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Autore: Alchimista    15/03/2010    6 recensioni
Un nuovo anno si apre di fronte agli uomini del X Tuscolano e con esso nuove avventure che metteranno alla prova la loro bravura. Tra sparatorie, sopralluoghi ed amori ecco la mia prima ff... ed un'ombra oscura si avvicina... un'ombra che viene dal passato.
Genere: Romantico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima che leggiate questo (spero atteso) capitolo voglio dire un paio di cose…

Inizio con lo scusarmi per l’ennesimo ritardo… stavolta abissale… con cui posto… anche se ormai ci siete abituati, suppongo!

Inoltre volevo scusarmi con tutti i lettori, ma ho dovuto apportare una piccola modifica alla storia di Mauro durante i tre anni di lavoro alla DIA. Inizialmente avevo detto che Mauro era rimasto in coma per diversi mesi, ma ora, come leggerete, Mauro racconta di essersi svegliato subito, perché la ferita non era grave come sembrava all’inizio… Ho dovuto cambiare questo particolare per motivi narrativi che coinvolgono sia questo, sia il prossimo capitolo.

Infine voglio spiegare la contorta struttura di questo capitolo. Ogni pezzo è formato da un primo frammento scritto in corsivo che tratta un flash-back e che si collega al secondo frammento che tratta invece del nostro presente così come lo avete lasciato lo scorso capitolo; inoltre mentre i flash-back non seguono un ordine cronologico, i pezzi del presente vanno in ordine come sempre. Le righe scritte in corsivo nei flash-back riportano integralmente alcune battute di episodi del telefilm.

Detto ciò, vi lascio augurandovi buona lettura!

 

 

 

CAPITOLO 13°_ MISSING MOMENT

 

Pioggia. Monotona, lenta e triste pioggia: uno strano acquazzone bel mezzo dell’estate…

Non piangere pensa Anna rivolta al cielo Non puoi stare peggio di me… Perciò sta zitto!

Quindici giorni, sono passate solo due settimane da quell’ultimo bacio eppure si sente male come se l’avesse perso per sempre, come se non l’avrebbe mai più rivisto…

Ed ora il coraggio scivola, senza fermarsi, sulla sua pelle e lei non ha la forza di tenerlo stretto a se… perché la verità è che non vuole scoprire quello che già sa, non vuole avere la conferma di ciò che la mente ha già freddamente stabilito, ma il cuore non vuole, non può accettare…

Impossibile, deve essere impossibile continua a ripetersi la ragazza, ma ogni volta che le labbra pronunciano la frase, questa inesorabilmente perde forza.

Ora le braccia fanno con forza pressione sul lavandino del bagno, il volto ancora bagnato di gocce d’acqua  e pallido forse più per paura che per un reale malessere.

Si volta e i suoi occhi marroni puntano quella scatoletta di carta: dopo aver fatto il test, non ha avuto il coraggio di guardarlo e l’ha chiuso lì. Ma ora non riesce a non pensarci e l’ansia la soffoca…

Un bambino. Di nuovo un bambino si affaccia sulla sua vita. Che fare? Come reagire?

Respira riacquistando leggermente la calma.

Non serve a nulla fasciarsi la testa prima di essersela rotta si dice mossa da un istantaneo coraggio, come quello che ti invade quando stai per tuffarti nella gelida acqua estiva.

Prende la scatoletta e la apre di scatto: in ognuna delle due finestrelle della stecca compare una linea blu verticale. Significa una sola cosa: è incinta. Di nuovo.

Scivola contro il muro tenendo stretto in mano il test e lasciando che la testa si poggi senza forze sulle braccia: all’improvviso si sente così stanca, gli occhi si sono fatti pesanti ed una strana sonnolenza travolge la sua mente e le sue membra. Anna si lascia avvolgere da quel lieve e finanche piacevole torpore: ora non ha alcuna voglia di pensare… cerca solo di avere un po’ di pace…

 

Il rumore della porta che si chiudeva risuonò nella casa con un inquietante eco. Anna sospirò ed ebbe quasi l’impressione di sentire che quel suono si espandesse rapido per il corridoio. Poggiò il giubbotto sul gancio dell’attaccapanni e si diresse in cucina: un lieve strato di polvere ingrigiva i mobili: da quando aveva scoperto di essere incinta aveva cominciato a soffrire di insonnia e quella casa vuota non l’aiutava affatto; per questo aveva chiesto ad Elena se poteva trasferirsi a casa sua nella quale aveva comunque già dormito qualche volta nelle due settimane precedenti, quando la paura di perdere Luca era stata così forte da travolgerla senza possibilità di salvezza. L’ispettrice era stata felice di accoglierla perché, nonostante ora avesse Alessandro nella sua vita, quella casa le sembrava sempre troppo vuota.

Si diresse in soggiorno e si sedette sul divano; l’espressone prima di grande gioia, poi di puro sbalordimento che aveva assunto Luca, era ancora davanti ai suoi occhi, come legata ad essi con fili d’acciaio indistruttibili. Perché forse se Luca avesse mostrato qualche incertezza, qualche dubbio o semplice paura per quella notizia insieme alla gioia, per lei sarebbe stato più semplice parlare, confidargli le sue paure, i suoi dubbi, quelle parole del medico che Elena aveva giudicato di poco conto, ma che avevano fatto nascere in lei altri dubbi ed avevano rafforzato i primi.

Il lieve tocco di una mano sulla spalla la fece sobbalzare: si voltò e dietro di lei scorse il viso sorridente di Elena.

Com’è entrata? si chiese; poi ricordò che era stata proprio lei a darle le sue chiavi – tenendo per se quelle di Luca – così da poter entrare per qualsiasi emergenza.

L’ispettrice si sedette accanto alla collega intuendo dal suo sguardo che aveva dovuto parlare con Luca.

«Che ti ha detto?» chiese.

«Era felicissimo, mai più di così…»

«Lo dici come se fosse qualcosa di male» constatò Elena.

Anna sentì le lacrime pungerle gli occhi: faceva male, più di quando era sola.

«Forse se fosse stato più sorpreso, se avesse mostrato solo un po’ più di paura anziché solo felicità sarebbe stato meglio… Mi sento così sbagliata, Elena… Sono la sola ad avere paura, la sola che sa di non poter resistere se dovessi di nuovo…»

«Non lo perderai! Non stavolta!» la interruppe Elena con forza.

«E chi te lo dice? Anche il medico dice che c’è la possibilità che lo perda di nuovo… è già successo una volta…» urlò quella.

«Ed è per questo che stai facendo molti controlli… e mi sembra che vada tutto bene, no?» provò ad incoraggiarla Elena «Piuttosto: Luca che ne pensa?»

Anna la guardò come folgorata da quella ovvia domanda.

«Lui… lui… io… io non…» balbettò, poi le lacrime furono più forti delle parole e la ragazza scoppiò in un pianto quasi liberatorio.

Elena la tirò con dolcezza a se facendole poggiare la testa sul suo petto e accarezzandole amorevolmente i capelli.

«Non gliel’hai detto, vero?»

«Oh, Ele… avresti dovuto vederlo! Non ho avuto il coraggio di distruggere la sua felicità!» sussurrò quella tra le lacrime ed Elena sorrise.

«Prima o poi dovrai farlo, lo sai…»

Anna annui stringendo di più la collega.

«Non ora… non ce la faccio… ho solo bisogno di un po’ di calma… di pace…»

 

 

Il corridoio dell’ospedale sarebbe vuoto se non fosse per gli uomini dei X Tuscolano che lo hanno improvvisamente invaso. Vittoria si è sentita male ed è stata portata subito in ospedale.

Ora, chi in un modo, chi in un altro, tutti pregano che la situazione si risolva nel migliore dei modi.

Luca e Raffaele escono dalla sala con aria preoccupata: sono entrati per chiedere notizie della loro amica che i medici stanno ancora visitando ed ora tutti li accerchiano per sapere le condizioni di Vittoria.

«Sembra che si tratti di una brutta infezione…» spiega Raffaele con aria sconsolata.

«I medici dicono che potrebbe perdere la bambina…» conferma Luca scuotendo la testa e osservando la preoccupazione dei suoi colleghi. L’immagine del sorriso di Vittoria quando aveva detto loro di essere incinta si fa strada con prepotenza tra tutti i pensieri e gli toglie il fiato.

Andrà tutto bene si dice deve essere così non riesce ad immaginare cosa accadrebbe se succedesse il peggio.

Mentre tutti cercano di farsi coraggio a vicenda e qualcuno prova a congetturare ipotesi sul come sia potuta accadere una cosa simile, Luca, scusandosi con gli altri, prende Anna in disparte folgorato per ennesima volta da quello sguardo marrone fisso nel vuoto e finanche sconvolto che aveva avuto per tutta la mattinata.

«Anna? Si può sapere che c’hai? Sei strana… E poi c’è Raffaele che mi sta a fa ‘na testa così…»

Lei non lo guarda, i suoi occhi sono fissi davanti a se, come ipnotizzati da qualcosa che solo lei vede.

«Allora?» insiste Luca, che comincia a dubitare che la collega abbia sentito le sue parole.

Ad un tratto però, Anna si volta verso di lui, i suoi occhi puntati in quelli verdi dell’amico al quale si mozza improvvisamente il fiato in gola: c’è un intero mondo in quello sguardo e lui non sa descrivere l’emozione che lo travolge.

«Sono incinta, Luca!» sussurra lei con un sforzo immane.

«Incita?» ripete Luca sbalordito: non se lo sarebbe mai aspettato.

«Di quel figlio di puttana di Giorgio» continua lei animata da una strana forza, da un rabbia… come se potesse finalmente sfogarsi e fosse anche felice di aver finalmente confessato quel segreto che le sembrava quasi un peso sullo stomaco.

Luca è senza parole, e, in fondo, cosa avrebbero potuto fare quei suoni in una simile situazione? La strige a se e lei gli accarezza la schiena confortata da quel calore.

Si siedono. Anna sembra quasi rannicchiata in se stessa coma a volersi proteggere dal dolore; Luca le si avvicina.

«Ohi, qualsiasi cosa ti tu decida si fare, qualsiasi, io ci sarò! Hai capito?» le dice, ma Anna ha già capito quelle parole quando gliele ha dette con il suo abbraccio ed il suo sguardo verde.

«Grazie…» sussurra mentre lui le accarezza con delicatezza la guancia sorridendo…

 

Ormai non c’è più nessuno nella sua stanza, eppure Luca è ancora in piedi, accanto al suo letto impalato, bloccato dalle parole di Anna. Era incinta. Incinta. Di nuovo… ma stavolta il padre… era lui! Faticava a respirare e non riusciva a dimenticare, né capire il volto sconvolto, spaventato dell’ispettrice.

Perché era tanto sconvolta? si chiese ora è tutto finito… siamo di nuovo insieme, abbiamo arrestato tutti i membri l’Organizzazione; possiamo affrontare la situazione insieme… dovrebbe essere tutto a posto… a meno che…

Il pensiero che ci fosse qualcosa che non andava, che Anna avesse avuto qualche problema di cui non gli aveva parlato lo fece raggelare ed improvvisamente lo prese un violento capogiro che in pochi istanti lo fece crollare a terra privo di coscienza.

«Ha parso molto sangue e la ferita è profonda… non deve assolutamente prendere sottogamba la situazione o potrebbe aggravarsi!»

