Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Whatsername    01/08/2005    24 recensioni
Quando il destino ci costringe a camminare sull'orlo del precipizio, basta una piccola mano a impedirci di cadere.
SPOILER! Post HBP.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
KITE

 

 

KITE

 

 

 

Something is about to give
I can feel it coming
I think I know what it means

I'm not afraid to die
I'm not afraid to live
And when I'm flat on my back
I hope to feel like I did

***

 

Who's to say where the wind will take you
Who's to say what it is will break you
I don't know
Which way the wind will blow

Who's to know when the time has come around
Don't want to see you cry
I know that this is not goodbye.


                                                                                   

                                               

                                                                                     
Il sole splendeva in un cielo azzurro quasi troppo perfetto per sembrare vero. L'erba ondeggiava lieve nei campi, e la brezza calda di metà estate faceva stormire dolcemente le foglie degli alberi. Era tardo pomeriggio, e le ombre cominciavano già ad allungarsi.

Nel tranquillo e silenzioso giardino della Tana, Harry ascoltava distrattamente il frinire dei grilli, vago e intermittente, e i rumori lontani della campagna. Si dondolava pigramente sull'amaca appesa tra i tronchi di due robusti faggi, in un angolo ombreggiato del cortile; una gamba era distesa sul tessuto, l'altra spenzolava molle verso il basso, così che la punta del piede nudo sfiorava il terreno. Faceva un caldo soffocante, ed era stato costretto a togliersi la maglietta, che adesso dondolava appesa a un ramo, sopra la sua testa. Le uniche cose che aveva addosso erano un paio di jeans logori, e gli occhiali. Teneva le palpebre socchiuse, e fra le ciglia osservava il volo degli uccelli in lontananza, con un peso enorme sul cuore.

Erano i primi di agosto, e fra pochi giorni sarebbe stato il compleanno di Ginny. Di solito i Weasley non mancavano di organizzare una grande festa per quell'evento: succedeva per il compleanno di tutti loro, ma nel caso di Ginny, da sempre la più piccola e la più coccolata, la festa era sempre stata più grande e soprattutto più attesa. Infatti, dopo cena, tutti si munivano di cappotti e di coperte e salivano fin sul Col Dell'Ermellino, a qualche chilometro dalla Tana, per guardare le stelle cadenti: la notte fra il dieci e l'undici agosto, infatti, era la notte in cui - secondo il signor Weasley, esperto di tradizioni e credenze babbane - le stelle cadenti si mostravano più numerose. 

Harry non aveva mai partecipato ai festeggiamenti, a parte l'anno precedente. Di solito passava le vacanze dai Dursley, ma l'estate prima del suo sesto anno a Hogwarts Silente era arrivato a Privet Drive un giorno di Luglio, per prelevarlo e portarlo con sé in una specie di missione di convincimento ai danni del Professor Slughorn. Poi l'aveva accompagnato alla Tana, dove era rimasto per tutto il resto dell'estate, fino al primo settembre.

Gli occhi ancora socchiusi, realizzò che da quei giorni era passato già un anno... e quante, quante cose erano cambiate da allora.

Pensare a Silente gli provocò una stretta dolorosa al cuore, e subito dopo l'immagine di Snape, il suo viso distorto dall'odio mentre sollevava la bacchetta e gridava: Avada Kedavra! gli balenarono davanti agli occhi. Strinse i pugni, quasi inconsapevolmente, e si sentì - come spesso gli succedeva, negli ultimi tempi - impotente. Avrebbe voluto poter fare qualcosa per salvare Silente, ma lui l'aveva bloccato con un incantesimo ed era stato costretto a restare immobile a guardarlo morire per mano di quel traditore di Snape. Come avevano potuto essere così ingenui, così ciechi, così stupidi? E come aveva potuto il Professor Silente, con la sua straordinaria intelligenza e la sua infinita saggezza, lasciarsi trarre in inganno da quel sordido individuo?

Prese a dondolarsi con più vigore, lo stomaco annodato, mentre gli tornavano in mente immagini del funerale che si era svolto a Hogwarts, poco più di un mese prima: la tomba bianca, la superficie del lago increspata dal vento, i raggi del sole che rilucevano sull'acqua. I volti addolorati dei partecipanti, e il viso di Ginny, seduta accanto a lui.

Il pensiero di lei non fece che acuire il suo dolore. Ricordava ancora con spietata chiarezza quello che si erano detti dopo, alla fine del funerale, mentre la gente intorno a loro cominciava ad alzarsi lentamente. Aveva dovuto lottare con se stesso per riuscire a dire quello che aveva detto, e ancora non sapeva come avesse fatto a non scoppiare a piangere come un bambino, né in quel momento, né più tardi. Non aveva versato una lacrima, ma il suo cuore stava ancora piangendo, da allora.

