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Autore: crystalemi    05/03/2010    9 recensioni
Venendo a noi, Remus, ti ho lasciato una cosa nel pensatoio di famiglia, la settima stanza a destra nei sotterranei di casa mia. Non badare alla pacchianeria dei miei, lo sai che non la sopportavo nemmeno io.
Se sono morto (e lo sono se stai leggendo perché credo che da vivo le palle per dirtelo in faccia le avrei trovate) e non te l’ho ancora detto, sappi che ti amo.
[Wolfstar | SpoilerFree]
Genere: Romantico, Triste, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: I Malandrini, Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa fanfiction si è classificata quinta al contest «RAINBOW Celebration» indetto e valutato da Rekichan e En~Dark~Ciel.
Ha anche vinto il "PREMIO MIGLIOR SVILUPPO": in quanto sviluppo della citazione-tema la tua fanfiction è quella che abbiamo ritenuto più naturale e perfetta nella realizzazione del tema.
e il "PREMIO COMICO WILLY WONKA": perchè il cioccolato, quando si parla di Lupin, in un modo o nell'altro c'entra sempre. E basta lui per scordarsi di Padfoot.
Riporto il tema del concorso e ci tengo a rammentare che non si tratta di una song-fic.
Buon Yaoi Day (non ufficiale) a tutti! ♥
Ulteriori chiarimenti a fine fic.



Avrai [...] un giovane dolore
viali di foglie in fiamme ad incendiarti il cuore
avrai una sedia per posarti ore
vuote come uova di cioccolato
ed un amico che ti avrà' deluso tradito ingannato.
[ Avrai, Claudio Baglioni ]






What you’ll get





Lasciò che le sue gambe cedessero solo quando fu in quella stanza. La sedia vecchia e sbilenca scricchiolò sotto il suo peso, nonostante fosse quasi pelle e ossa. Fissò davanti a sé l’enorme bacile in pietra, posato su mezzo metro di piedistallo riccamente impreziosito, con incise in una calligrafia netta e precisa le lettere “B”, “L”, “A”, “C” e “K”, in una snervante ripetizione che dalle gocce di antracite lucida della sommità passava a spirale fino alla scritta in basso, come un monito: “Cut the Laces of Life”.
Sospirò: non gli era mai piaciuto il gusto pomposo e ostentatore di ricchezza dei Black.
Stropicciò nervosamente il foglio scarabocchiato che teneva fra le mani e si morse il labbro inferiore, come non faceva da quando era giovane, da prima che i Potter morissero. Ricordò con un sorriso amaro che a Sirius e James piaceva quel suo piccolo tic nervoso, adoravano in particolare prenderlo in giro quando, durante l’ora di pozioni, qualcosa gli andava eccessivamente storto.
Si guardò attorno, costringendosi a non ricordare il passato, per non soffrire troppo.
La stanza era vuota e polverosa, ma dei segni sul pavimento indicavano che recentemente qualcuno vi era entrato e si era seduto accanto alla porta. Sapeva chi era stato: Sirius. Lui era l’unico a conoscere quel posto, oltre a lui e James. Ricordava dopo le vacanze estive quanto Sirius fosse freddo per poi raccontare loro come i suoi genitori lo costringessero a rivedersi le umiliazioni che subiva per imparare dai suoi errori, ogni estate. Per questo sapeva che i Black avevano un pensatoio, ma non l’aveva mai visto, ne mai aveva desiderato farlo.
Ma non era lì di propria volontà, era la lettera che stringeva ancora in una mano, mentre l’altra scostava i capelli da davanti agli occhi, era quel pezzo di carta che l’aveva portato lì, con quel dolore nel petto che gli sembrava un macigno insostenibile.
Eppure non lo conosceva, quel dolore. Non era lacerante come quello che l’aveva colpito quindici anni prima, era più sordo, cupo, viscido.
Serrò la bocca, riducendo le labbra morbide in due sottili linee severe, per poi spiegare il foglio di carta macchiato in più punti dall’inchiostro seppia: la calligrafia di Sirius era chiara, seppur stringata e ricostruì nella sua mente l’immagine dell’amico che con mano tremante scriveva velocemente quelle poche righe.
Forse lui, addirittura gli giaceva accanto, sfiancato dall’attività fisica non più così appropriata per due relitti come loro. Forse proprio in uno di quei momenti in cui lui dormiva la mano ossuta di Sirius aveva gettato giù quelle parole, in una crisi di panico, probabilmente.

