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Autore: CassandraLeben    21/03/2010    3 recensioni
La memoria del passato è la chiave per affrontare il futuro.
Ma se proprio questo passato su cui facciamo tanto affidamento venisse meno?
E se improvvisamente Bella si trovasse sola, sperduta in un mondo che non riconosce più?
Cosa succederebbe a lei, a Edward, ai Cullen se un giorno la pioggia portasse via con sé anche i ricordi di Bella?
Ff ambientata tra Eclipse e Breaking Dawn (ed ideata prima dell’uscita del quarto libro).
Dal 1° cap: Mi trovavo proprio in mezzo alla strada quando, improvvisamente, un’auto uscì da un incrocio a destra. Correva a tutta velocità sull’asfalto bagnato. Tutto durò una manciata di secondi appena. Troppo poco perché persino Alice potesse aiutarmi.
Venni accecata dall’auto per un istante. Cercai di tornare
indietro ma le mie gambe non rispondevano.
Feci appena in tempo a portarmi le braccia sopra al capo in un infantile tentativo di proteggermi e poi sentii un suono acuto e spaventoso. Il guidatore, accortosi di me, aveva cercato di sterzare.
Ma l’asfalto era bagnato e lui perse il controllo del veicolo.
E poi tutto divenne nero...
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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on a rainy day 1

Per quante mi conoscessero già, eccomi tornata!So che è da un bel po’ che non mi faccio vedere ma non ho proprio avuto la possibilità di lavorare al PC ultimamente…
Per chi non mi conosce, benvenute sulle mie pagine, scritte irrimediabilmente di notte, nelle quali racconto storie avventurose, e (sforzandomi di non sforare nel rosso) romantiche con protagonisti i personaggi della Meyer (talvolta con aggiunte mie)
Spero gradirete questa mia storia che, come le due precedenti, sarà lunga ma (mi auguro) vi saprà conquistare. 
Non resterete deluse se vi aspettate colpi di scena e una buona vecchia storia in stile Cassandra.

Per gli aggiornamenti, non so ogni quanto riuscirò a pubblicare ma cercherò di essere costante e metodica.
(lo so, lo so, mancha l’“ultimo” capitolo de Con ogni singolo battito del mio cuore ma quella storia è così importante per me che non ho il coraggio di finirla!!! Quasi due anni della mia vita!!! Non preoccupatevi, la finirò, quando troverò la forza psicologica per farlo… chiedo perdono.)
Un bacio e a presto, seguitemi in tante e lasciate un segno del vostro passaggio facendomi sapere se la storia suscita il vostro interesse.

PS: questo capitolo è un po’ lungo in quanto è il primo.  

                                                      Cassandra

                                                                                            cap 1:                                                                                 

On a rainy day
In un giorno di pioggia…

Bella’s POV

 

Pioveva.
Quella maledetta mattina pioveva a dirotto.

Non che a Forks, stato di Washington, la pioggia rappresentasse una novità…
Il solo piccolo, insignificante problema era il fatto totalmente trascurabile che mi stessi per sposare!
Alice, seduta di fianco a me sulla sua porche gialla, non faceva altro che lamentarsi:
< Spero proprio che non piova il tredici! Come facciamo se no? >
< Come farai tu. > sottolineai io. < Lo sai che a me andrebbe benissimo sposarmi in cinque minuti in comune. Sei tu quella che vuole la cerimonia in giardino. >
< Bella, non sai cosa stai dicendo! Fra cent’anni mi ringrazierai per aver reso memorabile il giorno più importante della tua vita.
Questo tempo impossibile… non vedo se pioverà! È troppo instabile. Per sicurezza dovremo organizzarci in modo da poter tenere la cerimonia al chiuso. Ho sempre odiato i gazebo. Tanto vale farla direttamente in casa invece che in giardino… a meno che il tempo non migliori. Ma lo saprò per certo solo tre giorni prima… >
Continuò a blaterare mentre io affondavo nel comodo sedile in pelle. Mi strinsi nel cappotto e, assonnata, sbirciai fuori dal finestrino. Erano appena le sette e mezza e Port Angels si stava svegliando nel tiepido mattino di metà luglio. Alice mi aveva buttata giù dal letto alle sei e mezza con la scusa di dover portarmi a scegliere le bomboniere. Le BOMBONIERE! Come se a me importasse qualcosa!