Pensò ai suoi occhi scuri, che lo guardavano con affetto mentre diceva, sottovoce: "E' per qualche nobile e stupida ragione, vero?", e nonostante tutto l'ombra di un sorriso gli salì alle labbra. Ginny era straordinaria, e lui era un perfetto idiota, perché ci aveva messo quasi sei anni per accorgersene. Quanto tempo avevano perso, per colpa sua? Quanti sguardi, quanti abbracci, quanti baci? Quante passeggiate solitarie lungo la sponda del lago, quante fughe frettolose nel cuore della notte attraverso i freddi e bui corridoi di Hogwarts? Era stato così improvviso, e così breve, quello che  avevano vissuto insieme... e guardando indietro, Harry lo vedeva esattamente nel modo in cui l'aveva descritto a lei, in quel giorno di fine giugno in cui tutto era finito: stare con lei per quelle poche settimane gli aveva davvero dato l'illusione di vivere per un po' la vita di qualcun altro. Per la prima volta, da che ricordasse, si era sentito normale, ed era stato il suo amore per lei a donargli quello stato di grazia.

Non era sicuro che Ginny avesse davvero capito quello che aveva cercato di spiegarle quel giorno. Certo, aveva compreso le ragioni che l'avevano spinto a troncare la loro relazione, dicendogli che non si era aspettata niente di diverso da lui, perché lo conosceva bene ed era anche per quel suo modo di essere che le piaceva così tanto. Ma non poteva avere davvero idea di quello che avevano significato, nella sua vita, quelle poche settimane vissute con lei.

Come avrebbe potuto capire, d'altra parte? Per poterlo fare avrebbe dovuto sapere cosa si provava ad essere sempre sull'orlo del baratro, in pericolo costante, e con una spada di Damocle appesa sulla testa. Non glielo augurava, non voleva che capisse. Era anche per questo che l'aveva lasciata: non voleva nessun tipo di condanna nella vita di lei, nessun maledetto marchio a minacciarla più di quanto non fosse necessario. Avebbe voluto nasconderla da qualche parte per sempre, e tenerla al sicuro da ogni pericolo... ma non poteva. Come avrebbe potuto proteggerla, quando era lui stesso a rappresentare il pericolo più grande per lei? Era triste, e frustrante, che l'unico modo che aveva per proteggere la persona che amava fosse farsi da parte e starle il più lontano possibile.

Aveva pensato di non vederla più. Avrebbe voluto riuscirci, ma era stato impossibile. Primo, perché i Weasley avevano insistito perché lui partecipasse al matrimonio di Bill e Fleur, che si sarebbe tenuto a Ferragosto. Secondo, perché in ogni caso aveva troppa voglia di lei. Non necessariamente del suo corpo: non l'aveva toccata con un dito, da quando era arrivato alla Tana, e non aveva intenzione di farlo in futuro. Ma nei pochi giorni che aveva passato dai Dursley aveva sentito terribilmente la sua mancanza, e si era accorto di avere bisogno di una dose di Ginny, almeno ogni tanto: gli bastava guardarla, vederla ridere o riflettere accigliata su qualcosa, per sentirsi sollevato. Ginny era il suo tesoro, e la sua condanna. L'amava disperatamente e proprio per questo non poteva fare altro che guardarla da lontano.

 

Continuò a dondolarsi ancora per un po', lo sguardo fisso sul cielo terso, finché udì la porta della Tana sbattere leggermente. Il rumore echeggiò chiaro nel silenzio sonnacchioso del pomeriggio, e Harry spostò gli occhi in direzione della casa, mentre la sua mano si muoveva meccanicamente verso la bacchetta che teneva quasi sempre infilata nella cintura dei jeans. Era strano: pensava che, a parte lui, non ci fosse nessuno nei paraggi.

Dopo qualche secondo di silenzio, vide Ginny che emrgeva dalla porta del capanno, con in mano un oggetto misterioso avvolto in una carta marrone: non gli riuscì assolutamente di capire di cosa si trattasse. La osservò incuriosito mentre, piccola e svelta com'era, attraversava il cortile e spariva nel piccolo bosco che cominciava a pochi metri dalla fine del giardino.

Ginny, accidenti, pensò Harry, tirandosi su a sedere. Non dovresti uscire dal giardino da sola, e senza bacchetta per giunta.

Scese dall'amaca camminò a piedi nudi sull'erba, dirigendosi verso il punto dove lei era sparita pochi secondi prima.

La vide camminare veloce, e inoltrarsi fra gli alberi: la sua zazzera rossa catturava i raggi del sole ed era difficile perderla di vista, in mezzo a tutto quel verde. Entrò anche lui nel bosco, e subito l'ombra della vegetazione gli comunicò un senso di sollievo, facendolo rabbrividire un po'. Ovviamente, nella fretta si era scordato di prendere la maglietta.

Ginny camminò per qualche minuto, seguendo una stradina sterrata che Harry non aveva mai percorso prima. Faticò un po' a starle dietro, perché camminare a piedi nudi sui sassi non era certo un'esperienza piacevole... e nemanche a dirlo, aveva dimenticato di portarsi dietro anche le scarpe.

Per fortuna , il tragitto non durò eccessivamente a lungo: raggiunta una piccola radura all'interno del bosco, Ginny rallentò il passo. Avvicinandosi, Harry notò che erano proprio sotto il fianco della montagna, e aguzzando l'udito sentì rumore di acqua corrente, non troppo lontano.

Ginny si fermò ai margini della radura, e si guardò intorno. Colto alla sprovvista, Harry si gettò di lato, nascondendosi fra gli alberi prima che lei potesse vederlo. Appoggiò la schiena al tronco ruvido di una quercia, e sospirò di sollievo quando, sporgendosi leggermente, la vide proseguire e attraversare la radura, come se niente fosse.

