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Autore: Morea    01/03/2010    6 recensioni
Come nasce l'attrazione tra Usagi e Mamoru, a partire dal loro primo incontro dovuto a un foglio di carta appallottolato, e attraverso le battaglie che combattono insieme. La mia storia si sviluppa a partire dagli eventi narrati nel MANGA, e non nell'anime. Buona lettura a tutti!
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inner Senshi, Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima serie
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“Devi studiare di più, Odango Atama!”

Usagi aveva appena lanciato in aria con disprezzo il suo compito in classe, appallottolato con tutta la rabbia che aveva in corpo. Aveva dovuto dire addio all’idea di un acquisto anche piccolo nella gioielleria della madre di Naru, adesso si doveva sorbire le prese in giro di uno stupido pallone gonfiato e di lì a poco avrebbe affrontato l’ira della temibile Ikuko: era veramente una giornataccia.

Si voltò di scatto, decisa ad affrontare quel cafone. Era proprio un tizio strano, alto, moro, atletico, ed era vestito con un ridicolo smoking, così poco adatto ad una passeggiata pomeridiana nel centro città; si massaggiava la testa, come se quel misero foglio avesse potuto ferirlo davvero. La ragazza gli rispose a tono, per poi salutarlo con una linguaccia del tutto irrispettosa. Il ragazzo, divertito, tornò ad osservare la vetrina della gioielleria. Perché diavolo era così interessato a quei gioielli? Forse per un regalo alla sua fidanzata? Usagi non ricordava di aver visto esposti orologi od altri articoli maschili: in bella vista c’erano splendenti collier, sontuosi orecchini, anelli di brillanti… beh, o forse cercava dei gemelli per quello stupido completo che indossava. Ridacchiò di nuovo. Forse stava per sposarsi, ma che senso aveva gironzolare per la città già agghindato per il gran giorno? Sicuramente era un fanatico. Un fanatico antipatico, per la precisione. Come si era permesso di criticarla per il rendimento scolastico, se nemmeno la conosceva? Stupido pallone gonfiato cafone e saccente… ah, se solo avesse potuto avere le sue pagelle di fronte agli occhi! E se avesse trovato anche solo una misera insufficienza in qualche materia, in qualsiasi anno della sua vita scolastica, gliel’avrebbe rinfacciato a vita. Ma quel tizio non aveva per niente l’aria di un somaro, anzi, doveva essere uno di quei tipo straperfetti e strageniali, con voti oscillanti dal 90 al 100, e la puzza sotto il naso di chi è più intelligente degli altri, e lo sa bene. Non riusciva neanche a quantificare la sua età: aveva sicuramente almeno due o tre anni più di lei, ma sembrava ancora più adulto e più maturo. Doveva essere cresciuto prima del tempo, a causa di qualche evento che l’aveva costretto ad assumersi più responsabilità di quelle attribuibili ad un adolescente qualunque. Non molto altro avrebbe potuto dedurre da quella prima occhiata, perché le iridi del ragazzo erano nascoste da un paio di larghi occhiali da sole, e l’espressione del viso non faceva altro che conferirgli un’aria enigmatica. E insopportabile, ovviamente.  Usagi si avviò verso casa, quel pinguino le aveva già rubato abbastanza tempo.

Quando giunse di fronte al Game Center gestito da Motoki Furuhata, non potè fare a meno di fermarcisi. Adorava il gestore di quell’attività, era così carino e gentile con tutti, e un paio di partite al videogame di Sailor V non avrebbero fatto altro che concederle di passare preziosi minuti con lui. Tutte le volte che le si avvicinava, suggerendole di scegliere alcune mosse al posto di altre e spronandola a fare del suo meglio, Usagi sperava silenziosamente che le sfiorasse anche solo un dito, che le si avvicinasse così tanto da scaldarle la guancia con il suo alito delicato, che le soffiasse piacevolmente nell’orecchio con la sua voce dolce e vellutata. Era proprio cotta.

