Prima
che leggiate questo (spero atteso) capitolo voglio dire un paio di cose…
Inizio
con lo scusarmi per l’ennesimo ritardo… stavolta abissale… con cui posto… anche
se ormai ci siete abituati, suppongo!
Inoltre
volevo scusarmi con tutti i lettori, ma ho dovuto apportare una piccola
modifica alla storia di Mauro durante i tre anni di lavoro alla DIA.
Inizialmente avevo detto che Mauro era rimasto in coma per diversi mesi, ma
ora, come leggerete, Mauro racconta di essersi svegliato subito, perché la
ferita non era grave come sembrava all’inizio… Ho dovuto cambiare questo
particolare per motivi narrativi che coinvolgono sia questo, sia il prossimo
capitolo.
Infine
voglio spiegare la contorta struttura di questo capitolo. Ogni pezzo è formato
da un primo frammento scritto in corsivo che tratta un flash-back e che si
collega al secondo frammento che tratta invece del nostro presente così come lo
avete lasciato lo scorso capitolo; inoltre mentre i flash-back non seguono un
ordine cronologico, i pezzi del presente vanno in ordine come sempre. Le righe
scritte in corsivo nei flash-back riportano integralmente alcune battute di
episodi del telefilm.
Detto
ciò, vi lascio augurandovi buona lettura!
CAPITOLO
13°_ MISSING MOMENT
Pioggia.
Monotona, lenta e triste pioggia: uno strano acquazzone bel mezzo dell’estate…
Non
piangere pensa Anna rivolta al cielo Non
puoi stare peggio di me… Perciò sta zitto!
Quindici
giorni, sono passate solo due settimane da quell’ultimo bacio eppure si sente
male come se l’avesse perso per sempre, come se non l’avrebbe mai più rivisto…
Ed ora il
coraggio scivola, senza fermarsi, sulla sua pelle e lei non ha la forza di
tenerlo stretto a se… perché la verità è che non vuole scoprire quello che già
sa, non vuole avere la conferma di ciò che la mente ha già freddamente
stabilito, ma il cuore non vuole, non può accettare…
Impossibile,
deve essere impossibile continua a
ripetersi la ragazza, ma ogni volta che le labbra pronunciano la frase, questa
inesorabilmente perde forza.
Ora le
braccia fanno con forza pressione sul lavandino del bagno, il volto ancora bagnato
di gocce d’acqua e pallido forse più per
paura che per un reale malessere.
Si volta e
i suoi occhi marroni puntano quella scatoletta di carta: dopo aver fatto il
test, non ha avuto il coraggio di guardarlo e l’ha chiuso lì. Ma ora non riesce
a non pensarci e l’ansia la soffoca…
Un bambino.
Di nuovo un bambino si affaccia sulla sua vita. Che fare? Come reagire?
Respira
riacquistando leggermente la calma.
Non
serve a nulla fasciarsi la testa prima di essersela rotta si dice mossa da un istantaneo coraggio, come quello che ti invade
quando stai per tuffarti nella gelida acqua estiva.
Prende la
scatoletta e la apre di scatto: in ognuna delle due finestrelle della stecca
compare una linea blu verticale. Significa una sola cosa: è incinta. Di nuovo.
Scivola
contro il muro tenendo stretto in mano il test e lasciando che la testa si
poggi senza forze sulle braccia: all’improvviso si sente così stanca, gli occhi
si sono fatti pesanti ed una strana sonnolenza travolge la sua mente e le sue
membra. Anna si lascia avvolgere da quel lieve e finanche piacevole torpore:
ora non ha alcuna voglia di pensare… cerca solo di avere un po’ di pace…
Il
rumore della porta che si chiudeva risuonò nella casa con un inquietante eco.
Anna sospirò ed ebbe quasi l’impressione di sentire che quel suono si
espandesse rapido per il corridoio. Poggiò il giubbotto sul gancio
dell’attaccapanni e si diresse in cucina: un lieve strato di polvere ingrigiva
i mobili: da quando aveva scoperto di essere incinta aveva cominciato a
soffrire di insonnia e quella casa vuota non l’aiutava affatto; per questo
aveva chiesto ad Elena se poteva trasferirsi a casa sua nella quale aveva
comunque già dormito qualche volta nelle due settimane precedenti, quando la
paura di perdere Luca era stata così forte da travolgerla senza possibilità di
salvezza. L’ispettrice era stata felice di accoglierla perché, nonostante ora
avesse Alessandro nella sua vita, quella casa le sembrava sempre troppo vuota.
Si
diresse in soggiorno e si sedette sul divano; l’espressone prima di grande
gioia, poi di puro sbalordimento che aveva assunto Luca, era ancora davanti ai
suoi occhi, come legata ad essi con fili d’acciaio indistruttibili. Perché
forse se Luca avesse mostrato qualche incertezza, qualche dubbio o semplice
paura per quella notizia insieme alla gioia, per lei sarebbe stato più semplice
parlare, confidargli le sue paure, i suoi dubbi, quelle parole del medico che
Elena aveva giudicato di poco conto, ma che avevano fatto nascere in lei altri
dubbi ed avevano rafforzato i primi.
Il
lieve tocco di una mano sulla spalla la fece sobbalzare: si voltò e dietro di
lei scorse il viso sorridente di Elena.
Com’è entrata? si chiese; poi
ricordò che era stata proprio lei a darle le sue chiavi – tenendo per se quelle
di Luca – così da poter entrare per qualsiasi emergenza.
L’ispettrice
si sedette accanto alla collega intuendo dal suo sguardo che aveva dovuto
parlare con Luca.
«Che
ti ha detto?» chiese.
«Era
felicissimo, mai più di così…»
«Lo
dici come se fosse qualcosa di male» constatò Elena.
Anna
sentì le lacrime pungerle gli occhi: faceva male, più di quando era sola.
«Forse
se fosse stato più sorpreso, se avesse mostrato solo un po’ più di paura
anziché solo felicità sarebbe stato meglio… Mi sento così sbagliata, Elena…
Sono la sola ad avere paura, la sola che sa di non poter resistere se dovessi
di nuovo…»
«Non
lo perderai! Non stavolta!» la interruppe Elena con forza.
«E
chi te lo dice? Anche il medico dice che c’è la possibilità che lo perda di
nuovo… è già successo una volta…» urlò quella.
«Ed
è per questo che stai facendo molti controlli… e mi sembra che vada tutto bene,
no?» provò ad incoraggiarla Elena «Piuttosto: Luca che ne pensa?»
Anna
la guardò come folgorata da quella ovvia domanda.
«Lui…
lui… io… io non…» balbettò, poi le lacrime furono più forti delle parole e la
ragazza scoppiò in un pianto quasi liberatorio.
Elena
la tirò con dolcezza a se facendole poggiare la testa sul suo petto e
accarezzandole amorevolmente i capelli.
«Non
gliel’hai detto, vero?»
«Oh,
Ele… avresti dovuto vederlo! Non ho avuto il coraggio di distruggere la sua
felicità!» sussurrò quella tra le lacrime ed Elena sorrise.
«Prima
o poi dovrai farlo, lo sai…»
Anna
annui stringendo di più la collega.
«Non
ora… non ce la faccio… ho solo bisogno di un po’ di calma… di pace…»
Il
corridoio dell’ospedale sarebbe vuoto se non fosse per gli uomini dei X
Tuscolano che lo hanno improvvisamente invaso. Vittoria si è sentita male ed è
stata portata subito in ospedale.
Ora, chi in
un modo, chi in un altro, tutti pregano che la situazione si risolva nel
migliore dei modi.
Luca e
Raffaele escono dalla sala con aria preoccupata: sono entrati per chiedere
notizie della loro amica che i medici stanno ancora visitando ed ora tutti li
accerchiano per sapere le condizioni di Vittoria.
«Sembra che si tratti di una brutta infezione…» spiega Raffaele con aria sconsolata.
«I medici dicono che potrebbe perdere la
bambina…» conferma
Luca scuotendo la testa e osservando la preoccupazione dei suoi colleghi.
L’immagine del sorriso di Vittoria quando aveva detto loro di essere incinta si
fa strada con prepotenza tra tutti i pensieri e gli toglie il fiato.
Andrà
tutto bene si dice deve essere così non riesce ad immaginare cosa accadrebbe se
succedesse il peggio.
Mentre
tutti cercano di farsi coraggio a vicenda e qualcuno prova a congetturare
ipotesi sul come sia potuta accadere una cosa simile, Luca, scusandosi con gli
altri, prende Anna in disparte folgorato per ennesima volta da quello sguardo
marrone fisso nel vuoto e finanche sconvolto che aveva avuto per tutta la
mattinata.
«Anna? Si può sapere che c’hai? Sei strana… E
poi c’è Raffaele che mi sta a fa ‘na testa così…»
Lei non lo
guarda, i suoi occhi sono fissi davanti a se, come ipnotizzati da qualcosa che
solo lei vede.
«Allora?»
insiste Luca, che comincia a dubitare che la collega abbia sentito le sue
parole.
Ad un
tratto però, Anna si volta verso di lui, i suoi occhi puntati in quelli verdi
dell’amico al quale si mozza improvvisamente il fiato in gola: c’è un intero
mondo in quello sguardo e lui non sa descrivere l’emozione che lo travolge.
«Sono incinta, Luca!» sussurra lei con un sforzo immane.
«Incita?»
ripete Luca sbalordito: non se lo sarebbe mai aspettato.
«Di quel figlio di puttana di Giorgio» continua lei animata da una strana forza, da un
rabbia… come se potesse finalmente sfogarsi e fosse anche felice di aver
finalmente confessato quel segreto che le sembrava quasi un peso sullo stomaco.
Luca è
senza parole, e, in fondo, cosa avrebbero potuto fare quei suoni in una simile
situazione? La strige a se e lei gli accarezza la schiena confortata da quel
calore.
Si siedono.
Anna sembra quasi rannicchiata in se stessa coma a volersi proteggere dal
dolore; Luca le si avvicina.
«Ohi, qualsiasi cosa ti tu decida si fare,
qualsiasi, io ci sarò! Hai capito?»
le dice, ma Anna ha già capito quelle parole quando gliele ha dette con il suo
abbraccio ed il suo sguardo verde.
«Grazie…»
sussurra mentre lui le accarezza con delicatezza la guancia sorridendo…
Ormai
non c’è più nessuno nella sua stanza, eppure Luca è ancora in piedi, accanto al
suo letto impalato, bloccato dalle parole di Anna. Era incinta. Incinta. Di
nuovo… ma stavolta il padre… era lui! Faticava a respirare e non riusciva a
dimenticare, né capire il volto sconvolto, spaventato dell’ispettrice.
Perché era tanto
sconvolta? si
chiese ora è tutto finito… siamo di nuovo
insieme, abbiamo arrestato tutti i membri l’Organizzazione; possiamo affrontare
la situazione insieme… dovrebbe essere tutto a posto… a meno che…
Il
pensiero che ci fosse qualcosa che non andava, che Anna avesse avuto qualche
problema di cui non gli aveva parlato lo fece raggelare ed improvvisamente lo
prese un violento capogiro che in pochi istanti lo fece crollare a terra privo
di coscienza.
«Ha
parso molto sangue e la ferita è profonda… non deve assolutamente prendere
sottogamba la situazione o potrebbe aggravarsi!»
«Me
ne rendo conto… ma Luca è così: non riesce a stare fermo…»
«Se
vuole una completa guarigione dovrà rimanere in quel letto almeno per quindici
giorni!»
Luca
riconobbe solo una delle due voci che discutevano poco lontano dal suo letto:
Alessandro stava parlando con un uomo che dal tono esperto e leggermente
seccato doveva essere un medico. Ancora con gli occhi chiusi sentì dei passi
allontanarsi ed altri avvicinarsi al suo letto e sedersi sul bordo di questo.