“Se leggi questa idiozia, vuol dire che sono morto. Beh, spero almeno di aver fatto in tempo a lasciare i miei averi a Harry, in caso non sia riuscito, usa questa come prova:

Io, Sirius Black, padrino e tutore di Harry J. Potter, nonché ultimo discendente diretto della casata dei Black, con la presente dichiaro di voler lasciare in eredità al mio figlioccio Harry James Potter, figlio di James Potter e Lily Evans Potter, tutti i miei averi, dalla casa di famiglia a Grimmauld Place n°12 al sotterraneo con annesso contenuto n°711 alla Gringott.

Venendo a noi, Remus, ti ho lasciato una cosa nel pensatoio di famiglia, la settima stanza a destra nei sotterranei di casa mia. Non badare alla pacchianeria dei miei, lo sai che non la sopportavo nemmeno io.
Se sono morto (e lo sono se stai leggendo perché credo che da vivo le palle per dirtelo in faccia le avrei trovate) e non te l’ho ancora detto, sappi che ti amo. Ma non fossilizzarti qui e sposati: conosco qualcuno che per te morirebbe (cattivo sangue non mente, non trovi?).

Hasta la vista, Moony!

Sempre tuo,
Padfoot.

(Spero sinceramente per me di aver rincontrato quell’idiota di James, per sfotterlo un po’ come ai vecchi tempi. Avrò bisogno della tua spalla con Lily, mi sa. Ma non raggiungermi troppo presto, chiaro?)”


Remus sospirò. Non credeva che Sirius avesse raggiunto James e Lily. Il Velo non era così benevolo, forse non l’avrebbe rivisto più, nemmeno all’aldilà. Soprattutto perché comunque lui era un lupo mannaro, e non era certo che sarebbe finito nello stesso aldilà.
Rise di gusto quando si accorse in che razza di pensieri fosse incappato. Quando si fu calmato, si alzò e afferrò una delle tre boccette impilate ai piedi del pensatoio. Dovevano essere ricordi, vista la sostanza che contenevano, e Remus accennò un sorriso e scosse la testa, divertito dall’originalità di Sirius. Perché scrivere, chiaramente, era troppo faticoso per lui.
Estrasse il ricordo e lo fece turbinare nel bacile in pietra. Poi prese un profondo respiro e immerse la testa.

