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Autore: Eros and Thanatos    17/03/2010    0 recensioni
Due senza-volto. Due dimenticati. Due storie intrecciate. E un viaggio che li accomuna... // Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone (John Steinbeck)
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il viaggio cominciò quasi per gioco, per vedere cosa fosse capace di fare. Di una cosa sola era certo: da qualche parte sarebbe arrivato.
Avrebbe conosciuto molte persone, visitato luoghi sconosciuti.
Ma soprattutto gli interessavano i luoghi sconosciuti.
I suoi contatti con la civiltà si erano affievoliti col passare degli anni, se mai aveva avuto con-tatti con altre persone. Muto dalla nascita, orfano di entrambi i genitori, Lui non sapeva leggere né scrivere, non sapeva parlare e non sapeva contare, non sapeva quanti anni avesse e non sapeva nemmeno il suo nome.
In compenso gli piaceva molto osservare. Passava intere giornate appollaiato sul ramo di un albero, come uno scoiattolo, cercando di vede-re il paesaggio oltre i tetti della città e oltre le montagne. Un giorno, pensò di partire. Non aveva niente che lo legasse a quella piccola città, nessun legame con quelle strade polverose in cui gli altri bambini giocavano a palla, nessun legame con i tetti che in inverno si ricoprivano di neve.

E nessun legame con quei pochi alberi all’interno delle mura su cui si arrampicavano indistintamente gatti domestici e scoiattoli selvatici. Solo talvolta guardava gli uccellini sbucare da dietro le mura e posarsi nel loro nido, sui rami nodosi e robusti di un vecchio olmo.
Senza dire niente a nessuno, uscì dalla porta della città e cominciò a camminare.
Non si ricordava da quanto camminava, ma ben presto le giornate si fecero più fredde, il cielo diventò dell’opaco grigio invernale e la neve iniziò a posarsi sul sentiero all’interno del bosco. Ma pareva che Lui non sentisse freddo, camminava di notte e di giorno indistintamente, senza mai fermarsi, senza mai dormire, lo sguardo sempre puntato su quelle montagne innevate lì in fondo. Non sapeva se le avrebbe raggiunte o se si sarebbe fermato prima o come mai avesse deciso tutto a un tratto di partire. Voleva solo camminare. La sua voce non era mai arrivata lontano, ma forse le sue gambe mingherline avrebbero avuto più successo, o almeno così sperava.
Dopo chissà quanti giorni, la neve gli arrivava ormai alla vita e il vento talvolta pareva potesse abbattere anche le vecchie querce che fiancheggiavano il sentiero, le montagne non parevano volersi avvicinare e Lui continuava a camminare imperturbabile.
Gli unici elementi costanti nel paesaggio erano tre: Lui, le città che scorrevano come fiumi alla sua destra e le montagne.
Un giorno le città scomparvero, smettendo improvvisamente di scorrere. In compenso però, al suo fianco cominciò a scorrere un fiume che si rimpiccioliva man mano che Lui avanzava.
- Ma cosa “cercare”? Perché “andare” verso quelle montagne? E perché quelle montagne appaiono sempre così lontane? Forse non sono ferme ma si allontanano man mano che “avvicinare”? – pensò
Quando doveva riferirsi a sé, usava sempre i verbi all’infinito.
Questo perché non riusciva ad accettare di essere qualcuno. Nessuno lo cercava e nessuno si ricordava di lui. In ordine, di solito ci si dimentica del volto di una persona, poi del suo nome e poi della sua voce. Lui aveva solo il volto, ma spesso preferiva coprirlo con un lembo del vestito. Tanto nessuno lo guardava! Così era diventato una specie di bambino fantasma, avvolto nella sua mantellina bianca, vecchia e logora, senza volto, senza nome e senza voce. Lui era Lui, il dimenticato.
Dopo molti passi, dopo molte albe e dopo molti tramonti, il fiume si trasformò in ruscello, il bosco scomparve per far posto ad una landa ghiacciata. Lui, dopo così tanto tempo, si fermò. Dinnanzi a lui, c’erano un’alta parete di roccia. Attraversò la piana innevata, incedendo faticosamente, quasi nuotando nella neve, non potendo sollevare il piede al di sopra di essa.
Poi allungò una mano e toccò la montagna.
