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Autore: Sorella_Erba    20/03/2010    4 recensioni
C’era sempre una pressante cappa cinerea ad occultare l’azzurro del cielo, quando sollevava lo sguardo ad adocchiare la volta alla ricerca delle stelle, ed era tanto simile a quell’oscura ombra che appannava gli occhi di Arthur.Arthur Rimbaud/Paul Verlaine.Fanfiction partecipante all'iniziativa 2010: a year togheter, indetto dal Fanfiction Contest.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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«Venez, chère grande âme, on vous appelle, on vous attend».

Prompt #202. Io creo, tu distruggi.

 

 

L’aria di Londra era umida e uggiosa.

Odorava di pioggia, costantemente, anche quando la primavera incalzava con i suoi profumi di rinascita.

Aveva preso l’abitudine, nei pomeriggi lunghi e d’attesa, di sistemare una seggiola vicino alla finestra e di sedere, silenzioso, a rimirare la strada, rincorrendo il lento moto delle carrozze nere immerse nella rada foschia – un foglio di carta adagiato sul sostegno piano sopra alle gambe, la penna stretta in pugno e un calamaio sul davanzale; una lampada ad olio emanava il suo debole chiarore per rischiarare la stanza. C’era sempre una pressante cappa cinerea ad occultare l’azzurro del cielo, quando sollevava lo sguardo ad adocchiare la volta alla ricerca delle stelle, ed era tanto simile a quell’oscura ombra che appannava gli occhi di Arthur.

Era ritornato.

A malavoglia, sotto il peso delle sue suppliche, ma era ritornato.

Poteva leggergli sul viso il fastidio – l’espressione stanca, molle, grigia come le nuvole di quella città che, un tempo, sembrava fosse esistita solo per loro. Arthur aveva un aspetto adulto e duro: le ricercate maniere di cui faceva sfoggio e l’atteggiamento serioso non comune nei giovani della sua età l’avevano invecchiato; dimostrava più anni di quanti ne aveva vissuto.

«Eccomi. Sono qui, come desideravi».

«Sei qui».

Arthur sollevò il mento ad indicare il foglio macchiato dai ghirigori veloci della sua scrittura. Teneva le mani immerse nelle tasche del lungo paletot.

«Scrivi?».

La fanciullezza antica e pura era appassita. Il sorriso fresco e di cristallo – acqua di cascata, che lava via l’inquietudine e ristora l’anima – era stato sopraffatto dall’incombere della maturità.

«Sei qui. E non desideravo vedere ciò che ho dinnanzi». L’incertezza e l’ubriachezza fecero barcollare le sue parole.

«Hai bevuto».

Nascose il viso fra le mani, vergognoso, timoroso dello sguardo giudice e disgustato di Arthur. Si sentì improvvisamente così bambino, infagottato in una coperta fatta di rimorso e paura. Deglutì e accostò nuovamente le spalle allo schienale.

«Ti ho pensato, Arthur, ti ho pensato tanto».

La maschera d’uomo parve cedere, sul volto ancora giovane di Rimbaud, incrinata dal rimpianto.

«Ricordi la prima lettera che t’inviai?», chiese Paul.

«La tengo conservata, sì».

«Ero così felice, Arthur, così felice di aver trovare un’anima inviolata e tanto luminosa. Ti risposi immediatamente, senza pensarci due volte. Avevi rischiarato la mia vita, fatto breccia nella mia quotidianità, svegliandomi dal sonno dell’abitudine. Eri di una beltà disarmante e mi ero innamorato delle tue parole».

Ed è stato per te che ho abbandonato la mia famiglia, fanciullo, amico amato. Per te che ho trascurato la moglie e il figlio, voltando le spalle alla mia carne e cedendoti tutto me stesso.

L’anima su un vassoio, la vita in un bicchiere, banchetto prelibato per il tuo cuore.

Ero certo sarebbe durata, scioccamente avevo creduto che il sole su di noi sarebbe stato splendente e luminoso finché i nostri corpi avrebbero retto allo scorrere dell’esistenza effimera. Tu bambino eterno, io desideroso di apprendere il segreto del vivere d’istinto, giorno per giorno.

I miei castelli sono crollati, Arthur, quei castelli sui quali ho tanto faticato e penato, e vedo solo il tuo corpo, ora, danzare sui resti dell’amore, in quest’autunno morente del sentimento mio.

E parole non dette a colmare la distanza e il silenzio che li separavano da lui.

Paul riprese fiato, sospirando e alzando incerto gli occhi per vedere l’amato in viso. Stava sorridendo. Di un sorriso così somigliante a quello che gli aveva abbellito un tempo il volto, ma non identico.

Pensò, alzandosi, che gli sarebbe bastato.

 

 

 

 

Arthur Rimbaud e Paul Verlaine.

Sapevo che avrei scritto su di loro. Il titolo viene da una lettera scritta da Verlaine, indirizzata a Rimbaud.

 

La storia partecipa all’iniziativa "2010: a year togheter", indetto dal « Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 ».

 

   
 
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