«Me ne rendo conto… ma Luca è così: non riesce a stare fermo…»

«Se vuole una completa guarigione dovrà rimanere in quel letto almeno per quindici giorni!»

Luca riconobbe solo una delle due voci che discutevano poco lontano dal suo letto: Alessandro stava parlando con un uomo che dal tono esperto e leggermente seccato doveva essere un medico. Ancora con gli occhi chiusi sentì dei passi allontanarsi ed altri avvicinarsi al suo letto e sedersi sul bordo di questo. Li aprì lentamente, infastidito dalla luce ed incontrò lo sguardo azzurro dell’ispettore Berti.

«Ma che diavolo ti passa per la testa?» gli chiede questo ancora scosso.

«Cos’è successo?» chiese il commissario confuso.

«Sei riuscito a far riaprire la ferita! Ti hanno trovato privo di sensi, accasciato al suolo in una pozza di sangue… Hanno temuto il peggio…»

Il tono di voce di Alessandro era spaventato; Luca comprese che stavolta aveva davvero rischiato molto. Poi, in un attimo, fu come folgorato da una successione di immagini: lui che blocca Anna, che le chiede cosa c’è che non va, lei che lo guarda sconvolta, poi sussurra che è incinta, il suo sorriso spezzato dalle parole di lei che mostrano una profonda angoscia e che gli dicono che non è un bella notizia; la sua fuga e le mille domande che lo invadono, poi un giramento di testa ed il buio.

«Anna!» grida, prendendo il polso di Alessandro con forza; una fitta al fianco lo fa sussultare e tremare.

«Sta calmo… Anna non sa nulla: ho chiesto ai medici di essere il primo ad essere avvisato dei tuoi eventuali peggioramenti, così da non spaventare nessuno e gestire la cosa…»

Luca scosse la testa guadagnandosi un’occhiata incuriosita da parte dell’ispettore.

«Dov’è Anna?» chiese.

«A casa vostra… Elena mi ha detto che la raggiungeva lì… non aveva una bella cera quand’è uscita…»

«Io devo parlarle!»

«È successo qualcosa? Avete… avete per caso litigato?» chiese Alessandro con non poco imbarazzo: di solito lui non faceva mai domande del genere, non si occupava degli affari altrui, ma era da settimane che Anna si comportava in modo strano e lui era seriamente preoccupato.

«Non ha detto nulla ha nessuno...» disse il commissario e più che una domande, era un affermazione.

«Di che parli?»

«Mi ha detto di essere incinta»

Alessandro sgranò gli occhi: ora comprendeva in pieno tutti gli sbalzi d’umore, le paura, il volto pallido e gli occhi lucidi… ed era anche sicuro che Elena fosse al corrente di tutto.

«Il fatto è che non mi è sembrata affatto felice… l’ho vista spaventata, c’era dolore nei suoi occhi» continuò Luca con maggiore preoccupazione.

«Un bambino non è una cosa da poco, è normale che sia spaventata» convenne Alessandro per rassicurarlo.

«Questo è vero, ma… lei era solo spaventata, solo triste… non ho visto gioia nei suoi occhi, neanche quel minimo dovuto… Sono preoccupato: sento che c’è qualcosa che non so…»

«Vuoi che la chiami? O magari chiamo Ele che è con lei?»

«No…» disse Luca scuotendo la testa «Non verrebbe; sono io che devo andare da lei, a sua insaputa… e forse riuscirò a farmi dire cosa c’è che non va…»

«Non puoi muoverti da qui, Luca! I dottori hanno detto che devi restare a letto almeno due settimane!»

«Non resisto qui due settimane Ale! Impazzirò prima! Ti prego… dammi una mano…»

Berti lo guardò titubante: Luca non si rendeva conto che stava giocando col fuoco… ma i suoi occhi dicevano che aveva disperatamente bisogno d’aiuto.

«D’accordo..» cedette alla fine con un mezzo sorriso «Controllo se c’è qualcuno fuori e poi usciamo» e pregò di non aver assecondato un suicidio…

 

 

La pioggia è forte, il cielo è grigio e si sentono in lontananza i tuoni rombare: uno scenario fantastico! Mauro e Roberto sono in macchina diretti verso il teatro Greco, dove il loro collega Ingargiola sta per fare il suo debutto sulla scena.

I tergicristalli che vanno su e giù impazziti sembrano quasi ipnotizzare Belli che guarda fisso davanti a se senza realmente osservare l’umido paesaggio. La sua mente vaga: da una settimana non sente Germana, non risponde alle sue chiamate, non si fa trovare né a casa né al distretto… e questo fa male, più male di quanto credesse all’inizio. Le parole del signor Mori, però, continuano a rimbombargli nella testa, fredde, serie e tanto tremende quanto vere: perché Mauro sa che l’uomo ha ragione, che Germana merita molto di più di ciò che lui, un misero poliziotto, può offrirgli ed è per questo che si è imposto di lasciarla, di interrompere qualsiasi contatto con lei, perché superi questa storiella e trovi qualcuno adatto a lei.

Non ci sarà mai nessuno più adatto di me! grida il suo cuore che non si è ancora arreso a quella decisione, ma l’ispettore scuote la testa per farlo tacere.

«Ohi, che c’è?» gli chiede Roberto incuriosito da quel gesto.

«Nulla» risponde quello evasivo «Quand’è che arriviamo?»

«Il tempo di parcheggiare, il teatro è lì… ma con ‘sta pioggia non si vede nulla e ci bagneremo tutti!» conclude mentre compie l’ultima manovra e spegne la macchina.

I due ispettori scendono dalla vettura e come previsto prima di giungere al coperto dell’ingresso del teatro si bagnano tutti.

«Prima bagnata, prima fortunata, eh?» commenta Mauro ironico.

«No, quella è la sposa» lo corregge ancora più ironico Roberto, cercando di togliere le goccioline d’acqua ancora non assorbite dal tessuto della giacca.

Voltandosi, però, i due scorgono una figura sotto la pioggia senza alcun ombrello; Germana, con le braccia intorno al corpo per il freddo, li fissa mentre le gocce di pioggia le sfiorano il pallido viso, reso ancora più chiaro dal freddo. In un attimo tutto l’entusiasmo di quelle banali battute sfuma dal volto di Mauro.

«Va bene io… io vado; ti aspetto dentro» dice Roberto impacciato e sparisce all’asciutto della sala.

Mauro guarda Germana con una strana intensità e quasi rabbia: ha provato ad evitarla in tutti i modi, a farle capire che non devono più vedersi, eppure eccola di nuovo lì, davanti a lui con quella serietà e cocciutaggine che da sempre l’avevano contraddistinta. Le si avvicina, senza dissimulare in alcun modo la rabbia.

«Che stai a fa qua?» le chiede brusco.

«Perché non rispondi al telefono? Perché non mi richiami?» gli chiede lei di rimando, con la stessa rabbia, che nasce dal dolore.

«Ci siamo detti tutto, no?» continua lui e spera in cuor suo di concludere lì quella conversazione, perché non sa per quanto ancora potrà reggere.

«No!» risponde Germana quasi sulle parole di Mauro alzando la voce.

Non si erano detti nulla, non si erano affatto parlato: lui era sparito così, all’improvviso, senza dire nulla e lei era stata male per giorni, senza capire, prima di trovare la forza di reagire e prendere l’iniziativa.

«Io devo andare, Germana…» dice lui con decisione, mostrando nella voce ciò che in cuore non ha e ripetendo a se stesso che quella è semplicemente una fuga.

«Aspetta!» lo prega la giornalista «Ti devo parlare…» e prendendogli il braccio gli si para davanti mentre la pioggia continua a bagnarli entrambi «Senti, io lo so cosa ti ha detto esattamente mio padre: che ho mandato all’aria un sacco di storie, che non sono affidabile… e tu ci credi?»

Mauro la guarda con un moto di sorpresa: cosa stava dicendo?

«Non è questo il punto» le dice, senza però approfondire la questione: vorrebbe solo scappare.

«Lui non doveva dirti niente» continua lei imperterrita «E se ti avesse detto la verità?» ora pare anche sfidarlo «Va bene: è così, sono così, anzi sono stata così…»

«Lo vedi?» dice allora Mauro animato dalla speranza che forse, con la scusante di quelle parole, sarebbe potuto uscire da quella situazione che si era fatta insostenibile.

«La verità ora è che ti amo!» pronuncia allora lei con forza, come se si stesse giocando la sua ultima carta «perché è quello che sento adesso! E guarda che non lo so se lo sentirò domani, o fra un mese…» conclude ormai stanca.

Lui la guarda, sa di non poter far nulla, di non poter controbattere perché gli manca la forza.

«Devo entrare» pronuncia semplicemente lasciandosi scivolare oltre il corpo bagnato di Germana e credendo che fosse finalmente tutto finito.

«Mi vuoi sposare?!» grida allora la giornalista, con un ultimo impeto di forza.

Le parole le sono uscite con liberazione: è stato l’istinto, l’amore, la paura di perderlo per sempre senza poter fare nulla a farla parlare, non ci ha riflettuto… eppure non vuole tornare indietro, non vuole rimangiarsi quelle parole perché sono la verità… pura, semplice verità e prega Dio che Mauro l’abbia sentita.

Lui si blocca: le sue parole l’hanno spiazzato.

Fa sul serio si dice non sta scherzando… mi ama, tanto quanto io amo lei…

E poi… non servono più parole. Tutto il fiume di discorsi fatto a se stesso, tutte le proposte di lasciarla per sempre, per il suo bene, crollano inesorabilmente: perché a volere la loro fine non solo loro, è la ragione, la razionalità… nulla che ora possa sfiorarli.

Si volta mentre lei abbassa il capo credendo di essere stata sconfitta, la guarda per qualche istante, il tempo per capire davvero quanto sia bella e quanto l’ami, poi si avvicina e semplicemente la bacia, rispondendo a quella domanda nel migliore dei modi.

Mentre la pioggia ancora scende i due si stingono, forse ancora scossi dal timore di potersi perdere e continuano a baciarsi, sicuri che non si sarebbero mai più separati…

 

Pioveva. Un’estate come quella come quella non l’aveva mai vista: pioggia e sole si susseguivano senza alcuno schema, ma con uno scambio di presenza molto frequente.

Si muoveva sulla sedia accanto alla finestra, incapace di stare fermo. Era la stessa stanza che aveva occupato prima della missione, la stessa in cui era cominciato tutto e per quanto continuasse a ripetersi che non era cambiato nulla da allora, sapeva benissimo che stava semplicemente mentendo a se stesso. Era come passata una vita dal giorno in cui uno degli uomini della DIA gli aveva portato le informazioni sull’Organizzazione degli uomini in nero e sulla sua prossima missione ed ora sentiva il suo passato più vicino che mai: Mauro Belli, dentro quell’uomo senza identità, si dibatteva, urlando per poter essere finalmente libero.

Ma ci poteva essere una libertà? Era ancora in tempo per reagire?

C’è sempre tempo per reagire… si disse Alzati, maledizione! Va via! Ora puoi farlo: ormai non sei più così invisibile… dopotutto lui già sa…

A quel appello disperato che lo aveva fatto quasi alzare, però, si sovrappose la paura che lo travolse: cosa avrebbe detto a Germana? Perché non c’era dubbio che, se fosse uscito allo scoperto, la prima persona dalla quale sarebbe andato, sarebbe stata lei…

Come le avrebbe spiegato che tutto il dolore che aveva provato per quei tre anni, tutta la sua sofferenza e le difficoltà affrontate non erano servite a nulla? Che erano state inutili, senza senso perché lui non se n’era mai andato…?