Sempre tenendosi nascosto fra gli alberi, ricominciò a seguirla. Non voleva che lo vedesse: avrebbe potuto pensare che la stesse seguendo per spiarla, o per tormentarla con la sua presenza che - lo sapeva bene - in parte la faceva soffrire... mentre invece stava solo cercando si assicurarsi che non le accadesse nulla di male.

Costeggiò la radura, mentre lei la tagliò direttamente: Harry dovette aumentare il passo per non perderla di vista. Svoltò oltre il fianco della montagna, e dopo qualche attimo lui fece altrettanto.

Quello che vide oltre l'angolo lo lasciò letteralmente senza fiato.

 

C'era un fiumiciattolo, là dietro, che scendeva dalla vetta della montagna e, dopo un salto di qualche metro e un breve percorso in orizzontale, si tuffava sottoterra nel mezzo di un'altra radura, simile a quella che aveva appena attraversato. Tutto intorno la vegetazione si richiudeva su se stessa, come a proteggere quel piccolo angolo di mondo, e i raggi del sole giocavano fra le foglie degli alberi, creando sul terreno e sull'acqua degli strani giochi di luce.

Era così incantato da quel posto che perse di vista Ginny per qualche secondo. Quando portò di nuovo gli occhi su di lei, sentì le viscere contrarsi in una morsa quasi dolorosa e il respiro morirgli in gola, come se si fosse buttato da un precipizio altissimo.

Ginny era antrata in acqua, e camminava lentamente verso la piccola cascata, i lunghi capelli rossi che ondeggiavano lievi sulla sua schiena candida. Il suo vestito verde, quello corto e impalpabile che a Harry era sempre piaciuto tanto anche se il colore faceva decisamente a pugni con quello dei suoi capelli, era posato sul greto del ruscello, un cumulo informe di stoffa leggera. Posato lì accanto c'era lo strano oggetto incartato che Harry ancora non era riuscito a identificare.La guardò mentre con le mani sfiorava la superficie dell'acqua, e notò che man mano che avanzava il livello aumentava. Poteva vederla solo di spalle, e in cuor suo ringraziò che fosse così: se avesse dovuto vedere dell'altro, non era sicuro di poter rispondere di se stesso. Si appoggiò al tronco di un albero, e sospirò.

Ginny arrivò ai piedi della cascata, dove l'acqua le arrivava ormai fin quasi alle spalle, e si immerse completamente, scomparendo per qualche secondo sotto la superficie. Ricomparve quasi subito, con i capelli che, bagnati, erano diventati di un rosso più scuro. Li scosse un po', pettinandoli con le mani, e rise divertita, mentre il sole la colpiva sul viso, facendole socchiudere le palpebre. Era così bella, così perfetta, che a Harry vennero le lacrime agli occhi, mentre sul suo volto si apriva un sorriso di insensato, stupido orgoglio.

E' meravigliosa..., pensò, con la guancia appoggiata al legno del tronco. E' unica, speciale... ed è mia.

Quando le lacrime gli appannarono la vista, chiuse le palpebre e lasciò che le piccole gocce calde gli scivolassero lente lungo le guance. Si sentiva così stanco, così annientato... eppure, così felice. Avrebbe tanto voluto che quella potesse essere una giornata diversa, piena di risate, di carezze e di sguardi che gli mancavano ogni momento di più. La consapevolezza di non poter fare nulla per percorrere e cancellare la distanza che li separava lo sfiniva dentro, ma il pensiero dei momenti che avevano vissuto, oltre a colmarlo di nostalgia, sembrava cullarlo dolcemente e tenerlo per mano, sempre. 

Riaprì gli occhi. Ginny era ancora in acqua, ma si era voltata, e da quella posizione avrebbe potuto facilmente vederlo. Pensò di nascondersi, ma qualcosa glielo impedì... forse voleva essere scoperto. Voleva che lei lo credesse uno stupido, spregevole guardone che si era soltanto divertito a farla soffrire una volta di più. Rimase a guardarla per quella che gli sembrò un'eternità, in silenzio, in quell'universo di erba e di acqua screziate di sole.

Ma lei non lo vide e, passato quello strano attimo di follia, Harry si tirò indietro. La guardò uscire dall'acqua, scuotere ancora i capelli e offrire il viso ai raggi del sole, col suo sorriso da bambina. Era così emozionato che quasi non notò il fatto che fosse completamente nuda. Sapeva solo che avrebbe voluto correre da lei e abbracciarla forte, seppellire il viso nei suoi capelli e respirare quel suo odore meraviglioso di fiori.

La osservò infilarsi il vestito e vide che il tessuto leggero si increspava leggermente sulla sua pelle ancora umida. Prese lo strano oggetto e si incamminò di nuovo verso l'interno del bosco, ma non in direzione della Tana. Harry trasse un lungo respiro, chiedendosi se ce l'avrebbe fatta a staccarsi dal tronco dell'albero senza cadere, e uscì dal folto degli alberi. Camminò a piedi nudi sull'erba umida e fresca, e la seguì a qualche passo di distanza, cercando di non fare troppo rumore.

 

 

Poco lontano c'era un'altra radura, ma molto più grande dell'altra: qui gli alberi si aprivano completamente al sole e al cielo, e l'erba era più alta, arrivava alle ginocchia. Ginny si fermò a scartare l'oggetto misterioso, e per qualche attimo fu impegnata a trafficare misteriosamente. Era di spalle rispetto a Harry, per cui lui non riuscì a capire cosa stesse facendo finché non la vide sollevare in aria quello che, poi capì, aveva appena costruito con le sua mani.

