“They’ve got a wall in
China
it’s a thousands
miles long…
It make them strong.
And I’ve got a wall
around me
That you can’t even
see.
It took a little
time
To get next to me…
…It took a little
time, but you get next to me.”
Annie Lennox
Capitolo V – A scream inside
Quando l’ispettore Megure e i suoi agenti irruppero nel cantiere, si trovarono davanti uno spettacolo che mai avrebbero voluto vedere.
Sato era a terra, con gli occhi sbarrati e vuoti, e
sorreggeva un corpo inerme e ricoperto di sangue.
Non piangeva, non gridava… restava quieta, con
Takagi tra le braccia e il sangue che continuava a scorrere, sporcandole il
viso e le mani.
In un angolo, il cadavere di Gin aveva ancora gli
occhi aperti e uno strano ghigno gli deformava il volto che stava diventando
freddo: all’ultimo momento prima di cadere, Takagi era riuscito a mettere a
segno il suo ultimo colpo…
L’ispettore Megure si avvicinò a Sato ,incerto, e
cercò di farla alzare aiutato da Yumi.
“Sato… forza, possiamo ancora salvarlo!”
Si rivolse alla sua squadra, urlando.
“Chiamate subito un’ambulanza, svelti!”
Sato riuscì a mettersi in piedi, ancora con lo
sguardo perso nel vuoto: sembrava una bambola rotta, che non poteva più
muoversi…
Yumi la sorresse
prontamente quando le sue gambe cedettero, e qualcosa nel petto le si
sbriciolò, alla vista di quel corpo… di Takagi, ancora inerme sul pavimento
duro.
Guardò il suo viso, sporco di sangue e terra, con
gli occhi chiusi… sembrava stesse dormendo.
Ma tutto quel sangue, quel sangue che si seccava
tra le dita di lei!
Perché era lì?
Sato fissò le sue mani come in trance, mentre i
medici trasportavano Takagi sull’ambulanza appena arrivata, che assordava
quasi, con la sua sirena spiegata.
Guardò quel rosso intenso tra le sue dita, sentì
quel sapore metallico e ramato nella sua gola, spingere prepotentemente per
uscire, una nausea insopportabile.
Qualcosa… qualcosa urlava nella sua testa, nel suo
petto, nella gola… incessantemente…
Piegandosi su sé stessa, vomitò.
Cercò di distinguere la realtà tra tutte quelle
ombre frenetiche e sfuocate, che danzavano davanti ai suoi occhi… ma quel
sangue! Quel sangue era l’unica cosa vivida, cruda davanti a lei. Sato chiuse
gli occhi, respirando forte.
Quando li riaprì, la realtà le apparve per quella
che era: ne’ meno crudele ne’ meno tragica.
“Sato! Sato, rispondimi! Sato…!”
Non seppe mai come fece la sua voce flebile a
uscire dalla sua gola, come un gemito strozzato.
“Yumi…”
“Oh, per fortuna! Pensavo che fossi ferita anche
tu!
L’amica l’abbracciò, preoccupata. Sato si ribellò
debolmente.
“Dove… dov’è Takagi…?”
L’ispettore Megure la prese per un braccio,
aiutando Yumi a sorreggerla.
“E’ in ospedale. Vieni, anche tu devi farti
visitare…”
Sato si lasciò quasi trasportare verso l’auto di servizio
di Yumi, parcheggiata lì vicino.
Era stanca… stanca di tutto.
Soprattutto di quella voce che urlava ancora, tra
le lacrime, dentro di lei.
La sala d’attesa dell’ospedale era piena di agenti.
Insieme ad essi, oltre all’ispettore Megure, Yumi e Shiratori, c’erano anche
Ran e Conan.
Il bambino aveva insistito tanto per venire e
nessuno aveva potuto dirgli di no: in fondo, era stato lui a chiamare aiuto ed
era sinceramente preoccupato per Takagi.
In realtà Conan era furioso: Nessuno poteva
immaginare che quel piccolo corpo potesse contenere tanta rabbia.
