Non aveva mai tremato così in vita sua.
Su
quel soffitto, sotto la pioggia gelida, c’era una
sagoma rannicchiata. La folta chioma di capelli scuri gli ricadeva sul
viso,
zuppa d’acqua.
In
lontananza, l’eco delle campane di una chiesa
vicina a quell’orfanatrofio così decadente.
Il
ragazzo era a piedi nudi, osservava da lassù
tutta Londra. Il Big Ben aveva persino un’aria più
triste, in quel momento. Il
cielo nero e pieno di nuvole, sebbene fosse appena arrivata la sera.
-I
miei genitori…- pensava – Non ci sono
più… un
incendio… -
Poi,
ad un tratto, un brusio di voci nella tromba
delle scale. Il giovane non poté fare a meno di origliare.
“Ne
è del tutto sicuro?” diceva uno dei due
“Ci sono
tanti ragazzi nel nostro istituto. Lei ne ha scelto
uno…”
A
quel punto parlò l’altro uomo, ma lui non
riuscì a
capire cosa dicesse, poiché la pronuncia di questo era
diversa da quella che
era abituato a sentire. Sembrava piuttosto anziano, dalla voce.
“Sì,
be’, deve capire che… è un
po’ scosso.” Gli rispose
l’altro “E’ accaduto pochi giorni
fa… dubito che lei possa instaurare un
rapporto profondo con quel ragazzo, dopotutto… ha ormai
già sedici anni. Sa,
Mr. Wammy, adottare un ragazzo è come adottare un animale
domestico, se non lo
prende da cucciolo, sarà difficile che si affezioni a
lei.”
Di
nuovo parlò l’anziano. Il ragazzo, tra il rumore
della pioggia, riuscì a capire solo che, in qualche modo,
stava chiedendo quanto
doveva attendere ancora.
“Solo
un minuto, ah… non fa altro che nascondersi.
Da quando lo abbiamo portato qui, non ha mai rivolto la parola a
nessuno.”
“Tsè.”
Sibilò il ragazzo tra sé e sé. Allora
era
vero quello che dicevano in giro, che qualcuno voleva adottarlo. Non
poteva
rifiutarsi, d’altronde. Anche se non capiva bene
perché questo vecchietto
volesse adottarlo, nonostante sapesse che lui era un po’
cresciuto rispetto
agli altri, e mostrava un comportamento bizzarro, per di più.
La
porta delle scale che portavano al terrazzo si
aprì, e un inserviente lo chiamò, facendo ampi
gesti con le mani:
“Vieni,
Lawliet! Lawliet! Su, muoviti! Che ci fai lì
sotto la pioggia, ti prenderai un malanno!”
Lawliet,
però, ignorò l’inserviente, e fece
finta di
non aver sentito. Si alzò in piedi, i suoi vestiti erano
gocciolanti di acqua
piovana. Voltò le spalle all’uomo che stava
continuando a chiamarlo, e si mise
le mani in tasca.
“Lawliet,
è ora! Sono venuti a prenderti! Che
aspetti a salutare la tua nuova famiglia? Non sei più
orfano!”
Il
ragazzo sbottò. Una nuova famiglia… non gli
andava di finire in mezzo ad altri marmocchi, altra gente.
Così presto. Troppo
presto.
“Non
mi va di trascinarti di peso, sotto la pioggia!
Non essere testardo, Lawliet, vieni subito qui!” lo
sgridò ancora l’inserviente.
A
Lawliet non importava un fico secco. Rimase ancora
impassibile, in piedi, sfidando il cielo e la pioggia.
Poi,
sulla soglia della porta, comparve un buffo
vecchietto, con baffi e capelli bianchi, un’espressione
serena e pacifica in
volto. Reggeva in mano un cappello tipicamente inglese, e sorrideva a
Lawliet.
“Cosa
succede?” chiese ridacchiando.
“Non
si preoccupi, Mr. Wammy.” Gli rispose l’uomo
accanto a lui “Non c’è bisogno che lei
si bagni le scarpe. Ora basta, vado a
prenderlo.”
Lawliet
si rassegnò. Lasciò che l’inserviente
lo
afferrasse per una spalla, e lo trascinasse. Ora tremava ancor di
più.
Non
aprì bocca, non disse una parola. Gli occhi
bassi, fissi sul pavimento lucido e completamente ricoperto
d’acqua.
Si
trovò vicino all’anziano che intendeva adottarlo.
Guardandolo di sottecchi, notò che non sembrava poi
così antipatico.
“Mi
dispiace, Mr. Wammy.” Si scusò
l’assistente dell’orfanatrofio
“Lo manderò alle badanti, faremo in modo che venga
lavato e agghindato come si
deve, prima che lei lo porti via.”
Lawliet
si sentiva decisamente giù di corda. E a
sentir parlare di lui come di un oggetto, il suo malumore non faceva
altro che
aumentare.
Però,
l’anziano fece un gesto del tutto inaspettato.
Prima trasse il suo orologio da taschino e disse:
“Oh
cielo, sono già le sette e un quarto. E’ troppo
tardi, non vorrei attendere oltre.”
Si
tolse l’enorme giaccone nero e lo pose sulle
spalle di Lawliet, dopodiché, mettendo una mano dietro la
sua schiena, lo
spinse in avanti.
A
quel tocco, il ragazzo sussultò.
“Ma…
Mr. Wammy, io…” insisté
l’assistente.
“Niente
‘ma’.” Replicò
l’anziano “Se tutte le
procedure sono fatte, vorrei portare a casa questo ragazzo.
Così potrà fare un
bel bagno…” Si chinò su Lawliet, e gli
offrì un lecca-lecca verde enorme, che
aveva tirato fuori dal suo panciotto “Ti piacciono i
dolci?” gli chiese.
Lawliet
non rispose, più per via dello stupore, che
per la tristezza. L’anziano, d’altro canto, gli
infilò il lecca-lecca nella
tasca dei jeans.
“Be’,
puoi mangiarlo quando vuoi.”
Lui
rimase esterrefatto. Quel vecchietto sembrava
ricchissimo e aristocratico, eppure non aveva paura di inzupparsi i
guanti toccandolo.
Scesero
insieme le scale, fino all’entrata dell’istituto.
Ancora
Lawliet non capiva. Quell’orfanatrofio era
squallido. Cosa mai aveva potuto portare un uomo tanto benestante
lì?!
Aveva
i capelli fradici, e sentiva tanto freddo. Gli
scappò uno starnuto, e investì di schizzi
d’acqua il signor Wammy e la
segretaria dietro al bancone, che stava controllando alcuni documenti.
Chiese
scusa sotto voce.
“Mr.
Wammy, è tutto a posto.” Asserì la
segretaria “Solo
che… è meglio che Lawliet vada a cambiarsi, e che
indossi almeno un paio di
scarpe.” Aggiunse, guardando il ragazzo disgustata.
“Non
ce n’è alcun bisogno, signorina.”
Replicò il
vecchietto “Lawliet troverà tutte le proprie
comodità a casa mia… ovvero, casa
sua, d’ora in poi.”
Tutti
guardarono
sconcertati il signor Wammy, Lawliet compreso. Le scelte che faceva
erano
piuttosto strane, però quel tipo gli ispirava fiducia.
Nonostante
il dolore,
nonostante la rabbia che albergava in lui, decise di seguire
l’anziano fuori
dalle porte dell’orfanatrofio. Pensò che ovunque
sarebbe stato meglio di lì.