Gli venne da sorridere. Era un aquilone, il suo aquilone: lo aveva comprato l'anno precedente per regalarlo a lei, in occasione del suo compleanno, ma poi non era mai riuscito a insegnarle a farlo volare. Avevano passato quasi tutto il tempo a giocare a Quidditch, e l'aquilone era finito chissà dove, disperso fra mille altre cose. Ricordava di aver persino pensato che Ginny non avesse gradito particolarmente quel dono. Invece, eccolo lì... dopo un anno, ancora intatto e pronto a prendere il volo. 

Ginny lo tenne per un attimo alzato, e la tela colorata risplendette al sole. Poi lo lasciò andare e cominciò a correre, tendendo lo spago nella speranza che l'aquilone si staccasse da terra. Ma non successe niente del genere.

Mentre la guardava provare e riprovare, Harry sorrise e appoggiò la guancia alla corteccia dell'albero, cercando di capire quale fosse la cosa che più amava di lei. Di certo non si trattava di un particolare fisico: certo, la trovava meravigliosa, ma era come se tutto il resto, in lei, fosse talmente abbagliante da offuscare questo aspetto della sua persona. Amava il suo coraggio, la sua determinazione, il suo modo deciso e aperto di affrontare ogni situazione, anche la più difficile. Adorava il suo senso dell'umorismo graffiante, la sua ironia divertente, le sue buffe imitazioni e persino i suoi scherzi idioti. Lo faceva impazzire la sua dolcezza, il modo in cui lo baciava, l'abbandono con cui lo stringeva in certe situazioni. Amava la luce nei suoi occhi, quando lo guardava. Ricordò che l'aveva guardato in quel modo anche il giorno in cui l'aveva lasciata, e il cuore gli si strinse, pieno di rimpianto.

 

 

Quando la vide fallire per l'ennesima volta, si staccò dal tronco dell'albero e camminò lentamente verso di lei, che si era chinata a raccogliere l'aquilone da terra.

"Devi correre più veloce..." le disse, con dolcezza, fermandosi a pochi passi da lei.

Ginny sobbalzò, spaventata, e lasciò cadere l'aquilone sull'erba. Si voltò di scatto, gli occhi sgranati e una mano stretta al petto. Quando lo riconobbe, chiuse gli occhi e rifiatò.

"Mi hai fatta morire di paura!" esalò, con voce tremante. Sollevò le palpebre e le sbatté un paio di volte, guardandolo con aria curiosa. "Da quanto stai lì a spiare i miei goffi tentativi, signor esperto di aquiloni?" chiese, con un mezzo sorriso, mentre si rimetteva a posto una ciocca di capelli umidi dietro l'orecchio.

"Da un po'..." ammise lui, sorridendo a sua volta, divertito. "E ho visto che non sei migliorata affatto, dall'anno scorso."

"Oh." Ginny incrociò le braccia sul petto, sollevando le sopracciglia. "E questo è male?"

"Malissimo." Harry la guardò ancora un attimo, poi le passò accanto e si chinò a raccogliere l'aquilone. "Ma non vuol dire che non si possa finalmente rimediare, giusto?"

"Giusto" concesse lei, che si era voltata a guardarlo, sempre nella stessa posizione di prima.

Harry le lanciò un'occhiata divertita. "Beh, vuoi restare lì con le mani in mano, o vuoi imparare come si fa?"

"Io vorrei imparare, ma magari tu non sei così bravo come insegnante" ribatté Ginny, impertinente. Era chiaro dalla sua espressione che si stava divertendo un mondo a provocarlo, e Harry si sentiva bene e male insieme: si odiava per quello che sentiva dentro in quel momento. Si chiese se lei riuscisse a leggergli nello sguardo tutto l'amore che provava per lei.

"Questo lo vedremo..." le disse, raccogliendo la sfida implicita nelle sue parole.

Si sorrisero, nel sole del tardo pomeriggio, e Harry sollevò in alto l'aquilone.

"Okay,Ginny" mormorò, porgendole il filo arrotolato. "Adesso prendi questo, tienilo in alto e corri."

Lo prese, con aria un po' scettica. "Ve bene."

Lo guardo allontanarsi di qualche passo, i capelli ancora umidi che le dondolavano sulla schiena. Si voltò a guardarlo:

"Vado?"

"Vai!" la incitò, sollevando ancora di più l'aquilone con entrambe le mani.

Ginny cominciò a correre, tenendo lo spago alto sopra la spalla. Harry la seguì per un metro o due, poi lasciò andare l'aquilone, che a tutta prima sembrò rifiutarsi di collaborare e si imbarcò, puntando decisamente verso terra.

"Non sta funzionando!" esclamò Ginny, che si era girata a metà per controllare. Era già parecchio lontana.

"Continua a correre!" gridò Harry, agitando una mano. "Non ti fermare!"

L'aquilone adesso sfiorava la sommità dell'erba alta. Ginny faceva fatica a correre, ma non si fermò. Harry la rincorse, facendosi largo fra l'erba alta, e in quel momento l'aquilone si levò alto, traspostato da una corrente improvvisa.

