KITE
Something is
about to give
I can feel it coming
I think I know what it means
I'm not afraid to
die
I'm not afraid to live
And when I'm flat on my back
I hope to feel like I did
***
Who's to say
where the wind will take you
Who's to say what it is will break you
I don't know
Which way the wind will blow
Who's to know
when the time has come around
Don't want to see you cry
I know that this is not goodbye.
Il sole splendeva in un cielo azzurro quasi troppo perfetto per
sembrare vero. L'erba ondeggiava lieve nei campi, e la brezza calda di metà
estate faceva stormire dolcemente le foglie degli alberi. Era tardo pomeriggio,
e le ombre cominciavano già ad allungarsi.
Nel tranquillo e silenzioso giardino della Tana,
Harry ascoltava distrattamente il frinire dei grilli, vago e intermittente, e i
rumori lontani della campagna. Si dondolava pigramente sull'amaca appesa tra i
tronchi di due robusti faggi, in un angolo ombreggiato del cortile; una gamba
era distesa sul tessuto, l'altra spenzolava molle verso il basso, così che la
punta del piede nudo sfiorava il terreno. Faceva un caldo soffocante, ed era
stato costretto a togliersi la maglietta, che adesso dondolava appesa a un
ramo, sopra la sua testa. Le uniche cose che aveva addosso erano un paio di
jeans logori, e gli occhiali. Teneva le palpebre socchiuse, e fra le ciglia
osservava il volo degli uccelli in lontananza, con un peso enorme sul cuore.
Erano i primi di agosto, e fra pochi giorni
sarebbe stato il compleanno di Ginny. Di solito i Weasley non mancavano di
organizzare una grande festa per quell'evento: succedeva per il compleanno di
tutti loro, ma nel caso di Ginny, da sempre la più piccola e la più coccolata,
la festa era sempre stata più grande e soprattutto più attesa. Infatti, dopo
cena, tutti si munivano di cappotti e di coperte e salivano fin sul Col
Dell'Ermellino, a qualche chilometro dalla Tana, per guardare le stelle
cadenti: la notte fra il dieci e l'undici agosto, infatti, era la notte in cui
- secondo il signor Weasley, esperto di tradizioni e credenze babbane - le
stelle cadenti si mostravano più numerose.
Harry non aveva mai partecipato ai
festeggiamenti, a parte l'anno precedente. Di solito passava le vacanze dai
Dursley, ma l'estate prima del suo sesto anno a Hogwarts Silente era arrivato a
Privet Drive un giorno di Luglio, per prelevarlo e portarlo con sé in una
specie di missione di convincimento ai danni del Professor Slughorn. Poi
l'aveva accompagnato alla Tana, dove era rimasto per tutto il resto
dell'estate, fino al primo settembre.
Gli occhi ancora socchiusi, realizzò che da quei
giorni era passato già un anno... e quante, quante cose erano cambiate da
allora.
Pensare a Silente gli provocò una stretta
dolorosa al cuore, e subito dopo l'immagine di Snape, il suo viso distorto
dall'odio mentre sollevava la bacchetta e gridava: Avada Kedavra! gli
balenarono davanti agli occhi. Strinse i pugni, quasi inconsapevolmente, e si
sentì - come spesso gli succedeva, negli ultimi tempi - impotente. Avrebbe
voluto poter fare qualcosa per salvare Silente, ma lui l'aveva bloccato con un
incantesimo ed era stato costretto a restare immobile a guardarlo morire per
mano di quel traditore di Snape. Come avevano potuto essere così ingenui, così
ciechi, così stupidi? E come aveva potuto il Professor Silente, con la sua
straordinaria intelligenza e la sua infinita saggezza, lasciarsi trarre in
inganno da quel sordido individuo?
Prese a dondolarsi con più vigore, lo stomaco
annodato, mentre gli tornavano in mente immagini del funerale che si era svolto
a Hogwarts, poco più di un mese prima: la tomba bianca, la superficie del lago
increspata dal vento, i raggi del sole che rilucevano sull'acqua. I volti
addolorati dei partecipanti, e il viso di Ginny, seduta accanto a lui.
Il pensiero di lei non fece che acuire il suo
dolore. Ricordava ancora con spietata chiarezza quello che si erano detti dopo,
alla fine del funerale, mentre la gente intorno a loro cominciava ad alzarsi
lentamente. Aveva dovuto lottare con se stesso per riuscire a dire quello che
aveva detto, e ancora non sapeva come avesse fatto a non scoppiare a piangere
come un bambino, né in quel momento, né più tardi. Non aveva versato una
lacrima, ma il suo cuore stava ancora piangendo, da allora.
Pensò ai suoi occhi scuri, che lo guardavano con
affetto mentre diceva, sottovoce: "E' per qualche nobile e stupida
ragione, vero?", e nonostante tutto l'ombra di un sorriso gli salì alle
labbra. Ginny era straordinaria, e lui era un perfetto idiota, perché ci aveva
messo quasi sei anni per accorgersene. Quanto tempo avevano perso, per colpa
sua? Quanti sguardi, quanti abbracci, quanti baci? Quante passeggiate solitarie
lungo la sponda del lago, quante fughe frettolose nel cuore della notte
attraverso i freddi e bui corridoi di Hogwarts? Era stato così improvviso, e
così breve, quello che avevano vissuto
insieme... e guardando indietro, Harry lo vedeva esattamente nel modo in cui
l'aveva descritto a lei, in quel giorno di fine giugno in cui tutto era finito:
stare con lei per quelle poche settimane gli aveva davvero dato l'illusione di
vivere per un po' la vita di qualcun altro. Per la prima volta, da che
ricordasse, si era sentito normale, ed era stato il suo amore per lei a
donargli quello stato di grazia.