Spinta fuori di casa a calci da Charlie, non avevo potuto far altro che sedermi e aspettare che Alice mettesse in moto. Perché Edward non era mai nei paraggi quando avevo davvero bisogno che mi salvasse? Altro che Victoria, altro che Volturi… Alice era un pericolo per la mia sanità mentale ed emotiva!
Mi accorsi che eravamo arrivate perché notai un’insegna preoccupante: una sposa sorridente altra due metri e avvolta da tulle bianco.
< Bene Bella, eccoci qua. >
Istintivamente serrai le mani intorno al sedile, quasi a non voler uscire.
< Bella, non fare la sciocca. Vedrai, non ci metteremo molto. Il negozio apre tra un’ora. Adesso ti porto a fare colazione. Edward mi ha tanto raccomandato… >
A quelle parole mi illuminai. < Lo hai sentito? >
Sospirò e, tenendomi saldamente per un braccio mentre mi tirava fuori dall’auto, mi disse: < Questa notte. Ha detto che è riuscito a prendere due puma e che per colpa di Emmett un terzo è fuggito. Si stava divertendo ma ha anche detto che avrebbe preferito trascorrere la notte con te. > Mi squadrò e poi disse: < Bella, ricorda che è troppo tardi per cambiare il colore dell’abito, quindi vedi di non fare cavolate prima del matrimonio… >
Sospirai e la rassicurai: < Alice, fossi in te non mi preoccuperei. Edward non cederà adesso che ha quasi vinto. Non ci sarà bisogno di rinunciare al bianco. Resterò “intatta” ancora per… oddio, ormai solo due settimane! >

Rise vedendomi avvampare e mi trascinò fino ad una sala da the. La pioggia batteva veloce ritmicamente contro il suo ombrello gigantesco. Mi ricordava il suono del mio cuore quando Edward mi baciava.

Quando, alle nove, il negozio di articoli da sposa aprì, io ed Alice eravamo già davanti all’ingresso. La mia migliore amica e quasi sorella non riuscì a infondermi il suo entusiasmo e trascorsi la maggior parte del tempo annuendo a caso e facendomi i fatti miei. La commessa credeva che la sposa fosse Alice!
Dopo che ebbi scelto la bomboniera (o meglio, dopo che Alice mi ebbe mostrato quella che le piaceva di più e avermi costretto a dire “sì”) lasciai mia “sorella” a prendere gli accordi con le commesse ed uscii. Tremai quando sentii dire: < centodieci pezzi >
Quante persone aveva osato invitare?!
Una coltre spessa di nubi oscurava il cielo ma per lo meno aveva smesso di piovere.
Appena pochi metri più avanti avevo visto una libreria. Pensai di dare un’occhiata alla vetrina in attesa che Alice mi raggiungesse. In fondo si trattava solo di attraversare la strada…
Infilai le mani in tasca e, dopo aver rivolto un ultimo sguardo all’insegna “Sposa di classe”, decisi di andarmene da quel luogo di torture.

Riuscii a fare però solo pochi passi.

Mi trovavo proprio in mezzo alla strada quando, improvvisamente, un’auto uscì da un incrocio a destra. Correva a tutta velocità sull’asfalto bagnato.
Tutto durò una manciata di secondi appena. Troppo poco perché persino Alice potesse aiutarmi.
Venni accecata dall’auto per un istante e poi cercai di tornare indietro ma le mie gambe non rispondevano.
Feci appena in tempo a portarmi le braccia sopra al capo in un infantile tentativo di proteggermi e poi sentii un suono acuto e spaventoso.

Il guidatore, accortosi di me, aveva cercato di sterzare.

Ma l’asfalto era bagnato e lui perse il controllo del veicolo.
Di quei momenti ricordo solo la luce accecante, e il dolore terribile nel momento in cui l’auto colpì il mio corpo. Rimbalzai sul cofano e ruppi il parabrezza.
Sentii alcuni vetri tagliarmi la pelle delle braccia, della schiena. Il colpo mi aveva bloccato i polmoni, non riuscivo a respirare.
Rotolai a terra, di lato, e vidi l’auto correre a tutta velocità prima di schiantarsi contro un palo. Un altro botto. La testa, a quel ulteriore suono, cominciò a pulsare. I suoni erano ovattati, come se le voci che gridavano intorno a me venissero da lontano. Troppo lontano perché io potessi raggiungerle.
Mi ritrovai a terra, incapace di muovermi. Vedevo delle sagome accalcarsi intorno a me. La pioggia intorno al mio corpo formava delle pozze rosse come rubini…
Mi accorsi di star respirando di nuovo solo perché ogni volta che il mio petto si gonfiava delle fitte terribili mi percorrevano il costato. Rantolai cercando di parlare.
Tra tutte quelle voci che si susseguivano vorticosamente intorno a me, improvvisamente ne distinsi una, più vicina delle altre. Qualcuno piangeva inginocchiato di fronte a me.