Ginny sentì il filo tendersi e si girò, stupita.

"Non ti fermare!" esclamò Harry, continuando a correre. "Non ancora!"

Aveva una voglia tremenda di ridere, e non sapeva nemmeno perché. L'aquilone si librò leggero contro l'azzurro del cielo, vibrando leggermente, e il sole lo fece risplendere come un piccolo gioiello colorato.

Harry raggiunse Ginny, che ancora correva, e disse:

"Fermati, adesso, ma non abbassare il filo... e tiralo..."

Ginny si fermò, e si voltò per guardare l'aquilone alto nel cielo. Il sole stava quasi per tramontare, e la luce rossastra le colorò il viso, mentre rideva estasiata.

"E' bellissimo!" esclamò, con gli occhi che brillavano. "Oh, Harry, è meraviglioso!"

Lui sorrise, e le strinse le braccia intorno alla vita, da dietro. Se la tirò vicino, facendole appoggiare la schiena al suo petto.

"Dà uno strattone al filo" mormorò, sperando che la voce non gli tremasse troppo. "E allungalo un altro po'... volerà ancora più alto."

Ginny obbedì. Dopo il primo strattone, l'aquilone si spostò leggermente di lato e per qualche secondo sembrò che volesse precipitare. Ginny gridò, ma Harry chiuse le dita intorno alla sua mano, quella che reggeva il filo, e diede un altro strattone. L'aquilone si sollevò ancora, vibrando nel vento caldo.

"Tutto a posto..." disse Harry, lasciandole andare la mano.

Avrebbe dovuto lasciarla andare del tutto, ma non ne ebbe la forza. Ginny continuò a guardare l'aquilone, e a tenere alto il filo. L'altra mano salì a posarsi su quelle di lui, intrecciate poco sotto al suo seno. Gli appoggiò la nuca contro la spalla, e socchiuse gli occhi, abbadonandosi un po' di più contro di lui.

Harry sentì di nuovo quell' odioso nodo serrargli la gola. Il senso di nostalgia che lo invase minacciò di stordirlo. Senza pensare, abbassò la testa e nascose il viso contro il collo di lei, fra i suoi capelli freschi, morbidi e profumati.

"Non immaginavo che fosse così" disse Ginny, piano.

"Cosa?" chiese Harry, sfiorandole la pelle con le labbra.

"Veder volare un aquilone" spiegò lei, con un piccolo sospiro.

"Non lo stai solo vedendo. Lo stai facendo volare" mormorò Harry, sorridendo. Aveva chiuso gli occhi, e gli sembrava di annegare.

"E' vero..." considerò Ginny, felice. Voltò un poco il viso, e aggiunse: "Ma perché tu non guardi...? Se tieni gli occhi chiusi, ti perderai tutto il volo..."

Harry scosse piano la testa, e la strinse più forte. Aveva una disperata voglia di piangere.

Avrebbe voluto continuare a stringerla a sé e non lasciarla mai più andare via. Ricordò quel giorno al funerale di Silente, quando si era alzato dalla sua sedia e se n'era andato, lasciandola da sola. Era stato costretto a strapparsi da lei, dai suoi occhi, dalla sua voce. Aveva dovuto farlo... altrimenti non sarebbe stato capace di mantenere fede ai suoi propositi. Ma non avrebbe mai, mai potuto smettere di amarla.

 

 

Era quasi sera quando Ginny si decise a far scendere definitivamente l'aquilone. Era riuscita a farlo volare diverse volta anche senza l'aiuto di Harry, e si stava vantando di apprendere le cose molto, molto in fretta.

"Molto in fretta?" rise lui, mentre le camminava accanto fra l'erba alta, le mani affondate nelle tasche dei jeans. "Ma se è un anno che siamo dietro a questo benedetto aquilone!"

Si erano allontanati parecchio dal bosco, alla ricerca di punti dove ci fosse una corrente migliore: intorno a loro c'erano solo prati e campi coltivati. La Tana si intravvedeva in lontananza, accoccolata poco sotto al fianco della montagna.

"Non è vero!" protestò lei, imbronciata. Teneva l'aquilone fra le mani, ancora montato. "L'anno scorso tu... non mi hai mai dato lezioni private come questa."

Harry rifletté che era vero: avevano sempre cercato di farlo volare quando c'erano anche tutti gli altri a provare con loro, e non ci erano mai riusciti una volta. Si rese conto, improvvisamente, che forse era stato proprio in quei giorni di sole, ancora spensierati, ancora così distanti dal dolore che poi li avrebbe ghermiti, che aveva cominciato a innamorarsi di lei.

"Non me l'hai mai chiesto" le fece notare, gettandole di sfuggita un'occhiata divertita. "Anzi, pensavo che il mio regalo non ti fosse piaciuto, visto che l'ho visto sparire così in fretta..."

"Non era sparito" disse Ginny, sorridendo. "L'avevo solo messo in un posto sicuro, per evitare che qualcuno lo rompesse o... o che lo usasse al posto mio."

"Ma un aquilone è fatto per essere usato,no?" disse Harry. "E comunque, non mi sembrava che fossi così entusiasta di usarlo neppure tu..."

"Un aquilone qualsiasi, forse" osservò lei, guardandosi i piedi mentre continuavano a camminare. "Non il tuo. Non quando era l'unico regalo che avessi mai ricevuto da te. L'unica cosa veramente per me che tu mi avessi mai dato.

