Ninfadora mi raggiunge nella cucina del palazzo di Grimmauld Place con un sorriso perfido: sta trasportando un’enorme palla di neve, da cui cade una carota surgelata.
Mi stringo addosso il mantello, certo che il gelido bottino finirà infilato nei miei vestiti.
Non che io non sia in grado di rispondere a uno scherzo – è una delle mie specialità! - ma oppormi a Ninfadora è sempre un’avventura, impossibile prevedere le sue uscite.
Non ho ancora concluso il pensiero che mi sorprende lanciando la palla di neve nel lavabo, ridendo di gusto per la mia espressione stupida e sollevata.
“Ma… non volevi cacciarmela sotto i vestiti?” chiedo curioso.
“Evidentemente no. Mi andava di farci gol nel lavandino, perché è una cosa che non avevo mai fatto prima. Mia madre aveva questa fissa che con la neve bisognava giocarci di fuori, riuscivo a portare in casa solo quella che mi rimaneva incastrata sotto gli scarponi,” si rammarica. “Le corde vocali della mamma ne hanno risentito parecchio, dopo che ho lanciato uno di quelli nel lavandino… per non parlare delle mie chiappe: praticamente fosforescenti!”
“Complimenti, ambizione originale,” sorrido, è estremamente buffa. “Se non si scioglie prima dell’arrivo di Molly, le dico che il pupazzo di neve dei vicini è venuto a farci visita e ha perso la testa, quando ha scoperto che qui ora ci vive un lupo mannaro?”
Ninfadora è entusiasta: “Sì, dai! Un alibi perfetto!” si siede accanto a me, facendosi seria. “Visto che ci tenevi tanto, potresti mettere tu qualcosa sotto i miei vestiti.”
Mi prende le mani e le infila sotto il suo giaccone.
Sono maldestro e ne poso una sul suo seno senza poter reprimere un sorriso rapito.
“Ti piace?” mi chiede speranzosa.
Deglutisco, conscio di stare per perdere la testa in maniera non meno convincente del pupazzo di neve. “I ragazzi stanno per arrivare.”
“Ma no. Nessuno bada a noi, neanche il tizio di neve decapitato.”
“Allora… sì. Mi piace molto il tuo seno.”
“Se ci beccassero così appiccicati, sarebbe diverso?”
“Potrebbe essere molto diverso.”
“Potrebbe sì!” esclama lei. “Potrei ingrandire le mie tette di venti taglie o rimpicciolirle di… ehm… temo che due bastino per rasentare la piattitudine totale. Ma saresti tu a decidere, gli altri non contano.”
Sorrido incantato mentre sistemo meglio la mano sul suo petto. Voglio sentire il suo seno riempirmi il palmo; è mio, e lo stringo: pieno, caldo, delizioso. “Non dobbiamo condividerlo con nessuno.”
Lei trattiene il respiro, dischiudendo la bocca. Gli è necessario qualche minuto per ritrovare la voce. “Hai paura di cosa potrebbero pensare gli altri pettegoli di noi due che ce la intendiamo così alla grande?”
“Ho molta paura,” ammetto turbato.
Ninfadora alza la giacca sulla testa, nascondendo entrambi sotto di essa.
“È abbastanza segreto, così?” mi bisbiglia.
Io rido. “Notte improvvisa e senza luna?”
“No. Ho spento la luce per venirti incontro.”
“Per compiacermi?”
“No! Intendo letteralmente: ora ti vengo incontro!”
Preme la bocca sulla mia in uno scontro sgraziato e gioioso, sussurrando furtiva contro le mie labbra: “Black-out da bacio,” pochi secondi prima che l’arrivo dei ragazzi mi obblighi a separarci.