Alice tremava e mi chiamava. Erano le sue le mani gelate che mi accarezzavano il capo?

< Bella! Bella! Non preoccuparti. Non è niente. Non è niente. Ti prego, rispondimi. Riesci a sentirmi? Isabella! >
Ripeteva queste frasi come un disco rotto. Non l’avevo mai vista così preoccupata.
I suoi occhi stavano perdendo la tonalità dorata in favore di quella nera.
In quel momento tanto assurdo, tanto sbagliato, la prima cosa che riuscì a sussurrare fu: < Alice… i tuoi occhi… hai sete… >
< Bella! Oddio Bella… non preoccuparti. Edward sta già tornando. Gli ho appena telefonato. E Carlisle sta arrivando. Adesso ti portiamo all’ospedale… > Sentivo le sue dita cercare di pulirmi il viso, liberandolo da quella sostanza calda e viscosa che mi impastricciava la pelle.
Cercai di muovermi, non capendo a cosa si riferisse ma lei mi bloccò a terra con le sue mani gelide. < Cerca di restare ferma. Ti prego, non muoverti… Oddio! Oddio! Ma com’è potuto succedere? Perché non ho visto… Bella, mi dispiace, mi dispiace! È colpa mia, solo colpa mia. Edward non mi perdonerà mai! Avrei dovuto… mi dispiace, mi dispiace… >
Nel frattempo altri rumori, altrettanto assordanti, si sovrapposero alle urla. Un fastidiosissimo suono elettronico mi dilaniò i timpani prima di cessare, a pochi metri da me.
Vidi, prima di chiudere gli occhi, Alice allontanarsi, tenuta per le spalle da uno sconosciuto vestito di giallo fosforescente e poi senti altre mani, calde, posarsi sul mio viso.

< Ehi? Signorina? Mi senti? Se mi senti rispondimi. Mi senti? > qualcuno mi stava tenendo il polso e toccandomi la gola. Mi aprirono gli occhi.

Sbattei le palpebre, colpita da una luce improvvisa e poi sussurrai: < Sì… la sento. >
< Bene. Adesso ti portiamo via da qui. Ricordi come ti chiami? >
Ci pensai un attimo prima di rispondere… < Sì. Bella… >  
In quel momento venni sollevata da terra e appoggiata su qualcosa di morbido. Quel movimento mi fece girare la testa ed ebbi un conato di vomito. Mi vergognai ma il signore gentile che continuava a parlarmi mi sussurrò: < Non preoccuparti tesoro, non preoccuparti. >
Mi lagnai dicendo che mi faceva male ovunque e lui, accarezzandomi il volto mi rassicurò: < Bella, va tutto bene. Fra poco non sentirai niente. > poi, facendomi aumentare il mal di testa, urlò a qualcun altro:
< Possiamo portarla via. La ragazza con i capelli neri viene con noi. >
Non cercai neanche di capire le sue parole.
Il capo pesante mi si poggiò di lato e vidi delle chiazze di sangue nel punto in cui mi ero trovata fino a qualche attimo prima.
Il dolore, che fino a qualche istante prima attanagliava il mio corpo, stava lentamente scemando in favore di un torpore strano ed innaturale.

Qualcosa di freddo mi venne appoggiato sul viso. Mi resi conto di avere gli occhi chiusi ma le palpebre erano troppo pesanti per cercare di riaprirli. I suoni mi giungevano sempre più attenuati fino a scomparire nell’oscurità che mi circondava.