Era ad Hogwarts e doveva essere San Valentino, visti tutti i messaggeri che giravano. Si guardò intorno tentando di individuare Sirius. Gli ci volle poco a riconoscerlo: dovevano essere al sesto anno, visto i capelli lunghi, più del solito, segno che fosse piuttosto in depressione. Era appoggiato al muro, e una ragazza gli stava confessando i suoi sentimenti. Claire Walker, la sua prima ragazza, non avrebbe potuto non riconoscerla. I capelli neri e gli occhi blu, una Ravenclaw di un intelligenza vivace e il gusto dell’horror, tanto che una volta avevano intavolato una discussione sui Mannari che li aveva tenuti occupati per ben due ore. Poi, a San Valentino li aveva visti così, lei e Sirius.
Il moro, nel frattempo fece un sorriso di circostanza e accettò i cioccolatini, infilandoli in una borsa chiaramente già piena da scoppiare, tentando di svignarsela.
Remus ricordò la delusione cocente quando li aveva scoperti a baciarsi e gli venne voglia di non guardare. Poi mentre Claire si alzava sulla punta dei piedi vide se stesso arrivare mentre chiacchierava con Lily (dei gusti assurdi di James, lo ricordava ancora!) tornò a guardare Sirius che ora aveva poggiato la mano sul seno della ragazza, per tenerla a distanza. Sirius non sapeva di lui e Claire, o l’avrebbe rifiutata fin da principio. Forse le avrebbe addirittura ficcato l’intera scatola di cioccolatini in gola. Ora lo sapeva, e lo sapeva anche allora, ma il colpo era stato troppo duro da digerire, anche perché non era passato molto più di un mese dal pessimo scherzo. Ci era rimasto davvero male.
Si avvicinò un po’ di più, mentre vedeva Sirius subire sconcertato il suo insulto. Sembrava davvero stordito, e probabilmente lo era sul serio, ma la gelosia lo aveva accecato e il giovane Remus non l’aveva nemmeno notato lo sconcerto dell’altro.
Lily non l’aveva seguito – infatti in pochi minuti se ne sarebbe accorto, vedendola corrergli dietro, senza fiato e davvero preoccupata – si era fermata di fianco a Sirius e Claire. Aveva sorriso gentilmente ad entrambi e poi aveva tirato un pugno alla Ravenclaw, scappando poi via.
Quasi spalancò la bocca al gesto di Lily. Sirius invece sussurrò un estatico wow, dimentico per poco dell’insulto. Claire era scappata via in lacrime e James si era avvicinato a Sirius.
«Fratello, tu hai per caso capito cos’ho fatto?» domandò Padfoot all’amico. Questi sospirò e si sbatté la mano contro la fronte.
«Credo che quella fosse la ragazza di Remus.» mormorò così piano che Remus dovette avvicinarsi. Sirius invece aveva sentito perfettamente, tanto che spalancò la bocca più volte, incapace di dire qualsiasi cosa.
«Perché lo sapeva addirittura Lily-Scema-Evans ed io no?» chiese infine, vagamente offeso.
«Se tu può consolare, io l’ho scoperto per caso una settimana fa. Li ho visti baciarsi in un’aula vuota. E Pete non credo ne sia al corrente.» James si stava grattando la nuca, rendendo chiaro il suo nervosismo, ma Sirius parve non farci caso, rispondendo irritato più di prima:
«E questo dovrebbe farmi sentire meglio? Perché non me l’hai detto?! Lo sai che- vaffanculo
Se n’era andato e Remus si sbrigò a seguirlo, lanciando un’occhiata malinconica ad un James Potter profondamente afflitto e vagamente irritato.
Sirius si rintanò nella loro camera e si avvicinò al baule ai piedi del suo letto. Ne estrasse una scatola incartata alla meno peggio (sicuramente opera sua) e stracciò la carta dorata, senza preoccuparsi di rimuovere il fiocco rosso. Se la presentazione non era il massimo, il contenuto era un regalo perfetto. Per lui.