Harry la guardò, profondamente stupito, ma lei non ricambiò lo sguardo. Sembrava leggermente a disagio.

La osservò in silenzio, mentre fossava assorta un punto imprecistao all'orizzonte. Uno stormo di rondini passò sopra di loro, e Harry le seguì per qualche secondo con lo sguardo, prima di tornare a posarlo su di lei. Inaspettatamente adesso sorrideva, quasi fra sé, come inseguendo un pensiero divertente.

"Cosa c'è?" chiese Harry, guardandola. La luce del sole al tramonto fceva sembrare incandescenti i suoi capelli.

"Mi hai vista anche mentre ero in acqua?" domandò Ginny, scrutandolo con la coda dell'occhio.

Lui sorrise, e inarcò un sopracciglio.

"Credevi che mi sarei perso la scena migliore?" sussurrò, ostentando una sicurezza e una tranquillità che non provava assolutamente. Avrebbe preferito che lo credesse un guardone e un depravato, piuttosto che farle sapere la verità.

"Oh." Ginny arrossì leggermente. "E si può sapere... quanto hai visto?"

"Ginny, ti prego..." adesso cominciava a sentirsi vagamente imbarazzato. Non l'aveva mai vista nuda, durante le settimane che erano stati insieme; l'aveva accarezzata, baciata, si era spinto anche in luoghi abbastanza proibiti e lo stesso aveva fatto Ginny con lui. Ma non avevano mai fatto l'amore, e poi... vederla emergere dall'acqua come era successo prima era stata davvero un'emozione incredibile. Ma non poteva dirglielo, perché l'avrebbe preso per un povero pazzo.

"No, Harry." Ginny si fermò, e lo prese per un braccio, costringendolo a fare altrettanto. Il vento muoveva l'erba intorno a loro, facendola ondeggiare silenziosa, come accarezzata da una mano invisibile. "Dimmi solo una cosa. Mi hai seguita con l'intenzione di spiarmi?"

Gli venne quasi da ridere, vedendo la sue espressione corrucciata. La sua irascibile, adorata Ginny. Alzò una mano e le accarezzò i capelli, che dopo ore passate sotto il sole con l'aquilone erano ormai perfettamente asciutti.

"No" mormorò. "Certo che no. Ti ho vista venire nel bosco e sapevo che eri senza bacchetta, quindi... ti ho seguita. Volevo soltanto proteggerti" aggiunse, con dolcezza. Le sfiorò il viso con la punta delle dita. "Non avevo intenzione di spiarti."

Il viso di lei assunse un'espressione malinconica.

"Proteggermi..." disse, abbozzando un sorriso. Gli occhi scuri fissavano i ciuffi d'erba fra loro due. "E' quello che vuoi fare sempre, in effetti."

"No." Harry sospirò, fissando con un misto di amore e di rimpianto la sommità della sua testa. "E' l'unica cosa che posso fare."

Gli occhi di Ginny lampeggiarono maliziosi, sollevandosi nei suoi.

"Oh, no..." disse, sottovoce. "C'erano altre cose che  ti riuscivano abbastanza bene, te l'assicuro."

"Ginny." Harry distolse lo sguardo dal suo viso, senza riuscire a trattenere un sorriso divertito. "Be', grazie."

Gli sorrise, e gli posò una mano sul petto nudo. Un gesto semplice, quasi distratto, che però gli fece accelerare i battiti del cuore... e lei se ne accorse, probabilmente, perché sorrise di nuovo, fra sé. "Harry..."

"No, Ginny, per favore..." la interruppe lui, con dolcezza. "Ti prego, non..."

"Ti adoro, Harry" disse Ginny, senza ascoltarlo. Quelle parole, insieme al suo aspetto mentre le pronunciava - era così piccola, così dolce, così tenera - gli sciolsero il cuore. E lo sguardo nei suoi occhi... quanto gli era mancato, in quelle ultime settimane. Quanto.

Non poté fare a meno di accarezzarle il viso, prendendoglielo fra le mani. Ginny lo lasciò fare, e la sua piccola mano si mosse sul suo petto, accarezzandolo lievemente. Quel piccolo, stupido gesto lo fece rabbrividire.

"Devi aiutarmi, Ginny..."  sussurrò, con un filo di voce.

La mano salì ad accarezzargli la guancia, con dolcezza. Harry chiuse gli occhi, e gli sfuggì un sospiro simile a un singhiozzo soffocato. Com'era difficile... com'era difficile sentire ancora le sue mani addosso, e non poterla stringere. Com'era difficile non sentirsi felice, dentro, nonostante tutta la disperazione.

"Cosa posso fare?" chiese lei, piano. "Parlami, Harry. Parla con me."

Lui scosse la testa, le palpebre ancora abbassate.

"Ho bisogno di te" mormorò, e il suo tono disperato sorprese lui stesso per primo. Dov'era finita la persona nobile, forte e altruista che si era sforzato sempre di essere? Che senso avevano avuto quelle settimane di lontananza, di sofferenza, se adesso non poteva fare a meno di parlarle in quel modo? Deglutì a fatica, cercando di spostare quel nodo che gli serrava la gola e che non sembrava voler andare né su, né giù. "Mi sembra di impazzire."