 

 

Edward’s POV

< Edward, fare così non servirà a niente… >
< Carlisle! tu non capisci! Non ti rendi conto? >
< Edward, mi rendo esattamente conto della situazione. Lo sai perfettamente. Proprio come sai che non ha senso trattare Alice in questo modo. Non te lo permetto. Non se lo
merita. >
< Ma sarebbe bastato che fosse stata un po’ più attenta! Sa benissimo che Bella è… è… come ha potuto perderla di vista? Era troppo impegnata con i suoi stupidi giochetti per la festa! Ti rendi conto? Bella non la voleva nemmeno la cerimonia! Avrei dovuto darle retta. Sono stato così egoista da costringerla a fare come volevo io! E Alice? Se solo fosse stata un po’ più moderata…
Carlisle! Bella non voleva tutto questo! È solo colpa mia. Mia e di Alice! Possibile che non sia riuscita a vedere ciò che stava per accadere? Certo, era troppo impegnata nei preparativi di quello stupido party per pensare all’incolumità di Bella… >
< Edward, per favore, adesso smettila. Alice è già abbastanza turbata. Da quando le hai urlato contro, quattro giorni fa, non ha più detto una parola. Jasper è disperato. >

< E io allora? E IO ALLORA? Bella è in coma! Ti rendi conto! >

< Ci sono speranze che si ristabilisca. Bella è stabile. Le ferite che ha riportato non sono così gravi da pregiudicare la possibilità di un suo possibile recupero… >
Gli impedii di proseguire. Alzai il viso dalle lenzuola e lo fissai con rancore.
< Come sarebbe a dire non gravi! > Gli urlai ormai fuori di me. Sapevo che lui non voleva offendermi, che stava solo cercando di farmi ragionare, di rassicurarmi. Ma Bella giaceva esamine sul letto davanti a me, coperta di punti, con quattro costole incrinate, un trauma cranico e ferite sulla schiena e sul viso, oltre al braccio ingessato. Il sangue che macchiava le bende mi faceva riardere la gola. Ormai l’odore di quello delle trasfusioni era svanito. Da quando ero arrivato in ospedale non aveva dato segni di vita se non quando aveva sbattuto le palpebre, il primo giorno.
Indicai con un gesto della mano la mia fidanzata. La rividi negli occhi di Carlisle: Lui cercava di guardarla in modo obbiettivo, come ad una paziente e non come ad una figlia. Stava analizzando la flebo collegata al suo braccio così come la mascherina sul volto. Il tubo che aveva in gola non pareva sconvolgerlo come invece sconvolgeva me. Per lui era solo uno strumento per aiutare una paziente a restare in vita.
Io vedevo solo la donna che amavo giacere sul letto bianco di un grande ospedale.
Cercai di reprimere la mia rabbia e affondai di nuovo il volto tra le sue lenzuola. Con la fronte le sfiorai il braccio, caldo e profumato.
< Edward, quello che intendo dire… > ma poi si bloccò. Ascoltai i suoi pensieri… “Edward, lo sai benissimo quali erano, anzi sono, i desideri di Bella. Se la situazione dovesse peggiorare, o non migliorare in un tempo ragionevole, la cambieremo. Ti aiuterò. Non sarai costretto a farlo da solo. Il suo cuore è forte. Vedrai, non dovrete separavi.”
Rabbrividii all’idea che Bella dovesse abbandonarmi.
Annuii lentamente senza sollevare il capo. Sottovoce sussurrai: < scusa, sono fuori di me. È così sbagliato tutto questo… >
“sta arrivando Charlie. Cerca di controllarti.” Pensò prima di sedersi sul piccolo divano vicino alla porta.
Pochi istanti dopo il padre di Bella bussò piano alla porta.
< Avanti. >
< Permesso… >
< Entra pure Charlie. >
< Carlisle, Edward… >