Remus fu attraversato da un fremito. Sirius gli aveva comprato un regalo per San Valentino.
E lui l’aveva trattato male per un’intera settimana.
Sirius fece cadere per terra i cioccolatini, per poi scagliare lontano una scatoletta rettangolare, chiaramente proveniente da una gioielleria. La porta si aprì lentamente e James entrando raccolse il regalo.
Si sedette sul letto di Peter, il più vicino alla porta e anche opposto a quello di Sirius.
James aprì la scatoletta e ne estrasse un bracciale con la scritta Moony al centro.
«In oro bianco. Hai pensato a tutto, vero?» chiese gentilmente e Sirius distolse lo sguardo, imbarazzato, senza parlare.
«Sir’, io so cosa? O meglio, cos’è che tu credi che io sappia e invece non so?» domandò ancora, sedendosi accanto a lui, per terra, restituendogli il bracciale. Sirius prese un profondo respiro e lo fissò.
«Oh, andiamo, adesso non puoi non averlo capito.» sussurrò torturandosi una ciocca di capelli, inconsciamente. James non diede segno di voler accettare la cosa senza che venisse ufficializzata ad alta voce. «Diamine, Potter! Non è così difficile da immaginare: sono uno schifoso finocchio!» esclamò tremando e il silenzio calò nella stanza. James si tolse gli occhiali e massaggiò il ponte fra gli occhi. Poi sospirò e si voltò verso di lui, velocemente si sporse e lo baciò. Sirius sgranò gli occhi e lo allontanò, alzandosi in piedi, mentre James sorridendo si rimetteva gli occhiali.
«Visto? Non sei un finocchio. Altrimenti ti sarebbe piaciuto.» gli disse gentilmente, alzandosi anche lui. Padfoot emise un lieve ringhio e poi specificò: «Uno schifoso finocchio innamorato di uno dei suoi migliori amici. Va meglio così?!» James annuì vagamente divertito, mentre Sirius continuava a passarsi – molto probabilmente inconsciamente – il dorso della mano sulle labbra.
«Così sei innamorato di Remus. Fa un po’ strano dirlo a voce, ma lo avevo intuito. E’ per questo che non sto correndo in giro per la stanza urlano “Ommerlino! Sirius è cotto di Remus!!!” e così via.» esclamò James sedendosi sul suo letto e Remus vide Sirius guardarlo con circospezione, per poi chiedergli sotto voce: «L’hai fatto davvero?» al più alto dei due bastò quel lieve rossore sulle gote dell’altro per saltare in aria disperato.
«No, cazzo, no!! Avrei voluto esserci! Era un momento da immortalare, cazzo!!» Al che risero entrambi, più sollevati. Quando si calmarono, Sirius gettò nella direzione di Remus il gioiello e lui tentò di prenderlo al volo, ricordandosi solo dopo di essere incorporeo. Subito dovette comunque spostarsi indietro quando James lo raggiunse e raccolse il bracciale.
«Devi aver speso un occhio per questo. Tienilo, glielo darai più in là e gli racconterai di oggi per farvi due risate.» disse pacatamente, rimettendolo con delicatezza nella scatola abbandonata per terra.
«Aveva una ragazza, Prongsie. E crede che gliel’abbia fregata! Non vorrà più vedermi, lo sai com’è con i suoi libri eccetera.» mormorò Sirius fissando il soffitto, abbattuto come poche altre volte l’avrebbe visto.
«Sir’, non essere idiota. Se non provi nemmeno a conquistarlo non puoi lamentarti.» James lasciò cadere nel baule di Paddy la scatolina e Remus si rammaricò: quel regalo non l’avrebbe mai ricevuto, nemmeno quando sarebbero stati una coppia felice di diciassettenni in calore.
«Hai ragione.» mormorò Sirius e il ricordo cominciò a sfocarsi, così Remus si ritrovò ansimante davanti al bacile di pietra.

