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Autore: Lady Snape    06/03/2010    7 recensioni
Ken Wakashimazu conduce una vita tranquilla tra allenamenti, partite, quel po' di karate per far piacere a suo padre, ma anche a sé stesso. Ha un amico pettegolo, un rivale borioso, un allenatore ex alcolizzato, un cane, una bella macchina. Odia gli appuntamenti al buio. Ma in che situazione si è cacciato?!
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo un anno di fatiche sono riuscita a finire questa Fanfiction! Ne ho così tante incomplete nel mio pc che mi sono imposta di finire prima queste e poi di cimentarmi in altro. Buona lettura!

 

Lady Snape 

 

 

Appuntamento al buio

 

Non amava gli appuntamenti al buio. Decisamente non facevano per lui. Era un ragazzo riservato in fin dei conti ed essere trascinato in certe situazioni lo metteva a disagio. Kojiro non aveva saputo dirgli niente riguardo la ragazza che avrebbe dovuto accompagnare. Tutto quello che aveva riferito era che si trattava di una ragazza simpatica. Questo, nella quasi totalità dei casi, vuol dire che si tratta di una cozza. Eh sì, perché se come primo aggettivo ti viene in mente “simpatica” vuol dire che esattamente non c’è niente che riesca a colpirti prima dell’analisi di una ipotetica indole della persona. E’ come un glissare sull’aspetto fisico. D’accordo, se qualcuno avesse letto i suoi pensieri, lo avrebbe preso per un uomo superficiale, specie le ragazze, sempre pronte a recriminare, mentre a loro era permesso sbavare sul belloccio di turno e nessuno poteva aprire bocca. Come era ingiusto il mondo!

Ken non era esattamente fortunato con le ragazze. Quando frequentava ancora la Toho era corteggiato, questo non poteva negarlo, ma sempre dalle ragazze sbagliate. Non sapeva davvero spiegarsi perché la maggior parte della popolazione femminile della scuola preferisse Hiyuga e i suoi modi bruschi, il suo ignorarle, il suo regalare i cioccolatini che riceveva per San Valentino a tutta la squadra e farsene vanto. Lui riceveva la sua parte di dolci, in quantità inferiori rispetto al suo migliore amico, accettava con un sorriso gentile, ma gli si proponevano o ragazzine del primo anno o cozze, per l’appunto. Se la ricordava ancora una ragazza molto molto carina, con lunghi capelli neri che gli si era presentata. Aveva subito benedetto il cielo per una così bella novità, quando venne a scoprire che non era altro che una messaggera per un’amica timida… Magari era davvero timida questa fantomatica amica, ma era più alta e grossa di lui e no, gli dispiaceva, ma proprio non era il suo tipo, magari avrebbero potuto essere amici.

Qualche volta si era lasciato convincere dai visetti d’angelo delle piccole matricole, ma si era pentito amaramente di questa sua debolezza: si era trattato di un incubo totale. Doveva star dietro a capricci di ogni genere, gli era vietata qualsiasi uscita con i suoi amici di sempre e doveva sorbirsi lacrime e insulti. Sì, insulti, perché lui era il “tipico maschio menefreghista”. E perché mai? Perché gli allenamenti non li avrebbe mai saltati per andare a prendere un gelato per festeggiare i primi quindici giorni insieme. Che strazio! E in tutto questo Kojiro si faceva delle grasse risate.

< Evidentemente dipende dalla tua faccia. > disse un giorno l’attaccante.

< In che senso, scusa? > chiese scettico.

< Lascia stare. > fu l’unica risposta che ricevette.

                Il suo migliore amico. Già, per quanto non avesse poi dato grande sguardo alla rosa di pulzelle che regolarmente gli si presentavano davanti, era decisamente fortunato. Bastava che allungasse una mano e avrebbe potuto avere tutto quello che desiderava. Prima di incontrare Maki, quella che era decisamente la sua ragazza ufficiale e l’unica capace di farlo rigare dritto, aveva bazzicato qua le là in storie e storielle sempre a lui favorevoli. Non che se ne vantasse, ma ci andava vicino, raccontando gli abbordaggi di queste signorine, facendo sbuffare lui e vivere di luce riflessa Takeshi, il più sfigato del gruppo.

                In questo momento Ken si chiedeva perché avesse accettato. Conosceva la risposta: non avrebbe lasciato un amico in difficoltà. Era troppo buono, con suo rammarico, e tutti ne approfittavano. Si guardò allo specchio. Aveva la faccia da buono e forse era questo che intendeva Kojiro quando diceva che era la sua faccia ad attirare certa gente: erano tutti sicuri che non avrebbe detto di no, che sarebbe stato indulgente. Certo, anche in Nazionale: Wakashimazu alle eliminatorie e Wakabayashi in finale. Il lavoro sporco a lui e la gloria a quell’altro, borioso fino allo sfinimento. E lui che poteva fare? Una volta li aveva mandati al diavolo tutti quanti e i sensi di colpa si erano fatti così atroci che si era trovato ad andare allo stadio mezzo travestito per non farsi riconoscere: gli era venuto il patema a furia di vedere che combinavano in campo e gli era fin dispiaciuto per Wakabayashi, che continuava a giocare con un braccio maciullato, salvo pentirsene dopo qualche giorno. Non c’erano speranze.