Rimase così per non so quanto tempo, forse ore, giorni, anche settimane. Rimase lì fermo, quasi senza respirare. Quando si ridestò tornando in sé, si accorse che la neve era sciolta e aveva fatto posto a un grande prato fiorito. Si rese poi conto di non essere solo. Una macchia scura si mosse alle sue spalle. Lui si voltò e si trovò davanti un lupo dal pelo argentato, dagli occhi cangianti.
Il lupo lo guardò negli occhi e piegò la testa di lato.
Il lupo non aveva un nome, i suoi contatti con il branco si erano affievoliti col passare degli anni, se mai aveva avuto contatti con altri lupi. Muto dalla nascita, orfano di entrambi i genitori, Lui non sapeva seguire le orme e non sapeva nuotare nell’acqua fredda dei torrenti, non sapeva ululare e non sapeva guaire, non sapeva quanti anni avesse e non sapeva nemmeno il suo nome.
In compenso gli piaceva molto osservare. Passava intere giornate seduto sul limitare del bosco, come un cagnolino, cercando di vedere il paesaggio oltre le cime degli alberi vicino al-la città e oltre le montagne.
Un giorno, pensò di partire. Non aveva niente che lo legasse a quel piccolo bosco, nessun legame con quelle lande sconfinate in cui gli altri cuccioli giocavano, nessun legame con le fronde degli alberi che in inverno si ricopri-vano di neve. E nessun legame con quelle case all’interno delle mura della città su cui si arrampicavano indistintamente gatti domestici e scoiattoli selvatici.
Un giorno senza dire niente a nessuno, uscì dal bosco e cominciò a camminare.
Non si ricordava da quanto camminava, ma ben presto le giornate si fecero più fredde, il cielo diventò dell’opaco grigio invernale e la neve iniziò a posarsi sul sentiero all’interno del bosco. Eppure pareva che Lui non sentisse freddo, camminava di notte e di giorno indistintamente, senza mai fermarsi, senza mai dormire, lo sguardo sempre puntato su quelle montagne innevate lì in fondo. Non sapeva se le avrebbe raggiunte o se si sarebbe fermato prima o come mai avesse deciso tutto a un tratto di partire. Voleva solo camminare. La sua voce non era mai arrivata lontano, ma forse le sue zampe mingherline avrebbero avuto più successo, o almeno così sperava.
Gli unici elementi costanti nel paesaggio erano tre: Lui, le città che scorrevano come fiumi alla sua destra e le montagne.
- Ma cosa “cercare”? Perché “andare” verso quelle montagne? E perché quelle montagne apparire sempre così lontane? Forse non sono ferme ma si allontanano man mano che “avvicinare”? – pensò.
Quando doveva riferirsi a sé, usava sempre i verbi all’infinito.

Questo perché non riusciva ad accettare di essere qualcuno.
Nessuno lo cercava e nessuno si ricordava di lui. In ordine, di solito ci si dimentica del volto di una persona, poi del suo nome e poi della sua voce. Lui aveva solo il volto, ma spesso preferiva nasconderlo abbassando il muso. Tanto nessuno lo guardava! Così era diventato una specie di lupo fantasma, col suo pelo grigio, senza volto, senza nome e senza voce. Lui era Lui, il dimenticato.
Dopo molti passi, dopo molte albe, dopo molte lune e dopo molti tramonti, il fiume si trasformò in ruscello, il bosco scomparve per far po-sto ad una landa ghiacciata. Lui dopo così tanto tempo, si fermò. Dinnanzi a lui, c’erano un’alta parete di roccia. Attraversò la piana innevata, incedendo faticosamente, quasi nuotando nella neve, non potendo sollevare le zampe al di sopra di essa. Poi allungò il muso e toccò la montagna.
Rimase così per non so quanto tempo, forse ore, giorni, anche settimane. Rimase lì fermo, quasi senza respirare. Quando si ridestò tornando in sé, si accorse che la neve era sciolta e aveva fatto posto a un grande prato fiorito. Si rese poi conto di non essere solo. Affianco a lui c’era un bambino che lo guardava attentamente, con curiosità, senza timore.
Il ragazzo aprì la bocca come per parlare e pensò – Ciao –
Contemporaneamente anche una voce titubante disse – Ciao –
Il bambino, spaventato, pensò – Chi ha parlato? -
Contemporaneamente una voce titubante disse – Chi ha parlato? – – É impossibile, qui non c’è nessuno – pensò.
Contemporaneamente una voce titubante disse – É impossibile, qui non c’è nessuno –
Il bambino rimase in silenzio. Dopo lunghi attimi capì cosa fosse successo.