Quando fece il mio nome, alzai leggermente il capo per salutarlo e notai sul suo volto i segni della stanchezza. Si era rifiutato di prendere delle ferie al lavoro. Diceva che lo aiutava a distrarsi. Appena smontava, veniva in ospedale a controllare la situazione. A giudicare dal suo aspetto, non aveva dormito molto negli ultimi quattro giorni. Reneé e Phil,che si erano precipitati a Forks non appena li avevamo avvisati di quanto era accaduto, alloggiavano a casa sua. Reneé veniva tutti i giorni ma non riusciva a restare per più di una mezzora. E poi, Phil non voleva che lei si agitasse troppo perché aspettava un bambino. La notizia avrebbe dovuto essere una sorpresa per Bella. Reneè aveva aspettato apposta per dirglielo di persona, quando sarebbe venuta da noi per il matrimonio. Adesso, lo stress dell’incidente rischiava di compromettere la gravidanza e lei passava quasi tutto il giorno a casa, a letto. Carlisle prima di venire in ospedale andava sempre a controllarla ed anche Esme si fermava da lei spesso, per farle compagnia e rassicurarla.
Charlie prese la sedia e la trascinò vicino al letto, sul lato opposto al mio. Prese la mano di Bella e poi chiese: < Qualche novità? >
Mi riappoggiai alle lenzuola mentre mio padre cominciò a fargli il resoconto della giornata. Con la mano che non stringeva quella di Bella, cominciai ad accarezzarle il viso facendo attenzione a non toccarle i tagli. Mi appoggiai il palmo della sua mano sulla guancia e inspirai profondamente il suo odore.
< Edward… Edward… > Charlie mi stava chiamando.
< Sì? >
< Perché non vai a casa a riposarti un po’?  hai un aspetto tremendo. Sono sicuro che Esme non approvi questo tuo comportamento. Non puoi compromettere la tua salute per… >
< Per chi? Per Bella? Certo che posso. > Charlie non aggiunse altro ma nei suoi pensieri stava analizzando le mie occhiaie violacee. Una piccola parte della mia mente si rese conto della sete bruciante che mi attanagliava. Per quanto ancora avrei resistito? Non importava. Non potevo neanche pensare di lasciarla, nemmeno per poche ore.
Quando ormai era notte inoltrata, lo sceriffo si alzò dalla sedia e, dopo aver baciato Bella sulla fronte, si congedò con un “ A domani” spento e triste. Quando si fu richiuso la porta alle spalle, Casrlisle si alzò in piedi e mi venne vicino. Poggiando la mano sulla mia spalla, mi sussurrò: < Edward, io vado. Ti raggiungerà Emmett, insieme a Jasper. Ci vediamo domani mattina. >

Annuii distratto mentre lui raggruppava le sue cose e si metteva la giacca. Uno stupido gesto umano per salvare le apparenze.
< Esme e Rosalie verranno domattina. Anzi, fra qualche ora. > constatò guardando l’orologio.
< Ci vediamo dopo. >
< A dopo. Ti chiamo se ci fossero novità. > Bisbigliai. Lui annuì con il capo e poi uscì.
Rimasto solo con Bella, nel silenzio della camera spoglia, ascoltai i battiti del suo cuore, il sangue che pulsava caldo ed invitante nelle sue vene, le gocce della flebo rincorrersi…
Alla millesima goccia, Emmett aprì entrò nella stanza. Mi salutò con un cenno del capo e poi si sedette dove qualche ora prima si era sistemato Charlie. Jaz si appoggiò al muro.

< Edward > incominciò Emmett serio. < Dobbiamo parlarti. >
risposi senza sollevare lo sguardo dal viso di Bella. Le tenevo ancora la mano.
< Edward, guardami. È importante. > Sollevai lo sguardo, a malincuore. Contemporaneamente, sentii il potere di Jasper inondare la stanza. Non mi opposi. Mi avrebbe aiutato a calmarmi un po’, a calmare la rabbia dentro di me. 
< Edward, siamo venuti a parlarti perché crediamo che sia importate che tu sappia cosa pensiamo. Ne abbiamo discusso a lungo, tutti insieme a casa, e siamo tutti d’accordo.
Che ne diresti se la portassimo a casa da noi? > ed indicò Bella con il capo. < Carlisle è disponibile a  prendersi cura di lei, sotto il profilo medico. Aspetteremo qualche settimana, tanto per non destare sospetti, e poi tu la trasformerai. Carlisle la dichiarerà morta e diremo a Charlie che sarebbe meglio non vederla nella bara. Che sarebbe meglio ricordarla com’era… con l’aiuto di Jaz, non sarà difficile convincerlo. Al funerale ci sarà la bara chiusa e nessuno sospetterebbe nulla.
E poi ce ne andremo. >
Scossi veementemente la testa.
< Edward, lo diciamo per te, per lei. Sai che potrebbe non riprendersi più. Ha picchiato il capo, molto forte. Non ha dato segni di ripresa. Non ha molte speranze di risvegliarsi dal coma… >
< Emmett, ci sono persone che si risvegliano dopo anni! > sibilai tra i denti. Ero tornato a fissarla, a fissare le sue labbra socchiuse. Alla mascherina che aveva sostituito il tubo per respirare.
< Vuoi farle questo? Vuoi aspettare anni? Sai bene cosati direbbe se ora fosse presente. Ti direbbe che sei impazzito. Ed avrebbe ragione. Vuoi che si risvegli a trent’anni, con un corpo che non sarebbe più il suo? Vuoi che non si riconosca più allo specchio? E poi, ammesso anche che possa risvegliarsi, più in là si sveglierebbe, più difficile sarebbe per lei tornare ad una vita normale. Il suo corpo farebbe fatica e lei dovrebbe rieducarlo a muoversi e a fare tutto,persino mangiare. Per cosa poi? Perchè tu la morda qualche settimana dopo? Non credo che ti permetterebbe mai di farle un simile torto. E poi, lo sai anche tu. Alice non vede segni di ripresa. Mordila adesso e vedrai che lei ti dirà che hai fatto la cosa giusta. Il veleno la guarirà. Guarirà tutto. E sarete felici. >