«Codardo, semplicemente un codardo!» si urlò contro alzandosi e sbattendo lontano la sedia di legno che andò in frantumi come un bicchiere di cristallo. Si prese la testa fra le mani: si sentiva scoppiare, impazzire: non riusciva a trovare una soluzione e si sentiva soffocare.

Poi ad un tratto, senza più razionalità, aprì violentemente la porta e scese in strada, sotto la pioggia e cominciò a correre, mentre la testa si ripeteva di non pensare, ma solo di guardare avanti a se e non fermarsi. 

Il rumore delle dita che battevano sui tasti le era ormai così abituale che non ci faceva più caso. Scriveva, quella mattina, senza realmente pensare a quello che stava facendo, presa – come ormai le accadeva sempre più spesso – da mille pensieri.

Tre anni, erano passati ormai tre anni e per quanto ormai si fosse data pace e fosse andata avanti, non poteva certo dimenticare, non voleva dimenticare: Mauro era ancora dentro di lei e ci sarebbe rimasto per sempre; avrebbe avuto un posto riservato, speciale nel suo cuore che mai nessuno avrebbe potuto rubargli, anche se fosse entrato nella sua vita un altro ipotetico uomo. Per ora, però, gli unici uomini che le erano accanto erano Ettore – suo figlio – e Tiberio – suo genero – che le era rimasto accanto per tutto questo tempo aiutandola ad andare avanti. Molto probabilmente ce l’avevano fatta proprio per questo: grazie ad un reciproco aiuto.

Sospirò accorgendosi che aveva scritto tutt’altra cosa seguendo il flusso dei suoi pensieri. Cancellò il pezzo e si riconcentrò sull’articolo: aveva ripreso a lavorare nella sede del giornale pochi mesi dopo la chiusura del caso riguardante il marito; era tornata nella vecchia casa di Mauro – che aveva scoperto esserle mancata tantissimo – e alle sue vecchie abitudini. 

Sbadigliò, dopo aver scritto poche righe: aveva sonno – quella notte l’aveva passata in bianco per chissà quale motivo – e quella mattina non era per nulla concentrata sull’articolo che le era stato sottoposto; decise di prendersi una pausa e salvato il file, uscì in strada e si diresse verso il bar più vicino per prendersi una bella tazza di caffè e cercare di svegliare quella giornata nebbiosa.

Il sole bianco di quel mattino le dava lievemente fastidio agli occhi: da pochi minuti aveva smesso di piovere ed ora i raggi del sole si riflettevano sull’asfalto provocando uno stano gioco di luci ed ombre. Germana camminava distratta per la strada e si accorse di aver superato il bar che cercava solo dopo aver svoltato l’angolo.

Ne troverò un altro  si disse senza alcun problema: aveva voglia di passeggiare.

Camminando, però, una strana inquietudine cominciò a farsi strada nel suo cuore: aveva l’impressione di essere seguita e un’ansia, che non provava dai giorni in cui aveva intervistato Liverani ed era quasi morta per questo, le alterò il respiro. Svoltando di nuovo un angolo, a grandi passi, scorse chiaramente un ombra che la seguiva e allora si bloccò attendendo una sua reazione e poi si voltò per vedere chi fosse il suo inseguitore. Nessuno, non c’era alcun uomo dietro di lei.

Fantastico! pensò ci manca solo che comincio a suggestionarmi!

Guardandosi intorno, però, si era resa conto di essere poco distante dal cimitero della città. In un attimo provò il forte istinto di andare sulla tomba del marito: non lo programmava mai, ma quando si trovava nei dintorni del cimitero non importava cosa stesse facendo, lasciava perdere tutto e correva da lui.

Ad Ettore non aveva precisamente detto che suo padre non c’era più: il piccolo sapeva che era lontano e che per ora non sarebbe potuto tornare; aveva fatto, però, in modo che lo amasse comunque e che ne conservasse il ricordo dolcemente.

Le sue sottili dita sfiorano le lettere nere incise sul marmo bianco della tomba. Un brivido – ormai abituale – le attraversò la schiena mentre un altro, l’ennesimo ricordo riaffiorava nella sua mente, segno dimenticato ma non cancellato di quella vita che con fatica era riuscita a buttarsi alle spalle e non senza rimpianti: aveva dovuto essere forte per Ettore, eppure quante volte aveva desiderato distruggere ogni cosa, dare sfogo a tutto il suo dolore, a tutta la sua rabbia in modo tanto inutile quanto appagante. Forse dopo si sarebbe sentita meglio o, forse, non sarebbe semplicemente cambiato nulla, ma almeno  avrebbe potuto dire di aver fatto qualcosa, una qualsiasi cosa.

Poggiò una rosa bianca, presa da una bancarella all’entrata, sul freddo marmo.

«È sempre stato il mio fiore preferito…» disse una voce proveniente dalla sinistra della giornalista «da quando ti ho conosciuta, poi, l’ho sempre paragonata a te…»

Germana si voltò, nonostante avesse perfettamente riconosciuto quella voce e non fu sorpresa di vedere poco distante da se la figura del marito. Sorrise triste: molto spesso, in quei tre anni, le era capitato  di vederlo e alcune volte avevano anche parlato.

Mauro le si avvicinò piano; la vide sorridere e in un attimo si sentì mancare il fiato: come aveva fatto ad andare avanti per questi tre anni senza vederla? Lui che si era sentito morire durante la settimana che lei  non gli era stata accanto, quando era stata in coma…

Allora però stava morendo si disse ragionando con quel poco di razionalità che ancora aveva, eppure in quel momento gli parve di provare tutto ciò che non lo aveva travolto in quegli anni. Si bloccò quando fu a pochi passi da lei che intanto aveva rivolto di nuovo lo sguardo verso la tomba.

«Germana…» sussurrò senza essere capace di dire altro mentre le lacrime gli bagnavano il volto e le sue dita sfioravano la spalla della giornalista.

Lei lo guardò con un moto di sorpresa: quel flebile contatto le era sembrato così reale da farla sussultare.

«Mauro…» rispose ancora un po’ sorpresa, scorgendo le lacrime dell’uomo.

Ad un tratto un folle pensiero le attraversò la testa provocandole un capogiro: le atre volte che lo aveva visto era stato solo per alcuni istanti, il tempo per qualche parola… ora, invece, era lì di fronte a lei, l’aveva sfiorata e quel contatto le era parso tanto vero… così come la lacrime che gli bagnavano il viso. Indietreggiò di pochi passi quasi d’istinto tenendo sempre lo sguardo fisso sull’uomo.

«Sono qui…» disse lui sorridendo tra le lacrime «…non temere»

Allora Germana comprese che non si sbagliava, che quel pensiero era tanto folle quanto vero ed ebbe paura. Fece ancora qualche passo indietro: non sapeva come reagire, tutto le pareva così surreale, assurdo, non aveva parole, non riusciva a capacitarsi che potesse essere vero.

«Aspetta Germana… io posso spiegarti ogni cosa…»

«Impossibile» sussurrò lei «Tu sei morto… Roberto… mi aveva detto che tu… che tu eri… Abbiamo fatto un funerale, c’è una tomba qui col tuo nome…» articolò in modo confuso rivolgendo poi lo sguardo alla lapide come per trovare conferma delle sue parole e non credere a quella voce che le diceva che era impazzita.

«Neanche Roberto sa nulla, nessuno sa nulla… E per quanto riguarda il funerale, lo avete fatto ad una bara vuota. Non ci sono io lì dentro…» e diede anche lui uno sguardo alla lapide leggendo il suo nome. Fu strano, da brivido: quello era un privilegio che non era mai stato concesso a nessuno o, almeno, a pochissimi… Gli ricordava lo scenario di un vecchio romanzo anche se, a differenza del protagonista, lui non aveva mai voluto fingere di essere morto ed ora stava cercando di rimettere le cose a posto. Germana lo guardava ancora allibita, senza comprendere in pieno quelle parole assurde. Mauro era realmente lì, accanto a lei e le aveva appena detto di non essere mai morto?

Un senso di impotenza e di rabbia la invase: chi gli aveva dato il diritto di andar via a quel modo e di tornare poi quando più gli aggradava? Chi gli dava il diritto di giocare con la vita altrui come aveva fatto lui in questi anni? Crollò a terra, scossa da un violento fremito.

Mauro si spaventò e temendo che potesse svenire le corse incontro per sostenerla.

«Non ti avvicinare!» gli urlò la giornalista spiazzandolo.

«Germana…  cosa…?» tentò quello facendo qualche altro passo avanti.

«Ti ho detto di non avvicinarti!» gli urlò di nuovo lei con voce minacciosa, alzando il volto rigato dalle lacrime come quello di Mauro «Chi ti dà il diritto di tornare qui dopo tre anni e dirmi che non sei morto? Che il mio dolore non ha avuto alcun senso? Io… io… Mi è servito tempo, molto, moltissimo tempo per accettare che te ne fossi andato per sempre; ci sono stati giorni in cui ho davvero creduto di non farcela, giorni in cui farla finita mi è sembrata una cosa tanto facile… Ed ora, ora che mi ero finalmente alzata, ora che avevo cominciato a guardare davvero avanti, arrivi qui e butti di nuovo tutto all’aria! Io… io ti odio! Tu… tu non puoi…»

«E pensi che sia stato io a volere tutto questo?» la interruppe lui alzando di molto la voce «Pensi che se avessi potuto decidere, non sarei rimasto con te, con mio padre ed Ettore? Pensi che me ne sia andato di mia volontà?! Germana, mi hanno portato via! Mentre dormivo, dopo l’intervento, mi hanno portato via e quando mi sono svegliato era già tutto successo! Mi hanno spiegato che da quel giorno Mauro Belli non sarebbe più esistito, che sarei stato un uomo senza nome e senza identità, alla mercé dello Stato e della giustizia. Quando mi sono svegliato dall’intervento era il giorno del mio funerale: l’unica cosa che mi hanno concesso è stata di vedere il suo svolgimento da lontano, anonimo, inesistente; ho visto le vostre lacrime, ho visto Roberto leggere la lettera che avevo scritto a nostro figlio Ettore, ho visto arrivare Giulia e stringerlo forte tra le lacrime, ho visto mio padre tremare ed il tuo pallore e mi sono sentito morire. Avrei voluto correre verso di voi, urlarvi di smetterla di piangere e soffrire perché io ero ancora vivo, ma non potevo… le lacrime hanno bagnato il mio volto, senza alcun senso e quando tutto è finito, quando ormai il cimitero era vuoto sono andato di fronte a questa tomba e mi sono detto che in ogni caso io ero morto quel giorno…»

Parlando l’uomo si era avvicinato alla donna, piegandosi sulle gambe a pochi centimetri da quel volto che avrebbe voluto stringere tra le sue mani e baciare.

«Quando ho potuto sono corso via da quella vita senza senso per giungere dov’eri e guardarti andare avanti, tra gli stenti e le difficoltà, tra le lacrime ed i sospiri; ma ho visto anche il tuo primo sorriso, il sole che provava a riaffacciarsi sulla tua vita, ti ho vista rialzarti, forte e guardare la vita con sfida, urlando al mondo che finalmente eri tornata. Germana, io voglio che tu sappia che non ti ho mai lasciato sola, che ovunque eri io ero dietro di te…» e le ultime parole furono straziate dal pianto che aveva travolto l’uomo.

