The truth behind the smile
50 anni dopo l’esecuzione
Ancora sembrava strano, portare l’haori di capitano della terza divisione. Kira dubitava che ci si sarebbe mai trovato a suo agio. Avrebbe sempre avuto la sensazione di star facendo qualcosa di sbagliato indossando l’haori di Ichimaru. Avrebbe per sempre continuato ad aspettarsi di veder entrare Ichimaru che l’avrebbe preso in giro per essersi provato l’haori e che gli avrebbe assegnato qualcosa di noioso da fare come punizione. Ma Ichimaru se n’era andato e l’unica parte di lui che restava, era nei suoi figli. Il concetto di invecchiare era relativo alla Soul Society. Non era costante ed era legato più allo sviluppo emotivo e spirituale che allo scorrere del tempo. E così, nel corso degli ultimi 50 anni, Yachiru, che alla fine si era stancata di stare sulla spalla di Zaraki Kenpachi, era diventata un donna a tutti gli effetti. Ma i due figli del suo capitanoerano a male pena bambini. Li vedeva spesso correre tra gli edifici, giocare con diversi membri della prima divisione o tra le braccia di Nanao. A volte li vedeva col Comandante Kyoraku, che per loro era un buon padre. Però…
Sapevano chi era stata la loro madre. Nanao li portava spesso a far visita alla tomba di Matsumoto. Ma Kira sapeva con certezza che nessuno dei due sapesse che il Comandante Kyoraku era solo il loro padre adottivo. Nessuno gli aveva mai mentito però. Solo, nessuno aveva mai detto il contrario ai bambini e tutti avevano lasciato che pensassero quello che era naturale. L’unica persona che pensava che questo fosse sbagliato era Kira e infatti i bambini venivano tenuti lontani da lui. Anche se Kira non gli avrebbe mai detto nulla che li facesse soffrire. Come avrebbe potuto? I bambini erano felici e lui non avrebbe mai fatto nulla per cambiare questo fatto. Il dolore che sentiva ogni volta che Rangiku lo guardava con quegl’occhi color ghiaccio, che erano stati del suo capitano, incastonati nel volto della donna che il suo capitano aveva amato, era soltanto suo. Come lo era l’agonia che sentiva tutte le volte che il suo sguardo si posava sul piccolo Shunsui. Sembrava la reincarnazione di Ichimaru Gin, con tanto di sorriso e occhi chiusi. Naturalmente non parlava come Gin. Per questo Kira era molto grato e su questo si concentrava tutte le volte che lo incontrava. Altrimenti, Kira ne era certo, sarebbe impazzito dal dolore.
Perché non riusciva a dimenticarsi del suo capitano? Dopo tutto, era passato così tanto tempo. Perché ne piangeva ancora la morte? Perché gli mancava ancora? Kira non lo capiva. Forse era solo il suo carattere. Quel suo carattere introspettivo che gli faceva sentire il dolore di una perdita molto più a lungo di chiunque altro. O forse ancora, Ichiamru Gin era impossibile da dimenticare.
Un anno prima dell’esecuzione
“I due traditori
sopravvissuti sono ora trattenuti nelle celle speciali della prima divisione.”
Il Comandante Yamamoto disse agli altri capitani. “Lì resteranno fino
all’esecuzione. Come ben sapete, per tradizione il Sokyoku era il metodo di
esecuzione per gli shinigami giunti al grado di capitano.” Yamamoto lanciò
un’occhiataccia a Ukitake e Kyoraku. “Ma, ovviamente, il Sokyoku è stato
distrutto.” Con grande fastidio del Comandante, sia Ukitake che Kyoraku
riuscirono a mantenere espressioni perfettamente innocenti.
“E allora, come
uccideremo i traditori?” Chiese Hitsugaya.
“Col Sokyoku.”
Rispose Yamamoto. “Ci ho pensato bene e ho deciso che è meglio aspettare che il
Sokyoku venga ricostruito. Il clan Shihoin ci metterà un anno. Perciò
aspetteremo un anno. Durante questo periodo i prigionieri resteranno dove sono.
L’accesso alle celle sarà consentito solo a shinigami di grado superiore al
luogotenente. Tutte le operazioni di manutenzione devono essere fatte con un
capitano o un luogotenente presente. Capisco che questo possa crearvi qualche
problema ma quei due sono persone molto furbe e carismatiche. Non voglio dover
condannare a morte altri shinigami per alto tradimento. Per questo motivo li ho
fatti rinchiudere in celle speciali.”
“Scusi la mia
ignoranza, Comandante.” Disse Hitsugaya. “Ma non ho mai sentito parlare di
queste celle speciali.”
“Le celle speciali
sono costruite nei sotterranei, sotto gli edifici della prima divisione. E sono
fatte di Sekkiseki. Sono fatte apposta per i prigionieri pericolosi che devono
essere trattenuto a lungo. Le porte possono essere aperte solo usando una
zampakuto come chiave. Per ora le ho programmate per far accedere solo la mia
zampakuto, quella del Capitano Unohana e dei nostri luogotenenti. Coloro la cui
zampakuto può accedere alla cella non perderanno i poteri una volta dentro,
tutti gli altri verranno privati di reiryoku. Questo vale anche per i
prigionieri stessi che non possono lasciare la stanza a meno che non venga
aperta dalla zampakuto capo, la mia.”
“Comandante,
vorrei richiedere la possibilità d’accesso a Tosen Kaname per me e per il
Luogotenente Hisagi Shuhei.” Disse il Capitano Komamura. “Vorrei parlare con
Tosen e sono sicuro che lo stesso vale per lui.”