Ancora una volta…
Ancora una volta gli Uomini in Nero avevano colpito
con violenza, ed erano spariti nell’ombra.
Anche se Gin era scomparso per sempre, questa
volta. Non sapeva se esserne ‘contento’ o meno: la vendetta è un sentimento che
non aveva mai sperimentato, e dal quale cercava di tenersi lontano, ma ora… ora
era più difficile del solito, mantenere una visione dell’insieme lucida e
distaccata.
Inoltre, con Gin morto, le possibilità di rintracciare
l’Organizzazione per tornare adulto, si assottigliavano…
Conan guardò Ran, intenta a parlare con Yumi e
Shiratori : provò ad immaginare cosa avrebbe fatto lui, se il bersaglio degli
Uomini in Nero fosse stata lei…
Una stretta al cuore gli impedì di continuare il
pensiero: faceva troppo male, anche solo ipotizzare una cosa simile. Ran si
accorse del suo viso triste, e lo prese in braccio accarezzandogli i capelli.
“Sta’ tranquillo: vedrai, che l’agente Takagi starà
bene…”
Conan la abbracciò forte: non gli era sfuggita
l’incertezza di quelle parole…
Ormai, non si trattava più di un estraneo… Takagi
era un amico, una di quelle persone ormai rare che sanno prestare attenzione
anche a dei mocciosi come loro, sanno ascoltare con una gentilezza unica anche
il più piccolo problema, e si sforzano al limite delle loro possibilità e
oltre, per aiutare chi sta loro vicino.
Non era giusto che alla fine di tutto, fosse
proprio una persona simile a rimetterci… ma Conan sapeva bene che il mondo
funzionava da sempre in quello stupido modo, senza che nessuno potesse farci
nulla.
La ‘Legge del più forte’…la legge del più stupido!
La porta della saletta si aprì, lasciando entrare
uno dei medici e Sato, che era uscita miracolosamente illesa dallo scontro.
Almeno, esteriormente…
Senza dire una parola, la ragazza si sedette in un
angolo rivolgendo, di tanto in tanto, lo sguardo alle sue mani, abbandonate in
grembo.
Il sangue… il sangue di Takagi che fino a qualche
ora fa le ricopriva, era stato lavato via.
Ma…
Rimaneva l’odore, il sapore metallico e pungente
della Morte.
Il dottore, dopo aver parlato un po’ con
l’ispettore Megure, uscì silenziosamente. Megure si sedette vicino a Yumi e
Ran, per informarle sulla situazione.
“Il proiettile ha perforato un polmone, ma per
fortuna non ha toccato il cuore… se l’operazione andrà bene… si salverà.”
Le due ragazze sospirarono, sollevate. Ran strinse
più forte Conan a sé.
L’ispettore continuò.
“Yumi, accompagna a casa Ran e il piccolo Conan:
l’operazione sarà lunga…”
“Sì signore.”
In quel momento Sato si alzò, barcollando
impercettibilmente. Gli sguardi di tutti erano su di lei, apprensivi e incerti
sul da farsi.
“…Potresti accompagnare anche me? Vorrei… vorrei
andare a casa…”
“Certo.”
Yumi le si avvicinò, sorreggendola mentre si
avviava con Conan e Ran, verso l’uscita.
Dopo aver lasciato Sato a casa sua, Yumi rimise in
moto l’auto, per accompagnare Ran e Conan. Il bambino si era addormentato, e
ora riposava tranquillamente sul sedile posteriore.
Dopo un lungo silenzio, Ran si decise a fare una
domanda che da un po’ le ronzava in testa.
“Yumi, posso chiederti una cosa… personale?”
“Dimmi.”
“La signorina Sato… non ha mai pianto?”
Era vero: per tutto il tempo, all’ospedale, nessuna
la aveva vista versare una lacrima. E non si poteva certo dire che non fosse
tremendamente scossa, per ciò che era successo a Takagi…
Yumi sorrise, un sorriso forzato e un po’ triste.