Germana lo guardò, così fragile, così spaventato e comprese quanto anche lui avesse sofferto, forse anche più di lei, perché sapeva e non poteva dire nulla.

«In ogni caso» continuo lui «Non ho alcun diritto di sconvolgere ulteriormente la tua vita… e se vorrai io andrò via per sempre…» e detto questo si rialzò.

«Non muovere un passo!» gli urlò lei, alzandosi a sua volta «Mauro Belli! Tu vieni qui, di fronte a me, mi dici che non sei mai morto e pretendi che io ti lascia andare come se nulla fosse? Che, semplicemente, dimentichi questo incontro e torni a condurre la vita di pochi minuti fa?» disse con forza.

Poi si sporse verso di lui e finalmente lo strinse forte a se mentre il cuore batteva all’impazzata per quel contatto e la mente finalmente si arrendeva all’evidenza di quel presente: ora poteva dire con certezza che suo marito era lì con lei.

«Ti prego non andare…» sussurrò con voce rotta dal pianto.

Mauro sussultò e sbiancò a quel contatto che aveva sognato tante volte quanto la moglie. Poi con lentezza e acquistando anche lui consapevolezza di ciò che stava accadendo strinse le braccia intorno all’esile corpo della donna. Non seppero dire per quanto tempo rimasero così, forse fino a quando lei alzò il suo volto verso di lui e lo baciò, semplicemente un bacio nel quale c’erano mille parole o forse solo due: ti amo…

 

 

«Anna? Anna ti preparo la colazione, ti va?» urla Luca dalla cucina, sperando che la sua voce giunga fino alla camera della coinquilina che è ancora a letto.

Non riceve disposta e allora si dirige silenzioso nella sua camera facendo attenzione a non fare rumore mentre apre la porta; la guarda: è così bella quando dorme e quel gesto amorevole di tenere la mano sul ventre in cui c’è il suo bambino, la rende ancora più bella. Ormai è quasi il terzo mese di gravidanza e nonostante gli iniziali dubbi provocati dal fatto che il padre sia Giorgio, ora Anna ama quel bambino come nessun altro.

“Sono quasi geloso” aveva detto una volta Luca per scherzare. “Ma non dire stupidaggini!” aveva commentato lei poggiando la testa sulla spalla di lui “Ti voglio troppo bene… non lasciarmi” “Sai che non lo farò”.

«’Giorno…» biascicò Anna bloccando il flusso dei pensieri dell’allora ispettore.

«Come ti senti stamattina?» le chiese con un sorriso.

«Mmh… per ora bene, ma non credo che le nausee abbiano deciso di lasciarmi proprio oggi…»

«Preparo la colazione, ti va?»

«Ho una fame!» esclama lei e lui ride: quella è una frase che ha sentito fin troppo spesso in quei tre mesi e – tornando in cucina – pensa, continuando a ridere, a quante altre volte dovrà sentirla nei prossimi sei mesi. Fischietta mentre cuoce un uovo che – a dirla tutta – non ha proprio un bell’aspetto, ma è buono, o almeno così crede. Poggia il piatto su un piccolo vassoio di legno dove già c’è una bella tazza di latte e qualche fetta biscottata con burro e marmellata e facendo attenzione a non rovesciare tutto, si dirige con lentezza verso la camera di Anna.

A metà strada però un grido terribile lo blocca; Luca si fa scappare dalle mani il vassoio che si infrange sul pavimento con un gran fracasso e corre da Anna con il cuore in gola. Entrando gli si presenta davanti uno scenario raccapricciante: Anna nel letto con le mani sporche di sangue, il pantalone del suo pigiama anch’esso completamente vermiglio come le lenzuola; la giovane trema pallida e in lacrime e lo guarda in una muta richiesta d’aiuto. Luca non deve rifletterci più di due secondi: prende Anna fra le sue braccia e schizza nel corridoio stando attendo a non scivolare sulla colazione versata; prende le chiavi della macchina, esce e – scese le scale – la carica in macchina.

Il respiro di Anna è affannato e spezzato: sa che ciò che le sta accadendo non è normale per una donna incinta e in cuor suo teme il peggio; Luca, invece, non pensa, non ci riesce, solo preme quanto più possibile sull’acceleratore ed accende il lampeggiante per poter avere via libera.

Quando giungono in ospedale ormai Anna è in un lago di sangue, quasi priva di coscienza. Luca la prende di nuovo in braccio cercando di tenerla sveglia scuotendola lievemente e sussurrandole che sarebbe andato tutto bene… una frase a cui non crede neanche lui.

«Aiuto! Aiuto!» grida disperato, entrato in ospedale «Vi prego: sta male… è incinta…»

Un medico gli viene incontro con due infermieri che conducono una barella.

«La poggi qui» gli dice uno dei due.

«Che cos’è successo?» gli chiede il medico mentre la conducono di corsa.

«È incinta» ripete Luca, come se fosse l’unica cosa da dire «Stamattina stava bene, come al solito… ma ad un tratto ha dato un grido e quando sono arrivato in camera sua era tutta sporca di sangue…»

«Da quante settimane è incinta?»

«Dieci, dieci settimane…» dice lui quasi senza riflettere.

Il medico scambia con gli infermieri un’occhiata tanto eloquente quanto preoccupante che fa precipitare il cuore di Luca: era davvero successo? No… non poteva essere così… non poteva…

Ad un tratto uno degli infermieri lo ferma.

«Mi spiace, ma lei non può venire con noi… Attenda qui…»

«Ma cosa dovete farle? Come sta?»

«Bisogna operarla d’urgenza...» gli risponde evasivo l’infermiere; dopodiché sparisce dietro una porta a saloon lasciando Luca solo e con le mani sporche del sangue di Anna.

Luca ha sciacquato le mani, ma non è riuscito a lavare via il ricordo del sangue e ne sente ancora l’odore nonostante le sue mani profumino del sapone dell’ospedale. Continua a camminare avanti e indietro, senza trovare pace: sono quasi due ore che Anna è in sala operatoria e ogni minuto che passa aumenta la paura che possa accadere – o essere già accaduto – il peggio. Non vuole soffermarsi su quel pensiero: trema immaginando una vita senza la sua Anna.

Ad un tratto un medico gli si avvicina silenzioso e quasi lo fa sobbalzare.

«Dottore…» sussurra timoroso «Anna…?»

«Ora la ragazza non è in pericolo di vita: è stata fortunata» spiega l’uomo con mezzo sorriso.

Luca ha l’impressione di poter finalmente tornare a respirare, mentre sente dissolversi il macigno che ha sul petto.

«Ed il bambino?» chiede sorridendo ingenuamente.

Il medico si incupisce rapidamente e lo guarda negli occhi, forse alla ricerca delle parole più giuste da dire.

«Mi spiace» sussurra scegliendo il modo più facile e diretto «Lo aveva già perso quando è giunta qui: siamo stato fortunati a non perdere anche lei…»

Luca lo guarda come che fosse stato colpito da una violenta botta in testa: Anna ha perso il bambino… non c’è più… dopo tutto quello che ha dovuto affrontare, dopo i dubbi e le lacrime, quando infine aveva accettato di diventare mamma e si era finanche affezionata a quella tenera cosina che stava crescendo in lei… il destino gliel’aveva strappata. Era andata via così, senza preavviso, nello stesso modo in cui era venuta. Il ragazzo sentì un groppo formarsi all’altezza della gola e gli occhi pizzicargli.

«E… e… lei è sveglia? Sa già? Glielo avete detto?» chiede con voce incrinata.

«Sì, è sveglia… ma non occorre che sia io a dirglielo: lei sente ciò che è accaduto, nonostante non fosse ancora evidente lei già sa…»

«Posso vederla?» e stavolta il sussurro è tanto debole che lo stesso dottore a pochi centimetri da lui fa fatica ad ascoltarlo; annuisce e poi va via.

Luca si avvicina alla porta della stanza ancora stordito: non sa che fare, che dire, ma sa che non vuole lasciarla sola, non in un momento del genere.

Entrando si appoggia con la spalla contro il muro ed osserva la ragazza che, nel letto, ha gli occhi umidi chiusi e respira con lentezza mentre il vuoto del suo ventre, ancora coperto, ormai inutilmente da una mano, sembra quasi divorarla. 

 

Il respiro era lento, debole e in alcuni tratti affannato, come se non riuscisse a tenere il ritmo richiesto dal cervello. Luca si voltò a guardare il collega che pur dovendo tenere lo sguardo fisso davanti a se, con la coda dell’occhio non lo perdeva di vista neanche un istante.

Ad un tratto un violento giramento di testa lo costrinse a chiudere gli occhi; gli veniva da vomitare e sapeva benissimo di essere sul punto di perdere i sensi. Infatti pochi istanti dopo si accasciò in avanti poggiando la testa contro il cruscotto della macchina, privo di sensi.

«Luca?!» gridò Alessandro e accostando, lo sollevò facendogli poggiare di nuovo la schiena contro il seggiolino della vettura e dandogli lievi colpetti sul volto per farlo riprendere.

Il commissario rinvenì pochi istanti dopo e guardò confuso l’ispettore che tirò un sospiro di sollievo.

«Senti Luca… perché non lasci perdere per ora e ritorniamo in ospedale? Magari Elena riesce a convincere Anna a venire da te…» tentò lui, ma Luca scosse la testa.

«Non verrà, lo so…» disse con voce stanca «Se voglio risolvere ’sta situazione devo agire in prima persona… rimetti in moto!»

Alessandro fece come gli era stato detto e in una decina di minuti furono sotto casa di Luca. Scesero  e l’ispettore aiutò il commissario a salire le scale, ma solo quando furono di fronte alla porta, quest’ultimo si ricordò che le sue chiavi le aveva Anna.

«Bisogna bussare…» disse ed Alessandro premette sul campanello che risuonò nell’appartamento.

Pochi istanti dopo, la porta si aprì ed Elena sgranò gli occhi alla vista di Luca.

«Che… che ci fai qui?» gli chiese «Tu dovresti essere all’ospedale!»

«Questa l’ho già sentita… Anna è lì?» chiese sbrigativo e senza aspettare risposta superò l’ispettrice e si diresse in salone. Anna era lì, seduta sul divano, con lo sguardo perso nel vuoto proprio come allora, nei mesi di depressione dopo l’interruzione della gravidanza, quando molte volte l’aveva trovata per terra svenuta o semplicemente scivolata e si era preso cura di lei standole accanto senza dire una parola, ma aiutandola con la sua semplice presenza.

«Anna…» sussurrò e la ragazza tremò nel sentire quella voce, unica che non si aspettava in quel momento.

Si voltò verso di lui, con gli occhi pieni di lacrime.

«Luca… che… che… ci fai tu qui…? Dovresti essere…»

«In ospedale? No, il mio posto è questo e tu lo sai bene! Anna che succede?»

«Mi pare di avertelo detto, no?» fece lei un po’ stizzita perché sapeva di essere con le spalle al muro.

«No! Tu mi hai detto di essere incinta… ma che non era una bella notizia; non mi hai spiegato il motivo, ti sei limitata ad andar via e a lasciarmi lì, imbambolato. È arrivato il momento di parlare!»