Non era sicuro che Ginny avesse davvero capito
quello che aveva cercato di spiegarle quel giorno. Certo, aveva compreso le
ragioni che l'avevano spinto a troncare la loro relazione, dicendogli che non
si era aspettata niente di diverso da lui, perché lo conosceva bene ed era
anche per quel suo modo di essere che le piaceva così tanto. Ma non poteva
avere davvero idea di quello che avevano significato, nella sua vita, quelle
poche settimane vissute con lei.
Come avrebbe potuto capire, d'altra parte? Per
poterlo fare avrebbe dovuto sapere cosa si provava ad essere sempre sull'orlo
del baratro, in pericolo costante, e con una spada di Damocle appesa sulla
testa. Non glielo augurava, non voleva che capisse. Era anche per questo che
l'aveva lasciata: non voleva nessun tipo di condanna nella vita di lei, nessun
maledetto marchio a minacciarla più di quanto non fosse necessario. Avebbe
voluto nasconderla da qualche parte per sempre, e tenerla al sicuro da ogni
pericolo... ma non poteva. Come avrebbe potuto proteggerla, quando era lui
stesso a rappresentare il pericolo più grande per lei? Era triste, e
frustrante, che l'unico modo che aveva per proteggere la persona che amava
fosse farsi da parte e starle il più lontano possibile.
Aveva pensato di non vederla più. Avrebbe voluto
riuscirci, ma era stato impossibile. Primo, perché i Weasley avevano insistito
perché lui partecipasse al matrimonio di Bill e Fleur, che si sarebbe tenuto a
Ferragosto. Secondo, perché in ogni caso aveva troppa voglia di lei. Non necessariamente
del suo corpo: non l'aveva toccata con un dito, da quando era arrivato alla
Tana, e non aveva intenzione di farlo in futuro. Ma nei pochi giorni che aveva
passato dai Dursley aveva sentito terribilmente la sua mancanza, e si era
accorto di avere bisogno di una dose di Ginny, almeno ogni tanto: gli bastava
guardarla, vederla ridere o riflettere accigliata su qualcosa, per sentirsi
sollevato. Ginny era il suo tesoro, e la sua condanna. L'amava disperatamente e
proprio per questo non poteva fare altro che guardarla da lontano.
Continuò a dondolarsi ancora per un po', lo
sguardo fisso sul cielo terso, finché udì la porta della Tana sbattere
leggermente. Il rumore echeggiò chiaro nel silenzio sonnacchioso del
pomeriggio, e Harry spostò gli occhi in direzione della casa, mentre la sua
mano si muoveva meccanicamente verso la bacchetta che teneva quasi sempre
infilata nella cintura dei jeans. Era strano: pensava che, a parte lui, non ci
fosse nessuno nei paraggi.
Dopo qualche secondo di silenzio, vide Ginny che
emrgeva dalla porta del capanno, con in mano un oggetto misterioso avvolto in
una carta marrone: non gli riuscì assolutamente di capire di cosa si trattasse.
La osservò incuriosito mentre, piccola e svelta com'era, attraversava il
cortile e spariva nel piccolo bosco che cominciava a pochi metri dalla fine del
giardino.
Ginny, accidenti,
pensò Harry, tirandosi su a sedere. Non dovresti uscire dal giardino da
sola, e senza bacchetta per giunta.
Scese dall'amaca camminò a piedi nudi sull'erba,
dirigendosi verso il punto dove lei era sparita pochi secondi prima.
La vide camminare veloce, e inoltrarsi fra gli
alberi: la sua zazzera rossa catturava i raggi del sole ed era difficile
perderla di vista, in mezzo a tutto quel verde. Entrò anche lui nel bosco, e
subito l'ombra della vegetazione gli comunicò un senso di sollievo, facendolo
rabbrividire un po'. Ovviamente, nella fretta si era scordato di prendere la
maglietta.
Ginny camminò per qualche minuto, seguendo una
stradina sterrata che Harry non aveva mai percorso prima. Faticò un po' a
starle dietro, perché camminare a piedi nudi sui sassi non era certo
un'esperienza piacevole... e nemanche a dirlo, aveva dimenticato di portarsi
dietro anche le scarpe.
Per fortuna , il tragitto non durò eccessivamente
a lungo: raggiunta una piccola radura all'interno del bosco, Ginny rallentò il
passo. Avvicinandosi, Harry notò che erano proprio sotto il fianco della
montagna, e aguzzando l'udito sentì rumore di acqua corrente, non troppo
lontano.
Ginny si fermò ai margini della radura, e si
guardò intorno. Colto alla sprovvista, Harry si gettò di lato, nascondendosi
fra gli alberi prima che lei potesse vederlo. Appoggiò la schiena al tronco
ruvido di una quercia, e sospirò di sollievo quando, sporgendosi leggermente,
la vide proseguire e attraversare la radura, come se niente fosse.
Sempre tenendosi nascosto fra gli alberi,
ricominciò a seguirla. Non voleva che lo vedesse: avrebbe potuto pensare che la
stesse seguendo per spiarla, o per tormentarla con la sua presenza che - lo
sapeva bene - in parte la faceva soffrire... mentre invece stava solo cercando
si assicurarsi che non le accadesse nulla di male.
