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Autore: Yoko_kun    11/03/2010    1 recensioni
Un fagotto che spiccava in mezzo a quell’ammasso di stoffe sembrando più integro e compatto degli altri.
Senza rifletterci molto, -forse perché in una situazione del genere che senso aveva riflettere?- allungò il braccio, magro e pallido, a raccogliere quell’ammasso fuori luogo.
Quando agguantò la coperta esterna si accorse che il fagotto pesava, e quindi non potevano essere solo coperte e stracci. Lo avvicinò a sé piano guardando, anzi squadrando, ciò che aveva in mano con occhi curiosi e attenti.
Quando lo ebbe abbastanza vicino scostò un paio di strati di stoffa e ciò che vide lo sorprese, anche se molto poco, e lo incuriosì soprattutto.
Un bambino.
In volto pallido e smorto, incorniciato da degli ispidi capelli scuri, era magro e spento. Il piccolo non dava segni di vita.
Sul volto dell’uomo le labbra si incresparono in un sorriso poco rassicurante che scoprì i suoi denti bianchi rendendo ancora più crudele quell’espressione di folle gioia di fronte al corpo, probabilmente morto, del neonato.
Guardandosi ancora una paio di volte attorno con attenzione coprì il volto dell’infante con i lembi delle coperte dopo di che riprese a camminare portandosi con sé quel corpicino
Allora come spiegare questa storia? Beh, innanzi tutto i principali protagonisti sono Mayuri e Nemu e ovviamente il rapporto che li lega.
L’ambientazione di questa storia AU è il Giappone medioevale e in questo contesto tratterò il loro primo “incontro” la loro convivenza e anche il loro strano rapporto.
Spero vi possa piacere questo strano esperimento.
Genere: Generale, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
Prima di lasciarvi alla lettura di questa mia fanfic AU vorrei solo dire un paio di cose: prima di tutto spero che i personaggi trattati, cioè Mayuri e Nemu nonostante AU si mantengano IC e spero che ne caso in cui cadessi nell’OOC voi gentili lettori me lo fareste notare! In secondo luogo ci tengo a ringraziare Rin Hisegawa che con la sua saga di Bleeding mi ha fatto venire una gran voglia di scrivere su Mayuri e che ha avuto l’infinita gentilezza anche di lasciarmi citare alcune sue idee! Per ultima cosa correi spiegare il perché del titolo: “Poisonus” cioè velenoso, il motivo principale è che non sapevo proprio che titolo mettere a questa ff per cui ho pensato di ripiegare sulla peculiarità della zanpakuto di Mayuri la cui abilità è proprio il rilascio di tossine, inoltre avanti nella storia ci saranno proprio un paio di riferimenti sempre al veleno.
Bene ora ho finalmente detto tutto per cui dopo questa lunga introduzione vi lascio alla lettura!



“Una sera fortunata”