L’ispettrice lo guardò: nonostante il volto pallido e il corpo – solo ora di faceva caso – molto dimagrito, il suo sguardo verde non aveva perso la sua forza e lei sapeva di non potergli resistere a lungo.

«Luca, ho paura!» disse.

«Lo so… ne ho anch’io… ma questo non deve scoraggiarti, Anna! Io so quanto sei forte e quanto hai lottato per essere felice…» ma mentre parla, l’ispettrice scuote la testa.

«Non è vero… io… io non sono così forte»

Luca si siede accanto a lei prendendole il viso umido fra le mani.

«Ho paura, ho paura di affezionarmi di nuovo a lui» continua Anna poggiandosi una mano sul ventre «E di perderlo. Se solo ci penso mi sento mancare: non ce la farei a superare di nuovo tutto… non ne sarei capace»

«Non lo perderai, Anna! Non accadrà di nuovo… credimi!»

«Ma il dottore ha detto…»

Si fermò: lo sguardo di Luca, non appena lei aveva pronunciato quella frase, si riempì di terrore; perché fino ad allora aveva dovuto tener testa alle semplici parole di una ragazza spaventata e spaesata, ma ora doveva confrontarsi con i fatti, con il responso di un medico qualificato.

«Il dottore» riprese Anna senza riuscire a staccare gli occhi da quelli verdi «ha detto che c’è il rischio che si ripeta. C’è una ferita interna, una ferita cicatrizzata che mette a rischio tutto…»

Luca la guardò imbambolato, quasi come se fosse da un’altra parte: aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa di più sotto quella reazione di paura di Anna, ma era stato più facile, meno preoccupante, credere che fosse solo paranoia, magari dettata da esperienze passate e nulla più. Ora si rendeva conto do quanto fosse stato sciocco.

«Beh… ma non è sicuro giusto?» sussurrò quasi senza forze «Insomma, il dottore ha detto solo che c’è la possibilità che riaccada, non che sia una certezza…»

«E se anche non accadesse» proseguì lei, in un certo qual modo felice di potersi finalmente sfogare «Chi ti assicura che andrà tutto per il meglio? Che sarò in grado di essere una buona madre? Di fare solo il meglio per lui?» chiese.

«Oh, Anna! Non essere sciocca! Già solo il fatto che tu ti stia facendo tutti questi problemi mi fa capire che sarà bravissima come madre!»

Anna scosse la testa: Luca la faceva fin troppo facile, era fin troppo sicuro che le cose sarebbero andate bene solo perché lo voleva. Per lei invece era diverso: lei sapeva cosa voleva dire non fare la scelta giusta, conosceva il dolore che ne poteva derivare, l’aveva provato sulla sua pelle e non aveva alcuna intenzione di fare del male a suo figlio come ne era stato fatto lei.

«E se andasse come con mia madre?» chiese.           

Luca la guardò e in un attimo capì quanto era stato cieco: era questo che le faceva male, allora! La paura di poter far soffrire suo figlio come era successo a lei…

Rabbrividì: Anna aveva scoperto di essere incinta mentre lui era in missione, con la costante possibilità di morire; inoltre il medico le aveva detto che c’era il rischio che perdesse il bambino e le paure del suo passato l’avevano attagliata dopo anni di apparente calma. Al solo pensiero di quel mix si sentì soffocare e gli si chiuse lo stomaco: quanto aveva sofferto? E quanta di quella sofferenza era causa sua? 

Ad un tratto la strinse a se, accarezzandole la testa con il mento ruvido.

«Perdonami…» sussurrò «Sono stato così cieco e non ho capito quanto stessi male… Io… io sono sicuro che andrà tutto bene proprio perché tu sai cosa vuol dire soffrire a causa di scelte sbagliate. Non farai gli stessi errori di tua madre: lui o lei crescerà con tutto l’amore che serve, con tutto quello che saremo in grado di dare…»

«E se invece, proprio perché quello di mia madre è l’unico esempio che conosco, non saprò fare diversamente?»

«Gli errori vengono capiti affinché non li si compia più…»

«Ne sei sicuro?»

«Ti ho mai mentito?»

Anna scosse la testa: di Luca si fidava molto più che di se stessa.

«Non lasciarmi…»

«Mai!» e dopo mesi di solitudine e paura finalmente le loro labbra poterono toccarsi di nuovo, sentire in quel muto gesto la sicurezza di un tempo e forse anche un po’ della stessa gioia e ingenuità di prima di quella separazione e che avevano creduto esser volate via con essa.

«Tutto è bene quel che finisce bene» sentenziò Alessandro ed Elena tirò un sospirò di sollievo: tutto si era finalmente sistemato.

«In fondo ciò di qui aveva bisogno Anna… era Luca, nulla più» disse sorridendo.

«Promettimi che, se mai dovessi avere un problema, me ne parlerai subito!» le disse lui guardandola negli occhi.

«Tranquillo: sarai il primo a saperlo; non ce la farei a resistere come ha fatto Anna…» poi lo baciò e stavolta gli spettatori dei loro gesti e delle loro parole erano Anna e Luca.

Almeno una situazione era risolta…

 

 

Giuda veloce: è in ritardo, in un ritardo stratosferico e per giunta al suo matrimonio! Perché se fosse un semplice appuntamento avrebbe tirato su la scusa del troppo lavoro, del caso complesso o delle indagini appena concluse, ma non ora, non al suo matrimonio. Lì è semplicemente in ritardo.

Germana sarà già arrivata pensa guardando l’orologio Questa sarà un’altra cosa che il mio “caro” suocero mi rinfaccerà ad ogni cena in famiglia.

Svolta l’angolo con un velocità fin troppo alta che fa stridere le gomme sull’asfalto. Il suo respiro è irregolare, come se anziché muoversi in auto stesse raggiungendo la chiesa a piedi. Le parole di Angela, nel sogno di quella notte, gli rimbombano ancora nella mente.

Ti stai sposando all’età giusta, con la persona giusta, nel modo giusto…

Certo, ne è sicuro… eppure sta tremando e non può dire che ha freddo perché siamo ormai in estate: no quella è proprio paura! Paura ed adrenalina: un mix perfetto. Ancora gli rimbomba nella mente lo sparo di Roberto che per poco non ammazzava Carla Monti, sente ancora battere il cuore per la corsa fatta all’inseguimento della malvivente, la testa che gli urlava: “tieni duro: vedo la fine; tieni duro: stavolta la prendete…” e poi era finito tutto: l’avevano arrestata ed era scomparsa nella volante dei colleghi. Angela poteva riposare in pace adesso e lui poteva sposarsi…

Una seconda morsa gli stringe lo stomaco mentre parcheggia in malo modo l’auto davanti alla chiesa e vede corrergli incontro il padre con il suo vestito da sposo ed un’aria agitata.

«Stanno tutti a ‘spettà a te!» gli grida mentre lo fa risalire in macchina e gli passa il pantalone dello smoking.

Mauro a fatica riesce ad infilarseli: una macchina non è certo un camerino adatto per uno sposo, poi Tiberio gli passa la camicia che infila più facilmente e mentre il vecchio tenta di prendere le misure della cravatta provandola sul suo collo, Mauro si infila un gilè dello stesso colore del pantalone.

«Ecco così va bene… se…» conferma Tiberio a se stesso, poi toglie la cravatta dal suo collo e tenta di infilarla al figlio.

«Aspetta: infila la cravatta…» gli dice «Girate un po’ di qua, un attimo!» ma la cravatta e troppo stretta per il “capoccione” dell’ispettore.

«Piano, papà! E piano!» grida l’ispettore che intanto pensa che se sopravvive a quel giorno può davvero dire di poter affrontare tutto.

«Mannaggia! C’hai un capoccione!» gli risponde agitato Tiberio riuscendo infine a mettergli la cravatta.

Poi continua a sistemarlo dicendo, più a se stesso che al figlio di fare piano, ma ad ogni parola che dice il tono di voce aumenta e le mani, che ora stanno sistemando la cravatta sotto il colletto della camicia, tremano vistosamente. Strige la cravatta agitatamente fino a quasi soffocare il figlio.

«No! Più lenta per favore, papà, più lenta! Mi sto a sentì male» si lamenta lo sposo senza sapere se quel malessere è dovuto alla semplice mancanza d’ossigeno o al grande passo che sta per fare; subito sente ritornare l’aria nei polmoni: ora il padre gli ha allargato il nodo.

«Così va bene?»

«Si… dammi ‘a giacca, dammi ‘a giacca!» ed il padre lo aiuta ad infilare anche quella: ora può finalmente dire di essere pronto.

«Mannaggia! Guarda che “ciancicaticcio” Ce vorrebbe una botta di ferro da stiro adesso!» osserva lui con l’occhio critico di un sarto anziano ma esperto.

«Apposto su!» lo sbriga Mauro «Se vedemo a casa papà» e scende di corsa dalla macchina.

«Si… tirati giù quel collo della camicia! Si se vedemo casa…» e per qualche istante si adagia in macchina stanco per quella fulminea faticata.

Poi la sua mente fa un rapido ragionamento: Mauro sta per sposarsi, Mauro, suo figlio… suo figlio! Lui deve andare con lui! È il padre dello sposo!

«Ma devo venire pure io! Se vedemo a casa!» grida ripetendo le parole del figlio e scendendo dalla macchina.

Mentre entra nella chiesa, Mauro sente risuonare dall’organo la classica musichetta dei matrimoni, mentre il padre lo raggiunge e dopo alcuni tentativi falliti riescono a mettersi a braccetto.

Germana è lì, di fronte a lui, in fondo alla navata: l’abito bianco si intona perfettamente con la sua carnagione chiara e quei capelli biondo scuro che le ricadono morbidi e mossi sulle spalle la rendono adorabile. Mauro l’osserva, in un attimo perde la concezione di tutto ciò che lo circonda: c’è solo lei e lui non ha occhi che per lei che gli sorride sollevata e felice di vederlo e forse anche un po’ divertita.

Ed lui ora lo sa, ne è convinto, quel suo semplice sorriso ha fugato tutti i suoi dubbi: la sua è stata la scelta giusta, è con lei che vuole passare la sua vita… perché, semplicemente, la ama.

[…]

Mauro scende dalla macchina bianco come un cencio. È agitatissimo, in quel momento non ricorda una volta in cui è stato più agitato di quella sera. Spera che al Distretto sia già arrivata Germana perché attenderla sarebbe ancora più snervante.

Ma guarda quante agitazione me ‘sta a fa venì un cosino come quello pensa entrando: quella sera lui e Germana sarebbero andati in ospedale a prendere il piccolo Ettore… Ettore Belli, da quella sera…

Sua moglie è lì davanti alla guardiola a parlare con Ugo e Giuseppe: almeno non avrebbe atteso ulteriormente.

«Ciao amore» la saluta baciandola.

«Ciao amore» ripeté lei con un sorriso.

«Non capisco come fai a sta’ così tranquilla te!» le dice e dalla voce affannata si capisce che quasi non respira.

«Amore, ma se ci agitiamo tutti e due che facciamo, eh?» gli fa notare lei e Mauro si rende conto che ha ragione: se andassero tutti e due in panico come sta facendo ora lui, sarebbe la fine. Escono salutando i due poliziotti e salgono in macchina.

«Perché ci vuole così tanto?» chiede per l’ennesima volta l’ispettore.