Lo stupido gatto che aveva salvato quella mattina giunse ad interrompere le sue fantasticherie, fissandola con aria minacciosa. Senza sapere come, Usagi tradusse quell’espressione: significava solo “fila subito a casa!”. Si alzò velocemente, salutando Motoki e preparandosi psicologicamente ad affrontare la madre: quel momento infausto non tardò ad arrivare, anzi, Ikuko la fece entrare in casa solamente dopo ripetute suppliche e disperati pianti che oltrepassavano di molto la soglia di decibel consentita prima di finire sotto accusa per disturbo della quiete pubblica. Salì in camera, asciugandosi le ultime lacrime, e, dopo un vano tentativo di aprire i libri di scuola, crollò in un sonno profondo.

Fu il gatto che la perseguitava da quella mattina a rovinare ancora una volta un momento più che piacevole. La rabbia che provava nei confronti di chiunque la distogliesse dalla sua attività preferita (forse seconda solo all’ingozzarsi di cibo) svanì quasi subito, azzerata dallo stupore e dal terrore di sentire quel felino esprimersi con voce umana, in perfetto giapponese. Si chiamava Luna, e la stava cercando.

 

 

Nel giro di pochi minuti le era crollato il mondo addosso: era una “Senshi”, le era stata regalata una “Brooch” che avrebbe dovuto utilizzare per “trasformarsi in Sailor Moon”, avrebbe dovuto cercare delle “compagne” con cui difendere Tokyo dagli strani eventi che vi si stavano verificando e, sopra ogni altra cosa, avrebbe dovuto trovare e difendere la “Principessa”.

- Moon Prism Power, Make Up!  -  Usagi si rese conto che non avrebbe dimenticato facilmente quelle cinque parole. Si era ritrovata vestita con una strana uniforme alla marinaretta, con un largo fiocco sul davanti: al centro c’era la spilla che aveva impiegato per la trasformazione. La fuku terminava con una minigonna svolazzante, a pieghe: Usagi sperò con tutto il cuore che Ikuko non entrasse nella sua camera proprio in quel momento. Non considerava tanto un problema l’essersi trasformata in una super eroina degna dei cartoni animati più arditi, ma l’indossare un pezzo di stoffa che non copriva in nessun modo le sue forme e, anzi, le lasciava scoperte le gambe più di quanto le fosse stato mai concesso.

Prima che potesse metabolizzare la fiumana di novità che l’aveva travolta, e di soffermarsi ad analizzare tutti gli accessori che aveva indosso, provò il bisogno irrefrenabile di recarsi alla gioielleria della madre di Naru. La sua migliore amica era in pericolo, e non c’era un minuto da perdere: le lenti dei Goggle, quella strana mascherina che si era ritrovata addosso come parte integrante della sua fuku, le mostravano chiaramente la ragazza che veniva strangolata da… sua madre!

Usagi si precipitò sul posto. Di fronte alla provocazione del nemico, si presentò per la prima volta come “di amore e giustizia la bellissima Senshi con la sailor fuku”: era appena nata Sailor Moon. Non fu facile affrontare la falsa madre di Naru, né la schiera di umani svuotati della loro energia e plagiati dalla volontà malefica di quell’essere, e Usagi si oppose nell’unico modo che conosceva: scoppiò in un pianto insostenibile, violento, quasi isterico, tanto insopportabile da tradursi in ultrasuoni che avrebbero infastidito anche l’orecchio più sordo.

“Non piangere! Adesso è il momento! Sailor Moon!”
Chi aveva parlato? Una voce così profonda, calda ma allo stesso tempo decisa, quasi imperiosa. Non la conosceva, eppure era sicura di averla sentita almeno un’altra volta, o forse dieci, o forse mille. Si perse nella contemplazione di quel suono, di quel timbro, e come al solito fu Luna a svegliarla con i suoi soliti modi bruschi. Doveva afferrare la tiara che teneva sulla fronte e pronunciare Moon Tiara Boomerang!: sembrava facile, dopotutto. Sailor Moon eseguì gli ordini del suo supervisore, e notò con piacere che il suo attacco aveva appena fatto sparire la mostruosa donna che la attaccava fino a poco prima.

