«Venez, chère
grande âme, on vous appelle,
on vous attend».
Prompt #202. Io
creo, tu distruggi.
L’aria
di Londra era umida e uggiosa.
Odorava
di pioggia, costantemente, anche quando la primavera incalzava con i
suoi
profumi di rinascita.
Aveva
preso l’abitudine, nei pomeriggi lunghi e d’attesa,
di sistemare una seggiola
vicino alla finestra e di sedere, silenzioso, a rimirare la strada,
rincorrendo
il lento moto delle carrozze nere immerse nella rada foschia
– un foglio di carta
adagiato sul sostegno piano sopra alle gambe, la penna stretta in pugno
e un
calamaio sul davanzale; una lampada ad olio emanava il suo debole
chiarore per
rischiarare la stanza. C’era sempre una pressante cappa
cinerea ad occultare
l’azzurro del cielo, quando sollevava lo sguardo ad
adocchiare la volta alla
ricerca delle stelle, ed era tanto simile a quell’oscura
ombra che appannava
gli occhi di Arthur.
Era
ritornato.
A
malavoglia, sotto il peso delle sue suppliche, ma era ritornato.
Poteva
leggergli sul viso il fastidio – l’espressione
stanca, molle, grigia come le
nuvole di quella città che, un tempo, sembrava fosse
esistita solo per loro. Arthur
aveva un aspetto adulto e duro: le ricercate maniere di cui faceva
sfoggio e l’atteggiamento
serioso non comune nei giovani della sua età
l’avevano invecchiato; dimostrava
più anni di quanti ne aveva vissuto.
«Eccomi.
Sono qui, come desideravi».
«Sei
qui».
Arthur
sollevò il mento ad indicare il foglio macchiato dai
ghirigori veloci della sua
scrittura. Teneva le mani immerse nelle tasche del lungo paletot.
«Scrivi?».
La
fanciullezza antica e pura era appassita. Il sorriso fresco e di
cristallo –
acqua di cascata, che lava via l’inquietudine e ristora
l’anima – era stato
sopraffatto dall’incombere della maturità.
«Sei
qui. E non desideravo vedere ciò che ho dinnanzi».
L’incertezza e l’ubriachezza
fecero barcollare le sue parole.
«Hai
bevuto».
Nascose
il viso fra le mani, vergognoso, timoroso dello sguardo giudice e
disgustato di
Arthur. Si sentì improvvisamente così bambino,
infagottato in una coperta fatta
di rimorso e paura. Deglutì e accostò nuovamente
le spalle allo schienale.
«Ti
ho pensato, Arthur, ti ho pensato tanto».
La
maschera d’uomo parve cedere, sul volto ancora giovane di
Rimbaud, incrinata
dal rimpianto.
«Ricordi
la prima lettera che t’inviai?», chiese Paul.
«La
tengo conservata, sì».
«Ero
così felice, Arthur, così felice di aver trovare
un’anima inviolata e tanto
luminosa. Ti risposi immediatamente, senza pensarci due volte. Avevi
rischiarato
la mia vita, fatto breccia nella mia quotidianità,
svegliandomi dal sonno
dell’abitudine. Eri di una beltà disarmante e mi
ero innamorato delle tue
parole».
Ed
è stato per te che ho
abbandonato la mia famiglia, fanciullo, amico amato. Per te che ho
trascurato
la moglie e il figlio, voltando le spalle alla mia carne e cedendoti
tutto me
stesso.
L’anima
su un vassoio, la
vita in un bicchiere, banchetto prelibato per il tuo cuore.
Ero
certo sarebbe durata,
scioccamente avevo creduto che il sole su di noi sarebbe stato
splendente e
luminoso finché i nostri corpi avrebbero retto allo scorrere
dell’esistenza
effimera. Tu bambino eterno, io desideroso di apprendere il segreto del
vivere
d’istinto, giorno per giorno.
I
miei castelli sono
crollati, Arthur, quei castelli sui quali ho tanto faticato e penato, e
vedo
solo il tuo corpo, ora, danzare sui resti dell’amore, in
quest’autunno morente
del sentimento mio.
E
parole non dette a colmare la distanza e il silenzio che li separavano
da lui.
Paul
riprese fiato, sospirando e alzando incerto gli occhi per vedere
l’amato in
viso. Stava sorridendo. Di un sorriso così somigliante a
quello che gli aveva abbellito
un tempo il volto, ma non identico.
Pensò,
alzandosi, che gli sarebbe bastato.
Arthur
Rimbaud e Paul Verlaine.
Sapevo
che avrei scritto su di loro. Il titolo viene da una lettera scritta da Verlaine, indirizzata a Rimbaud.
La
storia partecipa all’iniziativa "2010: a year
togheter",
indetto dal «
Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest,
« since
01.06.08 ».