Costeggiò la radura, mentre lei la tagliò
direttamente: Harry dovette aumentare il passo per non perderla di vista.
Svoltò oltre il fianco della montagna, e dopo qualche attimo lui fece
altrettanto.
Quello che vide oltre l'angolo lo lasciò
letteralmente senza fiato.
C'era un fiumiciattolo, là dietro, che scendeva
dalla vetta della montagna e, dopo un salto di qualche metro e un breve
percorso in orizzontale, si tuffava sottoterra nel mezzo di un'altra radura,
simile a quella che aveva appena attraversato. Tutto intorno la vegetazione si
richiudeva su se stessa, come a proteggere quel piccolo angolo di mondo, e i
raggi del sole giocavano fra le foglie degli alberi, creando sul terreno e
sull'acqua degli strani giochi di luce.
Era così incantato da quel posto che perse di
vista Ginny per qualche secondo. Quando portò di nuovo gli occhi su di lei,
sentì le viscere contrarsi in una morsa quasi dolorosa e il respiro morirgli in
gola, come se si fosse buttato da un precipizio altissimo.
Ginny era antrata in acqua, e camminava
lentamente verso la piccola cascata, i lunghi capelli rossi che ondeggiavano
lievi sulla sua schiena candida. Il suo vestito verde, quello corto e
impalpabile che a Harry era sempre piaciuto tanto anche se il colore faceva
decisamente a pugni con quello dei suoi capelli, era posato sul greto del
ruscello, un cumulo informe di stoffa leggera. Posato lì accanto c'era lo
strano oggetto incartato che Harry ancora non era riuscito a identificare.La
guardò mentre con le mani sfiorava la superficie dell'acqua, e notò che man
mano che avanzava il livello aumentava. Poteva vederla solo di spalle, e in
cuor suo ringraziò che fosse così: se avesse dovuto vedere dell'altro, non era
sicuro di poter rispondere di se stesso. Si appoggiò al tronco di un albero, e
sospirò.
Ginny arrivò ai piedi della cascata, dove l'acqua
le arrivava ormai fin quasi alle spalle, e si immerse completamente,
scomparendo per qualche secondo sotto la superficie. Ricomparve quasi subito,
con i capelli che, bagnati, erano diventati di un rosso più scuro. Li scosse un
po', pettinandoli con le mani, e rise divertita, mentre il sole la colpiva sul
viso, facendole socchiudere le palpebre. Era così bella, così perfetta, che a
Harry vennero le lacrime agli occhi, mentre sul suo volto si apriva un sorriso
di insensato, stupido orgoglio.
E' meravigliosa...,
pensò, con la guancia appoggiata al legno del tronco. E' unica, speciale...
ed è mia.
Quando le lacrime gli appannarono la vista,
chiuse le palpebre e lasciò che le piccole gocce calde gli scivolassero lente
lungo le guance. Si sentiva così stanco, così annientato... eppure, così
felice. Avrebbe tanto voluto che quella potesse essere una giornata diversa,
piena di risate, di carezze e di sguardi che gli mancavano ogni momento di più.
La consapevolezza di non poter fare nulla per percorrere e cancellare la
distanza che li separava lo sfiniva dentro, ma il pensiero dei momenti che
avevano vissuto, oltre a colmarlo di nostalgia, sembrava cullarlo dolcemente e
tenerlo per mano, sempre.
Riaprì gli occhi. Ginny era ancora in acqua, ma
si era voltata, e da quella posizione avrebbe potuto facilmente vederlo. Pensò
di nascondersi, ma qualcosa glielo impedì... forse voleva essere scoperto.
Voleva che lei lo credesse uno stupido, spregevole guardone che si era soltanto
divertito a farla soffrire una volta di più. Rimase a guardarla per quella che
gli sembrò un'eternità, in silenzio, in quell'universo di erba e di acqua
screziate di sole.
Ma lei non lo vide e, passato quello strano
attimo di follia, Harry si tirò indietro. La guardò uscire dall'acqua, scuotere
ancora i capelli e offrire il viso ai raggi del sole, col suo sorriso da
bambina. Era così emozionato che quasi non notò il fatto che fosse
completamente nuda. Sapeva solo che avrebbe voluto correre da lei e
abbracciarla forte, seppellire il viso nei suoi capelli e respirare quel suo
odore meraviglioso di fiori.
La osservò infilarsi il vestito e vide che il
tessuto leggero si increspava leggermente sulla sua pelle ancora umida. Prese
lo strano oggetto e si incamminò di nuovo verso l'interno del bosco, ma non in
direzione della Tana. Harry trasse un lungo respiro, chiedendosi se ce
l'avrebbe fatta a staccarsi dal tronco dell'albero senza cadere, e uscì dal
folto degli alberi. Camminò a piedi nudi sull'erba umida e fresca, e la seguì a
qualche passo di distanza, cercando di non fare troppo rumore.
Poco lontano c'era un'altra radura, ma molto più
grande dell'altra: qui gli alberi si aprivano completamente al sole e al cielo,
e l'erba era più alta, arrivava alle ginocchia. Ginny si fermò a scartare
l'oggetto misterioso, e per qualche attimo fu impegnata a trafficare
misteriosamente. Era di spalle rispetto a Harry, per cui lui non riuscì a
capire cosa stesse facendo finché non la vide sollevare in aria quello che, poi
capì, aveva appena costruito con le sua mani.