Ginny gli si accoccolò contro il petto nudo, con un piccolo sospiro. La strinse e appoggiò la guancia ai suoi capelli, salendo ad accarezzarli con le dita che tremavano un po'. L'aquilone era caduto sull'erba, accanto a loro.

"Ho dovuto farlo..." sussurrò, angosciato.

"Lo so" gli assicurò lei, la voce soffocata.

"E' stata una delle cose più difficili che..."

"Harry, basta..." Ginny scosse leggermente la testa, gli occhi chiusi. "Lo so. Non tormentarti così..."

"Mi sembra di averti sempre e solo fatto del male, in tutti questi anni. E anche adesso vedo che stai soffrendo... anche se cerchi di nasconderlo" disse Harry, senza smettere di accarezzarla. Non era difficile, per lui, cogliere quell'ombra di tristezza che era sempre in agguato dietro ai suoi occhi, a ogni suoi sorriso. "Se solo non fossi stato così cieco. Così stupido."

"Credi che adesso le cose sarebbero diverse?" chiese Ginny, piano. "Saremmo sempre qui, su questo prato, a stringerci per gli stessi identici motivi. Il punto non è quando è successo, Harry, lo sai anche tu. Questo momento sarebbe comunque arrivato... e tu ti saresti comportato nello stesso identico modo."

Il sole era sparito dietro le montagne, e l'oscurità stava risucchiando progressivamente la piccola valle. Harry guardò la linea incandescente dell'orizzonte, e annuì.

"Probabilmente hai ragione."

"Lo so..." la sentì soorridere, contro la sua pelle nuda. "Per cui non pensarci... non pensare ai se. E non sentirti in colpa per la tua decisione."

"Non posso farne a meno..." Harry la staccò da sé e le prese il viso fra le mani. La guardò negli occhi, a lungo. "Non volevo che soffrissi ancora per me. Non avrei dovuto permetterlo."

"Vuoi farmi credere che ti sei pentito di quello che c'è stato fra noi?" chiese Ginny, con un lampo negli occhi scuri. Era già pronta a mordere.

A dispetto del suo umore sconvolto, Harry non poté fare a meno di sorridere.

"No, Ginny" disse, piano. "No di certo."

"Perché posso sopportare di tutto... la lontananza, la malinconia..." le labbra le tremaraono, ma soltanto per un attimo. Poi riprese subito il controllo, e Harry la ammirò per la sua forza. "Il dolore. Ma posso farlo solo se so di non aver vissuto tutto quanto da sola." Lo guardò. "Di non aver amato soltanto io, in tutti quei giorni che..."

"No" la interruppe Harry, con dolcezza. Avrebbe voluto dirglielo in un modo migliore, ma non era certo di riuscirci. "Non hai amato soltanto tu. E a volte mi sembra che quelle settimane insieme a te siano state gli unici momenti in cui io abbia vissuto davvero."

Ginny abbozzò un sorriso, e tornò a stringersi a lui, appoggiandogli la guancia al petto.

"Avevi detto che ti sembrava di aver vissuto la vita di qualcun altro" gli ricordò, sottovoce.

"E' vero... la vita che spero di poter vivere un giorno, quando tutto questo sarà finito e io sarò un'altra persona." Harry la strinse più forte, e la cullò lentemente, quasi fosse una bambina. "Quando la cicatrice sulla mia fronte non significherà più che sono un sopravvissuto, e mi ricorderà soltanto quanto avrò lottato per arrivare fino a lì."

Ascoltò il respiro leggero di lei, il suono del vento fra gli alberi.

"Non mi hai chiesto di aspettarti" sussurrò Ginny, dopo un attimo.

"No. Non voglio farlo, non posso" disse lui, in un sussurro. "Non sarebbe giusto."

"Ameno questo non sta a te deciderlo, per fortuna..." commentò Ginny, facendosi un po' indietro per guardarlo in viso. Sembrava vagamente divertita.

Harry abbozzò un sorriso. "Immagino di no, vero?"

"Già... non può deciderlo nessuno" disse Ginny, guardandolo negli occhi. La luce del crepuscolo la faceva apparire più bella che mai. "Certe cose succedono, e basta."

"Sì. Hai ragione."

Harry la guardò a lungo, mentre i grilli intorno a loro cominciavano a frinire, nell'aria immobile e silenziosa, salutando le prime stelle che occhieggiavano nel cielo.

"Se solo sapessi spiegarti quanto ti amo, Ginny..." mormorò, sopraffatto dall'emozione. Non riuscì a impedire che la voce gli tremasse almeno un po'.

Gli occhi di lei, che non avevano versato una sola lacrima quel giorno sulle rive del lago a Hogwarts, adesso erano lucidi. Ma non sembrava triste.

La vide sollevare il viso verso il suo, e chiuse gli occhi mentre lo baciava piano sulle labbra, sfiorandogliele appena. Respirò il suo profumo dolce, delicato, che gli era mancato così tanto. Le strinse le braccia intorno al corpo, facendola aderire contro di sé, e Ginny rimase con le labbra sulle sue, respirando piano. Harry le accarezzò la schiena, salì con una mano fino ai suoi capelli, li accarezzò. Non si sarebbe mai stancato di toccarli, di passarci in mezzo le dita. Inclinò appena la testa di lato, e dischiuse le labbra, con un piccolo sospiro.