Dopo aver rimesso via il ricordo di Sirius, Remus si era seduto di nuovo su quella sedia.
Era deluso. Se prima era stato deluso dal comportamento di Sirius e poi dalle sue stesse reazioni, ora era deluso dal non aver capito nulla. Così Sirius era innamorato di lui da almeno metà del sesto anno. E lui l’aveva capito solo un mese prima dei MAGO.
Era stato un idiota. E anche Sirius lo era stato.
Sospirò e si chiese che fine avesse fatto il bracciale, sarebbe stato felice di riceverlo, ma probabilmente Sirius si era vergognato. D’altronde anche se a James aveva professato il suo amore, ciò non lo aveva fatto astenere da tutte le pomiciate con metà Hogwarts. Forse aveva pensato che non gli avrebbe creduto, e forse non l’avrebbe fatto davvero.
Sospirò, riavviandosi i capelli. Si rialzò e afferrò la seconda boccetta, per poi trasferire il ricordo nel bacile.
Questa volta si limitò a toccare la superficie con una mano.

Era nell’appartamento di Sirius; dalla camera da letto provenne un gemito soffocato che riconobbe come proprio e poi uno meno trattenuto, chiaramente del proprietario del bilocale.
Si avventurò nell’altra stanza con un nodo alla bocca dello stomaco che quasi gli impediva di respirare.
Si scoprì a sovrastare Sirius e il ricordo della carne bollente che lo stringeva spasmodicamente tornò prepotente a tormentarlo. A Sirius era sempre piaciuto stare sotto, anche se per la maggior parte delle volte era lui a possederlo.
«Remus, come è andata a lavoro?» domandò Sirius, mentre il Remus del ricordo si sfilava dal suo corpo. Padfoot aveva un sorriso stanco, provato, unico segno che la loro relazione stesse andando a rotoli da quasi un anno.
«Come al solito.» borbottò il se stesso che aveva appena goduto di Sirius (un irrazionale senso di gelosia gli attanagliò le viscere. Era stato come scoprire la persona amata con un perfetto sconosciuto. Anche se il tale era proprio lui). Andò a sedersi sulla sedia davanti al loro matrimoniale, osservando i due ventenni riposare per qualche momento.
«Anche all’ordine è andato tutto bene. Anche l’incanto.» mormorò Sirius ancora, cercando i suoi occhi, ma lui gli dava le spalle.
Anche allora sapeva che Sirius non gli credeva, che, anzi, era il primo sostenitore della sua colpevolezza. Per questo non riusciva a fissarlo negli occhi: vedeva solo dolore e disgusto. Ma lo sguardo triste di Sirius in quel momento gli illuminò una stanza buia del suo passato.
Era stato un egoista, pensando a quanto tradito si fosse sentito, ignorando il dolore che probabilmente l’uomo che l’amava doveva aver provato.
«Assì? E saresti tu il Custode?» chiese sovrappensiero il suo doppio. Sirius si era limitato ad annuire, e lui sapeva già la risposta. All’improvviso un’espressione decisa si dipinse sul volto di Sirius, che allungò una mano fin quasi a toccargli una spalla. Poi nei suoi occhi la sicurezza vacillò e la mano tornò indietro, subito dopo, con un ringhio Sirius si rigirò nel letto, chiudendo la discussione che avrebbe potuto evitargli dodici anni ad Azkaban.
Remus si preparò a tornare al presente, dato che ricordava benissimo di essere scappato poco dopo che Sirius avesse ceduto al sonno, quasi in lacrime per il dolore e la sensazione di tradimento che gli bruciava la pelle.
Ma non accadde nulla per parecchio, fino a quando l’altro Remus non si alzò tremante, per poi rivestirsi in fretta e furia, uscendo poi dalla stanza, da quella casa, con la morte nel cuore e un orribile presentimento.
Il Remus del presente, ancora seduto lì su quella sedia che entrambi avevano deciso di tenere accanto al letto, tremò di frustrazione. Se solo avesse parlato! Se gli avesse urlato che lo riteneva uno stronzo per come si stava comportando! Se Sirius si fosse incazzato e gli avesse urlato quanto schifo dovesse fargli!
Forse anche Lily e James sarebbero potuti sopravvivere...
Il Sirius del ricordo si alzò a sedere sul letto, tremante recuperò il cuscino che gli era appartenuto e soffocò lì i singhiozzi. Remus non ebbe tempo per sentirsi male, dato che il ricordo scomparve, e riuscì solo a pensare a quanto avrebbero potuto evitare se non si fossero chiusi dietro una barriera di inesistenti tradimenti.

Era ancora seduto su quella sedia. I minuti passavano lenti e vuoti, come quei dolci pasquali in cioccolato che i bambini babbani amavano così tanto ricevere.
Si era chiesto, Remus, per molto tempo da quando l’ultimo ricordo era stato rimesso dentro la boccetta, se Sirius avesse deciso di fargliela pagare, di farlo sentire male per entrambi.
L’idea però si era consumata lentamente, sotto i colpi della sua critica martellante e del suo cuore; nessuno dei due che anche solo provava ad accettare quella visione crudele di Pads.
Poi si era domandato cosa contenesse l’ultima boccetta: Sirius gli aveva riportato alla mente i sentimenti di delusione e tradimento, e l’aveva quasi svuotato.
Forse perché all’inizio si era aspettato qualche memoria felice, un quadro giovanile del loro sentimento, un momento per Sirius capitale. Ma in positivo, perché finora entrambi i momenti erano di rilevanza capitale.
Sospirò e stappò l’ultimo ricordo. Inutile trastullarsi così a lungo per qualcosa così semplice da scoprire.