Li aprì lentamente, infastidito dalla luce ed incontrò lo sguardo azzurro
dell’ispettore Berti.
«Ma
che diavolo ti passa per la testa?» gli chiede questo ancora scosso.
«Cos’è
successo?» chiese il commissario confuso.
«Sei
riuscito a far riaprire la ferita! Ti hanno trovato privo di sensi, accasciato
al suolo in una pozza di sangue… Hanno temuto il peggio…»
Il
tono di voce di Alessandro era spaventato; Luca comprese che stavolta aveva
davvero rischiato molto. Poi, in un attimo, fu come folgorato da una
successione di immagini: lui che blocca Anna, che le chiede cosa c’è che non
va, lei che lo guarda sconvolta, poi sussurra che è incinta, il suo sorriso
spezzato dalle parole di lei che mostrano una profonda angoscia e che gli
dicono che non è un bella notizia; la sua fuga e le mille domande che lo
invadono, poi un giramento di testa ed il buio.
«Anna!»
grida, prendendo il polso di Alessandro con forza; una fitta al fianco lo fa
sussultare e tremare.
«Sta
calmo… Anna non sa nulla: ho chiesto ai medici di essere il primo ad essere
avvisato dei tuoi eventuali peggioramenti, così da non spaventare nessuno e
gestire la cosa…»
Luca
scosse la testa guadagnandosi un’occhiata incuriosita da parte dell’ispettore.
«Dov’è
Anna?» chiese.
«A
casa vostra… Elena mi ha detto che la raggiungeva lì… non aveva una bella cera
quand’è uscita…»
«Io
devo parlarle!»
«È
successo qualcosa? Avete… avete per caso litigato?» chiese Alessandro con non
poco imbarazzo: di solito lui non faceva mai domande del genere, non si
occupava degli affari altrui, ma era da settimane che Anna si comportava in
modo strano e lui era seriamente preoccupato.
«Non
ha detto nulla ha nessuno...» disse il commissario e più che una domande, era
un affermazione.
«Di
che parli?»
«Mi
ha detto di essere incinta»
Alessandro
sgranò gli occhi: ora comprendeva in pieno tutti gli sbalzi d’umore, le paura, il
volto pallido e gli occhi lucidi… ed era anche sicuro che Elena fosse al
corrente di tutto.
«Il
fatto è che non mi è sembrata affatto felice… l’ho vista spaventata, c’era
dolore nei suoi occhi» continuò Luca con maggiore preoccupazione.
«Un
bambino non è una cosa da poco, è normale che sia spaventata» convenne
Alessandro per rassicurarlo.
«Questo
è vero, ma… lei era solo spaventata, solo triste… non ho visto gioia nei suoi
occhi, neanche quel minimo dovuto… Sono preoccupato: sento che c’è qualcosa che
non so…»
«Vuoi
che la chiami? O magari chiamo Ele che è con lei?»
«No…»
disse Luca scuotendo la testa «Non verrebbe; sono io che devo andare da lei, a
sua insaputa… e forse riuscirò a farmi dire cosa c’è che non va…»
«Non
puoi muoverti da qui, Luca! I dottori hanno detto che devi restare a letto
almeno due settimane!»
«Non
resisto qui due settimane Ale! Impazzirò prima! Ti prego… dammi una mano…»
Berti
lo guardò titubante: Luca non si rendeva conto che stava giocando col fuoco… ma
i suoi occhi dicevano che aveva disperatamente bisogno d’aiuto.
«D’accordo..»
cedette alla fine con un mezzo sorriso «Controllo se c’è qualcuno fuori e poi
usciamo» e pregò di non aver assecondato un suicidio…
La pioggia è forte, il cielo è grigio e si sentono in lontananza i tuoni
rombare: uno scenario fantastico! Mauro e Roberto sono in macchina diretti
verso il teatro Greco, dove il loro collega Ingargiola sta per fare il suo
debutto sulla scena.
I tergicristalli che vanno su e giù impazziti sembrano quasi
ipnotizzare Belli che guarda fisso davanti a se senza realmente osservare
l’umido paesaggio. La sua mente vaga: da una settimana non sente Germana, non
risponde alle sue chiamate, non si fa trovare né a casa né al distretto… e
questo fa male, più male di quanto credesse all’inizio. Le parole del signor
Mori, però, continuano a rimbombargli nella testa, fredde, serie e tanto
tremende quanto vere: perché Mauro sa che l’uomo ha ragione, che Germana merita
molto di più di ciò che lui, un misero poliziotto, può offrirgli ed è per questo
che si è imposto di lasciarla, di interrompere qualsiasi contatto con lei,
perché superi questa storiella e trovi qualcuno adatto a lei.
Non ci sarà mai nessuno più adatto di me! grida il suo cuore che non si è ancora
arreso a quella decisione, ma l’ispettore scuote la testa per farlo tacere.
«Ohi, che c’è?» gli chiede Roberto incuriosito da quel gesto.
«Nulla»
risponde quello evasivo «Quand’è che arriviamo?»
«Il tempo
di parcheggiare, il teatro è lì… ma con ‘sta pioggia non si vede nulla e ci
bagneremo tutti!» conclude mentre compie l’ultima manovra e spegne la macchina.
I due
ispettori scendono dalla vettura e come previsto prima di giungere al coperto
dell’ingresso del teatro si bagnano tutti.
«Prima bagnata, prima fortunata, eh?» commenta Mauro ironico.
«No, quella è la sposa» lo corregge ancora più ironico Roberto,
cercando di togliere le goccioline d’acqua ancora non assorbite dal tessuto
della giacca.
Voltandosi,
però, i due scorgono una figura sotto la pioggia senza alcun ombrello; Germana,
con le braccia intorno al corpo per il freddo, li fissa mentre le gocce di
pioggia le sfiorano il pallido viso, reso ancora più chiaro dal freddo. In un
attimo tutto l’entusiasmo di quelle banali battute sfuma dal volto di Mauro.
«Va bene io… io vado; ti aspetto dentro» dice Roberto impacciato e sparisce
all’asciutto della sala.
Mauro
guarda Germana con una strana intensità e quasi rabbia: ha provato ad evitarla
in tutti i modi, a farle capire che non devono più vedersi, eppure eccola di
nuovo lì, davanti a lui con quella serietà e cocciutaggine che da sempre
l’avevano contraddistinta. Le si avvicina, senza dissimulare in alcun modo la
rabbia.
«Che stai a fa qua?» le chiede brusco.
«Perché non rispondi al telefono? Perché non mi
richiami?» gli chiede
lei di rimando, con la stessa rabbia, che nasce dal dolore.
«Ci siamo detti tutto, no?» continua lui e spera in cuor suo di concludere
lì quella conversazione, perché non sa per quanto ancora potrà reggere.
«No!»
risponde Germana quasi sulle parole di Mauro alzando la voce.
Non si
erano detti nulla, non si erano affatto parlato: lui era sparito così,
all’improvviso, senza dire nulla e lei era stata male per giorni, senza capire,
prima di trovare la forza di reagire e prendere l’iniziativa.
«Io devo andare, Germana…» dice lui con decisione, mostrando nella voce
ciò che in cuore non ha e ripetendo a se stesso che quella è semplicemente una
fuga.
«Aspetta!»
lo prega la giornalista «Ti devo
parlare…» e prendendogli il braccio gli si para davanti mentre la pioggia
continua a bagnarli entrambi «Senti, io
lo so cosa ti ha detto esattamente mio padre: che ho mandato all’aria un sacco
di storie, che non sono affidabile… e tu ci credi?»
Mauro la
guarda con un moto di sorpresa: cosa stava dicendo?
«Non è questo il punto» le dice, senza però approfondire la questione:
vorrebbe solo scappare.
«Lui non doveva dirti niente» continua lei imperterrita «E se ti avesse detto la verità?» ora pare anche sfidarlo «Va bene: è così, sono così, anzi sono
stata così…»
«Lo vedi?»
dice allora Mauro animato dalla speranza che forse, con la scusante di quelle
parole, sarebbe potuto uscire da quella situazione che si era fatta
insostenibile.
«La verità ora è che ti amo!» pronuncia allora lei con forza, come se si
stesse giocando la sua ultima carta «perché
è quello che sento adesso! E guarda che non lo so se lo sentirò domani, o fra
un mese…» conclude ormai stanca.
Lui la
guarda, sa di non poter far nulla, di non poter controbattere perché gli manca
la forza.
«Devo entrare» pronuncia semplicemente lasciandosi scivolare
oltre il corpo bagnato di Germana e credendo che fosse finalmente tutto finito.
«Mi vuoi sposare?!» grida allora la giornalista, con un ultimo
impeto di forza.
Le parole
le sono uscite con liberazione: è stato l’istinto, l’amore, la paura di
perderlo per sempre senza poter fare nulla a farla parlare, non ci ha
riflettuto… eppure non vuole tornare indietro, non vuole rimangiarsi quelle
parole perché sono la verità… pura, semplice verità e prega Dio che Mauro
l’abbia sentita.
Lui si
blocca: le sue parole l’hanno spiazzato.
Fa
sul serio si dice non sta scherzando…
mi ama, tanto quanto io amo lei…
E poi… non
servono più parole. Tutto il fiume di discorsi fatto a se stesso, tutte le
proposte di lasciarla per sempre, per il suo bene, crollano inesorabilmente:
perché a volere la loro fine non solo loro, è la ragione, la razionalità… nulla
che ora possa sfiorarli.
Si volta
mentre lei abbassa il capo credendo di essere stata sconfitta, la guarda per
qualche istante, il tempo per capire davvero quanto sia bella e quanto l’ami,
poi si avvicina e semplicemente la bacia, rispondendo a quella domanda nel
migliore dei modi.
Mentre la
pioggia ancora scende i due si stingono, forse ancora scossi dal timore di
potersi perdere e continuano a baciarsi, sicuri che non si sarebbero mai più
separati…
Pioveva.
Un’estate come quella come quella non l’aveva mai vista: pioggia e sole si
susseguivano senza alcuno schema, ma con uno scambio di presenza molto
frequente.
Si
muoveva sulla sedia accanto alla finestra, incapace di stare fermo. Era la
stessa stanza che aveva occupato prima della missione, la stessa in cui era
cominciato tutto e per quanto continuasse a ripetersi che non era cambiato
nulla da allora, sapeva benissimo che stava semplicemente mentendo a se stesso.
Era come passata una vita dal giorno in cui uno degli uomini della DIA gli
aveva portato le informazioni sull’Organizzazione degli uomini in nero e sulla
sua prossima missione ed ora sentiva il suo passato più vicino che mai: Mauro
Belli, dentro quell’uomo senza identità, si dibatteva, urlando per poter essere
finalmente libero.
Ma
ci poteva essere una libertà? Era ancora in tempo per reagire?
C’è sempre tempo
per reagire… si
disse Alzati, maledizione! Va via! Ora
puoi farlo: ormai non sei più così invisibile… dopotutto lui già sa…
A
quel appello disperato che lo aveva fatto quasi alzare, però, si sovrappose la
paura che lo travolse: cosa avrebbe detto a Germana? Perché non c’era dubbio
che, se fosse uscito allo scoperto, la prima persona dalla quale sarebbe
andato, sarebbe stata lei…
Come
le avrebbe spiegato che tutto il dolore che aveva provato per quei tre anni,
tutta la sua sofferenza e le difficoltà affrontate non erano servite a nulla?
Che erano state inutili, senza senso perché lui non se n’era mai andato…?