Era sincero e mentre parlava evocava delle immagini molto vivide nella sua mente. Sapevo che aveva ragione ma non riuscivo ad ammetterlo a me stesso.
< Emmett, no. Voglio aspettare. Almeno un po’. C’è più di una possibilità che si riprenda, che si risvegli in un tempo ragionevole. >
< Ma perché aspettare? Carlisle è pronto a trasferirla a casa già da domani. >
< Emmett, noi ci dobbiamo sposare. >
< E dov’è il problema? Vi sposerete dopo! > sbottò incrociando le braccia. < Facciamo così, tu aspetti chessò, un mese? Se fra un mese le sue condizioni non saranno migliorate, la portiamo a casa. Aspettare di più sarebbe inutile. >
< Emmett… > < No, basta. A casa sono tutti d’accordo con me. Domani mattina Esme e Rose verranno a darci il cambio. Carlisle sarà qui di turno. Jaz tornerà a casa da Alice e tu verrai con me a caccia. E non dire di no. Dovresti guardarti in faccia. Ne hai troppo bisogno per poter aspettare ancora. In questo posto c’è troppo sangue umano libero per poter resistere a lungo. > e mentre diceva così, pensò alle bende insanguinate di Bella.
< Emmett, adesso non riesco a pensare con lucidità. Se poi la portassimo a casa e lei avesse una crisi? Carlisle non dispone di una sala di rianimazione in salotto. Magari più avanti, tra un po’. E per la trasformazione, tutto quello che hai detto è giusto ma io voglio aspettare, ancora un po’. >
< Però domani ci vieni a caccia. Almeno su questo non devi starci a pensare a lungo. >
Annuii stanco, sperando che così mi lasciasse in pace.
Non disse più nulla e nella stanza calò il silenzio. Quando l’orologio segnò le sei e mezza e fuori si intravedevano i primi raggi di luce, un’infermiera entrò nella camera e ci chiese di uscire perché doveva controllare Isabella. Fuori ci aspettavano Esme e Rose. Rosalie fissava il pavimento mentre Esme mi veniva incontro. Mi abbracciò e dopo avermi scostato i capelli dal viso pensò: “non può ridursi così. Spero che Emmett lo abbia convinto ad uscire per cacciare.”
< Non preoccuparti mamma. Sto bene. Appena l’infermiera ce lo permette, torno dentro insieme a voi. La sete è più che sopportabile. > e accennai un sorriso. Emmett sbuffò e sussurrò: < Io ci ho provato ma evidentemente non mi ascolta. >  < Scusa Em, non ce la faccio ad andarmene. >
Lui mi strinse la spalla comprensivo e poi si allontanò insieme a Jasper.
Non appena l’infermiera uscì, ritornai da Bella. Alle due di quel pomeriggio anche Charlie ci raggiunse. Lui ed Esme parlarono a lungo e mia madre gli ripeté il discorso che Emmett aveva fatto a me quella notte. Per lo meno, la parte sul trasferimento era uguale. Ovviamente non  poteva rivelargli cosa realmente stessero progettando.
Carlisle passò per la visita quel pomeriggio e constatò che non erano ravvisabili miglioramenti e l’espressione sul volto di Charlie si fece ancora più addolorata e stanca.
Anche nei giorni successivi le ore si susseguirono senza cambiamenti, senza risposte.

