Dimmi Se Sei Felice
La casa è buia senza di te.
Oscura da quel bene che insieme abbiamo creato.
Tutto è avvolto dal nero della notte, illuminato
solo da qualche candela accesa che mi sono premurato d’accendere.
Il divano rosso come il sangue, dalle calde
fiamme del camino innanzi a lui, sembra un enorme lingua di fuoco che mi vuole
avvolgere.
Ho paura.
Ho paura non della morte, che esso sfiorandomi mi
possa dare, ma ho terrore di non saper andare avanti.
Guardo avanti a me, le mani congiunte sotto il
mento mentre penso.
Il pensare è l’unica cosa che mi dà l’energia per
andare avanti, ora, che tutto giace nel nulla, perso nel dimenticatoio della
mia mente.
In questa posizione, perdo i miei occhi a
guardare il soffitto bianco.
Bianco.
Ti ricordi di come hai insistito per farlo di
questo colore?
Io lo preferivo di un colore più acceso ma tu,
con la tua immancabile allegria, mi avevi chiesto di pitturarlo del chiaro
colore della tua veste.
-Devi sapere,Anthony, che il bianco è il colore
eterno. E’ il colore della luce, non morirà mai; come il nostro amore!-
Non le dimenticherò mai quelle parole, quella
promessa me la ripeto ancora in mente a tarda sera quando non riesco a congiungermi
con il sonno.
Mi machi Elisabeth, tanto quando mi manca l’aria.
Il tuo sorriso caldo e genuino era l’aria che io
respiravo e che ora, per quanto la cerco, non la riesco a trovare.
Ricordo tutto di te, dal tuo morbido spostarti i
capelli biondi dal viso, all’assottigliare delicata la fronte dando vita a
tante piccole rughe che delineavano i tuoi lineamenti.
Amavo tutto di te, anche il tuo più semplice
difetto.
Anche il tuo piccolo, inesistente ed essenziale
difetto.
Ti ho sempre dipinta come l’angelo dei desideri,
nella veste bianca che solitamente portavi.
Nella mia mente la tua schiena era abbellita da
gentili ali candide e il tuo sorriso,impresso a fuoco nella mia mente, gioca
ancora nella mia fantasia.
Lo sogno la sera, quelle poche notti che Dio mi
dona di riposo.
Ti sogno nel tuo splendore e nel tuo piccolo ma
concreto modo di fare del male.
Il mio sguardo si posa sul tavolo dove
solitamente sedevi per leggere.
Sorrido.
Non ti è mai piaciuto leggere comodamente stesa
sul divano,no tu sedevi seduta sulla sedia della cucina per tenere la schiena
dritta e composta.
-Mi piace stare così perché mi fa sentire ancora
giovane. Mi fa sentire ancora una scolaresca che deve studiare interi pomeriggi
sulla scomoda sedia della sua cameretta- mi rispondevi quando ti abbracciavo da
dietro e,con una carezza sulla schiena, ti facevo notare che quella posizione
era tremendamente scomoda.
Ma tu sempre scuotevi il capo, e con un sorriso e
un bacio mi mandavi via.
-Lasciami studiare!- ridevi tornando a essere una
ragazzina di soli diciassette anni.
Ricordo bene quando camminavi per la casa, con le
mani strette in grembo e la testa alta.
Ridevi, sempre.
Ricordo quando il giorno del nostro matrimonio ti
sei avvicinata a me, nel tuo bel vestito bianco come te e il passo leggiadro.
Le ali, in quella tua visione pura, non sono
state una sola mia invenzione.
Dalla tua testa, acconciata severamente,
nascevano boccoli color del grano e i
tuoi occhi, castani, erano caldi come le fiamme di questo fuoco che ora sembra
voler uscire dal camino per avvolgermi.
Sospiro allungando una mano verso la fonte di
calore.
Lo facevi sempre tu, quando sedevamo insieme a
contemplare il nostro passato.