«Codardo,
semplicemente un codardo!» si urlò contro alzandosi e sbattendo lontano la
sedia di legno che andò in frantumi come un bicchiere di cristallo. Si prese la
testa fra le mani: si sentiva scoppiare, impazzire: non riusciva a trovare una
soluzione e si sentiva soffocare.
Poi
ad un tratto, senza più razionalità, aprì violentemente la porta e scese in
strada, sotto la pioggia e cominciò a correre, mentre la testa si ripeteva di
non pensare, ma solo di guardare avanti a se e non fermarsi.
Il
rumore delle dita che battevano sui tasti le era ormai così abituale che non ci
faceva più caso. Scriveva, quella mattina, senza realmente pensare a quello che
stava facendo, presa – come ormai le accadeva sempre più spesso – da mille
pensieri.
Tre
anni, erano passati ormai tre anni e per quanto ormai si fosse data pace e
fosse andata avanti, non poteva certo dimenticare, non voleva dimenticare:
Mauro era ancora dentro di lei e ci sarebbe rimasto per sempre; avrebbe avuto
un posto riservato, speciale nel suo cuore che mai nessuno avrebbe potuto
rubargli, anche se fosse entrato nella sua vita un altro ipotetico uomo. Per
ora, però, gli unici uomini che le erano accanto erano Ettore – suo figlio – e
Tiberio – suo genero – che le era rimasto accanto per tutto questo tempo
aiutandola ad andare avanti. Molto probabilmente ce l’avevano fatta proprio per
questo: grazie ad un reciproco aiuto.
Sospirò
accorgendosi che aveva scritto tutt’altra cosa seguendo il flusso dei suoi
pensieri. Cancellò il pezzo e si riconcentrò sull’articolo: aveva ripreso a
lavorare nella sede del giornale pochi mesi dopo la chiusura del caso
riguardante il marito; era tornata nella vecchia casa di Mauro – che aveva
scoperto esserle mancata tantissimo – e alle sue vecchie abitudini.
Sbadigliò,
dopo aver scritto poche righe: aveva sonno – quella notte l’aveva passata in
bianco per chissà quale motivo – e quella mattina non era per nulla concentrata
sull’articolo che le era stato sottoposto; decise di prendersi una pausa e
salvato il file, uscì in strada e si diresse verso il bar più vicino per
prendersi una bella tazza di caffè e cercare di svegliare quella giornata
nebbiosa.
Il
sole bianco di quel mattino le dava lievemente fastidio agli occhi: da pochi
minuti aveva smesso di piovere ed ora i raggi del sole si riflettevano
sull’asfalto provocando uno stano gioco di luci ed ombre. Germana camminava
distratta per la strada e si accorse di aver superato il bar che cercava solo
dopo aver svoltato l’angolo.
Ne troverò un
altro si disse senza alcun problema: aveva voglia di
passeggiare.
Camminando,
però, una strana inquietudine cominciò a farsi strada nel suo cuore: aveva
l’impressione di essere seguita e un’ansia, che non provava dai giorni in cui
aveva intervistato Liverani ed era quasi morta per questo, le alterò il
respiro. Svoltando di nuovo un angolo, a grandi passi, scorse chiaramente un
ombra che la seguiva e allora si bloccò attendendo una sua reazione e poi si
voltò per vedere chi fosse il suo inseguitore. Nessuno, non c’era alcun uomo
dietro di lei.
Fantastico! pensò ci manca solo che comincio a suggestionarmi!
Guardandosi
intorno, però, si era resa conto di essere poco distante dal cimitero della
città. In un attimo provò il forte istinto di andare sulla tomba del marito:
non lo programmava mai, ma quando si trovava nei dintorni del cimitero non
importava cosa stesse facendo, lasciava perdere tutto e correva da lui.
Ad
Ettore non aveva precisamente detto che suo padre non c’era più: il piccolo
sapeva che era lontano e che per ora non sarebbe potuto tornare; aveva fatto,
però, in modo che lo amasse comunque e che ne conservasse il ricordo
dolcemente.
Le
sue sottili dita sfiorano le lettere nere incise sul marmo bianco della tomba.
Un brivido – ormai abituale – le attraversò la schiena mentre un altro,
l’ennesimo ricordo riaffiorava nella sua mente, segno dimenticato ma non
cancellato di quella vita che con fatica era riuscita a buttarsi alle spalle e
non senza rimpianti: aveva dovuto essere forte per Ettore, eppure quante volte
aveva desiderato distruggere ogni cosa, dare sfogo a tutto il suo dolore, a
tutta la sua rabbia in modo tanto inutile quanto appagante. Forse dopo si
sarebbe sentita meglio o, forse, non sarebbe semplicemente cambiato nulla, ma
almeno avrebbe potuto dire di aver fatto
qualcosa, una qualsiasi cosa.
Poggiò
una rosa bianca, presa da una bancarella all’entrata, sul freddo marmo.
«È
sempre stato il mio fiore preferito…» disse una voce proveniente dalla sinistra
della giornalista «da quando ti ho conosciuta, poi, l’ho sempre paragonata a
te…»
Germana
si voltò, nonostante avesse perfettamente riconosciuto quella voce e non fu
sorpresa di vedere poco distante da se la figura del marito. Sorrise triste:
molto spesso, in quei tre anni, le era capitato
di vederlo e alcune volte avevano anche parlato.
Mauro
le si avvicinò piano; la vide sorridere e in un attimo si sentì mancare il
fiato: come aveva fatto ad andare avanti per questi tre anni senza vederla? Lui
che si era sentito morire durante la settimana che lei non gli era stata accanto, quando era stata
in coma…
Allora però
stava morendo
si disse ragionando con quel poco di razionalità che ancora aveva, eppure in
quel momento gli parve di provare tutto ciò che non lo aveva travolto in quegli
anni. Si bloccò quando fu a pochi passi da lei che intanto aveva rivolto di
nuovo lo sguardo verso la tomba.
«Germana…»
sussurrò senza essere capace di dire altro mentre le lacrime gli bagnavano il
volto e le sue dita sfioravano la spalla della giornalista.
Lei
lo guardò con un moto di sorpresa: quel flebile contatto le era sembrato così
reale da farla sussultare.
«Mauro…»
rispose ancora un po’ sorpresa, scorgendo le lacrime dell’uomo.
Ad
un tratto un folle pensiero le attraversò la testa provocandole un capogiro: le
atre volte che lo aveva visto era stato solo per alcuni istanti, il tempo per
qualche parola… ora, invece, era lì di fronte a lei, l’aveva sfiorata e quel
contatto le era parso tanto vero… così come la lacrime che gli bagnavano il
viso. Indietreggiò di pochi passi quasi d’istinto tenendo sempre lo sguardo
fisso sull’uomo.
«Sono
qui…» disse lui sorridendo tra le lacrime «…non temere»
Allora
Germana comprese che non si sbagliava, che quel pensiero era tanto folle quanto
vero ed ebbe paura. Fece ancora qualche passo indietro: non sapeva come
reagire, tutto le pareva così surreale, assurdo, non aveva parole, non riusciva
a capacitarsi che potesse essere vero.
«Aspetta
Germana… io posso spiegarti ogni cosa…»
«Impossibile»
sussurrò lei «Tu sei morto… Roberto… mi aveva detto che tu… che tu eri… Abbiamo
fatto un funerale, c’è una tomba qui col tuo nome…» articolò in modo confuso
rivolgendo poi lo sguardo alla lapide come per trovare conferma delle sue
parole e non credere a quella voce che le diceva che era impazzita.
«Neanche
Roberto sa nulla, nessuno sa nulla… E per quanto riguarda il funerale, lo avete
fatto ad una bara vuota. Non ci sono io lì dentro…» e diede anche lui uno
sguardo alla lapide leggendo il suo nome. Fu strano, da brivido: quello era un
privilegio che non era mai stato concesso a nessuno o, almeno, a pochissimi…
Gli ricordava lo scenario di un vecchio romanzo anche se, a differenza del
protagonista, lui non aveva mai voluto fingere di essere morto ed ora stava
cercando di rimettere le cose a posto. Germana lo guardava ancora allibita,
senza comprendere in pieno quelle parole assurde. Mauro era realmente lì,
accanto a lei e le aveva appena detto di non essere mai morto?
Un
senso di impotenza e di rabbia la invase: chi gli aveva dato il diritto di
andar via a quel modo e di tornare poi quando più gli aggradava? Chi gli dava
il diritto di giocare con la vita altrui come aveva fatto lui in questi anni?
Crollò a terra, scossa da un violento fremito.
Mauro
si spaventò e temendo che potesse svenire le corse incontro per sostenerla.
«Non
ti avvicinare!» gli urlò la giornalista spiazzandolo.
«Germana… cosa…?» tentò quello facendo qualche altro
passo avanti.
«Ti
ho detto di non avvicinarti!» gli urlò di nuovo lei con voce minacciosa,
alzando il volto rigato dalle lacrime come quello di Mauro «Chi ti dà il
diritto di tornare qui dopo tre anni e dirmi che non sei morto? Che il mio
dolore non ha avuto alcun senso? Io… io… Mi è servito tempo, molto, moltissimo
tempo per accettare che te ne fossi andato per sempre; ci sono stati giorni in
cui ho davvero creduto di non farcela, giorni in cui farla finita mi è sembrata
una cosa tanto facile… Ed ora, ora che mi ero finalmente alzata, ora che avevo
cominciato a guardare davvero avanti, arrivi qui e butti di nuovo tutto
all’aria! Io… io ti odio! Tu… tu non puoi…»
«E
pensi che sia stato io a volere tutto questo?» la interruppe lui alzando di
molto la voce «Pensi che se avessi potuto decidere, non sarei rimasto con te,
con mio padre ed Ettore? Pensi che me ne sia andato di mia volontà?! Germana,
mi hanno portato via! Mentre dormivo, dopo l’intervento, mi hanno portato via e
quando mi sono svegliato era già tutto successo! Mi hanno spiegato che da quel
giorno Mauro Belli non sarebbe più esistito, che sarei stato un uomo senza nome
e senza identità, alla mercé dello Stato e della giustizia. Quando mi sono
svegliato dall’intervento era il giorno del mio funerale: l’unica cosa che mi
hanno concesso è stata di vedere il suo svolgimento da lontano, anonimo,
inesistente; ho visto le vostre lacrime, ho visto Roberto leggere la lettera
che avevo scritto a nostro figlio Ettore, ho visto arrivare Giulia e stringerlo
forte tra le lacrime, ho visto mio padre tremare ed il tuo pallore e mi sono
sentito morire. Avrei voluto correre verso di voi, urlarvi di smetterla di
piangere e soffrire perché io ero ancora vivo, ma non potevo… le lacrime hanno
bagnato il mio volto, senza alcun senso e quando tutto è finito, quando ormai
il cimitero era vuoto sono andato di fronte a questa tomba e mi sono detto che
in ogni caso io ero morto quel giorno…»
Parlando
l’uomo si era avvicinato alla donna, piegandosi sulle gambe a pochi centimetri
da quel volto che avrebbe voluto stringere tra le sue mani e baciare.
«Quando
ho potuto sono corso via da quella vita senza senso per giungere dov’eri e
guardarti andare avanti, tra gli stenti e le difficoltà, tra le lacrime ed i
sospiri; ma ho visto anche il tuo primo sorriso, il sole che provava a
riaffacciarsi sulla tua vita, ti ho vista rialzarti, forte e guardare la vita
con sfida, urlando al mondo che finalmente eri tornata. Germana, io voglio che
tu sappia che non ti ho mai lasciato sola, che ovunque eri io ero dietro di
te…» e le ultime parole furono straziate dal pianto che aveva travolto l’uomo.
