DUE BIGLIETTI DI SOLA ANDATA
P.O.V. Richard
“Richard! Richard!”
sentivo in lontananza mia moglie che mi chiamava; io intanto riemergevo dal
sonno.
“Sì? Che c’è Claire?” Non era la solita sveglia del mattino, quella
delicata e dal profumo di tè.
“Il telefono squilla.” Mi voltai verso il
comodino, la sveglia segnava le 5 del mattino.
Una sola persona poteva chiamare
a quell’ora.
Non ricordo bene i miei movimenti, so solo che mi ritrovai, con la
vestaglia infilata e le pantofole ai piedi, a scendere le scale a perdifiato,
fiondandomi come un razzo sull’apparecchio telefonico.
Col fiatone risposi
“Rob?”
Non c’era bisogno di un genio per capire che a
quell’ora si potevano
ricevere solo chiamate da oltreoceano, dove l’orario sarà
stato certamente più
appropriato; ma comunque mi preoccupai, visto che i ragazzi non avevano
mai
disturbato a quell’ora. “Che c’è figliolo, che
è successo?”
“Ciao papà. senti,
potresti passarmi la mamma?” La voce sembrava calma, ma fin
troppo seriosa: era
un attore, poteva darmela a bere con facilità.
“Sei sicuro
Rob? Dimmi che va
tutto bene” continuai con il mio interrogatorio, preoccupandomi ad ogni secondo che passava senza avere una risposta.
“Te l’ho detto papà, va tutto
bene, ma mi passeresti la mamma, ho
bisogno di un favore”
“Ma se va tutto bene perché
chiederlo a quest’ora il favore,
Rob? Non potevi chiamare più tardi? Dimmi che tu stai bene e
Kristen sta bene e
che …” non potevo pensare ad una cosa così brutta
“… e prima che me lo chiedi,
anche il tuo nipote preferito, nonché unico, sta bene”
rispondendomi così,
Robert mi procurò un sospiro di sollievo.
“Ora, me la
passi mamma?” senza dire
una parola, con un pizzico di amaro in bocca, visto che mio figlio
puntava
sempre a sua madre, passai l’apparecchio a Claire, che mi era
rimasta affianco
col fiato sospeso, e se possibile mi aveva fatto salire l’ansia
ancora di più.
“Che c’è tesoro?” Eccola che comincia a fare le fusa a suo figlio: a volte mi
sento geloso di quella intimità; ma d’altronde, io e mio figlio non siamo stati
legati per nove mesi con un cordone.
Ormai certo il sonno perso non poteva
essere recuperato, così mi spostai in cucina, e mia moglie mi seguì a ruota con
il telefono portatile. Iniziò una fitta, nonché interessantissima conversazione
con Robert, fatta di ehm, sì, capisco, certo come no … se avessero usato
l’alfabeto morse, li avrei capiti più facilmente. Almeno Clare aveva avuto il
buon senso di mettersi a preparare la colazione nel frattempo. Accesi la
televisione e passai distrattamente in rivista i canali di notizie.
La mia
attenzione fu poi attirata da una frase di mia moglie “Ma perché? Mi vuoi
spiegare per cortesia cosa è successo?”
Allora qualcosa era successa davvero!
Ma perché Robert non me l’aveva detto, e perché Clare continuava ad essere così
tranquilla. Con la stessa calma di sempre, la telefonata si interruppe con un
“Ci vediamo, buon viaggio” che ovviamente mi insospettì.
“Già di ritorno?”
chiesi, con nonchalance, tentando di celare il mio stato d'animo reale
“ma non dovevano tornare tra 3 settimane?”
“Sì
ma hanno anticipato la
partenza. Kristen aveva bisogno di tornare”
A quelle parole mi si rizzarono le
antenne: volevo troppo bene a mia nuora per poter sopportare che le succedesse
qualcosa di grave; e poi portava il mio nipotino in grembo: una ragione in più
per preoccuparmi. “Ma allora non sta bene? È successo qualcosa al bambino”
“No,
calmati caro, non è successo niente! Non si tratta di questo” Mi innervosii
“E
allora? Santo Iddio, ma perché non mi dici le cose come stanno Claire. Non sono
malato di cuore, se è successo qualcosa di brutto non mi sento male” mi facevo
forza, ma sapevo che era una bugia anche per me.