– Ho parlato – disse. Poi ascoltò la sua voce echeggiare giù nella vallata – Ho parlato –
Il lupo rimase sbalordito. Era convinto che il ragazzo fosse muto. Lo capiva dai suoi atteggiamenti scostanti, in un certo senso, guardando il bambino per lui era come avere uno specchio davanti, uno specchio deformante che gli cancellava il pelo scuro, gli cambiava la forma del muso e gli toglieva due zampe e una coda. Ma nessuno specchio avrebbe potuto cambiare quello che lui era realmente. Quasi senza accorgersene mosse qualche passo verso la parete di roccia e pestò una roccia acuminata. Subito guaì di dolore. Guaì? Si, aveva proprio guaito. Titubante provò a ululare e ci riuscì.
Il bambino vide il lupo ferirsi alla zampa e riuscì a provare il suo dolore, a sentire i suoi pensieri nella sua mente.
E il lupo sentì i pensieri del bambino e li capì, ma non si sorprese più.
– Certo che è proprio strano questo posto, ab-biamo cominciato un lungo viaggio per arrivarci e ora… –
– Già – pensò il lupo – Peccato che non ci sia la neve… – sospirò. E improvvisamente il prato con i suoi fiori colorati fu ricoperto da uno spesso mantello bianco.
– Secondo te si possono superare queste montagne? – chiese il bambino. E subito nella roccia comparvero delle scale.
Senza proferire parola, lupo e bambino, Lui e Lui si incamminarono su per la fiancata della montagna.
– A proposito, come ti chiami? – chiese il lupo.
– Io, ma non saprei, fino a poco tempo fa non mi chiamavo nemmeno, ma se qualcuno si dovesse riferire a me penso che lo farebbe con il nome Lui.
– Come dici? Louis?
Al bambino piacque molto quel suono.
– Si, quello è il mio nome – disse sicuro.
Bene, aveva un volto, aveva un nome e aveva una voce.
– E tu come ti chiami? – chiese.
– Io, non saprei, fino a poco tempo fa non mi chiamavo nemmeno, ma se qualcuno si dovesse riferire a me penso che lo farebbe con il nome Lui –
– Aruuuuuuui? – chiese il bambino cercando di imitare l’ululato del lupo.
Effettivamente era un nome bello, innovativo, e poi, era il primo nome che gli era dato avere.
– Si, quello è il mio nome – disse sicuro il lupo.
Arrivarono in cima alla scalinata, ormai il fondo della valle non si vedeva più, pochi passi e sarebbero arrivati sull’altro versante.
– Sai, ora grazie a te ho un volto, un nome, una voce e un amico… –
cominciò il bambino
– Che buffo, stavo per dirti la stessa cosa anch’io – rise il lupo.
Arrivarono sull’altro versante e spinsero finalmente lo sguardo oltre le montagne… per non vedere niente.
Assolutamente niente. Non nebbia, non il cielo, ma semplicemente il nulla.
I due si guardarono ma non si videro più.
Provarono a chiamarsi ma non riuscirono ad emette alcun suono. La neve aveva ricominciato a scendere, ma solo dal lato del cielo sopra la scalinata.
Louis si accorse di avere freddo. Si tirò su la mantellina, si sedette e si coprì il volto.
Era di nuovo Lui, il dimenticato, senza volto, senza nome, senza voce, senza più voglia di andare avanti, senza più la forza di andare avanti.
Arui non vide più il suo compagno.
Si rannicchiò in quello strano luogo e lì rimase.
Era di nuovo Lui, il dimenticato, senza volto, senza nome, senza voce, senza più voglia di andare avanti, senza più la forza di andare avanti.
Erano partiti insieme, avevano un passato e un viaggio in comune.
Hanno avuto la libertà per pochi attimi che a loro sono parsi lunghissimi. L’ultima cosa che sentirono fu il loro nome appena trovato gridato con la mente nel vento.
L’ultima cosa che videro fu da un lato il raggiunto, dall’altro l’irraggiungibile.
Ed entrambi scelsero di fermarsi lì, nell’incerto, un piede in un luogo, uno nell’altro, dondolando fra possibile e impossibile, come fra l’altro questo racconto.
Magari è partito in modo realistico, e poi ha perso un filo logico. Ma la logica al mondo è solo una: “Meglio fare un viaggio immaginario, che restare fermi immaginandolo”.

SCRITTO A UNDICI ANNI^^
   
 
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