Germana
lo guardò, così fragile, così spaventato e comprese quanto anche lui avesse
sofferto, forse anche più di lei, perché sapeva e non poteva dire nulla.
«In
ogni caso» continuo lui «Non ho alcun diritto di sconvolgere ulteriormente la
tua vita… e se vorrai io andrò via per sempre…» e detto questo si rialzò.
«Non
muovere un passo!» gli urlò lei, alzandosi a sua volta «Mauro Belli! Tu vieni
qui, di fronte a me, mi dici che non sei mai morto e pretendi che io ti lascia
andare come se nulla fosse? Che, semplicemente, dimentichi questo incontro e
torni a condurre la vita di pochi minuti fa?» disse con forza.
Poi
si sporse verso di lui e finalmente lo strinse forte a se mentre il cuore
batteva all’impazzata per quel contatto e la mente finalmente si arrendeva
all’evidenza di quel presente: ora poteva dire con certezza che suo marito era
lì con lei.
«Ti
prego non andare…» sussurrò con voce rotta dal pianto.
Mauro
sussultò e sbiancò a quel contatto che aveva sognato tante volte quanto la
moglie. Poi con lentezza e acquistando anche lui consapevolezza di ciò che
stava accadendo strinse le braccia intorno all’esile corpo della donna. Non
seppero dire per quanto tempo rimasero così, forse fino a quando lei alzò il
suo volto verso di lui e lo baciò, semplicemente un bacio nel quale c’erano
mille parole o forse solo due: ti amo…
«Anna? Anna
ti preparo la colazione, ti va?» urla Luca dalla cucina, sperando che la sua
voce giunga fino alla camera della coinquilina che è ancora a letto.
Non riceve
disposta e allora si dirige silenzioso nella sua camera facendo attenzione a
non fare rumore mentre apre la porta; la guarda: è così bella quando dorme e
quel gesto amorevole di tenere la mano sul ventre in cui c’è il suo bambino, la
rende ancora più bella. Ormai è quasi il terzo mese di gravidanza e nonostante
gli iniziali dubbi provocati dal fatto che il padre sia Giorgio, ora Anna ama
quel bambino come nessun altro.
“Sono quasi
geloso” aveva detto una volta Luca per scherzare. “Ma non dire stupidaggini!”
aveva commentato lei poggiando la testa sulla spalla di lui “Ti voglio troppo
bene… non lasciarmi” “Sai che non lo farò”.
«’Giorno…»
biascicò Anna bloccando il flusso dei pensieri dell’allora ispettore.
«Come ti
senti stamattina?» le chiese con un sorriso.
«Mmh… per
ora bene, ma non credo che le nausee abbiano deciso di lasciarmi proprio oggi…»
«Preparo la
colazione, ti va?»
«Ho una
fame!» esclama lei e lui ride: quella è una frase che ha sentito fin troppo
spesso in quei tre mesi e – tornando in cucina – pensa, continuando a ridere, a
quante altre volte dovrà sentirla nei prossimi sei mesi. Fischietta mentre
cuoce un uovo che – a dirla tutta – non ha proprio un bell’aspetto, ma è buono,
o almeno così crede. Poggia il piatto su un piccolo vassoio di legno dove già
c’è una bella tazza di latte e qualche fetta biscottata con burro e marmellata
e facendo attenzione a non rovesciare tutto, si dirige con lentezza verso la
camera di Anna.
A metà
strada però un grido terribile lo blocca; Luca si fa scappare dalle mani il
vassoio che si infrange sul pavimento con un gran fracasso e corre da Anna con
il cuore in gola. Entrando gli si presenta davanti uno scenario
raccapricciante: Anna nel letto con le mani sporche di sangue, il pantalone del
suo pigiama anch’esso completamente vermiglio come le lenzuola; la giovane
trema pallida e in lacrime e lo guarda in una muta richiesta d’aiuto. Luca non
deve rifletterci più di due secondi: prende Anna fra le sue braccia e schizza
nel corridoio stando attendo a non scivolare sulla colazione versata; prende le
chiavi della macchina, esce e – scese le scale – la carica in macchina.
Il respiro
di Anna è affannato e spezzato: sa che ciò che le sta accadendo non è normale
per una donna incinta e in cuor suo teme il peggio; Luca, invece, non pensa,
non ci riesce, solo preme quanto più possibile sull’acceleratore ed accende il
lampeggiante per poter avere via libera.
Quando
giungono in ospedale ormai Anna è in un lago di sangue, quasi priva di
coscienza. Luca la prende di nuovo in braccio cercando di tenerla sveglia
scuotendola lievemente e sussurrandole che sarebbe andato tutto bene… una frase
a cui non crede neanche lui.
«Aiuto!
Aiuto!» grida disperato, entrato in ospedale «Vi prego: sta male… è incinta…»
Un medico
gli viene incontro con due infermieri che conducono una barella.
«La poggi
qui» gli dice uno dei due.
«Che cos’è
successo?» gli chiede il medico mentre la conducono di corsa.
«È incinta»
ripete Luca, come se fosse l’unica cosa da dire «Stamattina stava bene, come al
solito… ma ad un tratto ha dato un grido e quando sono arrivato in camera sua
era tutta sporca di sangue…»
«Da quante
settimane è incinta?»
«Dieci,
dieci settimane…» dice lui quasi senza riflettere.
Il medico
scambia con gli infermieri un’occhiata tanto eloquente quanto preoccupante che
fa precipitare il cuore di Luca: era davvero successo? No… non poteva essere
così… non poteva…
Ad un
tratto uno degli infermieri lo ferma.
«Mi spiace,
ma lei non può venire con noi… Attenda qui…»
«Ma cosa
dovete farle? Come sta?»
«Bisogna operarla d’urgenza...» gli
risponde evasivo l’infermiere; dopodiché sparisce dietro una porta a saloon
lasciando Luca solo e con le mani sporche del sangue di Anna.
Luca ha
sciacquato le mani, ma non è riuscito a lavare via il ricordo del sangue e ne
sente ancora l’odore nonostante le sue mani profumino del sapone dell’ospedale.
Continua a camminare avanti e indietro, senza trovare pace: sono quasi due ore
che Anna è in sala operatoria e ogni minuto che passa aumenta la paura che
possa accadere – o essere già accaduto – il peggio. Non vuole soffermarsi su
quel pensiero: trema immaginando una vita senza la sua Anna.
Ad un
tratto un medico gli si avvicina silenzioso e quasi lo fa sobbalzare.
«Dottore…»
sussurra timoroso «Anna…?»
«Ora la
ragazza non è in pericolo di vita: è stata fortunata» spiega l’uomo con mezzo
sorriso.
Luca ha
l’impressione di poter finalmente tornare a respirare, mentre sente dissolversi
il macigno che ha sul petto.
«Ed il
bambino?» chiede sorridendo ingenuamente.
Il medico
si incupisce rapidamente e lo guarda negli occhi, forse alla ricerca delle
parole più giuste da dire.
«Mi spiace»
sussurra scegliendo il modo più facile e diretto «Lo aveva già perso quando è
giunta qui: siamo stato fortunati a non perdere anche lei…»
Luca lo
guarda come che fosse stato colpito da una violenta botta in testa: Anna ha
perso il bambino… non c’è più… dopo tutto quello che ha dovuto affrontare, dopo
i dubbi e le lacrime, quando infine aveva accettato di diventare mamma e si era
finanche affezionata a quella tenera cosina che stava crescendo in lei… il
destino gliel’aveva strappata. Era andata via così, senza preavviso, nello
stesso modo in cui era venuta. Il ragazzo sentì un groppo formarsi all’altezza
della gola e gli occhi pizzicargli.
«E… e… lei
è sveglia? Sa già? Glielo avete detto?» chiede con voce incrinata.
«Sì, è
sveglia… ma non occorre che sia io a dirglielo: lei sente ciò che è accaduto,
nonostante non fosse ancora evidente lei già sa…»
«Posso
vederla?» e stavolta il sussurro è tanto debole che lo stesso dottore a pochi
centimetri da lui fa fatica ad ascoltarlo; annuisce e poi va via.
Luca si
avvicina alla porta della stanza ancora stordito: non sa che fare, che dire, ma
sa che non vuole lasciarla sola, non in un momento del genere.
Entrando si
appoggia con la spalla contro il muro ed osserva la ragazza che, nel letto, ha
gli occhi umidi chiusi e respira con lentezza mentre il vuoto del suo ventre,
ancora coperto, ormai inutilmente da una mano, sembra quasi divorarla.
Il
respiro era lento, debole e in alcuni tratti affannato, come se non riuscisse a
tenere il ritmo richiesto dal cervello. Luca si voltò a guardare il collega che
pur dovendo tenere lo sguardo fisso davanti a se, con la coda dell’occhio non
lo perdeva di vista neanche un istante.
Ad
un tratto un violento giramento di testa lo costrinse a chiudere gli occhi; gli
veniva da vomitare e sapeva benissimo di essere sul punto di perdere i sensi.
Infatti pochi istanti dopo si accasciò in avanti poggiando la testa contro il
cruscotto della macchina, privo di sensi.
«Luca?!»
gridò Alessandro e accostando, lo sollevò facendogli poggiare di nuovo la
schiena contro il seggiolino della vettura e dandogli lievi colpetti sul volto
per farlo riprendere.
Il
commissario rinvenì pochi istanti dopo e guardò confuso l’ispettore che tirò un
sospiro di sollievo.
«Senti
Luca… perché non lasci perdere per ora e ritorniamo in ospedale? Magari Elena riesce
a convincere Anna a venire da te…» tentò lui, ma Luca scosse la testa.
«Non
verrà, lo so…» disse con voce stanca «Se voglio risolvere ’sta situazione devo
agire in prima persona… rimetti in moto!»
Alessandro
fece come gli era stato detto e in una decina di minuti furono sotto casa di
Luca. Scesero e l’ispettore aiutò il
commissario a salire le scale, ma solo quando furono di fronte alla porta,
quest’ultimo si ricordò che le sue chiavi le aveva Anna.
«Bisogna
bussare…» disse ed Alessandro premette sul campanello che risuonò
nell’appartamento.
Pochi
istanti dopo, la porta si aprì ed Elena sgranò gli occhi alla vista di Luca.
«Che…
che ci fai qui?» gli chiese «Tu dovresti essere all’ospedale!»
«Questa
l’ho già sentita… Anna è lì?» chiese sbrigativo e senza aspettare risposta
superò l’ispettrice e si diresse in salone. Anna era lì, seduta sul divano, con
lo sguardo perso nel vuoto proprio come allora, nei mesi di depressione dopo
l’interruzione della gravidanza, quando molte volte l’aveva trovata per terra
svenuta o semplicemente scivolata e si era preso cura di lei standole accanto
senza dire una parola, ma aiutandola con la sua semplice presenza.
«Anna…»
sussurrò e la ragazza tremò nel sentire quella voce, unica che non si aspettava
in quel momento.
Si
voltò verso di lui, con gli occhi pieni di lacrime.
«Luca…
che… che… ci fai tu qui…? Dovresti essere…»
«In
ospedale? No, il mio posto è questo e tu lo sai bene! Anna che succede?»
«Mi
pare di avertelo detto, no?» fece lei un po’ stizzita perché sapeva di essere
con le spalle al muro.
«No!
Tu mi hai detto di essere incinta… ma che non era una bella notizia; non mi hai
spiegato il motivo, ti sei limitata ad andar via e a lasciarmi lì, imbambolato.
È arrivato il momento di parlare!»
L’ispettrice
lo guardò: nonostante il volto pallido e il corpo – solo ora di faceva caso –
molto dimagrito, il suo sguardo verde non aveva perso la sua forza e lei sapeva
di non potergli resistere a lungo.