“Non ti dico niente perché non
è successo niente di grave. Robert mi ha solo chiesto di andare a casa loro, e
dare una sistemata prima di rientrare. E anche di fare un po’ di spesa, perché
il frigo è vuoto, visto che avevano programmato di rimanere via per un mese.”
Mi tranquillizzai definitivamente; Clare non mentiva.
“Ma perché ripartono
subito? Che significa che Kristen aveva bisogno di tornare?”
“Non lo so, non me
l’ha voluto dire. E questo mi sembra strano. Mi ha detto che se voleva, ce
l’avrebbe spiegato lei al ritorno” stavolta però era preoccupata Clare, e lo
ero anch’io.
Tuttavia mi sentivo
felice, fiero, che Kristen avesse scelto di tornare in Inghilterra
così presto. Sicuramente non era così, ma mi piaceva
credere che la nostra compagnia le fosse più
gradita di quella della sua famiglia. Così azzardai ad incoraggiare Clare
“Beh allora tesoro
non preoccuparti; non sarà successo niente di così brutto
poi; magari è la
solita storia con i paparazzi. Sai quanto Kristen e Rob li detestino;
avranno
deciso che la cosa migliore era tornare qui e starsene tranquilli,
prima di
riprendere con il lavoro …”
“ma sì forse
è come dici tu”.
P.O.V. Robert
“Mamma adesso ti
devo lasciare, che sta arrivando Kris …” “Ma perché? Mi vuoi spiegare per
cortesia cosa è successo?” “Mamma, ti prego, ora non posso parlare, te lo dirà
lei quando torniamo, se vuole. Ciao!” mi dispiacque molto riattaccarle il
telefono praticamente in faccia, ma era l’unico modo che avevo per evitare di
rispondere a quella domanda.
Uno perché non volevo parlarne davanti a LEI, non
volevo farla rabbuiare di nuovo e due, perché sinceramente cosa avrei detto a
mia madre per giustificarlo? Più ripensavo a mente fredda a ciò che era
successo, e più mi davo del minchione per non aver saputo trovare un
compromesso ed aver fermato quella catastrofe. Anzi, avevo ulteriormente
peggiorato la situazione con le mie stesse mani.
Stavamo per diventare
genitori, ciò nonostante ci stavamo comportando come dei bambini: scappavamo
dai problemi anziché affrontarli. Ma lei aveva voluto così e sì, lo ammetto,
ero e sono completamente succube di lei, non posso non assecondarla, ogni
volta. Tanto più allora, che era incinta e non volevo che le capitasse niente
di male.
Era andata in bagno
prima di partire, perché durante il volo non si sarebbe mossa dal sedile, o
meglio non avrebbe scrollato via la sua presa dal mio braccio. Gli occhiali
neri e capelli perennemente in disastro mostravano ai paparazzi che ci
ronzavano intorno la solita Kris, ma sapevo che sotto le lenti nascondeva delle
occhiaie profonde e livide. Le avevo detto che se fossimo arrivati troppo
presto in aeroporto avremmo dovuto aspettare ed avremmo certamente attirato l’attenzione,
ma aveva voluto fare di testa sua, aveva voluto abbandonare quella città il
prima possibile, e anche stare a LAX la faceva sentire possibilmente più vicina
alla meta del nostro viaggio.
Avevamo già dei biglietti per il ritorno, previsto
in data molto più lontana, ma non essendo rimborsabili dovetti prenderne altri
due, un volo diretto per Londra, di sola andata.
In attesa di
imbarcarci stavamo sulle panchine come una normalissima coppia, come tante ce
ne erano lì in quel momento. Cercavamo di non dare importanza ai flash che
partivano da ogni parte dell’edificio, probabilmente non avevamo la forza, più
che la voglia, di fermarli in quel momento. Kris teneva la testa appoggiata
alla mia spalla e, tipico segno della gravidanza, tendeva ad avere le gambe
divaricate mentre stava seduta. Di tanto in tanto accarezzava la pancia che,
ormai giunta al quinto mese, non poteva più essere nascosta. Lei ascoltava
musica dall’ iPod, io tentavo di leggere una rivista qualsiasi presa
distrattamente nell’edicola dell’aeroporto, mentre come un tic che le accarezzavo i capelli.