Ora Kojiro gli doveva un favore e bello grosso. Stava facendo forza su se stesso per non sbuffare davanti allo specchio del bagno, per non pensare al fatto che questa situazione non gli piacesse affatto. Infilò la camicia e l’abbottonò senza guardarsi. Infilò il portafogli in tasca e salutò il suo cane, che dormiva della grossa nella sua cesta. Lo invidiò.

                La sua auto lo attendeva. Quando era riuscito a mettere da parte abbastanza soldi, si era comprato l’auto dei suoi sogni. Una Ferrari? No. Una Mercedes? No. Un vecchio maggiolino color senape tutto sgangherato, ma che aveva fascino retrò. Solo per lui evidentemente, perché quando Hiyuga l’aveva visto era partito con un’altra delle sue grasse risate. Piegato in due, trattenendosi la pancia, aveva chiesto cosa volesse fare con quel cassonetto e se credeva che quel tipo di carretto dotato di motore antiquato potesse effettivamente risolvere la sua penuria di donne.

< Che ci devi fare con quella? > aveva chiesto con le lacrime agli occhi. Piccato, Ken si era messo a descrivere tutta la storia di quella macchina, del suo fascino, della sua linea morbida.

< Sì, certo, ma i sedili si reclinano almeno? >

A questa domanda lo guardò storto. Quella era una cosa che non gli piaceva molto: il sesso in macchina. Lui era più il tipo da serata romantica sotto le stelle, quindi quell’auto non sarebbe comunque servita allo scopo che maliziosamente l’attaccante gli aveva proposto.

                La strada era sgombra dal traffico. L’ora di punta era passata da un pezzo e il tramonto creava dei bei riflessi sulla strada. Il caldo era sopportabile per Ken, anche perché l’unico rimedio era abbassare i finestrini. L’aria condizionata in quella macchina non era contemplata. Il luogo dell’appuntamento, aveva detto Kojiro, era la stazione centrale della metropolitana di Tokyo. Dal quel poco che era riuscito a sapere dal suo amico, si trattava di fare un favore al loro coach di sempre, Kira, ora anche allenatore della Nazionale Under 23.  La richiesta in realtà era stata fatta a Hiyuga, ma questi era riuscito a scaricare con grande maestria la patata bollente al portiere. La giustificazione che aveva adottato era stata espressa da un laconico “Maki mi ucciderebbe”. La fama della ragazza era parecchio nota a lui e a Takeshi: sapeva farsi rispettare, anche se forse poneva dei limiti abbastanza rigidi al ragazzo e tutti sapevano che non avrebbe esitato ad agire di forza sul suo scapestrato fidanzato. Questa scusa fece comunque alzare gli occhi al cielo al povero Ken, felice che Kojiro non potesse vedere quel suo gesto di stizza ormai noto e rinfacciato continuamente, dato che era per telefono che gli erano state passate queste informazioni.

< Non credi di esagerare quando dici che ti ucciderebbe? Insomma, si tratta solo di fare praticamente il tassista! >

< Sì, ma devi anche scorazzartela in giro per un po’, dato che Kira l’aspetta per le nove. Per questo ho pensato a te: almeno ti eserciti con gli appuntamenti con le donne! > e rise di lui mentre riattaccava.

Quelli erano i momenti in cui avrebbe voluto scatenare la sua abilità di karateca e allora nemmeno la Tigre avrebbe potuto fare niente. Sapeva che lo avrebbe messo al tappeto in poche mosse, avrebbe potuto farlo con chiunque, ma la sua indole di pacifista lo portava a trattenersi dall’agire in questo modo.

Appoggiato al suo maggiolino, ripensava alle poche indicazioni che aveva ricevuto: non aveva idea di come potesse essere questa ragazza, a parte il fatto che fosse simpatica, che non era il massimo per poter individuare qualcuno tra la folla che usciva regolarmente dalla metropolitana. Rovistò sul sedile posteriore e trasse fuori un foglio tutto stropicciato e una penna con la quale scrisse “Coach Kira” a caratteri cubitali. Non aveva scelta.

< Sei tu il cavaliere rampante mandato da Kira? > una voce molto chiara lo fece voltare. Ken si voltò e mise via il cartello improvvisato, che aveva tenuto in bellavista.