Sono da più di venti minuti seduti nel corridoio dell’ospedale e ancora non hanno visto l’ombra di quello che sarà il loro bambino, né dell’infermiera che li aveva accolto gentilmente chiedendo loro di attendere in corridoio.

«Beh lo staranno preparando» suppone lei accorgendosi che l’ansia la sta prendendo tanto quanto sta prendendo il marito e sospirando.

«Certo che per lui sarà un bel trauma» considera Mauro «Da un giorno all’altro cambia tutto!»

«In meglio, però: ora avrà un padre ed una madre» lo rassicura lei.

«E se non gli pace stare a casa con noi?»

«Embè, ci sta lo stesso!» risponde lei un po’ brusca: l’ansia ormai l’ha presa.

«Ammazza, già sei severe, oh! Manco l’hai preso!» nota con un sorriso sorpreso l’uomo.

Ad un tratto, finalmente, la porta della stanza si apre. Mauro e Germana si alzano di scatto e vanno incontro alla donna che porta un braccio un minuscolo fagottino azzurro. I due non possono non ridere ammaliati da quello spettacolo.

«Oddio, quanto sei piccolo!» esclama Germana con la voce ancora condizionata dal sorriso.

«Ammazza quanto è bello, però, eh?» non può fare a meno di notare Mauro.

«È bellissimo, eh?»

«E quando usciva così bello se lo facevo io?» si chiede sorridendo.

Germana sporge la sua esile mano verso il mento del piccolo, quasi timorosa di potergli far del male.

«Si può toccare?» chiede ingenuo il poliziotto; poi valuta la sua grossa mano e la ritrae: è davvero troppo grande per quel piccolino.

«Chi lo prende?» chiede con un sorriso gentile l’infermiera.

«Piglialo tu… piglialo tu…» dice lui facendosi indietro: non si sente così pronto, e se lo facesse cadere?

«Lo dia a me» si fa coraggio la giornalista «Così, eh?» chiese e la donna annuisce.

I due sorridono ai piccoli vagiti del bambino che si sta lentamente svegliando. È ancora più bello ora che è sveglio ed i suoi occhi incontrano quelli che da ora in poi saranno i suoi genitori.

 

Erano rimasti seduti lì, su una panchina del cimitero, per secondi che si erano presto trasformati in minuti ed ore semplicemente a guardarsi, senza rompere il silenzio e lasciando che fossero gli occhi a colmare i tre anni di parole taciute. Ogni tanto qualche lacrima solcava questa o quella guancia e l’una o l’altra mano la scostava con delicatezza.

«Ancora prego che non sia un sogno» sussurrò lei.

«Anch’io credevo che questo giorno non sarebbe mai arrivato… E più vi ero vicino più sentivo di allontanarmi»

«Ora sarà tutto diverso…» lo rassicurò Germana stringendolo a sé.

Mauro sussultò: erano le stesse parole che gli aveva detto Luca, ma allora lui non l’aveva creduto… Ora poteva farlo? Non ci sarebbero stati più ostacoli? No… ce ne sarebbero stati tanti altri, ma stavolta lui era pronto ad affrontarli, non si sarebbe più nascosto, avrebbe lottato per quella vita che gli avevano negato perché ora sapeva che, se anche era in ritardo di tre anni, valeva ancora la pena di combattere.

«Cosa facciamo ora?» chiese la giornalista.

«Io… non lo so… vorrei…»

«Tiberio ora è a casa: deve essere tornato da pochissimo con Ettore» lo informò Germana come leggendogli nel pensiero.

Mauro parve sbiancare, non perché la moglie avesse indovinato le sue intenzioni – sapeva che potevano leggersi nel pensiero, lo avevano sempre fatto – ma perché si era reso conto di quanto velocemente stava accadendo tutto.

«Andrà tutto bene… non temere» lo rassicurò Germana tenendogli la mano e alzandosi.

Lui la guardò sorridendo ed una sicurezza che non provava da anni lo invase: gli era mancata, non poteva negarlo ed ora sapeva anche quanto. Si alzò anche lui e uscirono dal cimitero diretti alla vecchia casa di Mauro.

Quando furono davanti alla porta d’ingresso l’ex ispettore si accorse di tremare.

«Oh, avanti! Con me non hai fatto tutte queste storie!» disse la moglie per allentare la tensione; Mauro le rivolse un sorriso divertito.

«Perché tu non mi hai visto prima di incontrarti! Busso?»

«No, ma che dici? E se aprisse Tiberio? Vuoi fargli prendere un infarto? Ho le chiavi»

Il suono del pezzo di metallo che girava nella toppa risuonò nel silenzio e fece rabbrividire entrambi. Germana entrò silenziosa e Mauro le scivolò dietro chiudendo dietro di se la porta. La donna si diresse in salone chiamando gli uomini di casa.

«Mamma!» esclamò Ettore correndole incontro e saltandole al collo.

La giornalista lo prese tra le sue esili braccia e lo strinse al suo petto con un gioia che non sapeva descrivere.

«Io e il nonno siamo appena tornati!» disse il piccolo, pronto a raccontare alla mamma la sua avventurosa giornata di asilo.

«E dov’è ora il nonno?» gli chiese Germana con una certa impazienza nella voce.

«Sono in camera!» urlò Tiberio che stava sistemando alcune camice appena stirate.

«Ettore ora fai il bravo e guarda i cartoni alla tv mentre io parlo con il nonno, va bene? Più tardi mi racconti tutto quello che hai fatto oggi!»

Il piccolo annuì con un sorriso e si sedette sul divano; la giornalista accese la tv al canale giusto e poi, dirigendosi verso la camera dell’uomo, diede una breve occhiata al marito che era rimasto sulla soglia della porta, ancora con il respiro mozzato per aver sentito per la prima volta la voce di suo figlio. Lei bussò lieve alla porta del suocero chiedendogli il permesso.

«Certo, cara: entra! Ah, visto che ci sei, mi passeresti la camicia azzurra che è sul letto?»

Germana fece quanto chiesto cercando di placare i battiti del suo cuore. Quando l’uomo ebbe sistemato le ultime camice, si voltò a guardare la nuora e non poté non notare quel lieve rossore che le colorava le guance e la luce che le animava gli occhi marroni. Il suo cuore perse un colpo: sapeva benissimo che quel giorno sarebbe arrivato e sapeva anche che era giusto così, eppure non poteva fare a mano di sentire un lieve dolore all’altezza del cuore. Era da quando Mauro era andato via che il volto di Germana non era stato tanto colorato e i suoi occhi tanto luminosi e questo non poteva che significare una cosa: un uomo – un altro – era entrato nella sua vita, aveva risvegliata dal sul invernale letargo e nonostante egli stesso l’avesse più volte incoraggiata a rifarsi una vita, ora che stava accadendo – perché non c’erano altre spiegazioni a quel radicale mutamento – sentiva quasi come se la memoria di suo figlio fosse stata in qualche modo usurpata.

«Devo parlarti» disse lei sedendosi sul letto.

«Sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato» confessò lui accogliendo l’invito della donna a sedersi accanto a lui.

«Lo… sapevi…?» balbettò lei confusa.

«Certo. Insomma è normale…» continuò lui cercando di apparire quanto più possibile felice.

«Beh, mica tanto…» sorrise lei ancora confusa.

«Ma sì. Ti dico! Sono passati tre anni, era pure ora che tu… insomma…» faceva male, più male di quanto credeva… Adesso non avrebbe potuto neanche più dire ad Ettore che suo padre sarebbe tornato presto…

«Tiberio, io non so di cosa tu stia parlando… ma devo dirti una cosa molto importante. Non so quali sono le parole giuste per…» ma la sua tentennante voce fu bloccata da quella squillante di suo figlio.

«Papà!» aveva semplicemente esclamato il piccolo che, corso in corridoio per sentire “il discorso dei grandi”, aveva visto la figura di Mauro ferma nel corridoio con le spalle contro la porta d’ingresso.

Germana rimase a bocca aperta: lei si stava sforzando di introdurre la questione con quanto più tatto e calma possibile ed il figlio, invece, aveva vanificato tutti i suoi sforzi con un semplice grido; di fronte a lei il volto di Tiberio non poteva essere descritto: semplicemente non aveva espressione perché l’uomo non sapeva cosa dire, né cosa pensare.

Poi, ad un tratto, senza alcun preavviso, si alzò di scatto e si diresse fuori dalla stanza, in corridoio; ma il suo corpo si blocco dopo soli pochi passi, gli occhi stanchi fissi sull’impossibile e la mente che ancora si rifiutava di connettere. Davanti a lui, sull’uscio, suo nipote Ettore era stretto al petto di un uomo… un uomo che aveva il volto nascosto nell’incavo della piccola spalla del bambino, un uomo che Ettore aveva chiamato “papà”, un uomo troppo simile a suo figlio…

Il colpo di grazia, quello che gli fece girare la testa e capire che, infine, la pazzia l’aveva preso, fu vedere il suo sguardo velato di lacrime quando alzò gli occhi sulla sua tremante figura. Quegli occhi… quegli occhi erano solo i suoi, solo di Mauro, del suo Mauro… dell’impossibile.     

«Oh, Dio!» esalò in un sussurro, poi le gambe non ressero il suo peso e semplicemente si accasciò a terra sotto lo sguardo sconvolto di Germana e Mauro.

Ettore scese dalle braccia paterne e Mauro corse verso Tiberio, lo prese in braccio – notando quanto fosse leggero – e lo stese sul divano del soggiorno; Germana prese un bicchiere d’acqua in cui aveva sciolto dello zucchero, poi si sedette sul divano accanto all’anziano che era davvero pallido.

«Papà…? Papà, mi senti…?» sussurrò l’uomo dando dei lievi colpetti sul volto del padre e sentendo uno strano calore invadergli il petto: da quanto non pronunciava quella parola?

Lentamente il vecchio sembrò riacquistare il colorito, le palpebre tremarono lievemente e infine si svegliò. Notò per primo il volto sorridente di Germana a cui sorrise di rimando, poi la testolina del nipote che sfiorò con la sottile mano e infine i suoi occhi si posarono sulla figura ancora pallida del… figlio. Prima che potesse dire una qualsiasi cosa fu Mauro a prendere parola, con la voce spezzata e le labbra tremanti.

«Ma che scherzi sono, eh papà? M’hai fatto prendere un colpo!»

«Un colpo?! Un colpo l’ho preso io quando ti ho visto!» sussurrò lui senza riuscire a staccare gli occhi da quelli del figlio: gli erano mancati troppo per potersene saziare in così poco tempo.

«Ma… ma… come…?» tentò.

Mauro gli accarezzò la guancia bagnata con la sua mano sorridendo anche lui tra le lacrime.

«Ci sono tante cose di cui devo parlarvi… tanti momenti che dobbiamo recuperare… E credo che ‘sta storia non sia giunta alla sua fine»

Tiberio si slanciò verso il figlio e lo strinse forte a se: non sapeva come potesse essere possibile e in fondo, in quel momento, non gliene importava poi molto. Mauro era lì con lui, con loro: era questo l’importante; il resto avrebbe potuto aspettare anche decenni.

«Papà?» chiamò Ettore con timore, Mauro si voltò verso di lui «Ora non andrai di nuovo via?» sussurrò con gli occhi che luccicavano per l’importanza della domanda.

L’uomo lo guardò negli occhi che – solo ora lo aveva notato – erano di un verde tanto chiaro da togliere il fiato, bellissimi e profondi, gli occhi di suo figlio.