“Non farti ingannare dalle apparenze: Miwako sembra
una donna forte e decisa, e come agente lo è di sicuro… ma in realtà è molto
più fragile di quanto si possa pensare, e dalla morte del padre ha cominciato a
reagire al dolore in quel modo…”
“Cioè?”
“Ha cominciato a costruirsi come un muro attorno,
una corazza, uno scudo che non lascia entrare il dolore…”
Fece un sospiro rassegnato, scotendo la testa.
“…Ma che non lo lascia neanche uscire.”
Ran abbassò la sguardo, annuendo comprensiva:
andare avanti comprimendo la tristezza e le lacrime dentro di sé, nascondendole
alla vista degli altri… lei sapeva cosa voleva dire.
E a volte faceva male. Un male quasi
insopportabile, che rimbombava dentro.
Yumi le sorrise, per tirarla su di morale.
“Non ti preoccupare: non appena Takagi si sarà
rimesso, vedrai che prima o poi lui riuscirà a far cedere le difese di Sato!”
la ragazza accese i fari dell’auto, che sfrecciava
tagliando il buio ormai vicino e la foschia serale.
“E’ l’unico in grado di farlo…”
Ran la guardò, con sguardo interrogativo.
“Perché proprio lui?”
Yumi rise, sorpresa.
“Ma come?! Non è lampante?”
Tornò a concentrarsi sulla strada davanti a lei,
cercando di distinguere le sagome degli edifici, nella nebbia.
“Lo ha dimostrato anche questa volta: perché la ama
d’avvero. Più della sua stessa vita…”
“Rimani qui, non uscire per nessun motivo!”
“E tu?”
…
“Takagi…? Dove sei? Perché non rispondi? Takagi?!
Takagi!! Avevi detto che sarebbe andato tutto bene! Takagi!”
Lui non c’è.
“Avevi detto…”
Lui non c’è più. Non può più sentirti, ora.
“Chi sei?”
Lo sai bene…
“Cosa vuoi? Chi sei venuta a prendere questa
volta?”
Lui non c’è più…
“No! Non è vero! Lui…”
Sono venuta a prenderlo.
“BASTA! Basta, non voglio più … vattene!! Lasciami
in pace, lasciaci in pace!!!”
Sono qui per lui.
“NO!! Non lo toccare! Non lascerò che me lo porti via!! Non ora che … ora che…”
‘Ora che’ cosa? Ora che ti sei resa conto di amarlo? Ora che hai capito quanto lui sia importante nella tua vita?
Ora che sai piangere per lui?
“Non… non portarmelo via! Ti prego…”
Rispondi. Hai visto fin dove si spingerebbe, per te…
Ma tu, TU QUANTO SEI DISPOSTA A RISCHIARE, SOLO PER
LUI?
Sato si svegliò di soprassalto, madida di sudore. Sia alzò dal letto, incerta sulle gambe che non volevano saperne, di sorreggerla.
Sentiva la gola secca, il respiro pesante, gli occhi umidi…
Quell’incubo tremendo doveva finire, doveva lasciarla libera, una volta per tutte!
Quanto sei disposta a rischiare…
La verità era che rischiava sé stessa: sentire ancora una volta quel dolore lancinante e sordo che la aveva attanagliata con la morte di suo padre, quel senso di perdita definitiva, quell’ammissione di debolezza e impotenza…
Fece qualche respiro profondo, deglutendo a fatica: no, non si sarebbe concessa anche quel pianto, quell’ulteriore umiliazione!
Sorpresa, Sato scoprì di non riuscire a controllare il tremore che l’aveva nuovamente afferrata.
Senza pensare portò le mani al viso: poteva ancora sentire il profumo sottile di lui, tra l’odore del sangue, della terra e della polvere di quell’inferno.
Quanto sei disposta a rischiare?
Si appoggiò al muro freddo, respirando forte, chiudendo gli occhi, le orecchie, il pensiero a quella domanda troppo difficile.
“Andrà tutto bene…”
Sato scivolò lungo la parete, accartocciandosi sul pavimento come carta che brucia.
“Bugiardo…”