“Non sono riuscito a trovare il miracoloso cristallo argentato… ma ho potuto assistere a qualcosa di interessante…”

Era ancora quella voce. E proveniva da un uomo, ancora più affascinante della voce che possedeva: Usagi rimase incantata a fissarlo, era così imponente e dannatamente sexy avvolto da quel mantello nero come la notte. Si stagliava contro il cielo buio della città, rischiarato qua e là dalle luci provenienti dagli edifici sottostanti: esse gli regalavano un bagliore che lo rendeva ancora più misterioso, illuminandolo qua e là e mettendo in risalto i dettagli del suo abbigliamento. Una tuba, sì, una tuba. Usagi ridacchiò nel vederla: non aveva forse mai visto nessuno indossarla, era così… all’antica, ma del resto si adattava bene al resto dei suoi vestiti: una camicia di raso bianca, ricamata finemente e abbellita da bottoni elaborati, e uno smoking nero, lucente, così in contrasto con la maschera bianca che gli nascondeva buona parte del viso. Presi a sé, quei capi sarebbero stati adatti per un ballo in maschera, ma l’effetto complessivo lasciava a bocca aperta, era veramente… wow. E beh, forse doveva aspettare a criticare l’abbigliamento altrui, dopotutto non aveva avuto molto tempo per studiare a fondo la sua fuku: magari quel damerino la stava reputando adatta per una sfilata di Carnevale, con quei fiocchi ingombranti e quel gonnellino svolazzante.

“Il mio nome è Tuxedo Kamen! Ricordalo, Sailor Moon!”

Sì, l’avrebbe ricordato. Da quel momento in poi, era più probabile che dimenticasse il nome di suo fratello Shingo: Tuxedo Kamen, due semplici parole che portava già impresse nella mente, e soprattutto nel cuore. Tuxedo Kamen sparì nel nulla, nascondendosi alla sua vista dietro al largo mantello che indossava: la ragazza tentò di seguirlo con lo sguardo, ma le fu impossibile; non le rimase che rimanere lì, impalata, con aria sognante, a fissare il vuoto che si era lasciato dietro con la sua fuga. Il mostro e Naru erano un lontano ricordo, e i suoi occhi ancora così eccitati ed infantili erano più luminosi del solito, anche se stralunati, incerti, persi nell’ammirazione di qualcosa che se ne era già andato, sparito come nel nulla.

Le parole di Luna costituivano solo un fastidioso sottofondo: Usagi stava cercando di ricordarsi esattamente ogni singola parola che l’uomo aveva pronunciato, di ricostruire il timbro della sua voce, come a volerlo riassaporare in ogni momento, in ogni sogno che avrebbe fatto nelle notti successive.

Si ritrovò nel suo letto quasi senza sapere come: Tuxedo Kamen prese parte alle sue avventure oniriche, fino a farle confondere realtà e immaginazione.

Bianco, e nero. Questi erano i colori dei loro abiti, mentre si rincorrevano in una danza aggraziata e soave. Usagi tentò inutilmente di privarlo della maschera, più e più volte. Eppure, non era sicura che quello di fronte a lei fosse Tuxedo. Certo, era lui che aveva scelto come protagonista di quella notte, ma c’era dell’altro, dietro a quello smoking inequivocabile. Le parve di aver fatto quel sogno mille altre volte, ma non era possibile, aveva conosciuto Tuxedo Kamen solo quella sera. Qualcosa le sfuggiva… così come le sfuggiva il controllo dei suoi pensieri. Il vero sonno la travolse, e di quella sensazione di calore e pace non conservò alcun ricordo.

 

 

 

Capitolo revisionato: all'inizio l'avevo scritto un po' di getto e senza approfondire troppo, e ciò mi è stato confermato anche da ggsi, e ho avuto la prova definitiva della mia fretta :)

La parte in cui Usagi diventa Sailor Moon non è molto approfondita a livello introspettivo, ma a questa darò più spazio nei prossimi capitoli, in quanto l'aggressione a Naru ha impedito a Usagi di perdere troppo tempo a riflettere sulla sua missione, e la conoscenza di Tuxedo Kamen le ha azzerato le facoltà mentali xD

Grazie a chi ha letto questa fanfic e soprattutto a ggsi che l'ha recensita e inserita tra le seguite :)

  
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