James era seduto lì a Grimmauld Place, nel salotto decadente del presente.
Checché ne ricordasse, James non aveva mai messo piede in casa Black, che di sicuro non aveva un salotto ridotto come se fosse stato abbandonato da una decina d’anni. Con quelle due semplici constatazioni capì che doveva trattarsi di Harry. Si trovava in penombra e gli dava le spalle, ignorando cocciutamente un angolo della stanza, dove solo in quel momento Remus scorse Sirius, il vecchio Sirius.
«Volevi parlarmi?» chiese Sirius sedendosi accanto a Harry, che annuì finalmente guardandolo.
«Ti ho visto... baciare il professor Lupin.» mormorò, probabilmente arrossendo e Sirius balbettò per poi tacere, imbarazzato.
«Vi ho visti a Natale, non volevo, davvero!» esclamò Harry preoccupato, ma Sirius scosse lievemente la testa. «Prima o poi te l’avremmo detto. Sai, abbiamo quattordici anni da risanare, volevamo assicurarci che questa volta funzionasse.» spiegò gentilmente, un’ombra di sorriso sul volto scarno.
«Quindi vorrete vivere da soli.» mormorò Harry, come a tentare di non farsi sentire, profondamente deluso. «Sarebbe bello poterci comportare come una famiglia, non trovi?» il sorriso sul volto di Sirius era quello da Marauder. Lo avrebbe riconosciuto ovunque. Harry però non sembrò capire.
«Capisco.» sembrava abbattuto, e probabilmente lo era. Sirius rise con quel suo latrato forte e vibrante, facendogli accapponare la pelle.
«No, intendevo tutti e tre. Se ti va, chiaro.» Sirius sembrava abbastanza sicuro della risposta. Harry infatti quasi urlò la sua approvazione. Remus provò una lieve invidia per l’abbraccio che si scambiarono, e una grande tristezza per il fatto che Sirius non aveva ingannato solo lui. Anche Harry doveva sentirsi malissimo al pensiero. Il ricordo sbiadì e Remus tornò al presente.

E quello era l’ultimo. L’ultimo di una serie di inganni che si erano detti.
Il dolore che provava era lontano e sopito, più viscido, per il semplice fatto che lo sapevano che sarebbe finita così. Però quegli inganni erano stati così dolci che ne era valsa la pena.
Asciugò distrattamente una lacrima solitaria, pensando che il loro amore così falso non era potuto essere più vero, per quanto sembrasse un paradosso.
Se prima aveva qualche dubbio sui sentimenti di Sirius ora non poteva che capire. Quei momenti che aveva rivisto, non erano che i punti più duri e dolci della loro relazione, dove Sirius aveva sentito prepotentemente i suoi sentimenti sommergerlo, e per lui era stato lo stesso. La delusione, il sentirsi tradito, la paura che si stessero solo ingannando... se non fosse stato così innamorato non sarebbero state emozioni così forti, dei muri quasi insormontabili.
Rilesse la lettera e quel “ti amo” gli arrivò più sentito che mai. Accennò un sorriso e si alzò, raccattando quei ricordi che avrebbe tenuto fino a quando il Velo non avrebbe restituito Sirius, o questi fosse morto.
Rimase qualche altra ora in quella stanza, a ripensare con nostalgico dolore a tutti i piani, le congetture e i desideri che aveva a fra le mura di Hogwarts e a ciò che la vita gli aveva poi tolto.
Pensò a James, a Lily e a Sirius. Riportò alla mente con dolore e rabbia anche Peter.
Le persone che amava erano all’aldilà ed ebbe la sensazione che presto li avrebbe seguiti, ma prima doveva combattere ed essere degno del loro affetto.
Si alzò, recuperò le poche cose che aveva deciso di tenere e uscì dalla stanza. La chiuse e fece strisciare oltre la porta la chiave, sperando che mai nessuno l’aprisse.




What about all the dreams you made?
That’s what you’d got.




Note finali: E’ la mia prima wolfstar e sono eccitatissima! Era parecchio che volevo scriverci sopra ma non riuscivo a trattare i personaggi (e probabilmente ancora non mi riesce!) ma alla fine ce l’ho fatta. E non è nemmeno così orrida, credo.
   
 
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