Ginny gli passò le braccia intorno alle spalle nude, e la sua bocca si mosse piano contro la sua, carezzevole.

La baciò senza potersi trattenere. Nonostante le settimane di lontananza fu un bacio estremamente tenero, delicato, anche quando si fece più profondo e coinvolgente. Le mani di lei gli scorrevano lievi sulla schiena, facendolo rabbrividire nell'aria fresca della sera. Era innamorato... era irrimediabilmente, disperatamente e perdutamente innamorato di lei, e non c'era niente che potesse fare per alleviare quel bisogno incontrollabile che aveva di vederla, di parlarle, di sentirla vicina. Che ne sarebbe stato di lui, se non poteva tenerla vicina? Il pensiero di averla lasciata andare era immensamente doloroso, ma subito quello ne subentrò un altro. Cercò di immaginare cosa avrebbe fatto se Ginny fosse morta, se le fosse successo qualcosa di brutto per restargli accanto... se non fosse riuscito a proteggerla. Il pensiero di perderla per sempre era insopportabile, più spaventoso della possibiltà che fosse lui stesso a morire.

Le mani di lei gli accarezzarono i capelli corti sulla nuca, e la sentì sussurrare qualcosa, fra i baci. Gli apparve con chiarezza estrema l'enormità del suo fardello, e per la prima volta da quando Silente era morto si sentì smarrito, e terribilmente solo. Aveva sempre saputo di essere diverso dagli altri, e dopo aver saputo della Profezia credeva di aver accettato questa sua condizione di Prescelto, di creatura marchiata, condannata... ma non aveva mai fatto i conti con la solitudine, quella vera, prima di allora. C'era sempre stato Silente a condividere con lui ogni peso, a tenerlo per mano lungo il cammino. Adesso se n'era andato per sempre, e la sua mano era vuota, al suo fianco non c'era nessuno. Nessuno che non avrebbe avuto timore di perdere, di danneggiare, di mettere in pericolo. Adesso era lui a doversi preoccupare degli altri, e di se stesso, senza che mani amorevoli potessero alleggerirgli in alcun modo il peso che portava sulla schiena. Poteva farcela, doveva farcela... o quantomeno, era certo che ci avrebbe provato, con tutte le sue forze. Ma non poteva fare a meno di temere che sarebbe crollato, in qualche punto imprecisato del cammino, in preda alla disperazione. La stessa che provava in quel momento, e che in ogni istante del giorno relegava in fondo al proprio animo, per poter riuscire ad andare avanti. E se fosse successa una cosa del genere, che ne sarebbe stato di lui? Di tutti gli altri? Di Ginny?

Voleva dare a tutti loro, a lei, un mondo senza più minacce, senza quell'orrore costante che li accompagnava già da troppo tempo. Aveva il potere di farlo. Ma in quel momento si sentiva come il più piccolo e insignificante degli uomini, e gli sembrava che non avrebbe più potuto muovere un passo se non poteva stringere, lungo la strada, la piccola mano di lei nella sua.

Ti passerà, si disse, è solo un momento... ti passerà...

Ma la stretta sul suo cuore non si allentò di un millimetro , e le lacrime si fecero strada prepotentemente fra le sue palpebre abbassate. Ginny continuò a baciarlo, anche quando le bagnò la pelle delle guance. Anche quando il suo respiro di fece più difficoltoso per lo sforzo di trattenere i singhiozzi. Gli prese il viso fra le mani, e lo coprì di baci, mentre Harry continuava a piangere, in silenzio. Lo strinse a sé e lui si aggrappò al suo corpicino esile come a un'ancora di salvezza. Seppellì il viso fra i suoi capelli.

"Harry..." mormorò Ginny, con dolcezza. "Harry, non vergognarti di piangere davanti a me..."

Cercò di prendergli il viso e di girarlo verso il suo, ma lui non glielo permise.

"Non devi cercare di essere forte a tutti i costi e in ogni istante, per piacermi così tanto..." disse lei, accarezzandogli i capelli. "Non ho bisogno di un eroe infallibile, che non ha mai cedimenti e che non ha bisogno di essere stretto fra le braccia e rassicurato da nessuno..."

Harry le nascose il viso contro il lato del collo, stringendola forte. Non avrebbe voluto scaricarle addosso i suoi problemi, le sue angosce, le sue paure. Se l'aveva allontanata, in parte, era anche per questo motivo. Ma le sue braccia che lo circondavano con dolce fermezza gli fecero perdere anche quel piccolo residuo di autocontrollo che aveva così faticosamente cercato di mantenere e, per la prima volta nella sua vita, pianse nelle braccia di qualcuno, scosso dai singhiozzi.

Harry sapeva che quell'ondata di lacrime sarebbe finita, che poi si sarebbe guardato intorno, meravigliato di essere crollato in quel modo davanti a lei. Sarebbe andato avanti con la sua vita, avrebbe portato il suo compito fino alla fine, senza mollare mai. Ma aveva bisogno di Ginny, adesso, e di quelle lacrime calde e dolorose che solo lei, ormai, poteva comprendrere fino in fondo.

Scivolarono a terra, stretti l'uno all'altra, e l'erba alta si chiuse su di loro, nascondendo in parte le stelle.

 

 

 

 

 

 

 

 

  
Leggi le 24 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Whatsername