«Luca,
ho paura!» disse.
«Lo
so… ne ho anch’io… ma questo non deve scoraggiarti, Anna! Io so quanto sei
forte e quanto hai lottato per essere felice…» ma mentre parla, l’ispettrice
scuote la testa.
«Non
è vero… io… io non sono così forte»
Luca
si siede accanto a lei prendendole il viso umido fra le mani.
«Ho
paura, ho paura di affezionarmi di nuovo a lui» continua Anna poggiandosi una
mano sul ventre «E di perderlo. Se solo ci penso mi sento mancare: non ce la
farei a superare di nuovo tutto… non ne sarei capace»
«Non
lo perderai, Anna! Non accadrà di nuovo… credimi!»
«Ma
il dottore ha detto…»
Si
fermò: lo sguardo di Luca, non appena lei aveva pronunciato quella frase, si
riempì di terrore; perché fino ad allora aveva dovuto tener testa alle semplici
parole di una ragazza spaventata e spaesata, ma ora doveva confrontarsi con i
fatti, con il responso di un medico qualificato.
«Il
dottore» riprese Anna senza riuscire a staccare gli occhi da quelli verdi «ha
detto che c’è il rischio che si ripeta. C’è una ferita interna, una ferita
cicatrizzata che mette a rischio tutto…»
Luca
la guardò imbambolato, quasi come se fosse da un’altra parte: aveva sempre
pensato che ci fosse qualcosa di più sotto quella reazione di paura di Anna, ma
era stato più facile, meno preoccupante, credere che fosse solo paranoia,
magari dettata da esperienze passate e nulla più. Ora si rendeva conto do
quanto fosse stato sciocco.
«Beh…
ma non è sicuro giusto?» sussurrò quasi senza forze «Insomma, il dottore ha
detto solo che c’è la possibilità che riaccada, non che sia una certezza…»
«E
se anche non accadesse» proseguì lei, in un certo qual modo felice di potersi
finalmente sfogare «Chi ti assicura che andrà tutto per il meglio? Che sarò in
grado di essere una buona madre? Di fare solo il meglio per lui?» chiese.
«Oh,
Anna! Non essere sciocca! Già solo il fatto che tu ti stia facendo tutti questi
problemi mi fa capire che sarà bravissima come madre!»
Anna
scosse la testa: Luca la faceva fin troppo facile, era fin troppo sicuro che le
cose sarebbero andate bene solo perché lo voleva. Per lei invece era diverso:
lei sapeva cosa voleva dire non fare la scelta giusta, conosceva il dolore che
ne poteva derivare, l’aveva provato sulla sua pelle e non aveva alcuna
intenzione di fare del male a suo figlio come ne era stato fatto lei.
«E
se andasse come con mia madre?» chiese.
Luca
la guardò e in un attimo capì quanto era stato cieco: era questo che le faceva
male, allora! La paura di poter far soffrire suo figlio come era successo a
lei…
Rabbrividì:
Anna aveva scoperto di essere incinta mentre lui era in missione, con la
costante possibilità di morire; inoltre il medico le aveva detto che c’era il
rischio che perdesse il bambino e le paure del suo passato l’avevano attagliata
dopo anni di apparente calma. Al solo pensiero di quel mix si sentì soffocare e
gli si chiuse lo stomaco: quanto aveva sofferto? E quanta di quella sofferenza
era causa sua?
Ad
un tratto la strinse a se, accarezzandole la testa con il mento ruvido.
«Perdonami…»
sussurrò «Sono stato così cieco e non ho capito quanto stessi male… Io… io sono
sicuro che andrà tutto bene proprio perché tu sai cosa vuol dire soffrire a
causa di scelte sbagliate. Non farai gli stessi errori di tua madre: lui o lei
crescerà con tutto l’amore che serve, con tutto quello che saremo in grado di
dare…»
«E
se invece, proprio perché quello di mia madre è l’unico esempio che conosco,
non saprò fare diversamente?»
«Gli
errori vengono capiti affinché non li si compia più…»
«Ne
sei sicuro?»
«Ti
ho mai mentito?»
Anna
scosse la testa: di Luca si fidava molto più che di se stessa.
«Non
lasciarmi…»
«Mai!»
e dopo mesi di solitudine e paura finalmente le loro labbra poterono toccarsi
di nuovo, sentire in quel muto gesto la sicurezza di un tempo e forse anche un
po’ della stessa gioia e ingenuità di prima di quella separazione e che avevano
creduto esser volate via con essa.
«Tutto
è bene quel che finisce bene» sentenziò Alessandro ed Elena tirò un sospirò di
sollievo: tutto si era finalmente sistemato.
«In
fondo ciò di qui aveva bisogno Anna… era Luca, nulla più» disse sorridendo.
«Promettimi
che, se mai dovessi avere un problema, me ne parlerai subito!» le disse lui
guardandola negli occhi.
«Tranquillo:
sarai il primo a saperlo; non ce la farei a resistere come ha fatto Anna…» poi
lo baciò e stavolta gli spettatori dei loro gesti e delle loro parole erano
Anna e Luca.
Almeno
una situazione era risolta…
Giuda
veloce: è in ritardo, in un ritardo stratosferico e per giunta al suo
matrimonio! Perché se fosse un semplice appuntamento avrebbe tirato su la scusa
del troppo lavoro, del caso complesso o delle indagini appena concluse, ma non
ora, non al suo matrimonio. Lì è semplicemente in ritardo.
Germana
sarà già arrivata pensa guardando
l’orologio Questa sarà un’altra cosa che il mio “caro” suocero mi
rinfaccerà ad ogni cena in famiglia.
Svolta l’angolo
con un velocità fin troppo alta che fa stridere le gomme sull’asfalto. Il suo
respiro è irregolare, come se anziché muoversi in auto stesse raggiungendo la
chiesa a piedi. Le parole di Angela, nel sogno di quella notte, gli rimbombano
ancora nella mente.
“Ti stai sposando all’età giusta, con la
persona giusta, nel modo giusto…”
Certo, ne è
sicuro… eppure sta tremando e non può dire che ha freddo perché siamo ormai in
estate: no quella è proprio paura! Paura ed adrenalina: un mix perfetto. Ancora
gli rimbomba nella mente lo sparo di Roberto che per poco non ammazzava Carla
Monti, sente ancora battere il cuore per la corsa fatta all’inseguimento della
malvivente, la testa che gli urlava: “tieni duro: vedo la fine; tieni duro:
stavolta la prendete…” e poi era finito tutto: l’avevano arrestata ed era
scomparsa nella volante dei colleghi. Angela poteva riposare in pace adesso e
lui poteva sposarsi…
Una seconda
morsa gli stringe lo stomaco mentre parcheggia in malo modo l’auto davanti alla
chiesa e vede corrergli incontro il padre con il suo vestito da sposo ed
un’aria agitata.
«Stanno
tutti a ‘spettà a te!» gli grida mentre lo fa risalire in macchina e gli passa
il pantalone dello smoking.
Mauro a
fatica riesce ad infilarseli: una macchina non è certo un camerino adatto per
uno sposo, poi Tiberio gli passa la camicia che infila più facilmente e mentre
il vecchio tenta di prendere le misure della cravatta provandola sul suo collo,
Mauro si infila un gilè dello stesso colore del pantalone.
«Ecco così va bene… se…» conferma Tiberio a se stesso, poi toglie la
cravatta dal suo collo e tenta di infilarla al figlio.
«Aspetta: infila la cravatta…» gli dice «Girate
un po’ di qua, un attimo!» ma la cravatta e troppo stretta per il
“capoccione” dell’ispettore.
«Piano, papà! E piano!» grida l’ispettore che intanto pensa che se
sopravvive a quel giorno può davvero dire di poter affrontare tutto.
«Mannaggia! C’hai un capoccione!» gli risponde agitato Tiberio riuscendo infine
a mettergli la cravatta.
Poi
continua a sistemarlo dicendo, più a se stesso che al figlio di fare piano, ma
ad ogni parola che dice il tono di voce aumenta e le mani, che ora stanno
sistemando la cravatta sotto il colletto della camicia, tremano vistosamente.
Strige la cravatta agitatamente fino a quasi soffocare il figlio.
«No! Più lenta per favore, papà, più lenta! Mi
sto a sentì male» si lamenta
lo sposo senza sapere se quel malessere è dovuto alla semplice mancanza
d’ossigeno o al grande passo che sta per fare; subito sente ritornare l’aria nei
polmoni: ora il padre gli ha allargato il nodo.
«Così va bene?»
«Si… dammi ‘a giacca, dammi ‘a giacca!» ed il padre lo aiuta ad infilare anche quella:
ora può finalmente dire di essere pronto.
«Mannaggia! Guarda che “ciancicaticcio”
Ce vorrebbe una botta di ferro da stiro adesso!» osserva lui con l’occhio critico di un sarto
anziano ma esperto.
«Apposto su!» lo sbriga Mauro «Se vedemo a casa papà» e scende di corsa
dalla macchina.
«Si… tirati giù quel collo della camicia! Si se
vedemo casa…»
e per qualche istante si adagia in macchina stanco per quella fulminea
faticata.
Poi la sua
mente fa un rapido ragionamento: Mauro sta per sposarsi, Mauro, suo figlio… suo figlio! Lui deve andare con lui! È il padre dello
sposo!
«Ma devo venire pure io! Se vedemo
a casa!» grida
ripetendo le parole del figlio e scendendo dalla macchina.
Mentre
entra nella chiesa, Mauro sente risuonare dall’organo la classica musichetta
dei matrimoni, mentre il padre lo raggiunge e dopo alcuni tentativi falliti
riescono a mettersi a braccetto.
Germana è
lì, di fronte a lui, in fondo alla navata: l’abito bianco si intona
perfettamente con la sua carnagione chiara e quei capelli biondo scuro che le
ricadono morbidi e mossi sulle spalle la rendono adorabile. Mauro l’osserva, in
un attimo perde la concezione di tutto ciò che lo circonda: c’è solo lei e lui
non ha occhi che per lei che gli sorride sollevata e felice di vederlo e forse
anche un po’ divertita.
Ed lui ora
lo sa, ne è convinto, quel suo semplice sorriso ha fugato tutti i suoi dubbi:
la sua è stata la scelta giusta, è con lei che vuole passare la sua vita…
perché, semplicemente, la ama.
[…]
Mauro
scende dalla macchina bianco come un cencio. È agitatissimo, in quel momento
non ricorda una volta in cui è stato più agitato di quella sera. Spera che al
Distretto sia già arrivata Germana perché attenderla sarebbe ancora più
snervante.
Ma
guarda quante agitazione me ‘sta a fa venì un cosino
come quello pensa entrando: quella sera
lui e Germana sarebbero andati in ospedale a prendere il piccolo Ettore… Ettore
Belli, da quella sera…
Sua moglie
è lì davanti alla guardiola a parlare con Ugo e Giuseppe: almeno non avrebbe
atteso ulteriormente.
«Ciao amore»
la saluta baciandola.
«Ciao amore»
ripeté lei con un sorriso.
«Non capisco come fai a sta’ così tranquilla
te!» le dice e
dalla voce affannata si capisce che quasi non respira.
«Amore,
ma se ci agitiamo tutti e due che facciamo, eh?» gli fa notare lei e Mauro si rende conto che
ha ragione: se andassero tutti e due in panico come sta facendo ora lui,
sarebbe la fine. Escono salutando i due poliziotti e salgono in macchina.
«Perché ci vuole così tanto?» chiede per l’ennesima volta l’ispettore.
Sono da più
di venti minuti seduti nel corridoio dell’ospedale e ancora non hanno visto
l’ombra di quello che sarà il loro bambino, né dell’infermiera che li aveva
accolto gentilmente chiedendo loro di attendere in corridoio.