Quello che pensò subito era che “simpatica” non era la prima cosa che sarebbe venuta in mente guardando la fantomatica ragazza. Nel complesso era più che gradevole, diciamo che magari non era una modella, ma era armoniosa nei suoi tratti, nelle sue movenze. Unica pecca magari era che era praticamente una bambolina in miniatura, un concentrato. Era parecchio più bassa di lui, decisamente, e non aveva esattamente il fisico da barbie, ma curve abbastanza pronunciate qui e là.

< Sono Ken Wakashimazu e sono a tua disposizione, credo. > aggiunse, per non sembrare un po’ troppo tappetino.

< Oddio! > disse ad un tratto la ragazza < E’ tua questa? > si riferiva al maggiolino, parcheggiato alle spalle del ragazzo. Gli occhi di lei si erano illuminati e con una mano accarezzava la verniciatura nuova di zecca che, con tanti sacrifici, Ken era riuscito a far rifare ad arte.

Ken si inorgoglì e gonfiò le penne. Uno a zero per me, caro Kojiro.

< Sì, è del ’75. Te ne intendi? > chiese.

< Non molto, ma le preferisco alle auto impersonali di oggi. Hanno un loro perché nella forma e poi sono troppo simpatiche. Il mio nome è Aiko Okudera, non mi sono ancora presentata. > e porse la mano al ragazzo. Una mano piccola, constatò il portiere.

                Il giro che fecero non fu molto lungo. Il tempo lo persero tutto a cercare di districarsi tra il traffico serale che, nell’attesa alla metropolitana, si era fatto imponente. Per evitare di essere intossicati dai gas di scarico delle auto si sigillarono nell’auto d’epoca, ricavando un silenzio disturbato dall’accelerazione e dal motore al minimo che la facevano vibrare tutta. Ken non era una persona loquace e non c’era verso di mutare questa parte del suo modo di essere. Tutto quello che fece nell’ora interminabile nel traffico fu di osservare di sottecchi quella ragazza. Doveva avere diciotto anni circa, giudicandola dall’aspetto, ma dai suoi modi pareva non fosse esattamente così. Gli dava molto da pensare e tentava di comprendere che legame potesse avere con il coach. Finalmente riuscirono a uscire dall’imbottigliamento e arrivarono all’appartamento di Kozo Kira.

                I due ragazzi salirono al quarto piano dell’edificio bianco che si trovava davanti a un piccolo parco. Si trattava di un condominio signorile: il vecchio coach aveva decisamente migliorato i suoi modi di vita, rispetto alla vetusta baracchetta sulla spiaggia dove aveva amato tenere la sua scuola di calcio. Dopo aver atteso qualche minuto che qualcuno venisse ad aprire loro la porta, una figura bassa, ma non poi così tanto fece capolino dalla porta di ingresso.

< Sono contento che tu sia venuta qui! > disse Kira con uno sguardo compiaciuto alla ragazza e, con grande meraviglia di Ken, si abbracciarono.

< Sai che non mi sarei persa questi momenti per niente al mondo! Insomma, si festeggerà la qualificazione no? > Aiko era davvero contenta che il Giappone si fosse qualificato alle Olimpiadi che si sarebbero tenute quell’estate.

< Entrate su, anche tu Wakashimazu. >

Si accomodarono in salotto e Kira offrì loro qualcosa da bere, stranamente analcolico.

< Kira, la tua alcolemia era una delle mie certezze nella vita, che diavolo è successo? > chiese la ragazza quando si vide propinare un’aranciata. Kira la guardò soddisfatto e a Ken non sfuggì quello sguardo quasi paterno. Che fosse suo padre in realtà? Che avesse nascosto a tutti di avere una figlia e siccome c’era lui evitavano di chiamarsi amorevolmente? Questa cosa era davvero  strana.

< Sono diventato l’allenatore della Nazionale, quindi ho fatto delle promesse innanzitutto a me stesso: dovevo dare il buon esempio a chi avrei dovuto allenare. >

< Capisco, beh più che bene non può farti e, già che ci sono, ti faccio i miei complimenti! Fantastiche partite! E tu > disse rivolgendosi a Ken < sei stato una rivelazione! Il portiere che diventa attaccante! > e sollevò il bicchiere nella sua direzione, quasi a farne un brindisi tutto in suo onore. Ken si sentì lusingato e rispose con un grazie quasi sussurrato.

< Stanotte resti qui? > l’allenatore chiese quasi con un velo di tristezza nella voce.

Aiko sembrò soppesare la risposta. Disse che era meglio così, almeno per quella notte, e che sarebbe andata a trovare Sakura il giorno seguente.

Ken non riuscì a capirci niente. Chi era quella ragazza? Cos’era Kira per lei? E questa Sakura? Vista l’ora tarda dovette andar via, ma molti dubbi gli sfiorarono la mente.

 

 

 

 

   
 
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