Con un sorriso rammento perfettamente quando, con
la tua mano nella mia, mi chiedesti cosa fosse per me la felicità.
Rimasi spiazzato
perché non sapevo bene il significato di quel aggettivo.
-Per me felicità è sentirsi realizzato.- ti
risposi con un sorriso, fiero della mia risposta.
Non mi accorsi, allora solo ventiseienne, che
alla mia risposta tu diventasti scura in volto.
-E tu sei soddisfatto della tua vita, di me,
Anthony?- continuasti a chiedermi con il viso basso e le mani strette al
fianco.
- Credo di si- la mia voce mi risuona stupida
ora, che la risento nei miei ricordi.
Perché solo ora capisco che quel credo ti ha ferito.
Perché solo ora capisco che volevi sentirti
elogiata.
Tu davi anima e corpo, cuore e sentimento in
tutto quello che facevi.
Ma io, allora non ci diedi tanto peso.
Cominciai a sospettare qualcosa quando, la sera a
letto, ti strinsi a me e mi abbracciasti da dietro.
-Voglio che tu sia felice, Anthony – dicesti con
la vice rotta- voglio sentirti gioioso e contento di te stesso, anche se così
io soffrirò.-
Dapprima non avevo capito le tue parole, ma le
compresi solo vivendo.
Nei giorni successivi diventasti sempre più
apprensiva e carina con me, accondiscendente in tutte le mie richieste.
Più volte ti trovai anche a leggere sul divano,
come sempre avevo detto che mi avrebbe fatto piacere vederti.
-Elisabeth,- ti dissi una volta- oggi non hai
voglia di sentirti una scolara?-la mia voce era sarcastica ma la tua invece
suonò tremendamente sola:
-Voglio vederti felice- dicesti solo- e appagato
delle tue scelte.-
Mi ha sempre sorpreso, tesoro, sempre.
La sorpresa più grande che potessi farmi fu
quando mi comunicasti di essere incinta.
Felice, fui in quel momento, veramente e
teneramente contento.
Piansi, quando me lo comunicasti.
Piansi quando venni a sapere che sarebbe stata
una bambina, come te.
Speravo che avrebbe avuto capelli biondi e occhi
castani, come te, di me mi importava che avesse solo il sangue per poterla
considerare mia figlia.
La mia bambina.
La mia e la tua.
Passavo tante giornate a cullarti tra le braccia
a cullare te e la mia piccola bambina.
E come sempre, un giorno tu mi sorprendesti portando a casa anche un tremendo malanno.
Ti vedevo sciupata e sofferente, la tua allegria
volava via con l’aria giorno dopo giorno.
Non leggevi più, non camminavi più per casa e
principalmente non vivevi.
Fu dopo un mese che il dottore mi disse che avevi
un tumore, un tumore, un tremendo tumore al fegato.
Non ci stava niente da fare.
Piansi tanto, piansi quando ti vedevo versare
lacrime rosse dagli occhi.
Piansi quando vedevo che non volevi prendere
medicine per placare il dolore.
-La bambina,- dicevi solo- potrebbero fare male
alla bambina!-
-Ma sono solo antidolorifici -dicevo io, più
spaventato di te.
- La bambina, la bambina deve stare bene!-
Il tuo viso, quegli ultimi mesi della tua vita,
era sempre madido di sudore.
Soffrivi, ma non lo davi a vedere per non far star male anche me.
Sei sempre stata forte, tesoro.
Anche quando in letto di morte la finestra aperta
stava portando via tutte le tue forze non emettesti nessun gemito di dolore ma
sorridesti al mio cospetto.
Ricordo che con fatica cercasti la mia mano
sfinita dal precedente parto avvenuto solo dodici prima e che, con un sorriso
caldo, mi chiedesti con un sorriso:
-Sei felice Anthony, dimmi, sei felice?-
Non riuscivo a capire come potessi farmi una
domanda tanto frivola.