«Beh lo staranno preparando» suppone lei accorgendosi che l’ansia la sta
prendendo tanto quanto sta prendendo il marito e sospirando.
«Certo che per lui sarà un bel trauma» considera Mauro «Da un giorno all’altro cambia tutto!»
«In meglio, però: ora avrà un padre ed una
madre» lo
rassicura lei.
«E se non gli pace stare a casa con noi?»
«Embè, ci sta lo stesso!» risponde lei un po’ brusca: l’ansia ormai l’ha
presa.
«Ammazza, già sei severe, oh! Manco l’hai
preso!» nota con
un sorriso sorpreso l’uomo.
Ad un
tratto, finalmente, la porta della stanza si apre. Mauro e Germana si alzano di
scatto e vanno incontro alla donna che porta un braccio un minuscolo fagottino
azzurro. I due non possono non ridere ammaliati da quello spettacolo.
«Oddio, quanto sei piccolo!» esclama Germana con la voce ancora
condizionata dal sorriso.
«Ammazza quanto è bello, però, eh?» non può fare a meno di notare Mauro.
«È bellissimo, eh?»
«E quando usciva così bello se lo facevo io?» si chiede sorridendo.
Germana
sporge la sua esile mano verso il mento del piccolo, quasi timorosa di potergli
far del male.
«Si può toccare?» chiede ingenuo il poliziotto; poi valuta la
sua grossa mano e la ritrae: è davvero troppo grande per quel piccolino.
«Chi lo prende?» chiede con un sorriso gentile l’infermiera.
«Piglialo tu… piglialo tu…» dice lui facendosi indietro: non si sente così
pronto, e se lo facesse cadere?
«Lo dia a me» si fa coraggio la giornalista «Così, eh?» chiese e la donna annuisce.
I due
sorridono ai piccoli vagiti del bambino che si sta lentamente svegliando. È
ancora più bello ora che è sveglio ed i suoi occhi incontrano quelli che da ora
in poi saranno i suoi genitori.
Erano
rimasti seduti lì, su una panchina del cimitero, per secondi che si erano
presto trasformati in minuti ed ore semplicemente a guardarsi, senza rompere il
silenzio e lasciando che fossero gli occhi a colmare i tre anni di parole
taciute. Ogni tanto qualche lacrima solcava questa o quella guancia e l’una o
l’altra mano la scostava con delicatezza.
«Ancora
prego che non sia un sogno» sussurrò lei.
«Anch’io
credevo che questo giorno non sarebbe mai arrivato… E più vi ero vicino più
sentivo di allontanarmi»
«Ora
sarà tutto diverso…» lo rassicurò Germana stringendolo a sé.
Mauro
sussultò: erano le stesse parole che gli aveva detto Luca, ma allora lui non
l’aveva creduto… Ora poteva farlo? Non ci sarebbero stati più ostacoli? No… ce
ne sarebbero stati tanti altri, ma stavolta lui era pronto ad affrontarli, non
si sarebbe più nascosto, avrebbe lottato per quella vita che gli avevano negato
perché ora sapeva che, se anche era in ritardo di tre anni, valeva ancora la
pena di combattere.
«Cosa
facciamo ora?» chiese la giornalista.
«Io…
non lo so… vorrei…»
«Tiberio
ora è a casa: deve essere tornato da pochissimo con Ettore» lo informò Germana
come leggendogli nel pensiero.
Mauro
parve sbiancare, non perché la moglie avesse indovinato le sue intenzioni –
sapeva che potevano leggersi nel pensiero, lo avevano sempre fatto – ma perché
si era reso conto di quanto velocemente stava accadendo tutto.
«Andrà
tutto bene… non temere» lo rassicurò Germana tenendogli la mano e alzandosi.
Lui
la guardò sorridendo ed una sicurezza che non provava da anni lo invase: gli
era mancata, non poteva negarlo ed ora sapeva anche quanto. Si alzò anche lui e
uscirono dal cimitero diretti alla vecchia casa di Mauro.
Quando
furono davanti alla porta d’ingresso l’ex ispettore si accorse di tremare.
«Oh,
avanti! Con me non hai fatto tutte queste storie!» disse la moglie per
allentare la tensione; Mauro le rivolse un sorriso divertito.
«Perché
tu non mi hai visto prima di incontrarti! Busso?»
«No,
ma che dici? E se aprisse Tiberio? Vuoi fargli prendere un infarto? Ho le
chiavi»
Il
suono del pezzo di metallo che girava nella toppa risuonò nel silenzio e fece
rabbrividire entrambi. Germana entrò silenziosa e Mauro le scivolò dietro
chiudendo dietro di se la porta. La donna si diresse in salone chiamando gli
uomini di casa.
«Mamma!»
esclamò Ettore correndole incontro e saltandole al collo.
La
giornalista lo prese tra le sue esili braccia e lo strinse al suo petto con un
gioia che non sapeva descrivere.
«Io
e il nonno siamo appena tornati!» disse il piccolo, pronto a raccontare alla
mamma la sua avventurosa giornata di asilo.
«E
dov’è ora il nonno?» gli chiese Germana con una certa impazienza nella voce.
«Sono
in camera!» urlò Tiberio che stava sistemando alcune camice appena stirate.
«Ettore
ora fai il bravo e guarda i cartoni alla tv mentre io parlo con il nonno, va
bene? Più tardi mi racconti tutto quello che hai fatto oggi!»
Il
piccolo annuì con un sorriso e si sedette sul divano; la giornalista accese la
tv al canale giusto e poi, dirigendosi verso la camera dell’uomo, diede una
breve occhiata al marito che era rimasto sulla soglia della porta, ancora con
il respiro mozzato per aver sentito per la prima volta la voce di suo figlio.
Lei bussò lieve alla porta del suocero chiedendogli il permesso.
«Certo,
cara: entra! Ah, visto che ci sei, mi passeresti la camicia azzurra che è sul
letto?»
Germana
fece quanto chiesto cercando di placare i battiti del suo cuore. Quando l’uomo
ebbe sistemato le ultime camice, si voltò a guardare la nuora e non poté non
notare quel lieve rossore che le colorava le guance e la luce che le animava
gli occhi marroni. Il suo cuore perse un colpo: sapeva benissimo che quel
giorno sarebbe arrivato e sapeva anche che era giusto così, eppure non poteva
fare a mano di sentire un lieve dolore all’altezza del cuore. Era da quando
Mauro era andato via che il volto di Germana non era stato tanto colorato e i
suoi occhi tanto luminosi e questo non poteva che significare una cosa: un uomo
– un altro – era entrato nella sua vita, aveva risvegliata dal sul invernale
letargo e nonostante egli stesso l’avesse più volte incoraggiata a rifarsi una
vita, ora che stava accadendo – perché non c’erano altre spiegazioni a quel
radicale mutamento – sentiva quasi come se la memoria di suo figlio fosse stata
in qualche modo usurpata.
«Devo
parlarti» disse lei sedendosi sul letto.
«Sapevo
che prima o poi questo momento sarebbe arrivato» confessò lui accogliendo
l’invito della donna a sedersi accanto a lui.
«Lo…
sapevi…?» balbettò lei confusa.
«Certo.
Insomma è normale…» continuò lui cercando di apparire quanto più possibile
felice.
«Beh,
mica tanto…» sorrise lei ancora confusa.
«Ma
sì. Ti dico! Sono passati tre anni, era pure ora che tu… insomma…» faceva male,
più male di quanto credeva… Adesso non avrebbe potuto neanche più dire ad
Ettore che suo padre sarebbe tornato presto…
«Tiberio,
io non so di cosa tu stia parlando… ma devo dirti una cosa molto importante.
Non so quali sono le parole giuste per…» ma la sua tentennante voce fu bloccata
da quella squillante di suo figlio.
«Papà!»
aveva semplicemente esclamato il piccolo che, corso in corridoio per sentire
“il discorso dei grandi”, aveva visto la figura di Mauro ferma nel corridoio
con le spalle contro la porta d’ingresso.
Germana
rimase a bocca aperta: lei si stava sforzando di introdurre la questione con
quanto più tatto e calma possibile ed il figlio, invece, aveva vanificato tutti
i suoi sforzi con un semplice grido; di fronte a lei il volto di Tiberio non
poteva essere descritto: semplicemente non aveva espressione perché l’uomo non
sapeva cosa dire, né cosa pensare.
Poi,
ad un tratto, senza alcun preavviso, si alzò di scatto e si diresse fuori dalla
stanza, in corridoio; ma il suo corpo si blocco dopo soli pochi passi, gli
occhi stanchi fissi sull’impossibile e la mente che ancora si rifiutava di
connettere. Davanti a lui, sull’uscio, suo nipote Ettore era stretto al petto
di un uomo… un uomo che aveva il volto nascosto nell’incavo della piccola spalla
del bambino, un uomo che Ettore aveva chiamato “papà”, un uomo troppo simile a
suo figlio…
Il
colpo di grazia, quello che gli fece girare la testa e capire che, infine, la
pazzia l’aveva preso, fu vedere il suo sguardo velato di lacrime quando alzò gli
occhi sulla sua tremante figura. Quegli occhi… quegli occhi erano solo i suoi,
solo di Mauro, del suo Mauro… dell’impossibile.
«Oh,
Dio!» esalò in un sussurro, poi le gambe non ressero il suo peso e
semplicemente si accasciò a terra sotto lo sguardo sconvolto di Germana e
Mauro.
Ettore
scese dalle braccia paterne e Mauro corse verso Tiberio, lo prese in braccio –
notando quanto fosse leggero – e lo stese sul divano del soggiorno; Germana
prese un bicchiere d’acqua in cui aveva sciolto dello zucchero, poi si sedette
sul divano accanto all’anziano che era davvero pallido.
«Papà…?
Papà, mi senti…?» sussurrò l’uomo dando dei lievi colpetti sul volto del padre
e sentendo uno strano calore invadergli il petto: da quanto non pronunciava
quella parola?
Lentamente
il vecchio sembrò riacquistare il colorito, le palpebre tremarono lievemente e
infine si svegliò. Notò per primo il volto sorridente di Germana a cui sorrise
di rimando, poi la testolina del nipote che sfiorò con la sottile mano e infine
i suoi occhi si posarono sulla figura ancora pallida del… figlio. Prima che
potesse dire una qualsiasi cosa fu Mauro a prendere parola, con la voce
spezzata e le labbra tremanti.
«Ma
che scherzi sono, eh papà? M’hai fatto prendere un colpo!»
«Un
colpo?! Un colpo l’ho preso io quando ti ho visto!» sussurrò lui senza riuscire
a staccare gli occhi da quelli del figlio: gli erano mancati troppo per
potersene saziare in così poco tempo.
«Ma…
ma… come…?» tentò.
Mauro
gli accarezzò la guancia bagnata con la sua mano sorridendo anche lui tra le
lacrime.
«Ci
sono tante cose di cui devo parlarvi… tanti momenti che dobbiamo recuperare… E
credo che ‘sta storia non sia giunta alla sua fine»
Tiberio
si slanciò verso il figlio e lo strinse forte a se: non sapeva come potesse
essere possibile e in fondo, in quel momento, non gliene importava poi molto.
Mauro era lì con lui, con loro: era questo l’importante; il resto avrebbe
potuto aspettare anche decenni.
«Papà?»
chiamò Ettore con timore, Mauro si voltò verso di lui «Ora non andrai di nuovo
via?» sussurrò con gli occhi che luccicavano per l’importanza della domanda.
L’uomo
lo guardò negli occhi che – solo ora lo aveva notato – erano di un verde tanto
chiaro da togliere il fiato, bellissimi e profondi, gli occhi di suo figlio.