«No, piccolo mio: non me ne andrò mai più…» poi non riuscì più a continuare: le parole gli si erano bloccate in gola e non poté fare altro che stringere forte a se Ettore versando lacrime che non potevano essere più nascoste e che, in verità, neanche lo volevano, mentre il piccolo cingeva con le esili braccia la sua schiena, poggiando la testolina sulla sua spalla.

«Bentornato, papà!»

 

 

Continua a girare in macchina senza trovare pace. Tornare a casa non ha alcun senso: se si ferma dà tempo al cervello di pensare e quella è l’unica cosa che vuole evitare. Le parole del padre gli rimbombano ancora nella testa senza possibilità di essere dimenticate. Vuole rivederlo, dopo 5 anni di tormenti vuole rivederlo perché sta male, perché ha paura di non farcela. E quando è stato male lui? Dov’era suo padre quando lui, chiuso nella sua stanza piangeva e si disperava? Allora non aveva voglia di parlargli, allora voleva solo umiliarlo, ricordargli ogni attimo della sua vita che lo aveva deluso, che lui – come uomo – non poteva accettare che il suo unico figlio fosse gay. Era stato male per tanto tempo, era addirittura arrivato a convincersi che fosse colpa sua prima di lasciare casa per sempre e buttarsi tutto alle spalle entrando in polizia. Ed anche lì non era stato sempre tutto “rose e fiori”: dei giorni avrebbe voluto chiamare casa e sentire la voce di suo padre che gli chiedeva come stava, se aveva problemi… avrebbe voluto fare tutto quello che fa un figlio con un padre in una famiglia normale… ma la sua non è una famiglia normale. E adesso dopo tanti, troppi silenzi, suo padre chiama perché vuole parlare… ma andasse a fanculo! Mauro dice che sta sbagliando, che deve dargli una seconda possibilità, che si vive male con i rimorsi, ma lui non ce la fa: le ferite sono troppo fresche perché le consideri acqua passata, sta soffrendo ancora ora per tutto il male che gli ha fatto… non vuole vederlo di nuovo, ha troppa paura di soffrire ancora, di stare male e non riuscire più a rialzarsi.

Mentre fa l’ennesimo giro senza alcuna meta sente la radio della sua volante.

«Richiesta di rinforzi da parte dell’ispettore capo Belli: convergere tutte le vetture in Via dei Casali Romagnoli, è in corso una sparatoria. Ripeto: sparatoria; convergere tutte le vetture in Via dei Casali Romagnoli»

Senza neanche doverci pensare, Luca ingrana la marcia e si dirige sul posto con una strana ansia che gli strozza il respiro. Quando arriva, l’aria ha già disperso il rumore dei proiettili sostituito da quello delle sirene dei colleghi e dell’ambulanza. C’è un uomo steso a terra. Luca rabbrividisce, prega di aver visto male mentre istintivamente scende dalla macchina e corre verso Roberto. Steso, poco distante dal commissario, Mauro respira a fatica, un foro rosso all’altezza del petto.

«Dio mio…» sussurra portando una mano alla fronte, sconvolto e senza riuscire a staccare gli occhi dall’amico agonizzante.

Non riesce a dire nulla, non riesce neppure a pensare mentre gli infermieri lo caricano sulla barella e Roberto sale per accompagnare l’amico in quella corsa contro il tempo e la morte. La testa gli dice di salire con lui sull’ambulanza, ma le gambe pesano come piombo e non gli permettono di fare un passo. Solo quando ormai la vettura e in moto, riesce a camminare; si avvicina alla pozza di sangue lasciata dall’amico e raccoglie la sua pistola, con gli occhi appannati dalle prime lacrime.

Sale veloce in macchina e si mette all’inseguimento dell’ambulanza; non sa con quale forza riesce a chiamare Ugo per avvertire il Commissariato della situazione.

«Hanno sparato Mauro!» grido con la voce che ormai ha assunto il tipico tono del pianto «Sta male…» poi non riesce a continuare e attacca, mentre ormai sono giunti in ospedale.

Segue correndo la barella, incurante delle lacrime che ormai scendono senza tregua sul suo volto finché sia lui che Roberto sono costretti a fermarsi mentre i medici entrano con il ferito in sala operatoria. Luca non riesce a respirare: è successo tutto talmente velocemente che non se ne rende ancora realmente conto. Un attimo prima Mauro è con lui e gli sta dicendo di parlare con suo padre e un attimo dopo è sul lettino della sala operatoria con un buco nel petto. Il gelo lo avvolge mentre si appoggia ad una colonna e si stringe nel suo giubbotto di pelle marrone.

Anna li raggiunge in ospedale pochi minuti dopo. Con lei non serve parlare: basta guardasi per capire ogni cosa ed infatti lei non chiede nulla, ha capito che la situazione non è affatto buona; solo lo stringe a se e Luca piange sulla sua spalle senza alcuna vergogna. Poco dopo è Irene ad arrivare, correndo, mentre Luca è di nuovo appoggiato contro una colonna ed Anna è seduta con lo sguardo perso nel vuoto.

«Luca…?» lo chiama, ancora con il fiatone.

«Lo stanno operando…» sussurra lui intuendo la sua muta domanda.

«Quant’è grave?»

«Non lo so… non te lo so dire…» poi sospira, mentre gli tornano alla memoria le immagini di poco prima, il corpo di Mauro, il suo sangue sull’asfalto; gli gira lo stomaco «Quando l’ho visto io, non stava per niente bene…» poi non ce la fa a continuare e ci copre gli occhi con una mano asciugando le lacrime che li imperlavano.

All’improvviso Anna si alza e si avvicina ai due guardandoli; forse vorrebbe dire qualcosa, ma non ne è capace e si limita a passare tra i due sfregandosi convulsamente le mani chiuse a pugno, mentre da dietro alla colonna, dove sta fermo Luca, giunge con volto scuro Alessandro che subito stringe a se Irene. L’attesa è snervante, Luca non riesce ancora a rendersi conto di ciò che è successo, prega solo che sia tutto un sogno e si ripete che presto si sveglierà e sarà tutto a posto… ma non ci crede neanche lui. Non riesce a scostarsi da quella maledetta colonna mentre vede i suoi compagni muoversi agitati, alzarsi per poi sedersi di nuovo, guardarsi tra loro in cerca di un conforto che non esiste. In breve perde la concezione del tempo e non sa che ore siano quando Vittoria, Ugo e Giuseppe giungono in ospedale. La donna lo stringe a se piangendo, mentre i due uomini chiedono informazioni ai presenti, ma nessuno sa nulla: Mauro è ancora in sala operatoria.

Dopo poco anche Roberto, che non si era mosso dalla porta della sala, li raggiunge in corridoio. Nessuno riesce a chiedergli qualcosa, nessuno tranne Ugo i cui occhi azzurri lo pregano di avere notizie positive.

«Come sta?» sussurra con un mezzo sorriso, come se volesse incoraggiarlo.

Gli occhi umidi di Roberto incontrano quelli azzurri: non sa come, ma deve dir loro la verità; una verità che Luca ha già capito, ma che non può, non vuole accettare.

«Non c’è più… non c’è più…» dice scoppiando a piangere più forte.

L’incredulità avvolge gli uomini del X: Mauro è andato via, per sempre… è stato tutto così veloce che nessuno di loro sa come reagire se non abbracciandosi e piangendo forte come solo in pochissime altre occasioni. Luca si dispera senza più pudore: pensa alle parole che Mauro gli aveva detto quella mattina, a quanto fosse buono, a quanto lo avesse aiutato… e al fatto che non lo rivedrà mai più, che non potrà più parlargli…

Quante cose avremmo potuto fare ancora insieme… io non posso… non ce la farò senza lui…

Scivola contro la colonna come schiacciato da un peso enorme, insostenibile e vorrebbe solo addormentarsi e non svegliarsi mai più… In fondo se questo diritto se l’era preso Mauro senza avvisare nessuno, perché non avrebbe potuto farlo anche lui?

 

C’è solo bianco intorno a lui. Luca vede bianco a perdita d’occhio e lentamente perde la concezione delle dimensioni: gli sembra di fluttuare nell’aria. Prova a muoversi senza sapere se ha successo, ma stranamente tutto ciò non lo sorprende: è come se fosse normale muoversi in quel modo e con quell’incertezza. Dopo poco il bianco comincia lentamente a cambiare dissolvendosi come nebbia e Luca vede davanti a se una grande distesa verde: man mano che la nebbia si dilata il commissario comincia a distinguere vari particolari in quel prato verde e avvicinandosi scopre tante lapidi color crema con su incisi vari nomi in nero. Il giovane non ne è sorpreso o turbato: è come se, adesso che lo ha scoperto, abbia sempre saputo di trovarsi in un enorme cimitero.

Comincia a camminare, incerto sulla strada da prendere; sfila attraverso le lapidi distinguendo i vari nomi incisi in marmo nero: alcuni li conosce, gli suonano familiari e sforzandosi riesce a collegarli anche a dei volti, ma tutti i ricordi sono stranamente offuscati e anche lui si sente stanco, non ha voglia di riflettere; altri nomi, invece, non gli dicono proprio nulla, stranieri, inesistenti finché non li ha letti e comunque, anche allora, destinati all’oblio.

Continua a camminare con passo sempre più lento e stanco, fino a giungere ad una lapide dietro la quale c’è un grosso albero probabilmente centenario. Il marmo della lapide attira la sua attenzione: nonostante ci fossero diversi mazzi di fiori sulla tomba, a differenza degli altre, nessuno nome spezzava la morbida e candida armonia del bianco della lapide. Luca rimane a guardare stranamente interessato quell’insolito spettacolo: qualcosa lo attira, anche se non sa cosa sia; sente di conoscere il nome mancante sulla lapide, ma in quel preciso istante proprio non gli viene in mente.

«Luca…? Luca…»

Una voce scuote il commissario dal suo ragionamento. Si volta in cerca della donna che lo ha chiamato, perché si tratta della voce di una donna, ma non vede nessuno: è completamente solo mentre la piana verde sembra ingrandirsi e lui si rimpicciolisce sempre più. 

«Luca…? Luca… Apri gli occhi, su… Luca…»

Ancora quella voce che, con una nota preoccupata nel suono, lo chiama ed ora gli sembra così famigliare… Posa di nuovo il suo sguardo sulla lapide senza nome.

Aspetta pensa aspetta ancora un attimo: io conosco il nome che manca…il nome…Mauro! Manca il nome di Mauro! Mauro… non è morto! Lui è ancora qui, per questo questa lapide è bianca… io… io devo parlarne, devo fare qualcosa. 

L’uomo aprì di scatto gli occhi, come se non stesse dormendo, ma solo riflettendo. Anna occupava gran parte del suo campo visivo: i suoi occhi erano velati da una lieve preoccupazione e le labbra increspate da un’espressione di concentrazione.

«Luca!» esclamò con un sorriso sollevato «Ti sei svegliato finalmente! Mi hai spaventato…»

«Scusa…» disse lui automaticamente ripensando ancora al sogno appena fatto… a Mauro…

«Tutto ok?» chiese la ragazza notando il suo strano comportamento.

«No… in realtà no…»

Sapeva di doverle parlare di quello che era successo nella missione: non avrebbe retto ancora per molto e – sinceramente – neanche voleva più mantenerlo quel segreto. Anna doveva sapere, tutti dovevano sapere!