Gli venne da sorridere. Era un aquilone, il suo
aquilone: lo aveva comprato l'anno precedente per regalarlo a lei, in occasione
del suo compleanno, ma poi non era mai riuscito a insegnarle a farlo volare.
Avevano passato quasi tutto il tempo a giocare a Quidditch, e l'aquilone era
finito chissà dove, disperso fra mille altre cose. Ricordava di aver persino
pensato che Ginny non avesse gradito particolarmente quel dono. Invece, eccolo
lì... dopo un anno, ancora intatto e pronto a prendere il volo.
Ginny lo tenne per un attimo alzato, e la tela
colorata risplendette al sole. Poi lo lasciò andare e cominciò a correre,
tendendo lo spago nella speranza che l'aquilone si staccasse da terra. Ma non
successe niente del genere.
Mentre la guardava provare e riprovare, Harry
sorrise e appoggiò la guancia alla corteccia dell'albero, cercando di capire
quale fosse la cosa che più amava di lei. Di certo non si trattava di un
particolare fisico: certo, la trovava meravigliosa, ma era come se tutto il
resto, in lei, fosse talmente abbagliante da offuscare questo aspetto della sua
persona. Amava il suo coraggio, la sua determinazione, il suo modo deciso e
aperto di affrontare ogni situazione, anche la più difficile. Adorava il suo
senso dell'umorismo graffiante, la sua ironia divertente, le sue buffe
imitazioni e persino i suoi scherzi idioti. Lo faceva impazzire la sua
dolcezza, il modo in cui lo baciava, l'abbandono con cui lo stringeva in certe
situazioni. Amava la luce nei suoi occhi, quando lo guardava. Ricordò che
l'aveva guardato in quel modo anche il giorno in cui l'aveva lasciata, e il
cuore gli si strinse, pieno di rimpianto.
Quando la vide fallire per l'ennesima volta, si
staccò dal tronco dell'albero e camminò lentamente verso di lei, che si era
chinata a raccogliere l'aquilone da terra.
"Devi correre più veloce..." le disse,
con dolcezza, fermandosi a pochi passi da lei.
Ginny sobbalzò, spaventata, e lasciò cadere
l'aquilone sull'erba. Si voltò di scatto, gli occhi sgranati e una mano stretta
al petto. Quando lo riconobbe, chiuse gli occhi e rifiatò.
"Mi hai fatta morire di paura!" esalò,
con voce tremante. Sollevò le palpebre e le sbatté un paio di volte,
guardandolo con aria curiosa. "Da quanto stai lì a spiare i miei goffi
tentativi, signor esperto di aquiloni?" chiese, con un mezzo sorriso,
mentre si rimetteva a posto una ciocca di capelli umidi dietro l'orecchio.
"Da un po'..." ammise lui, sorridendo a
sua volta, divertito. "E ho visto che non sei migliorata affatto,
dall'anno scorso."
"Oh." Ginny incrociò le braccia sul
petto, sollevando le sopracciglia. "E questo è male?"
"Malissimo." Harry la guardò ancora un
attimo, poi le passò accanto e si chinò a raccogliere l'aquilone. "Ma non
vuol dire che non si possa finalmente rimediare, giusto?"
"Giusto" concesse lei, che si era
voltata a guardarlo, sempre nella stessa posizione di prima.
Harry le lanciò un'occhiata divertita. "Beh,
vuoi restare lì con le mani in mano, o vuoi imparare come si fa?"
"Io vorrei imparare, ma magari tu non
sei così bravo come insegnante" ribatté Ginny, impertinente. Era chiaro
dalla sua espressione che si stava divertendo un mondo a provocarlo, e Harry si
sentiva bene e male insieme: si odiava per quello che sentiva dentro in quel
momento. Si chiese se lei riuscisse a leggergli nello sguardo tutto l'amore che
provava per lei.
"Questo lo vedremo..." le disse,
raccogliendo la sfida implicita nelle sue parole.
Si sorrisero, nel sole del tardo pomeriggio, e
Harry sollevò in alto l'aquilone.
"Okay,Ginny" mormorò, porgendole il
filo arrotolato. "Adesso prendi questo, tienilo in alto e corri."
Lo prese, con aria un po' scettica. "Ve
bene."
Lo guardo allontanarsi di qualche passo, i
capelli ancora umidi che le dondolavano sulla schiena. Si voltò a guardarlo:
"Vado?"
"Vai!" la incitò, sollevando ancora di
più l'aquilone con entrambe le mani.
Ginny cominciò a correre, tenendo lo spago alto
sopra la spalla. Harry la seguì per un metro o due, poi lasciò andare
l'aquilone, che a tutta prima sembrò rifiutarsi di collaborare e si imbarcò,
puntando decisamente verso terra.
"Non sta funzionando!" esclamò Ginny,
che si era girata a metà per controllare. Era già parecchio lontana.
"Continua a correre!" gridò Harry,
agitando una mano. "Non ti fermare!"
L'aquilone adesso sfiorava la sommità dell'erba
alta. Ginny faceva fatica a correre, ma non si fermò. Harry la rincorse,
facendosi largo fra l'erba alta, e in quel momento l'aquilone si levò alto,
traspostato da una corrente improvvisa.
Ginny sentì il filo tendersi e si girò, stupita.