«No,
piccolo mio: non me ne andrò mai più…» poi non riuscì più a continuare: le
parole gli si erano bloccate in gola e non poté fare altro che stringere forte
a se Ettore versando lacrime che non potevano essere più nascoste e che, in
verità, neanche lo volevano, mentre il piccolo cingeva con le esili braccia la
sua schiena, poggiando la testolina sulla sua spalla.
«Bentornato,
papà!»
Continua a
girare in macchina senza trovare pace. Tornare a casa non ha alcun senso: se si
ferma dà tempo al cervello di pensare e quella è l’unica cosa che vuole
evitare. Le parole del padre gli rimbombano ancora nella testa senza
possibilità di essere dimenticate. Vuole rivederlo, dopo 5 anni di tormenti
vuole rivederlo perché sta male, perché ha paura di non farcela. E quando è
stato male lui? Dov’era suo padre quando lui, chiuso nella sua stanza piangeva
e si disperava? Allora non aveva voglia di parlargli, allora voleva solo
umiliarlo, ricordargli ogni attimo della sua vita che lo aveva deluso, che lui
– come uomo – non poteva accettare che il suo unico figlio fosse gay. Era stato
male per tanto tempo, era addirittura arrivato a convincersi che fosse colpa
sua prima di lasciare casa per sempre e buttarsi tutto alle spalle entrando in
polizia. Ed anche lì non era stato sempre tutto “rose e fiori”: dei giorni
avrebbe voluto chiamare casa e sentire la voce di suo padre che gli chiedeva
come stava, se aveva problemi… avrebbe voluto fare tutto quello che fa un
figlio con un padre in una famiglia normale… ma la sua non è una famiglia
normale. E adesso dopo tanti, troppi silenzi, suo padre chiama perché vuole
parlare… ma andasse a fanculo! Mauro dice che sta
sbagliando, che deve dargli una seconda possibilità, che si vive male con i
rimorsi, ma lui non ce la fa: le ferite sono troppo fresche perché le consideri
acqua passata, sta soffrendo ancora ora per tutto il male che gli ha fatto… non
vuole vederlo di nuovo, ha troppa paura di soffrire ancora, di stare male e non
riuscire più a rialzarsi.
Mentre fa
l’ennesimo giro senza alcuna meta sente la radio della sua volante.
«Richiesta
di rinforzi da parte dell’ispettore capo Belli: convergere tutte le vetture in
Via dei Casali Romagnoli, è in corso una sparatoria. Ripeto: sparatoria;
convergere tutte le vetture in Via dei Casali Romagnoli»
Senza
neanche doverci pensare, Luca ingrana la marcia e si dirige sul posto con una
strana ansia che gli strozza il respiro. Quando arriva, l’aria ha già disperso
il rumore dei proiettili sostituito da quello delle sirene dei colleghi e dell’ambulanza.
C’è un uomo steso a terra. Luca rabbrividisce, prega di aver visto male mentre
istintivamente scende dalla macchina e corre verso Roberto. Steso, poco
distante dal commissario, Mauro respira a fatica, un foro rosso all’altezza del
petto.
«Dio mio…»
sussurra portando una mano alla fronte, sconvolto e senza riuscire a staccare
gli occhi dall’amico agonizzante.
Non riesce
a dire nulla, non riesce neppure a pensare mentre gli infermieri lo caricano
sulla barella e Roberto sale per accompagnare l’amico in quella corsa contro il
tempo e la morte. La testa gli dice di salire con lui sull’ambulanza, ma le
gambe pesano come piombo e non gli permettono di fare un passo. Solo quando
ormai la vettura e in moto, riesce a camminare; si avvicina alla pozza di sangue
lasciata dall’amico e raccoglie la sua pistola, con gli occhi appannati dalle
prime lacrime.
Sale veloce
in macchina e si mette all’inseguimento dell’ambulanza; non sa con quale forza
riesce a chiamare Ugo per avvertire il Commissariato della situazione.
«Hanno
sparato Mauro!» grido con la voce che ormai ha assunto il tipico tono del
pianto «Sta male…» poi non riesce a continuare e attacca, mentre ormai sono
giunti in ospedale.
Segue
correndo la barella, incurante delle lacrime che ormai scendono senza tregua
sul suo volto finché sia lui che Roberto sono costretti a fermarsi mentre i
medici entrano con il ferito in sala operatoria. Luca non riesce a respirare: è
successo tutto talmente velocemente che non se ne rende ancora realmente conto.
Un attimo prima Mauro è con lui e gli sta dicendo di parlare con suo padre e un
attimo dopo è sul lettino della sala operatoria con un buco nel petto. Il gelo
lo avvolge mentre si appoggia ad una colonna e si stringe nel suo giubbotto di
pelle marrone.
Anna li
raggiunge in ospedale pochi minuti dopo. Con lei non serve parlare: basta
guardasi per capire ogni cosa ed infatti lei non chiede nulla, ha capito che la
situazione non è affatto buona; solo lo stringe a se e Luca piange sulla sua
spalle senza alcuna vergogna. Poco dopo è Irene ad arrivare, correndo, mentre
Luca è di nuovo appoggiato contro una colonna ed Anna è seduta con lo sguardo
perso nel vuoto.
«Luca…?»
lo chiama, ancora con il fiatone.
«Lo stanno operando…» sussurra lui intuendo la sua muta domanda.
«Quant’è grave?»
«Non lo so… non te lo so dire…» poi sospira, mentre gli tornano alla memoria
le immagini di poco prima, il corpo di Mauro, il suo sangue sull’asfalto; gli
gira lo stomaco «Quando l’ho visto io,
non stava per niente bene…» poi non ce la fa a continuare e ci copre gli
occhi con una mano asciugando le lacrime che li imperlavano.
All’improvviso
Anna si alza e si avvicina ai due guardandoli; forse vorrebbe dire qualcosa, ma
non ne è capace e si limita a passare tra i due sfregandosi convulsamente le mani
chiuse a pugno, mentre da dietro alla colonna, dove sta fermo Luca, giunge con
volto scuro Alessandro che subito stringe a se Irene. L’attesa è snervante,
Luca non riesce ancora a rendersi conto di ciò che è successo, prega solo che
sia tutto un sogno e si ripete che presto si sveglierà e sarà tutto a posto… ma
non ci crede neanche lui. Non riesce a scostarsi da quella maledetta colonna
mentre vede i suoi compagni muoversi agitati, alzarsi per poi sedersi di nuovo,
guardarsi tra loro in cerca di un conforto che non esiste. In breve perde la
concezione del tempo e non sa che ore siano quando Vittoria, Ugo e Giuseppe
giungono in ospedale. La donna lo stringe a se piangendo, mentre i due uomini
chiedono informazioni ai presenti, ma nessuno sa nulla: Mauro è ancora in sala
operatoria.
Dopo poco
anche Roberto, che non si era mosso dalla porta della sala, li raggiunge in
corridoio. Nessuno riesce a chiedergli qualcosa, nessuno tranne Ugo i cui occhi
azzurri lo pregano di avere notizie positive.
«Come sta?»
sussurra con un mezzo sorriso, come se volesse incoraggiarlo.
Gli occhi
umidi di Roberto incontrano quelli azzurri: non sa come, ma deve dir loro la
verità; una verità che Luca ha già capito, ma che non può, non vuole accettare.
«Non c’è più… non c’è più…» dice scoppiando a piangere più forte.
L’incredulità
avvolge gli uomini del X: Mauro è andato via, per sempre… è stato tutto così
veloce che nessuno di loro sa come reagire se non abbracciandosi e piangendo
forte come solo in pochissime altre occasioni. Luca si dispera senza più
pudore: pensa alle parole che Mauro gli aveva detto quella mattina, a quanto
fosse buono, a quanto lo avesse aiutato… e al fatto che non lo rivedrà mai più,
che non potrà più parlargli…
Quante
cose avremmo potuto fare ancora insieme… io non posso… non ce la farò senza
lui…
Scivola
contro la colonna come schiacciato da un peso enorme, insostenibile e vorrebbe
solo addormentarsi e non svegliarsi mai più… In fondo se questo diritto se
l’era preso Mauro senza avvisare nessuno, perché non avrebbe potuto farlo anche
lui?
C’è
solo bianco intorno a lui. Luca vede bianco a perdita d’occhio e lentamente
perde la concezione delle dimensioni: gli sembra di fluttuare nell’aria. Prova
a muoversi senza sapere se ha successo, ma stranamente tutto ciò non lo
sorprende: è come se fosse normale muoversi in quel modo e con
quell’incertezza. Dopo poco il bianco comincia lentamente a cambiare
dissolvendosi come nebbia e Luca vede davanti a se una grande distesa verde:
man mano che la nebbia si dilata il commissario comincia a distinguere vari
particolari in quel prato verde e avvicinandosi scopre tante lapidi color crema
con su incisi vari nomi in nero. Il giovane non ne è sorpreso o turbato: è come
se, adesso che lo ha scoperto, abbia sempre saputo di trovarsi in un enorme
cimitero.
Comincia
a camminare, incerto sulla strada da prendere; sfila attraverso le lapidi
distinguendo i vari nomi incisi in marmo nero: alcuni li conosce, gli suonano
familiari e sforzandosi riesce a collegarli anche a dei volti, ma tutti i
ricordi sono stranamente offuscati e anche lui si sente stanco, non ha voglia
di riflettere; altri nomi, invece, non gli dicono proprio nulla, stranieri,
inesistenti finché non li ha letti e comunque, anche allora, destinati
all’oblio.
Continua
a camminare con passo sempre più lento e stanco, fino a giungere ad una lapide
dietro la quale c’è un grosso albero probabilmente centenario. Il marmo della
lapide attira la sua attenzione: nonostante ci fossero diversi mazzi di fiori
sulla tomba, a differenza degli altre, nessuno nome spezzava la morbida e
candida armonia del bianco della lapide. Luca rimane a guardare stranamente
interessato quell’insolito spettacolo: qualcosa lo attira, anche se non sa cosa
sia; sente di conoscere il nome mancante sulla lapide, ma in quel preciso
istante proprio non gli viene in mente.
«Luca…?
Luca…»
Una
voce scuote il commissario dal suo ragionamento. Si volta in cerca della donna
che lo ha chiamato, perché si tratta della voce di una donna, ma non vede
nessuno: è completamente solo mentre la piana verde sembra ingrandirsi e lui si
rimpicciolisce sempre più.
«Luca…?
Luca… Apri gli occhi, su… Luca…»
Ancora
quella voce che, con una nota preoccupata nel suono, lo chiama ed ora gli
sembra così famigliare… Posa di nuovo il suo sguardo sulla lapide senza nome.
Aspetta pensa aspetta
ancora un attimo: io conosco il nome che manca…il nome…Mauro! Manca il nome di
Mauro! Mauro… non è morto! Lui è ancora qui, per questo questa lapide è bianca…
io… io devo parlarne, devo fare qualcosa.
L’uomo
aprì di scatto gli occhi, come se non stesse dormendo, ma solo riflettendo.
Anna occupava gran parte del suo campo visivo: i suoi occhi erano velati da una
lieve preoccupazione e le labbra increspate da un’espressione di
concentrazione.
«Luca!»
esclamò con un sorriso sollevato «Ti sei svegliato finalmente! Mi hai
spaventato…»
«Scusa…»
disse lui automaticamente ripensando ancora al sogno appena fatto… a Mauro…
«Tutto
ok?» chiese la ragazza notando il suo strano comportamento.
«No…
in realtà no…»
Sapeva
di doverle parlare di quello che era successo nella missione: non avrebbe retto
ancora per molto e – sinceramente – neanche voleva più mantenerlo quel segreto.