Come potevo essere felice quando il tuo viso
perdeva calore e colore?
Con le lacrime agli occhi piansi, e tanto per poi
scuotere il capo.
-Sii felice!- furono le tue ultime
parole-sorridi!Per favore sii felice-la tua voce si affievoliva.
-Non posso essere felice. Non posso amare quello
che è accaduto.-
Solo ora, a distanza di un anno e mezzo, riesco a
capire quanto sia stata stupida la mia risposta.
Solo ora capisco il significato pieno della tua
domanda.
Tu non volevi che io fossi felice della tua
morte, ma che lo fossi di quello che avevamo passato e io, ignorante ragazzino,
non avevo capito il tuo vero volere.
E io, stupido uomo, ti ho lasciata andare con la
convinzione che quello che c’era stato per me non era stato miracolo e gioia.
E io, ora uomo adulto e padre di figlia, soffro
perché non riesco a scordare il tuo viso perdere l’ultima traccia di vita e
sussurrarmi un flebile: -Grazie di avermi reso felice e scusa di non aver fatto
lo stesso-
Ricordo la tua mano che perdeva peso sulla mia,
ricordo il freddo della morte avvolgerti.
Ricordo il pianto mio sulle gote tue.
Ricordo gli strilli di mia figlia che ancora oggi
mi tengono compagnia.
Ricordo che quella bellissima creatura è nostra
figlia, amore di entrambi.
Mi alzo dal divano rosso che si affievolisce con il
tempo e mi dirigo nella stanza della nostra piccola bambina.
Avvolta da una tiepida copertina rosa, lei piange per poi calmarsi alla mia veduta.
Sono una bravo papà, dopo tutto.
Quando tu me la lasciasti solo,rammento di non
essere riuscita a guardarla per quanto t’assomigliava.
Come avevo pregato aveva i tuoi capelli e i tuoi
occhi.
Il tuo sorriso.
Di mio, c’era solo il sangue.
Ricordo che ero stato tentato di darle il tuo
nome, per far continuare a vivere il tuo spirito in lei ma non sarebbe stato lo
stesso.
Non sarebbe stato giusto evocare la tua venuta di
nuovo sulla terra, ora che il Signore t’aveva chiamato al suo cospetto.
E allora, guardando il soffitto, ricordo di aver
pianto e rammento che il suo nome era uscito spontaneo dalle mie labbra carnose
e corrose dal dolore.
Ricordo che mai nessun nome mi sembrò più
adeguato e che mai nessuna creatura più bella.
Ed anche ora, avvicinandomi alla sua culla per
vederla finalmente ridormire, non riesco a non commuovermi.
Sono ormai due anni che questa piccola vive sotto
il mio tetto, ma sono anche due anni che ogni qual volta che me la trovo davanti
le lacrime prendono il sopravvento.
Perché lei, la nostra piccola Bianca, è il
simbolo del nostro amore.
Perché lei è il piccolo fiore del nostro
amore,bocciato senza la tua presenza.
E perché avevi ragione quando mi spiegavi che non
c’è colore più puro che spieghi il nostro amore.
E’ Bianca, la nostra piccola creatura che ora si
ciuccia il dito teneramente, è la prova che ne dà il risultato.
Lenta le accarezzo la testa e nello stesso
momento una voce mi suona in testa.
Non so come, ma dall’alto del cielo tu ti sei
messa in contatto con me per parlarmi un ultima volta.
La tua voce mi rimbomba serena nelle orecchie e
candida mi chiede:
-Sei felice, Anthony?-
Sorrido, questa volta non sbaglierò nel
rispondere al tuo quesito e allora alzo il capo verso il cielo dove una stella
brilla più alta delle altre.
Accarezzo ancora la testa della mia piccola
bambina e mi sento finalmente pronto ad affrontare la vita.
Dietro di me, il camino m’avvolge con il calore
delle sue lingue di fuco.
-Sì, Elisabeth, sono felice. Non sai quanto!-