"Non ti fermare!" esclamò Harry,
continuando a correre. "Non ancora!"
Aveva una voglia tremenda di ridere, e non sapeva
nemmeno perché. L'aquilone si librò leggero contro l'azzurro del cielo,
vibrando leggermente, e il sole lo fece risplendere come un piccolo gioiello
colorato.
Harry raggiunse Ginny, che ancora correva, e disse:
"Fermati, adesso, ma non abbassare il
filo... e tiralo..."
Ginny si fermò, e si voltò per guardare
l'aquilone alto nel cielo. Il sole stava quasi per tramontare, e la luce
rossastra le colorò il viso, mentre rideva estasiata.
"E' bellissimo!" esclamò, con gli occhi
che brillavano. "Oh, Harry, è meraviglioso!"
Lui sorrise, e le strinse le braccia intorno alla
vita, da dietro. Se la tirò vicino, facendole appoggiare la schiena al suo
petto.
"Dà uno strattone al filo" mormorò,
sperando che la voce non gli tremasse troppo. "E allungalo un altro po'...
volerà ancora più alto."
Ginny obbedì. Dopo il primo strattone, l'aquilone
si spostò leggermente di lato e per qualche secondo sembrò che volesse
precipitare. Ginny gridò, ma Harry chiuse le dita intorno alla sua mano, quella
che reggeva il filo, e diede un altro strattone. L'aquilone si sollevò ancora,
vibrando nel vento caldo.
"Tutto a posto..." disse Harry,
lasciandole andare la mano.
Avrebbe dovuto lasciarla andare del tutto, ma non
ne ebbe la forza. Ginny continuò a guardare l'aquilone, e a tenere alto il
filo. L'altra mano salì a posarsi su quelle di lui, intrecciate poco sotto al
suo seno. Gli appoggiò la nuca contro la spalla, e socchiuse gli occhi,
abbadonandosi un po' di più contro di lui.
Harry sentì di nuovo quell' odioso nodo serrargli
la gola. Il senso di nostalgia che lo invase minacciò di stordirlo. Senza
pensare, abbassò la testa e nascose il viso contro il collo di lei, fra i suoi
capelli freschi, morbidi e profumati.
"Non immaginavo che fosse così" disse
Ginny, piano.
"Cosa?" chiese Harry, sfiorandole la
pelle con le labbra.
"Veder volare un aquilone" spiegò lei,
con un piccolo sospiro.
"Non lo stai solo vedendo. Lo stai facendo
volare" mormorò Harry, sorridendo. Aveva chiuso gli occhi, e gli sembrava
di annegare.
"E' vero..." considerò Ginny, felice.
Voltò un poco il viso, e aggiunse: "Ma perché tu non guardi...? Se tieni
gli occhi chiusi, ti perderai tutto il volo..."
Harry scosse piano la testa, e la strinse più
forte. Aveva una disperata voglia di piangere.
Avrebbe voluto continuare a stringerla a sé e non
lasciarla mai più andare via. Ricordò quel giorno al funerale di Silente,
quando si era alzato dalla sua sedia e se n'era andato, lasciandola da sola.
Era stato costretto a strapparsi da lei, dai suoi occhi, dalla sua voce. Aveva
dovuto farlo... altrimenti non sarebbe stato capace di mantenere fede ai suoi
propositi. Ma non avrebbe mai, mai potuto smettere di amarla.
Era quasi sera quando Ginny si decise a far
scendere definitivamente l'aquilone. Era riuscita a farlo volare diverse volta
anche senza l'aiuto di Harry, e si stava vantando di apprendere le cose molto,
molto in fretta.
"Molto in fretta?" rise lui, mentre le
camminava accanto fra l'erba alta, le mani affondate nelle tasche dei jeans.
"Ma se è un anno che siamo dietro a questo benedetto aquilone!"
Si erano allontanati parecchio dal bosco, alla
ricerca di punti dove ci fosse una corrente migliore: intorno a loro c'erano
solo prati e campi coltivati. La Tana si intravvedeva in lontananza,
accoccolata poco sotto al fianco della montagna.
"Non è vero!" protestò lei,
imbronciata. Teneva l'aquilone fra le mani, ancora montato. "L'anno scorso
tu... non mi hai mai dato lezioni private come questa."
Harry rifletté che era vero: avevano sempre
cercato di farlo volare quando c'erano anche tutti gli altri a provare con
loro, e non ci erano mai riusciti una volta. Si rese conto, improvvisamente,
che forse era stato proprio in quei giorni di sole, ancora spensierati, ancora
così distanti dal dolore che poi li avrebbe ghermiti, che aveva cominciato a
innamorarsi di lei.
"Non me l'hai mai chiesto" le fece
notare, gettandole di sfuggita un'occhiata divertita. "Anzi, pensavo che
il mio regalo non ti fosse piaciuto, visto che l'ho visto sparire così in
fretta..."
"Non era sparito" disse Ginny,
sorridendo. "L'avevo solo messo in un posto sicuro, per evitare che
qualcuno lo rompesse o... o che lo usasse al posto mio."
"Ma un aquilone è fatto per essere
usato,no?" disse Harry. "E comunque, non mi sembrava che fossi così
entusiasta di usarlo neppure tu..."
"Un aquilone qualsiasi, forse" osservò
lei, guardandosi i piedi mentre continuavano a camminare. "Non il tuo. Non
quando era l'unico regalo che avessi mai ricevuto da te. L'unica cosa veramente
per me che tu mi avessi mai dato.