Anna doveva sapere, tutti dovevano sapere!
L’ispettrice
si sedette sul divano dove Luca si era addormentato e puntò il suo magnetico
sguardo su di lui in attesa di spiegazioni.
«Anna…»
non sapeva da dove cominciare: come si faceva a dire una cosa simile? «Non
prendermi per pazzo ti prego… ma devo dirti una cosa importante, che… che non
capita tutti i giorni»
Anna
annuì ed il commissario si decise ad andare avanti.
«Durante
la missione sono stato più volte sul punto di essere scoperto, ho rischiato di
morire molte più volte di quanto immagini… e se sono qui è grazie ad una
persona…»
«Di
chi parli?» chiese lei, senza capire che cosa volesse dirgli Luca.
«Parlo
della stessa persona che vi ha avvertiti del mio ferimento… la stessa che ha
fatto si che la DIA mi trovasse e mi portasse via giusto in tempo…»
«Ma
io credevo che fossi stato tu ad avvertire la DIA… e poi, scusa, che ne sai che
un uomo ha avvertito Elena del tua situazione?» c’era qualcosa che non andava,
lo sentiva.
«Perché
questa persona era con me nell’Organizzazione ed è grazie a lei se la mia
copertura ha tenuto quasi fino alla fine…»
«Quasi
fino alla fine? Che intendi con “quasi”?»
«Si,
quasi… perché poco prima che la DIA arrivasse… Ma non è questo il momento! Io
voglio parlati di questa persona… Anna, è Mauro! È il nostro Mauro che mi ha
aiutato!»
La
ragazza rimase qualche istante interdetta, poi sorrise.
«Luca,
io capisco che questi ultimi giorni sono stato molto stressanti e traumatici
per te... ma stavolta ne hai sparata una davvero grossa! Mauro è morto da tre
anni ormai!» disse: ovviamente non lo credeva… e come avrebbe potuto?
Luca
sospirò scuotendo la testa: sapeva che sarebbe stato difficile, ma ormai il
grosso erra fatto, non poteva lasciar perdere proprio ora.
«No,
Anna! È la verità! Ti devi credermi!»
«Come?»
chiese lei, un po’ innervosita.
«All’inizio
anch’io credevo di essere impazzito, poi, però, Mauro mi ha spiegato ogni cosa.
Prima che lo operassero due uomini della DIA sono andati dal dottore che stava
per provvedere all’intervento e gli hanno imposto che, qualunque fosse stato il
suo esito, lui avrebbe dovuto comunicare la morte di Mauro. In seguito l’hanno
trasferito in una piccola clinica poco distante da qui dove si è ripreso
subito: la ferita era meno grave di quanto paresse all’inizio»
«E
perché avrebbero dovuto fare tutto questo?» chiese, interrompendolo, lei ancora
un po’ scettica.
«Mauro
è sempre stato un ottimo ispettore e negli ultimi tempi si era particolarmente
distinto… così quelli della DIA hanno pensato che un uomo del genere avrebbe
fatto al caso loro… Per tre anni Mauro ha fatto missioni sotto copertura senza
alcuna possibilità di potersi ribellare: per tutti lui era morto e lui, da
solo, non poteva far nulla per cambiare le cose…»
Luca
si accorse che nonostante conoscesse la storia ormai da tempo, faceva ancora un
certo effetto pensarci e parlarne gli aveva fatto tremare più volte la voce.
Anna lo guardava sconvolta: il commissario era fin troppo serio, fin troppo
lucido per essere in preda al delirio… ma allora doveva davvero credere a quel
racconto? Doveva davvero pensare che per tutto quel tempo Mauro era sempre
stato in vita e magari neanche così lontano da loro?
«Mi
credi?»
«È
tutto talmente assurdo…»
«Lo
so… eppure è la verità… io non inventerei mai una cosa simile.. e poi a che
scopo?»
Già,
a che scopo? Sì, lo credeva… in fondo era tanto facile pensare che fosse ancora
con loro… quante volte lo aveva desiderato dopo la sua “morte”?
«Mi
credi, Anna?» domandò di nuovo lui con insistenza.
«Si…
si… ti credo… io… solo non so che pensare… insomma… ora dov’è?»
«A
conclusione della missione è sparito, come sempre… e la DIA ha mandato uno dei
suoi uomini a dirmi di dimenticare tutto… Ma io non posso: insomma Mauro ha
diritto a tornare alla sua vecchia vita, per quanto sia difficile!»
Anna
annuì: aveva ragione… ma se era andato via in che modo lo avrebbero trovato?
Loro erano solo in due e la DIA avrebbe trovato il modo di zittirli subito.
Luca parve leggerle nel pensiero.
«Lo
so che da soli non possiamo far nulla… per questo ho intenzione di parlare con
qualcuno che potrà darci una mano» poi strinse a se Anna, felice di averle
detto tutto ed anche lei lo abbraccio, mentre le prime lacrime scendevano sul
suo volto e bagnavano la spalla del commissario: solo in quel momento mente e
cuore avevano messo davvero a fuoco tutta la situazione…
Quando
si staccarono con un sorriso, Luca prese il cellulare e compose un numero
telefonico con mano lievemente tremante.
«Chi
chiami?»
«L’unico
che può darci davvero una mano» disse lui serio.
Attese
quei pochi secondi in cui il telefono squillava con un ansia tremenda
tamburellando con le dita sul tavolino di legno.
«Pronto?»
A
Luca mancò il fiato: per un attimo ebbe la tentazione di chiudere tutto e
rinunciare, poi si diede dello stupido e prese fiato.
«Roberto?
Sono Luca… senti è urgente: ho bisogno di incontrarti qui a Roma!»
LO SPAZIO DELL’AUTRICE
Salve a tutti!! Prima che
mi uccidiate sul serio stavolta, ci tengo di nuovo a scusarmi per il mio spaventoso
ritardo… ma stavolta ho scritto un capitolo lunghissimo, dunque mi ci voleva
più tempo! u.u
A proposito di lungo
capitolo… questo è davvero enorme, vero?? Mi spiace… perché molti di voi si saranno
sicuramente scocciati a leggerlo! Ho anche pensato (con il suggerimento di mio fratello)
di dividerlo in due, ma non sapevo davvero come e dove interromperlo e poi era
stato concepito come un capitolo unico e non me la sentivo davvero di postarlo
in due volte… Dunque sopportatelo! Nel caso siate riusciti a leggerlo tutto…
che ne pensate? Ho dato sfogo davvero a tutte le mie risorse e mi sono anche
valsa dell’aiuto di alcuni frammenti di episodi delle varie serie
(rispettivamente 07x26; 03x23 ; 03x26 e 06x03 ; 06x09)… Ora le cose sembrano
essersi sistemate per il meglio e Luca sembra finalmente aver preso un’importante
decisione…
Intanto ringrazio i miei
angeli:
Barby_19
Sono sollevata che tu non sia rimasta delusa dallo scorso capitolo… in
fondo l’avevo buttata giù pesante… ma ora credo tu abbia capito perché… Questo
capitolo cosa te ne pare? Lunghetto, eh? Ma spero che x te sia valsa la pena leggerlo…
Un bacio…
Tinta87 ^^ felice di non averti delusa!! Ormai so di
essere molto… ehm… contata se ogni volta intuite sempre tutto!! Vbb… almeno
riesco sempre a sviarvi…Ora le cose sembrano essersi sistemate no?? Manca
giusto un ultimo tassello! Ti ringrazio x i tuoi immancabili complimenti… -^^-
e spero che questo capitolo ti sia piaciuto! Aspetterò con pazienza e voglia di
leggere i tuoi futuri aggiornamenti, cara! Un bacio…
Dani85 Oops…
è vero… sono stata un po’ cattivella a buttarla giù così pesante con Anna, ma
in fondo tutte quelle ansie hanno un perché!! E poi dovevo pur sviare in
qualche modo tutti i lettori che avevano capito da subito che l’ispettrice era
incinta, no?? Mi sto accorgendo che mi riesce particolarmente bene… Ora penso
che tu abbia capito perché Anna sia così giù anche se adesso sembra andare
tutto per il meglio… Che te n’è parso di quelli che tu hai chiamato “prossimi
sviluppi” per quanto riguarda Mauro?? Spero che in generale il capitolo sia
stato di tuo gradimento! Eh, eh.. Davide… è Davide… poi vedrai nell’epilogo che…
No! Devo stare zitta!!! Per una eventuale nuova FF su Distretto… non so: con
questa ho dato sfogo a tutta la mia fantasia, ma mai dire mai!! Alla prossima,
un bacio…
Lyrapotter Non preoccuparti x le mancate recensioni… Mi
fa sempre piacere leggerle, ma ovviamente non sei tenuta recensire sempre!!
Davide ha avuto un gran cuore: Luca gli ricordava troppo suo figlio e poi lui
stesso era stanco di tutti quei crimini… Anche tu, come tutti, avevi capito che
Anna era semplicemente incinta… (uff… come sono scontata!); spero che ora ti
sia chiaro il motivo di tutta quell’ansia! Allora… diciamo che dei tuoi ordini
per questo capitolo sono riuscita a rispettare quasi tutto: ho evitato la
strage alla DIA solo perché sarebbe stato troppo complicato fare uscire il X
pulito da quella situazione… ma per il resto ci siamo no?? Felice?? Alla
prossima, un bacione…
Uchiha_chan Spero
che ora ti siano chiari i motivi che hanno indotto Anna a stare tanto male…
Confido che anche stavolta l’attesa sia stata ripaga, perché in caso contrario
sono sicura che farei bene a guardarmi le spalle, giusto? Le tue parole sul mio
stile mi fanno arrossire, cara: mi sopravvaluti, non sono tanto brava… Cosa ti
è parso di questo lungo (forse fin troppo) capitolo? Un bacione…
Luna95
Hihihi… mi sembra di capire che tu sia molto felice del fatto che Anna
sia incinta! Cosa te ne pare di questo capitolo? Spero che tu riesca a capire
tutti i passaggi perché stavolta sono andata a finire anche nelle scorse serie…
in ogni caso ponimi tutte le domande che vuoi, cara!! Un bacione…
Buffy86 Sono contenta che i miei aggiornamenti ti
facciano fare i salti di gioia!! -^^- davvero lusingata!! X Mauro hai avuto
ragione a credere che non fosse finita qui la storia… come infatti… che te n’è
parso di questo capitolo?? Ora sembra essersi tutto chiarito, no?? Sono una
grande?? Mah… non esagerare… sono solo una che ha deciso di rompere le scatole
con un’insignificante ff… nulla più! Un bacione…
Metaipod Grazie per la tua recensione e per aver messo
la storia tra le preferite!! -^^- Sono contenta che la storia ti intrighi molto…
che te ne pare di questo enorme capitolo?? Un bacione…
Allora… prima di
concludere volevo solo dire che questo capitolo è dedicato a tutti coloro che hanno seguito la storia commentando e
dandomi la spinta ad andare avanti. Stavolta per scriverlo ho dovuto fare
una veloce revisione del passato di Distretto ed è stata una cosa meravigliosa
che non sarebbe accaduta se non fosse stato per voi… dunque GRAZIE!!
Mi sa che sono proprio
costretta a dirvi che il prossimo capitolo sarà L’EPILOGO!! Su, su placate i
vostri
salti di gioia e le vostre
grida di felicità!! Lo scriverò con gioia, ma anche tristezza… e…
Vbb… non mi sembra il caso
di parlarne ora… Insomma ci sarà tempo per farlo la prossima volta!! Un grazie
anche a tutti i silenziosi lettori…. Al prossimo capitolo!!! Un bacione enorme…
La vostra Alchimista
<3<3