continua a guardare avanti a sé. La piccola torre di cenere spuntata in cima alla sua sigaretta non sembra preoccuparla per niente.
- Naturale che sia così – continuo, senza pietà. Colgo un minuscolo gesto di insofferenza nella sua mano appoggiata al gomito che tradisce la sua posa, ma non me ne curo. Stai mentendo, Dichi, e se ti conosco abbastanza bene non sarai capace di continuare a lungo. Quindi tanto vale aspettare e fingere indifferenza esattamente come te. E’ solo questione di tempo prima che tu esploda.
- Sì. –
- Quanto entusiasmo… –
- Ne sono convinta, Ve. –
- Anch’io ne sono convinta. –
- Davvero? –
- No.-
- Oh, ma vaffanculo! A te, a Marco, a Leo, al mondo intero! – crolla infine, dopo neanche un minuto di botta e risposta serrata. E’ un gioco che facevamo sempre da piccole. Domande sempre più difficili a velocità estrema: la prima che non trova più niente da dire, sbaglia o comincia a imprecare ha perso.
Come al solito ho vinto io.
Con uno sbuffo esasperato, comincio a rincorrerla lungo il corridoio che porta a camera sua. Lei tenta per scherzo di chiudermi la porta in faccia ma io la blocco con un piede, ridendo nervosamente. Dichi mi fulmina con lo sguardo.
- Sei una gran rompicoglioni.-
- Lo so. So anche di aver ragione, per questo insisto così tanto.-
- Non c’è niente di male in quello che faccio.- mi sussurra a bassa voce, indietreggiando con lentezza per lasciarmi entrare. Se non la conoscessi abbastanza interpreterei il suo tono come supplichevole, ma so che non è possibile.
La guardo sedersi sul letto, restando incerta sullo stipite della porta. Ha un’espressione che odio vederle in faccia, una sorta di stinta stanchezza interiore, non fisica, né mentale, piuttosto una spossatezza organica simile a un rallentamento del sangue. Un disagio che le traspare dalla pelle come una lugubre luce interna.
- Già, non c’è niente di male in un ripiego - le dico, accomodandomi al suo fianco. - Mica è vietato dalla legge.-
Lei mi guarda male, sorride, vorrebbe abbracciarmi. Ma alla fine opta per la coerenza e mi sussurra affettuosamente di andare a fare in culo.

 

 

 

Dall’autrice: piccola storiella fondamentalmente senza senso ma a cui tengo moltissimo. Non pretendo che per questa ragione piaccia, ovviamente XD ma ci sono volte in cui scrivere è solo una bella seduta di personale psicoterapia e nient’altro.
Grazie a chi commenterà e anche a chi leggerà soltanto.
P.S. piccola esplicazione del titolo: in inglese, le “piccole bugie bianche” sono quelle menzogne considerate innocenti e accettabili, soprattutto in società.
   
 
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