Harry la guardò, profondamente stupito, ma lei
non ricambiò lo sguardo. Sembrava leggermente a disagio.
La osservò in silenzio, mentre fossava assorta un
punto imprecistao all'orizzonte. Uno stormo di rondini passò sopra di loro, e
Harry le seguì per qualche secondo con lo sguardo, prima di tornare a posarlo
su di lei. Inaspettatamente adesso sorrideva, quasi fra sé, come inseguendo un
pensiero divertente.
"Cosa c'è?" chiese Harry, guardandola.
La luce del sole al tramonto fceva sembrare incandescenti i suoi capelli.
"Mi hai vista anche mentre ero in
acqua?" domandò Ginny, scrutandolo con la coda dell'occhio.
Lui sorrise, e inarcò un sopracciglio.
"Credevi che mi sarei perso la scena
migliore?" sussurrò, ostentando una sicurezza e una tranquillità che non
provava assolutamente. Avrebbe preferito che lo credesse un guardone e un
depravato, piuttosto che farle sapere la verità.
"Oh." Ginny arrossì leggermente.
"E si può sapere... quanto hai visto?"
"Ginny, ti prego..." adesso cominciava
a sentirsi vagamente imbarazzato. Non l'aveva mai vista nuda, durante le
settimane che erano stati insieme; l'aveva accarezzata, baciata, si era spinto
anche in luoghi abbastanza proibiti e lo stesso aveva fatto Ginny con lui. Ma
non avevano mai fatto l'amore, e poi... vederla emergere dall'acqua come era
successo prima era stata davvero un'emozione incredibile. Ma non poteva
dirglielo, perché l'avrebbe preso per un povero pazzo.
"No, Harry." Ginny si fermò, e lo prese
per un braccio, costringendolo a fare altrettanto. Il vento muoveva l'erba
intorno a loro, facendola ondeggiare silenziosa, come accarezzata da una mano
invisibile. "Dimmi solo una cosa. Mi hai seguita con l'intenzione di
spiarmi?"
Gli venne quasi da ridere, vedendo la sue
espressione corrucciata. La sua irascibile, adorata Ginny. Alzò una mano e le
accarezzò i capelli, che dopo ore passate sotto il sole con l'aquilone erano
ormai perfettamente asciutti.
"No" mormorò. "Certo che no. Ti ho
vista venire nel bosco e sapevo che eri senza bacchetta, quindi... ti ho
seguita. Volevo soltanto proteggerti" aggiunse, con dolcezza. Le sfiorò il
viso con la punta delle dita. "Non avevo intenzione di spiarti."
Il viso di lei assunse un'espressione
malinconica.
"Proteggermi..." disse, abbozzando un
sorriso. Gli occhi scuri fissavano i ciuffi d'erba fra loro due. "E'
quello che vuoi fare sempre, in effetti."
"No." Harry sospirò, fissando con un
misto di amore e di rimpianto la sommità della sua testa. "E' l'unica cosa
che posso fare."
Gli occhi di Ginny lampeggiarono maliziosi,
sollevandosi nei suoi.
"Oh, no..." disse, sottovoce.
"C'erano altre cose che ti
riuscivano abbastanza bene, te l'assicuro."
"Ginny." Harry distolse lo sguardo dal
suo viso, senza riuscire a trattenere un sorriso divertito. "Be',
grazie."
Gli sorrise, e gli posò una mano sul petto nudo.
Un gesto semplice, quasi distratto, che però gli fece accelerare i battiti del
cuore... e lei se ne accorse, probabilmente, perché sorrise di nuovo, fra sé.
"Harry..."
"No, Ginny, per favore..." la
interruppe lui, con dolcezza. "Ti prego, non..."
"Ti adoro, Harry" disse Ginny, senza
ascoltarlo. Quelle parole, insieme al suo aspetto mentre le pronunciava - era
così piccola, così dolce, così tenera - gli sciolsero il cuore. E lo sguardo
nei suoi occhi... quanto gli era mancato, in quelle ultime settimane. Quanto.
Non poté fare a meno di accarezzarle il viso,
prendendoglielo fra le mani. Ginny lo lasciò fare, e la sua piccola mano si
mosse sul suo petto, accarezzandolo lievemente. Quel piccolo, stupido gesto lo
fece rabbrividire.
"Devi aiutarmi, Ginny..." sussurrò, con un filo di voce.
La mano salì ad accarezzargli la guancia, con
dolcezza. Harry chiuse gli occhi, e gli sfuggì un sospiro simile a un
singhiozzo soffocato. Com'era difficile... com'era difficile sentire ancora le
sue mani addosso, e non poterla stringere. Com'era difficile non sentirsi
felice, dentro, nonostante tutta la disperazione.
"Cosa posso fare?" chiese lei, piano.
"Parlami, Harry. Parla con me."
Lui scosse la testa, le palpebre ancora
abbassate.
"Ho bisogno di te" mormorò, e il suo
tono disperato sorprese lui stesso per primo. Dov'era finita la persona nobile,
forte e altruista che si era sforzato sempre di essere? Che senso avevano avuto
quelle settimane di lontananza, di sofferenza, se adesso non poteva fare a meno
di parlarle in quel modo? Deglutì a fatica, cercando di spostare quel nodo che
gli serrava la gola e che non sembrava voler andare né su, né giù. "Mi
sembra di impazzire."