Il vento freddo soffiò con forza creando un sinistro ululato che riempì in parte il silenzio di quei viottoli.
Una sagoma scura in quella notte cupa e silenziosa si muoveva furtivamente guardandosi di tanto in tanto alle spalle.
Come controllasse se qualcuno lo stava seguendo o se qualcuno lo potesse vedere.
Ma il silenzio assoluto –solo talvolta rotto dall’ululare del vento- gli dava conferma e la rassicurazione che era lui l’unico temerario che sfidava quel tempo minaccioso e quella notte fredda e cupa.
Avanzò ancora per diversi metri mantenendo sempre lo stesso comportamento circospetto e facendo regolari pause, quasi con precisione meccanica.
Ma all’improvviso, pochi attimi dopo aver ripreso a camminare, qualcosa attirò la sua attenzione portandolo a voltarsi mentre con i suoi occhi d’ambra scrutava l’angolo avvolto dalle tenebre da cui aveva udito qualcosa.
Un fruscio.
Forse era stato il vento o forse no.
E nel dubbio era decisamente meglio controllare. In fondo aveva sempre ritenuto che prendere il maggior numero di precauzioni possibili fosse anche il miglior metodo per continuare indisturbato a fare ciò che voleva.
Per cui Kurotsuchi Mayuri –questo era il nome di quello strano viandante notturno- fermandosi ancora per alcuni attimi a fissare il punto da cui aveva udito il suono decise di avviarsi lentamente, e sempre nel più assoluto silenzio, a vedere chi o cosa avesse causato quel suono.
Mantenendo costantemente lo stesso comportamento attento e circospetto –forse fin troppo, visto che si comportava come un animale selvatico-, quindi, si avvicinò.
Ciò che per prima cosa vide, o meglio intravide visto l’oscurità notturna e la mancanza di una fonte di luce, ad eccezione del tiepido chiarore che la stanca luna –ormai piena- lanciava su quelle miserabili e vecchie strade, fu un cumulo di vecchi stracci, forse letto –o rifugio- di un qualche senza tetto o di qualche samurai che aveva perso il proprio padrone diventando un reietto.
Sembrava non ci fosse niente e nessuno ma questo non cambiava che da lì avesse sentito provenire un suono simile a un fruscio.
I suoi occhi vagarono per diversi secondi tra le pieghe di quegli stracci sudici e logori senza sapere neppure cosa stava cercando, finché non vide qualcosa di stano.
Un fagotto che spiccava in mezzo a quell’ammasso di stoffe sembrando più integro e compatto degli altri.
Senza rifletterci molto, -forse perché in una situazione del genere che senso aveva riflettere?- allungò il braccio, magro e pallido, a raccogliere quell’ammasso fuori luogo.
Quando agguantò la coperta esterna si accorse che il fagotto pesava, e quindi non potevano essere solo coperte e stracci. Lo avvicinò a sé piano guardando, anzi squadrando, ciò che aveva in mano con occhi curiosi e attenti.
Quando lo ebbe abbastanza vicino scostò un paio di strati di stoffa e ciò che vide lo sorprese, anche se molto poco, e lo incuriosì soprattutto.
Un bambino.
In volto pallido e smorto, incorniciato da degli ispidi capelli scuri, era magro e spento. Il piccolo non dava segni di vita.
Sul volto dell’uomo le labbra si incresparono in un sorriso poco rassicurante che scoprì i suoi denti bianchi rendendo ancora più crudele quell’espressione di folle gioia di fronte al corpo, probabilmente morto, del neonato.
Guardandosi ancora una paio di volte attorno con attenzione coprì il volto dell’infante con i lembi delle coperte dopo di che riprese a camminare portandosi con sé quel corpicino.
Dopo alcuni minuti arrivò finalmente a quello che era il suo rifugio.
Aprì e chiuse velocemente la porta e dopo essere entrato si diresse subito nella stanza che gli interessava.
Arrivato lì buttò con poca grazia il corpo inerme del piccolo sul tavolo mentre a lunghe falcate si dirigeva verso la libreria che si trovava sul muro frontale a lui. Osservò per alcuni attimi il mobile poi afferrando il lato destro di questo e facendo un po’ di forza lo fece scorrere permettendo così di aprire la via per la stanza successiva, opportunamente nascosta a occhi e genti indiscrete oltre che indesiderate.
Scese rapido le scale dopo aver prontamente recuperato il fagotto lasciato sul tavolo e dopo aver richiuso l’entrata al passaggio.
La scalinata era buia e umida, e l’odore di muffa e vecchio la faceva da padrone in quel cunicolo che sembrava condurre direttamente all’interno dell’inferno stesso.
A lui non servivano luci, ormai conosceva a memoria quel posto millimetro per millimetro e il freddo non gli dispiaceva né gli dava fastidio. Anzi era persino utile visto che gli permetteva di restare lucido e anche di mantenere i suoi esperimenti, o meglio i suoi oggetti di studio.
Solo qualche volta gli si intorpidivano le dita delle mani per il troppo freddo ma in fondo non era un problema così grave. Sapeva comunque usarle sapientemente quelle mani, anche non avendo la piena sensibilità.
E poi dubitava fortemente che i suoi pazienti potessero farsi particolari problemi per la sua mancanza di tatto e delicatezza.
Mentre nella sua testa affiorava questo pensiero un sorriso, o meglio un ghigno, si dipinse di nuovo sul suo volto e ben presto si allargò maggiormente quando le sue pupille dorate caddero sul fagotto immobile che teneva in mano.
Scosse la testa divertito facendo dondolare i capelli dipinti di uno strano viola scuro.
Era stata una serata fortunata.

