Hard Times
Save the children
La
neve
cadeva lenta e si posava con dolcezza sul terreno freddo.
Ad ogni
respiro dei cento bambini, che allineati attendevano un ordine,
l’aria
si condensava.
Faceva
freddo, tanto freddo, troppo per le loro giacche di stoffa leggera ed i
loro colli scoperti. Tremavano e non era solo a causa del freddo.
Avevano perso
tutto. Avevano perso la spensieratezza che ti rallegra
l’infanzia,
che la rende unica e leggera. Avevano perso il sorriso, quel sorriso
che colora
il viso di ogni bambino, che rende il suo viso unico e vitale. Avevano
perso
ogni speranza per il futuro, ogni sogno. Avevano perso il calore della
famiglia, il calore del dolce abbraccio della loro mamma. Avevano
perso… la
loro linfa vitale.
Gavriel
strinse la mano della sorellina Rivka, che tristemente si
portò una
mano sulle labbra, giocando con i piccoli incisivi. Lui aveva soli
dodici anni
e lei sette e la vita, prima che li portassero lì, era
l’avventura più
meravigliosa del mondo. Avevano una casa, un letto, una coperta che li
riparava
dal freddo della notte. Una minestra calda ogni sera, una mamma ed un
papà che
gli rimboccava le coperte tutte sere, ripetendoli quando li amassero e
che,
qualsiasi cosa fosse accaduta, sarebbero stati per sempre al loro
fianco. Ed
era vero, ma loro erano troppo piccoli per capire, per comprendere cosa
in quei
duri anni accadeva nel paese, cosa scuoteva gli animi di genitori, zii,
nonni.
La guardia
diritta attendeva con il fucile in mano, ad un alto della fila.
Guardava i bambini impauriti con sguardo duro. Perle salate bagnavano
di tanto
in tanto i loro visi. Silenziose si facevano largo sulla pelle
arrossata dal
gelo, sfiorandole loro labbra screpolate.
«Ho
paura, Gavriel.» mormorò la piccola Rivka.
«Andrà
tutto bene.» mormorò il fratellino stringendola
ancor di più la piccola
mano.
«Va
bene. Ma ho paura lo stesso.» gemette in un soffio.
Poco
distante, Yoel, un ragazzino di quattordici anni guardava i due
fratelli
infondersi coraggio, contare l’uno sull’altro. Lui
non aveva fratelli, né
sorelle. Aveva una mamma. L’ultimo ricordo che conservava di
lei, era il suo
viso freddo, attonito, sulle tavole di legno del lercio pavimento di
quel
malandato treno che li condusse fino a
lì.
Yoel non
aveva più nessuno al mondo. Era solo.
Digrignò
i denti, odiando con tutto se stesso quel soldato che lo
trascinò via
dalla salma della mamma che tanto amava, odiando con tutto se stesso
ciò che
quei soldati lo costringevano tutti i giorni a fare, in attesa di quel
treno.
Ma lui l’aveva capito, sua madre glielo aveva spiegato e ne
aveva avuto la
conferma. Nessuno treno portava in un posto migliore, nessun treno
portava nel
paese della fate e dei balocchi.
Un uomo,
August si chiamava, voltò l’angolo della struttura
in mattoni grigi,
seguito da altri uomini in uniforme. I fucili sottobraccio. August era
forse
uno degli uomini più meschini, crudeli, sadici che vi
fossero sulla terra.
Forse alla stessa schiera del fuhrer, che dall’alto dava
ordini.
Gli uomini
marciarono verso la fila di bambini impauriti, infreddoliti,
ammalati. Dal suo sguardo trapelava odio, nient’altro. Il
cuore era come se
avesse cessato di battere, come se il freddo lo avesse definitivamente
tramutato in un duro pezzo di ghiaccio, impossibile da sciogliere.
Nessun
bambini fiatava. Si potevano solo udire i veloci respiri.
«Ciao,
bambini.» ghignò posizionandosi di fronte a loro.
Nessuno
rispose. Yoel strinse i pugni, mentre Rivka strinse la mano di Graviel.
«Sono
qui perché ho una sorpresa!» esclamò.
Ancora,
nessuno rispose.
«Chi
vuol vedere la sua mamma, faccia un passo in avanti.» disse
con perfidia
nella voce, ben sapendo quanta falsità vi fosse nelle sue
parole.
All’istante,
senza pensarci, i due fratelli fecero un passo in avanti,
sorridendo, felici dell’occasione che gli era stata appena
concessa. Altri
bambini fecero un passo in avanti.
«Non
fatelo!» sibilò Yoel ai bambini che gli erano
accanto.
«Perché?»
«E’
una trappola.» disse e il suo sguardo convinse i bambini a
star fermi ai
loro posti.
«Ma
che bravi!» esclamò ghignando August.
Gavriel e
Rivka, assieme ad altri bambini, furono portati via. I loro piedini
affondavano nella fredda neve, ma i loro corpi non tremavano
più, poiché
avrebbero visto la loro mamma.
Una lacrima
di dolore spillò dagli occhi dei Yoel, mentre gli osservava
andare
via. La sua vita non sarebbe mai più stata la stessa.
Yoel non li
rivide mai più.
Gavril e
Rivka, in verità, non videro mai la loro mamma, se non
nell’aldilà.
*
Probabilmente
a molti non piacerà, ma magari piacerà ad altri.
Io mi sentivo di scriverla e
di postarla.
Grazie, comunque, a
chi la leggerà.
Ispirato alla
realtà e a vicende narrate.
A voi, Panda.