“Consentita.”
“Io vorrei
richiedere la possibilità d’accesso a Ichimaru Gin per il Luogotenente
Matsumoto e il Luogotenente Kira.” Disse Hitsugaya. “Hanno bisogno di
riappacificarsi con Ichimaru prima del compimento della condanna.”
Ci fu una lunga
pausa prima che Yamamoto prese la parola. “Considerato che sia il Luogotenente
Matsumoto che il Luogotenente Kira hanno dimostrato la loro lealtà verso il
Gotei 13 e
Fissava la sua
immagine riflessa nello specchio. Chiedendosi perché non avesse smesso di
indossarla, quella collana che lui le aveva regalato così tanto tempo fa.
Dovrebbe toglierla. Avrebbe dovuto toglierla quando era stato svelato il
tradimento. Ma non l’aveva fatto. Perché? Perché si sentirebbe nuda senza. Era
parte di lei, non poteva sbarazzarsene. Proprio come lui. Dopo tutto, sarebbe
morta se lui non fosse arrivato. Non sarebbe qui, se Ichimaru Gin non fosse
entrato nella sua vita. Non si sarebbe mai liberata di lui e la collana che
portava intorno al collo non era altro che la rappresentazione fisica dello
stato della sua anima. Ma per quanto potesse essere legata a lui, non avrebbe
ceduto, non sarebbe andata a trovarlo. No, non aveva niente da dirgli. Nessuna
spiegazione da chiedere. Aveva fatto quello che aveva fatto e del perchè non le
importava più di tanto. L’aveva ferita, fatto del male ai suoi amici, colpito
tutto ciò che avevano giurato di proteggere. Non voleva ascoltare le sue
ragioni. Non avrebbe dovuto farlo e basta. No, non sarebbe andata a trovarlo,
non finchè non sarebbe stata obbligata a presenziare alla sua esecuzione in
qualità di luogotenente della decima divisione. Il suo capitano era stato molto
gentile e premuroso a richiedere l’accesso per lei, ma non era necessario. Non
voleva avere più niente a che fare con lui.
Veniva ogni giorno
e si fermava davanti alla porta chiusa. La mano sull’impugnatura della
zampakuto. Non sapeva davvero cosa voleva fare. Una parte di lui voleva
voltarsi e tornare alle terza divisione, alle sue mansioni, ai suoi amici, alla
sua vita. Un’altra voleva aprire la porta… ma cosa avrebbe fatto dopo averla
aperta? Non lo sapeva. Per sette giorni aveva assecondato la parte che voleva
andarsene. L’ottavo, aprì la porta ed entrò.
La stanza era
fredda e conteneva un letto, una scrivania e una sedia. Ichimaru era seduto
alla scrivania quando Kira entrò, sembrava stessa leggendo alla luce della
lampada che era sulla scrivania. “Così, alla fine ti sei deciso a entrare,
Izuru.” Disse senza voltarsi. Ma poi, nulla potrebbe essere più appropriato, la
maggior parte del tempo Kira aveva sempre fissato il retro della testa di
Ichimaru.
“Ha avvertito la
mia presenza.” Sussurrò Kira.
“Già. Questa
stanza mi blocca ma riesco ancora a percepire te e Rangiku. Immagino che non
verrà a visitarmi presto?”
“No, Matsumoto-san
ha detto che non vuole avere più niente a che fare con lei.”
“Non posso biasimarla.
Suppongo che dovrò accontentarmi di vederla alla mia esecuzione, per me sarà
abbastanza. Non è come se potessi dimenticarla. Ma mi basterà vederla un’ultima
volta… non miro a nient’altro.”
“Si rende conto
che è quasi morta durante la guerra.” Rispose Kira con rabbia. “Non sembrava le
importasse molto allora se viveva o moriva.”
“Naturalmente mi
importava. Non volevo che le venisse fatto del male. Non ho mai voluto la sua
morte. Avevo sperato che non mi avrebbe mollato quando sarebbe scesa la negacìon…
ma non è andata così. E poi ho continuato a sperare che sopravvivesse alla
guerra e…”
“E cosa! E se
aveste vinto, sarebbe ritornata da lei! Pensa che le avrebbe perdonato la morte
dei suoi amici, del suo capitano? Se lo pensa davvero, non la conosce veramente.”
“La conosco,
Izuru. La conosco meglio di quanto non si conosca lei. Non mi avrebbe mai
perdonato. Mai. Ma sarebbe rimasta con me. Una parte di lei mi avrebbe odiato,
un’altra avrebbe odiato se stessa ma sarebbe rimasta con me.” Disse con assoluta
convinzione.
“Non sarebbe stata
una bella vita.”
“Tu sei nato qui,
vero Izuru. La tua famiglia è nobile, no?” Erano pure affermazioni, Ichimaru
conosceva bene la storia della famiglia di Kira.
“Bassa nobiltà
ma…”
“Sei comunque un
nobile. È vero che hai avuto una vita dura rispetto a quelli che sono di qui
come te, ma io e Rangiku… La nostra definizione di bella vita ti
sorprenderebbe.”
Kira chiuse gli
occhi e pose la domanda che l’aveva perseguitato fin da quando aveva scoperto
che il suo capitano era un traditore. “Perché?” Quell’unica parola poteva avere
tanti significati.
Silenzio. “Sei un
ragazzo intelligente, Izuru, arrivaci da solo.” E questa, Kira realizzò,
sarebbe stata l’unica risposta che avrebbe mai ricevuto da Ichimaru Gin.