Ma venni distratto facilmente dalla
tenerezza del quadro familiare che io e la mia dolce metà stavamo componendo.
Non resistetti e le stampai un bacio sui capelli profumati.
“Vi amo” sussurrai.
Non ero sicuro che avesse sentito le mie parole, ma sembrò rispondere quando
strinse le sue braccia attorno al mio e mi attirò più a sé.
“Scusa per questo trambusto”
mi disse. Aveva quel maledetto vizio di mantenere le cuffie alle orecchie, nonostante
non ascoltasse nulla; allora aveva davvero sentito le mie parole: ne ero
felice. Sembrava voler dire qualcosa, i
suoi occhi me lo chiedevano, però era incerta, credo soprattutto nei confronti
della mia possibile reazione. Effettivamente non avevamo ancora parlato di ciò
che era accaduto. Io le avevo dato il mio pieno e devoto appoggio, come sempre;
da parte mia non le avevo però rivelato del mio incontro con i suoi quella
mattina stessa.
“Come stai?” le chiesi.
Fraintese la mia domanda: “Bene, non ho
più avuto nausea da stamattina, ed il sonno lo recupero ora che saliamo in
aereo …”
Posai la mia mano libera dalla sua stretta sul suo cuore, per farmi
capire meglio “Come stai, qui?” Un attimo di silenzio. Abbassò lo sguardo: forse
non stava poi così bene come aveva voluto farmi credere. Ed i miei sensi di
colpa presero di nuovo a farsi largo, prepotenti.
“Kris non è tardi per tornare
indietro. Possiamo tornare a casa e sistemare le cose.”
Alzò lo sguardo
implorante ma decisa “Sì Rob io voglio tornare a casa mia! Voglio tornare a
Londra” la speranza che avremmo risolto tutto svanì improvvisa così come era
arrivata.
“Ma non pensi di aver bisogno di loro?” le dissi mentre scuoteva la
testa “di tua madre, almeno? Lei non ha
colpe!”
“Lo so Rob che lei non c’entra. Ed infatti lei farà sempre parte
della mia vita. Ma non potevo dargliela vinta”.
La presi per mano: “Kris
ascolta” non potevo mentirle, non l’avevo mai fatto e non
potevo cominciare
proprio in quel momento “io rispetto e accetto tutte le tue
scelte, ti seguirò ogni
decisione prenderai, però credo che una possibilità
dovresti dargliela. Parlare
non significa gettare la spugna. Si tratta di venirsi incontro. E
magari lui potrebbe capire e …”
“Ssshhhhhhhhh!!!” posò un dito sulle mie
labbra, a zittirmi “lo sai qual è la ragione per cui mi
sono comportata così?
Perché mi sono resa conto che mio padre non è capace di
amarti” sapevo che era così, lo era stavo fin dal
principio, ma non mi ero mai arrabbiato perché in fin dei conti
nessuno ci aveva ostacolati concretamente nei nostri progetti, la sua
avversione era rimasta del piano verbale e non mi dava fastidio
più di tanto.
“Ma questo non
mi importa, col tempo passerà, qui si tratta del vostro rapporto!” Ma lei no, lei si sentiva offesa, presa in giro.
“No, Rob,
no! Noi siamo una cosa sola ormai, se lui odia te odia anche me. Ed odierà alla
stessa maniera anche nostro figlio”
Chiamatemi
pure debole, pollo, ma quando
disse queste parole mi sciolsi totalmente e non fui capace di
controbattere,
gliela diedi vinta, come al solito. Avvolsi con un abbraccio le sue
spalle, e
la feci accoccolare sul mio petto, lei cinse la mia vita con un
abbraccio
abbondante e caldo.
“Ok, va bene ... per ora si fa come vuoi tu.
Tanto si fa sempre come vuoi tu!" dissi sarcastico mentre lei rideva
sotto i suoi baffi da gattina. "Ma promettimi che ci penserai. E che
seguirai il mio consiglio. Si tratta almeno provaci …” Non
potei continuare oltre, perché
le sue labbra si fermarono sulle mie, e mi tolsero il respiro. Dire che
si
fermarono, oltretutto, è una parola grossa …
“Ah, comunque …” mi disse affannata
quando terminammo entrambi l’aria nei polmoni e dovemmo staccarci “Ti amiamo!”