L’ispettrice si sedette sul divano dove Luca si era addormentato e puntò il suo magnetico sguardo su di lui in attesa di spiegazioni.

«Anna…» non sapeva da dove cominciare: come si faceva a dire una cosa simile? «Non prendermi per pazzo ti prego… ma devo dirti una cosa importante, che… che non capita tutti i giorni»

Anna annuì ed il commissario si decise ad andare avanti.

«Durante la missione sono stato più volte sul punto di essere scoperto, ho rischiato di morire molte più volte di quanto immagini… e se sono qui è grazie ad una persona…»

«Di chi parli?» chiese lei, senza capire che cosa volesse dirgli Luca.

«Parlo della stessa persona che vi ha avvertiti del mio ferimento… la stessa che ha fatto si che la DIA mi trovasse e mi portasse via giusto in tempo…»

«Ma io credevo che fossi stato tu ad avvertire la DIA… e poi, scusa, che ne sai che un uomo ha avvertito Elena del tua situazione?» c’era qualcosa che non andava, lo sentiva.

«Perché questa persona era con me nell’Organizzazione ed è grazie a lei se la mia copertura ha tenuto quasi fino alla fine…»

«Quasi fino alla fine? Che intendi con “quasi”?»

«Si, quasi… perché poco prima che la DIA arrivasse… Ma non è questo il momento! Io voglio parlati di questa persona… Anna, è Mauro! È il nostro Mauro che mi ha aiutato!»

La ragazza rimase qualche istante interdetta, poi sorrise.

«Luca, io capisco che questi ultimi giorni sono stato molto stressanti e traumatici per te... ma stavolta ne hai sparata una davvero grossa! Mauro è morto da tre anni ormai!» disse: ovviamente non lo credeva… e come avrebbe potuto?

Luca sospirò scuotendo la testa: sapeva che sarebbe stato difficile, ma ormai il grosso erra fatto, non poteva lasciar perdere proprio ora.

«No, Anna! È la verità! Ti devi credermi!»

«Come?» chiese lei, un po’ innervosita.

«All’inizio anch’io credevo di essere impazzito, poi, però, Mauro mi ha spiegato ogni cosa. Prima che lo operassero due uomini della DIA sono andati dal dottore che stava per provvedere all’intervento e gli hanno imposto che, qualunque fosse stato il suo esito, lui avrebbe dovuto comunicare la morte di Mauro. In seguito l’hanno trasferito in una piccola clinica poco distante da qui dove si è ripreso subito: la ferita era meno grave di quanto paresse all’inizio»

«E perché avrebbero dovuto fare tutto questo?» chiese, interrompendolo, lei ancora un po’ scettica.

«Mauro è sempre stato un ottimo ispettore e negli ultimi tempi si era particolarmente distinto… così quelli della DIA hanno pensato che un uomo del genere avrebbe fatto al caso loro… Per tre anni Mauro ha fatto missioni sotto copertura senza alcuna possibilità di potersi ribellare: per tutti lui era morto e lui, da solo, non poteva far nulla per cambiare le cose…»

Luca si accorse che nonostante conoscesse la storia ormai da tempo, faceva ancora un certo effetto pensarci e parlarne gli aveva fatto tremare più volte la voce. Anna lo guardava sconvolta: il commissario era fin troppo serio, fin troppo lucido per essere in preda al delirio… ma allora doveva davvero credere a quel racconto? Doveva davvero pensare che per tutto quel tempo Mauro era sempre stato in vita e magari neanche così lontano da loro?

«Mi credi?»

«È tutto talmente assurdo…»

«Lo so… eppure è la verità… io non inventerei mai una cosa simile.. e poi a che scopo?»

Già, a che scopo? Sì, lo credeva… in fondo era tanto facile pensare che fosse ancora con loro… quante volte lo aveva desiderato dopo la sua “morte”?

«Mi credi, Anna?» domandò di nuovo lui con insistenza.

«Si… si… ti credo… io… solo non so che pensare… insomma… ora dov’è?»

«A conclusione della missione è sparito, come sempre… e la DIA ha mandato uno dei suoi uomini a dirmi di dimenticare tutto… Ma io non posso: insomma Mauro ha diritto a tornare alla sua vecchia vita, per quanto sia difficile!»

Anna annuì: aveva ragione… ma se era andato via in che modo lo avrebbero trovato? Loro erano solo in due e la DIA avrebbe trovato il modo di zittirli subito. Luca parve leggerle nel pensiero.

«Lo so che da soli non possiamo far nulla… per questo ho intenzione di parlare con qualcuno che potrà darci una mano» poi strinse a se Anna, felice di averle detto tutto ed anche lei lo abbraccio, mentre le prime lacrime scendevano sul suo volto e bagnavano la spalla del commissario: solo in quel momento mente e cuore avevano messo davvero a fuoco tutta la situazione…

Quando si staccarono con un sorriso, Luca prese il cellulare e compose un numero telefonico con mano lievemente tremante.

«Chi chiami?»

«L’unico che può darci davvero una mano» disse lui serio.

Attese quei pochi secondi in cui il telefono squillava con un ansia tremenda tamburellando con le dita sul tavolino di legno.

«Pronto?»

A Luca mancò il fiato: per un attimo ebbe la tentazione di chiudere tutto e rinunciare, poi si diede dello stupido e prese fiato.

«Roberto? Sono Luca… senti è urgente: ho bisogno di incontrarti qui a Roma!»

 

 

 

 

LO SPAZIO DELL’AUTRICE

 

Salve a tutti!! Prima che mi uccidiate sul serio stavolta, ci tengo di nuovo a scusarmi per il mio spaventoso ritardo… ma stavolta ho scritto un capitolo lunghissimo, dunque mi ci voleva più tempo! u.u

A proposito di lungo capitolo… questo è davvero enorme, vero?? Mi spiace… perché molti di voi si saranno sicuramente scocciati a leggerlo! Ho anche pensato (con il suggerimento di mio fratello) di dividerlo in due, ma non sapevo davvero come e dove interromperlo e poi era stato concepito come un capitolo unico e non me la sentivo davvero di postarlo in due volte… Dunque sopportatelo! Nel caso siate riusciti a leggerlo tutto… che ne pensate? Ho dato sfogo davvero a tutte le mie risorse e mi sono anche valsa dell’aiuto di alcuni frammenti di episodi delle varie serie (rispettivamente 07x26; 03x23 ; 03x26 e 06x03 ; 06x09)… Ora le cose sembrano essersi sistemate per il meglio e Luca sembra finalmente aver preso un’importante decisione…

 

Intanto ringrazio i miei angeli:

Barby_19  Sono sollevata che tu non sia rimasta delusa dallo scorso capitolo… in fondo l’avevo buttata giù pesante… ma ora credo tu abbia capito perché… Questo capitolo cosa te ne pare? Lunghetto, eh? Ma spero che x te sia valsa la pena leggerlo… Un bacio…

Tinta87  ^^ felice di non averti delusa!! Ormai so di essere molto… ehm… contata se ogni volta intuite sempre tutto!! Vbb… almeno riesco sempre a sviarvi…Ora le cose sembrano essersi sistemate no?? Manca giusto un ultimo tassello! Ti ringrazio x i tuoi immancabili complimenti… -^^- e spero che questo capitolo ti sia piaciuto! Aspetterò con pazienza e voglia di leggere i tuoi futuri aggiornamenti, cara! Un bacio…

Dani85  Oops… è vero… sono stata un po’ cattivella a buttarla giù così pesante con Anna, ma in fondo tutte quelle ansie hanno un perché!! E poi dovevo pur sviare in qualche modo tutti i lettori che avevano capito da subito che l’ispettrice era incinta, no?? Mi sto accorgendo che mi riesce particolarmente bene… Ora penso che tu abbia capito perché Anna sia così giù anche se adesso sembra andare tutto per il meglio… Che te n’è parso di quelli che tu hai chiamato “prossimi sviluppi” per quanto riguarda Mauro?? Spero che in generale il capitolo sia stato di tuo gradimento! Eh, eh.. Davide… è Davide… poi vedrai nell’epilogo che… No! Devo stare zitta!!! Per una eventuale nuova FF su Distretto… non so: con questa ho dato sfogo a tutta la mia fantasia, ma mai dire mai!! Alla prossima, un bacio…

Lyrapotter  Non preoccuparti x le mancate recensioni… Mi fa sempre piacere leggerle, ma ovviamente non sei tenuta recensire sempre!! Davide ha avuto un gran cuore: Luca gli ricordava troppo suo figlio e poi lui stesso era stanco di tutti quei crimini… Anche tu, come tutti, avevi capito che Anna era semplicemente incinta… (uff… come sono scontata!); spero che ora ti sia chiaro il motivo di tutta quell’ansia! Allora… diciamo che dei tuoi ordini per questo capitolo sono riuscita a rispettare quasi tutto: ho evitato la strage alla DIA solo perché sarebbe stato troppo complicato fare uscire il X pulito da quella situazione… ma per il resto ci siamo no?? Felice?? Alla prossima, un bacione…

Uchiha_chan  Spero che ora ti siano chiari i motivi che hanno indotto Anna a stare tanto male… Confido che anche stavolta l’attesa sia stata ripaga, perché in caso contrario sono sicura che farei bene a guardarmi le spalle, giusto? Le tue parole sul mio stile mi fanno arrossire, cara: mi sopravvaluti, non sono tanto brava… Cosa ti è parso di questo lungo (forse fin troppo) capitolo? Un bacione…

Luna95  Hihihi… mi sembra di capire che tu sia molto felice del fatto che Anna sia incinta! Cosa te ne pare di questo capitolo? Spero che tu riesca a capire tutti i passaggi perché stavolta sono andata a finire anche nelle scorse serie… in ogni caso ponimi tutte le domande che vuoi, cara!! Un bacione…

Buffy86  Sono contenta che i miei aggiornamenti ti facciano fare i salti di gioia!! -^^- davvero lusingata!! X Mauro hai avuto ragione a credere che non fosse finita qui la storia… come infatti… che te n’è parso di questo capitolo?? Ora sembra essersi tutto chiarito, no?? Sono una grande?? Mah… non esagerare… sono solo una che ha deciso di rompere le scatole con un’insignificante ff… nulla più! Un bacione…

Metaipod  Grazie per la tua recensione e per aver messo la storia tra le preferite!! -^^- Sono contenta che la storia ti intrighi molto… che te ne pare di questo enorme capitolo?? Un bacione…

 

Allora… prima di concludere volevo solo dire che questo capitolo è dedicato a tutti coloro che hanno seguito la storia commentando e dandomi la spinta ad andare avanti. Stavolta per scriverlo ho dovuto fare una veloce revisione del passato di Distretto ed è stata una cosa meravigliosa che non sarebbe accaduta se non fosse stato per voi… dunque GRAZIE!!

Mi sa che sono proprio costretta a dirvi che il prossimo capitolo sarà L’EPILOGO!! Su, su placate i vostri

salti di gioia e le vostre grida di felicità!! Lo scriverò con gioia, ma anche tristezza… e…

Vbb… non mi sembra il caso di parlarne ora… Insomma ci sarà tempo per farlo la prossima volta!! Un grazie anche a tutti i silenziosi lettori…. Al prossimo capitolo!!! Un bacione enorme…

 

La vostra Alchimista <3<3

 

 

 

   
 
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