*---*---*---*

Buttò lo strumento sul tavolo, facendogli fare così un rumore metallico e fastidioso. Ma Mayuri non ci fece minimamente caso e semplicemente si voltò verso la bacinella di acqua tiepida, immergendo le mani sporche.
Lasciò per alcuni attimi a mollo i suoi arti mentre l’acqua si tingeva di rosso, scurendosi ogni attimo di più.
Sospirò stanco e insoddisfatto mentre i suoi occhi fissavano il soffitto avvolto dalla semi oscurità. Per quanto avesse lavorato non aveva ottenuto ancora quello che desiderava e tutto ciò oltre che riprovevole era anche snervante. E pure stancante.
Non era mai stato tipo che apprezzava il mancato successo di qualcosa e i fallimenti lo rendevano più cattivo.
Ma quella sera c’era qualcosa che gli addolciva l’umore, impedendogli di farsi il sangue troppo amaro.
Aveva ancora un soggetto ancora non esaminato.
Aveva ancora qualcosa su cui lavorare.
Si voltò alzando le mani ormai pulite dalla bacinella e asciugandosele su un pezzo di stoffa si soffermò a guardare il corpo in condizioni orribili che giaceva disteso sul suo tavolo, svuotato di tutti gli organi e aperto quasi completamente.
Era stata una buona cavia, visto che la sua morte era stata causata da un infarto tutti gli organi si erano mantenuti in ottimo stato. Ma concentrandosi sugli organi non aveva avuto modo di studiare il resto di quel corpo.
Come i nervi, i tendini, i muscoli,le ossa, ma anche le vene e non aveva potuto neppure concentrarsi sugli organi della testa. Ma questo perché non era ancora riuscito a reperire gli strumenti che gli servivano.
Ma ormai quel corpo era arrivato alla sua fine anche come cavia. Era da un po’ che ci stava lavorando e ormai iniziava a puzzare e a marcire.
E questo significava che non solo non era più utile e studiabile ma anche che se voleva continuare a lavorare in pace e senza attirare l’attenzione doveva per forza disfarsene o l’odore, disgustoso e intenso, avrebbe potuto attirare l’attenzione e questo non era molto auspicabile, poiché molto sconveniente ai suoi fini.
Gettando distrattamente il pezzo di stoffa su cui aveva asciugato le mani si era diretto verso il corpo mentre lo guardava con occhi scettici.
Poi le sue pupille veloci, scorrendo quel corpo profanato, andarono a finire sul fagotto che aveva lasciato in un angolo.
Le sue labbra per l’ennesima volta si aprirono in un sorriso crudele.
Avrebbe potuto studiare il corpo di un neonato e doveva ammetterlo era una fortuna e un privilegio di cui avrebbe avuto molta cura.
Quella notte aveva lavorato per parecchie ore quindi poteva, e doveva visto che suo malgrado il suo fisico gli poteva certi limiti, prendersi una pausa in fondo quel corpicino non sarebbe scappato e il giorno successivo avrebbe potuto prendersi completamente cura di lui senza alcun problema.
Quindi stendendo velocemente un telo sopra l’ultimo suo lavoro si diresse verso le scale e dopo aver dato un veloce e ultimo sguardo di controllo iniziò stancamente a salire i gradini di pietra che lo avrebbero ricondotto fuori da quel suo laboratorio nascosto agli occhi di tutti.
Arrivato all’ultimo gradino poggiò la scarna e bianca mano sulla superficie ruvida del legno e lentamente iniziò a far scorrere via la libreria che man mano che si spostava faceva entrare uno spicchio di luce sempre più grande e permetteva così ai suoi occhi di adattarsi gradualmente alla luminosità esterna.
Una volta spalancato il passaggio rimase alcuni attimi immobile sull’ultimo gradino, poi semplicemente salì e chiuse dietro sé la porta, richiudendo quel piccolo angolo di anfiteatro dell’inferno e con esso i segreti che custodiva.
Prese la vecchia candela che aveva lasciato accesa sul tavolo della stanza di passaggio, dopo averla squadrata velocemente e aver constatato che non dovevano essere passate più di due ore da quando era sceso, visto di quanto si era accorciata.
Fatto ciò si diresse verso la sua stanza.
Una volta dentro si tolse le vesti sporche e impregnate dell’odore del laboratorio e completamente svestito, facendo ancora sfoggio della sua totale noncuranza nei confronti del freddo pungente dell’inverno, si diresse verso l’armadio aprendo la porta a scorrimento e prendendo il primo kimono leggero che gli capitava sotto mano.
Per togliersi completamente l’odore avrebbe dovuto fare un bagno ma decisamente non aveva molta voglia di dover preparare il fuoco e l’acqua.
Così semplicemente si ripromise di sistemarsi completamente la mattina e indossando stancamente la veste bianca si infilò sotto la coperta del futon attendendo semplicemente che il sonno arrivasse.
  
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