MDF
in loving memory
Sei
anni dopo
Il
giovane aveva spruzzato del
deodorante in un sacchetto
di plastica e se lo era messo in testa. Ha perso i sensi ed
è morto
Finisce
nel dramma il gioco
di un ragazzo dodicenne
E'
stata la madre a trovare il corpo
ai piedi del letto
In casa era tutto in ordine. Solo lo spray era stato spostato
PIEVE
EMANUELE (MILANO)
-
Aveva dodici anni. E' morto
soffocato da un sacchetto di plastica. Ci aveva spruzzato dentro del
deodorante
per ambienti, quindi se lo era infilato in testa per aspirare il
vapore. Ma
deve avere perso i sensi e il sacchetto, sgonfio d'aria,
gli si è appiccicato alla bocca e al naso, impengogli il
respiro. A trovare il
ragazzo è stata la madre tornando a casa.
Forse si è trattato di un gioco, forse l'emulazione di
qualcosa visto in tv.
M.D.F., queste le iniziali del nome del ragazzo, abitava a Fizzonasco,
frazione
di Pieve Emanuele, centro dell'hinterland di Milano. La madre ha subito
chiamato l'ambulanza, ma la corsa all'ospedale Humanitas di Rozzano
è stata
inutile. Il ragazzo è arrivato già morto.
Il gioco del giovane è diventato così dramma.
Secondo gli investigatori,
l'unica ipotesi è l'incidente. La ricostruzione dei fatti
non è ancora completa
anche perché il ragazzino al momento della disgrazia era
solo in casa.
Il padre, che opera nel campo dell'edilizia, era al lavoro, la madre,
casalinga, era andata a prendere a scuola l'altra figlia. Al ritorno ha
trovato
M. a terra, nella sua stanza, vicino al letto. Tutto era in ordine e
gli
investigatori riferiscono che si tratta di una famiglia a posto, senza
ombre
nel passato, in buoni rapporti con i vicini.
Le indagini sono svolte dai carabinieri che ipotizzano che il ragazzo
abbia
preso il deodorante (che, infatti, come ha riferito la madre, era stato
spostato) e l'abbia spruzzato in un sacchetto per alimenti da congelare
respirandone poi il contenuto. Il pm di turno, Francesco Prete, ha
disposto
l'autopsia.
(25
marzo 2004)
http://www.repubblica.it/2004/c/sezioni/cronaca/dodi/dodi/dodi.html
Morris.
Questo era il suo nome. Morris. Un nome speciale, unico, non per tutti.
Non tutti
possono indossarlo. Nessuno può essere come chi lo porta.
Morris. Era un mio
grande amico. Era. Ora non c’è
più…
Era
un mercoledì. Un semplice e normale mercoledì
pomeriggio. Nulla di più.
Avevamo
dodici anni, eravamo piccoli si, così ingenui.
Bastò un secondo.
Era
una giornata come le altre. Ma poi. Alle cinque sentimmo un elicottero,
ci
affacciammo e vedemmo che era della croce rossa. Ma poi. La telefonata.
Un
giorno come tutti gli altri. Che si trasformò in tragedia.
Avevamo
dodici anni. Ora siamo maggiorenni e si presume più grandi e
maturi. Tra pochi
giorni ricorre il sesto anniversario della morte del mio caro amico
Morris,
sebbene si possano chiamare grandi amicizie a
quell’età.
Sei
anni passati, sei anni perduti. Gli volevo bene. Perduto,
così.
Mi
ricordo ancora quando eravamo piccoli e giocavamo e ridevamo e
correvamo senza
fermarci mai e senza stancarci. Ti ricordi caro amico? Avevamo
costruito un
rifugio sull’albero, era bellissimo. Ci avevamo messo anche
le trappole, una
volta persino un mattone, che per fortuna cadde senza finire sulla
testa di
nessuno. Quanto ci divertivamo! Erano gli anni della giovinezza e della
spensieratezza. E ti volevamo bene, tanto, tutti ce ne volevamo a
vicenda,
nonostante fossimo troppo piccoli per capirlo davvero.
E
poi quel giorno. Non lo dimenticherò mai. Sette mesi prima
un altro nostro
amico era scomparso, caduto dalla staccionata e morto in dieci giorni.
Abitava nella
casa di fronte alla sua. Quella strada io ora la chiamo la via della
Morte,
proprio perché è la che ella ha colpito con
rabbia. Fa quasi paura. Senti i
mormorii e i sussurri di Morris e Daniele. Ti cercano. Ti salutano. E
in quella
via ti proteggono.
Ma
quel giorno. Era come tutti gli altri. Finché tua madre non
ti ha trovato,
bianco e immobile accanto al tuo letto. Quel sacchetto sul viso.
Riecheggia
il grido della Morte sul tuo giovane corpo. Disteso per strada, tutti
ti hanno
visto tra le braccia di quella madre che cercava di animarti. Poi,
l’elicottero.
Ma non c’è stato nulla da fare.
Un
angelo bianco quel giorno portò la pioggia. E quella sera,
quando telefonarono,
stavamo vedendo “Io non ho paura”. Non sono mai
più riuscita a vedere quel
film. Piango tutte le volte. Perché so che tu hai avuto
paura.
E anche io.
Mi
ricordo il giorno del tuo funerale, caro amico mio. Era una giornata
grigia,
triste e buia. Anche il cielo era straziato per la tua perdita. Non ho
mai
pianto tanto in vita mia. C’era tutto il paese. Eravamo
tantissimi. Sei arrivato
in una bara bianca, candida. Come il tuo giovane cuore. Ormai fermo. Mi
ricordo
a malapena le parole dei ragazzini più grandi che ti
ricordavano dal pulpito
della chiesa. Io ero entrata da sola, perché non
c’era spazio. E ho pianto. Tantissimo.
Guardandoti nella tua culla. Mi ricordo la musica, era una canzone
meravigliosa. “Sei un miracolo” di Daniele Groff.
Era adatta a te. Per la tua
vita. Seppur breve.
per dirti tutto per dirti aiutami
ho capito che
questo sono io
nei miei pensieri nei miei lati scomodi
quindi prendimi
ma adesso è presto se tu te ne vai.
Era
troppo presto. Troppo presto. Se tu te ne vai.
Dopo
sei anni, sono qui a parlare di te. Dopo sei anni, il 24 Marzo, come
tutti gli
anni, verrò dove riposa il tuo corpo, il tuo corpo di amico.
Verrò sul ciglio
di quell’equilibrio che non ho, poserò un fiore
anonimo, pregherò per te e
piangerò. Piangerò, perché sei stato
un miracolo nella mia vita di bambina, mi
hai dato il coraggio di stare dove sto, imparando a conoscere la Morte,
ho
avuto cedimenti, perché era troppo sbagliato che tu te ne
fossi andato, ma mi
hai dato la forza, con te ce l’ho fatta. Te che sei stato il
mio primo grande
immenso dolore. Io sono ancora qui, per dirti scusami ma comprendimi,
perché
siamo sempre noi, sospesi ognuno sul proprio oceano, anche quando
è gelido, ma
io posso sentirti, Morris. E amo la vita anche per te. Ti amo, amico
mio
perduto, che questo ricordo che do al mio piccolo mondo possa farti
vivere nel
cuore di qualcun altro.
La forza
per schiacciare il destino, sicuramente, somiglia ad una lama che
scende. Gira.
Se il destino è una ruota dentata, noi siamo il principio
che la fa girare;
credendo nella sua infallibilità proseguiamo verso la
destinazione tracciata
dalle varie forze che lo muovono…
(Bleach,
Tite Kubo)