Ginny gli si accoccolò contro il petto nudo, con
un piccolo sospiro. La strinse e appoggiò la guancia ai suoi capelli, salendo
ad accarezzarli con le dita che tremavano un po'. L'aquilone era caduto
sull'erba, accanto a loro.
"Ho dovuto farlo..." sussurrò,
angosciato.
"Lo so" gli assicurò lei, la voce
soffocata.
"E' stata una delle cose più difficili
che..."
"Harry, basta..." Ginny scosse
leggermente la testa, gli occhi chiusi. "Lo so. Non tormentarti
così..."
"Mi sembra di averti sempre e solo fatto del
male, in tutti questi anni. E anche adesso vedo che stai soffrendo... anche se
cerchi di nasconderlo" disse Harry, senza smettere di accarezzarla. Non
era difficile, per lui, cogliere quell'ombra di tristezza che era sempre in
agguato dietro ai suoi occhi, a ogni suoi sorriso. "Se solo non fossi
stato così cieco. Così stupido."
"Credi che adesso le cose sarebbero
diverse?" chiese Ginny, piano. "Saremmo sempre qui, su questo prato,
a stringerci per gli stessi identici motivi. Il punto non è quando è successo,
Harry, lo sai anche tu. Questo momento sarebbe comunque arrivato... e tu ti
saresti comportato nello stesso identico modo."
Il sole era sparito dietro le montagne, e
l'oscurità stava risucchiando progressivamente la piccola valle. Harry guardò
la linea incandescente dell'orizzonte, e annuì.
"Probabilmente hai ragione."
"Lo so..." la sentì soorridere, contro
la sua pelle nuda. "Per cui non pensarci... non pensare ai se. E
non sentirti in colpa per la tua decisione."
"Non posso farne a meno..." Harry la
staccò da sé e le prese il viso fra le mani. La guardò negli occhi, a lungo.
"Non volevo che soffrissi ancora per me. Non avrei dovuto
permetterlo."
"Vuoi farmi credere che ti sei pentito di
quello che c'è stato fra noi?" chiese Ginny, con un lampo negli occhi
scuri. Era già pronta a mordere.
A dispetto del suo umore sconvolto, Harry non
poté fare a meno di sorridere.
"No, Ginny" disse, piano. "No di
certo."
"Perché posso sopportare di tutto... la
lontananza, la malinconia..." le labbra le tremaraono, ma soltanto per un
attimo. Poi riprese subito il controllo, e Harry la ammirò per la sua forza.
"Il dolore. Ma posso farlo solo se so di non aver vissuto tutto
quanto da sola." Lo guardò. "Di non aver amato soltanto io, in
tutti quei giorni che..."
"No" la interruppe Harry, con dolcezza.
Avrebbe voluto dirglielo in un modo migliore, ma non era certo di riuscirci.
"Non hai amato soltanto tu. E a volte mi sembra che quelle settimane
insieme a te siano state gli unici momenti in cui io abbia vissuto davvero."
Ginny abbozzò un sorriso, e tornò a stringersi a
lui, appoggiandogli la guancia al petto.
"Avevi detto che ti sembrava di aver vissuto
la vita di qualcun altro" gli ricordò, sottovoce.
"E' vero... la vita che spero di poter
vivere un giorno, quando tutto questo sarà finito e io sarò un'altra
persona." Harry la strinse più forte, e la cullò lentemente, quasi fosse
una bambina. "Quando la cicatrice sulla mia fronte non significherà più
che sono un sopravvissuto, e mi ricorderà soltanto quanto avrò lottato per arrivare
fino a lì."
Ascoltò il respiro leggero di lei, il suono del
vento fra gli alberi.
"Non mi hai chiesto di aspettarti"
sussurrò Ginny, dopo un attimo.
"No. Non voglio farlo, non posso" disse
lui, in un sussurro. "Non sarebbe giusto."
"Ameno questo non sta a te deciderlo, per
fortuna..." commentò Ginny, facendosi un po' indietro per guardarlo in
viso. Sembrava vagamente divertita.
Harry abbozzò un sorriso. "Immagino di no,
vero?"
"Già... non può deciderlo nessuno"
disse Ginny, guardandolo negli occhi. La luce del crepuscolo la faceva apparire
più bella che mai. "Certe cose succedono, e basta."
"Sì. Hai ragione."
Harry la guardò a lungo, mentre i grilli intorno
a loro cominciavano a frinire, nell'aria immobile e silenziosa, salutando le
prime stelle che occhieggiavano nel cielo.
"Se solo sapessi spiegarti quanto ti amo,
Ginny..." mormorò, sopraffatto dall'emozione. Non riuscì a impedire che la
voce gli tremasse almeno un po'.
Gli occhi di lei, che non avevano versato una
sola lacrima quel giorno sulle rive del lago a Hogwarts, adesso erano lucidi.
Ma non sembrava triste.
La vide sollevare il viso verso il suo, e chiuse
gli occhi mentre lo baciava piano sulle labbra, sfiorandogliele appena. Respirò
il suo profumo dolce, delicato, che gli era mancato così tanto. Le strinse le
braccia intorno al corpo, facendola aderire contro di sé, e Ginny rimase con le
labbra sulle sue, respirando piano. Harry le accarezzò la schiena, salì con una
mano fino ai suoi capelli, li accarezzò. Non si sarebbe mai stancato di
toccarli, di passarci in mezzo le dita. Inclinò appena la testa di lato, e
dischiuse le labbra, con un piccolo sospiro.
Ginny gli passò le braccia intorno alle spalle
nude, e la sua bocca si mosse piano contro la sua, carezzevole.
La baciò senza potersi trattenere. Nonostante le
settimane di lontananza fu un bacio estremamente tenero, delicato, anche quando
si fece più profondo e coinvolgente. Le mani di lei gli scorrevano lievi sulla
schiena, facendolo rabbrividire nell'aria fresca della sera. Era innamorato...
era irrimediabilmente, disperatamente e perdutamente innamorato di lei, e non
c'era niente che potesse fare per alleviare quel bisogno incontrollabile che
aveva di vederla, di parlarle, di sentirla vicina. Che ne sarebbe stato di lui,
se non poteva tenerla vicina? Il pensiero di averla lasciata andare era
immensamente doloroso, ma subito quello ne subentrò un altro. Cercò di
immaginare cosa avrebbe fatto se Ginny fosse morta, se le fosse successo
qualcosa di brutto per restargli accanto... se non fosse riuscito a proteggerla.
Il pensiero di perderla per sempre era insopportabile, più spaventoso della
possibiltà che fosse lui stesso a morire.
Le mani di lei gli accarezzarono i capelli corti
sulla nuca, e la sentì sussurrare qualcosa, fra i baci. Gli apparve con
chiarezza estrema l'enormità del suo fardello, e per la prima volta da quando
Silente era morto si sentì smarrito, e terribilmente solo. Aveva sempre saputo
di essere diverso dagli altri, e dopo aver saputo della Profezia credeva di
aver accettato questa sua condizione di Prescelto, di creatura marchiata,
condannata... ma non aveva mai fatto i conti con la solitudine, quella vera,
prima di allora. C'era sempre stato Silente a condividere con lui ogni peso, a
tenerlo per mano lungo il cammino. Adesso se n'era andato per sempre, e la sua
mano era vuota, al suo fianco non c'era nessuno. Nessuno che non avrebbe avuto
timore di perdere, di danneggiare, di mettere in pericolo. Adesso era lui a
doversi preoccupare degli altri, e di se stesso, senza che mani amorevoli
potessero alleggerirgli in alcun modo il peso che portava sulla schiena. Poteva farcela, doveva
farcela... o quantomeno, era certo che ci avrebbe provato, con tutte le sue
forze. Ma non poteva fare a meno di temere che sarebbe crollato, in qualche
punto imprecisato del cammino, in preda alla disperazione. La stessa che
provava in quel momento, e che in ogni istante del giorno relegava in fondo al
proprio animo, per poter riuscire ad andare avanti. E se fosse successa una
cosa del genere, che ne sarebbe stato di lui? Di tutti gli altri? Di Ginny?
Voleva dare a tutti loro, a lei, un mondo
senza più minacce, senza quell'orrore costante che li accompagnava già da
troppo tempo. Aveva il potere di farlo. Ma in quel momento si sentiva come il
più piccolo e insignificante degli uomini, e gli sembrava che non avrebbe più
potuto muovere un passo se non poteva stringere, lungo la strada, la piccola
mano di lei nella sua.
Ti passerà, si disse, è solo un
momento... ti passerà...
Ma la stretta sul suo cuore non si allentò di un
millimetro , e le lacrime si fecero strada prepotentemente fra le
sue palpebre abbassate. Ginny continuò a baciarlo, anche quando le bagnò la
pelle delle guance. Anche quando il suo respiro di fece più difficoltoso per lo
sforzo di trattenere i singhiozzi. Gli prese il viso fra le mani, e lo coprì di
baci, mentre Harry continuava a piangere, in silenzio. Lo strinse a sé e lui
si aggrappò al suo corpicino esile come a un'ancora di salvezza. Seppellì il
viso fra i suoi capelli.
"Harry..." mormorò Ginny, con dolcezza.
"Harry, non vergognarti di piangere davanti a me..."
Cercò di prendergli il viso e di girarlo verso il
suo, ma lui non glielo permise.
"Non devi cercare di essere forte a tutti i
costi e in ogni istante, per piacermi così tanto..." disse lei,
accarezzandogli i capelli. "Non ho bisogno di un eroe infallibile, che non
ha mai cedimenti e che non ha bisogno di essere stretto fra le braccia e
rassicurato da nessuno..."
Harry le nascose il viso contro il lato del
collo, stringendola forte. Non avrebbe voluto scaricarle addosso i suoi
problemi, le sue angosce, le sue paure. Se l'aveva allontanata, in parte, era
anche per questo motivo. Ma le sue braccia che lo circondavano con dolce
fermezza gli fecero perdere anche quel piccolo residuo di autocontrollo che
aveva così faticosamente cercato di mantenere e, per la prima volta nella sua
vita, pianse nelle braccia di qualcuno, scosso dai singhiozzi.
Harry sapeva che quell'ondata di lacrime sarebbe finita, che poi si sarebbe guardato intorno, meravigliato di essere crollato in quel modo davanti a lei. Sarebbe andato avanti con la sua vita, avrebbe portato il suo compito fino alla fine, senza mollare mai. Ma aveva bisogno di Ginny, adesso, e di quelle lacrime calde e dolorose che solo lei, ormai, poteva comprendrere fino in fondo.
Scivolarono a terra, stretti l'uno all'altra, e
l'erba alta si chiuse su di loro, nascondendo in parte le stelle.