Venti giorni dopo l’incidente, io ed Esme eravamo seduti vicino al letto di Bella mentre Carlisle controllava i macchinari. Esme le strinse la mano e poi si alzò per andare a fare una telefonata a casa.
Si chiuse la porta alle spalle ed io mi chinai a baciare la guancia a Bella.
Le ripetei le stesse parole che le sussurravo da quando l’avevano portata in ospedale: < Bella, amore… mi senti? Bella? Bella… non preoccuparti amore, ci sono qui io. Non avere paura. >
Chiusi gli occhi e appoggiai il capo sul cuscino. Ero stanco. Devastato.
Poi, improvvisamente, avvertii un lieve movimento. le dita della sua mano si strinsero intorno alle mie. Alzai immediatamente la testa. Carlisle si era subito avvicinato.
Ricominciai a chiamarla, questa volta con una nuova energia nella voce: < Bella, Bella? Mi senti. Riesci a stringermi ancora la mano? Bella? Bella? >

E a quel punto lei sbatté gli occhi. Una, due, tre volte. forse non riusciva ad adattarsi alla luce. Piegò il capo di lato, come per schivarla. Le accarezzai la guancia con mano tremante. E a quel punto mi vide. Sussurrò: < Ahia… >
< Bella, sono Carlisle, mi senti? > lui era già chino su di lei. Le puntò una luce negli occhi che le teneva aperti. Lei cercò di chiuderli, infastidita. < I valori sono tutti normali. Sembra recettiva. Bella? Bella? Come ti senti? Riesci a parlare? >
Confusa, Bella muoveva lentamente il capo da me a mio padre. Tossì due volte cercando di parlare. < Mi fa male, il petto, la testa. > sussurrò molto lentamente, con voce arrochita. La sua mano, stretta alla mia, tremava.

Mi sentivo euforico, felice, in preda ad una gioia profonda e quasi incontenibile. Mi stava parlando. Si era svegliata. Sempre tenendole la mano sulla guancia le dissi: < Non preoccuparti. È comprensibile che tu sia agitata. Va tutto bene. Adesso chiamiamo Charlie. Era così in pena… >
A quelle parole parve riacquistare lucidità. Socchiuse gli occhi e mi fissò prima di mormorare: 
< Charlie? Che ci fa qui Charlie? Dovè la mamma? Cos’è successo? >

Interdetto, le sorrisi. < Bella, Charlie ci vive qui e tua madre vive a Jacksonville, con Phil. Ma adesso anche loro sono qui. >
Confusa, aggrottò le sopraciglia. < Come sarebbe a dire che Charlie vive qui? e poi, noi abitiamo a Phoenix, in Arizona.Non a Jacksonville… Dove sono? > con entrambe le mani le accarezzai febbrilmente il volto, sistemandole i capelli dietro le orecchie. La mascherina sulla sua bocca era tutta appannata dal suo respiro agitato.
< Bella, cosa dici? Tu non… > Carlisle mi impedì di continuare intromettendosi nella conversazione. Parlava con voce calma, serena e tranquilla. Non mostrava alcun segno di tensione.
< Bella, sei in ospedale. Sei a Forks. Anche tua madre si trova qui. Hai avuto un incidente. oggi è il nove agosto del duemilanove. Sei stata in coma per dieci giorni. Adesso andiamo a chiamare i tuoi genitori. Saranno qui tra breve. > Bella ci guardava in preda alla confusione. Mentre le parlava, Carlisle le stringeva delicatamente la mano. Lei chiuse gli occhi e poi disse: < Ho freddo. la mano è fredda. >
Rimanemmo in silenzio per alcuni attimi e poi disse: < Mi dovete dimettere. Devo andare al matrimonio. devo andare al matrimonio. Non posso mancare. >
Il suo battito cardiaco cominciò ad accelerare. Stava entrando nel panico. La sua voce era bassa e roca, affaticata.
< Non preoccuparti, tesoro. Il matrimonio è rimandato. Non agitarti per questo. Charlie sta arrivando. Esme ha sentito che eri sveglia ed è corsa a chiamarlo. Tra poco sarà qui. >
Quasi senza rendersene conto, lei sussurrò: < Charlie è qui? ma il matrimonio… il matrimonio… >
< Bella, non preoccuparti del matrimonio. Lo faremo tra un po’, quando starai meglio. Non importa. >
Mi chinai per baciarle la fronte e sentii il suo cuore impazzire. Anche il monitor, con il suo bip sordo, se ne accorse.
Nonostante fosse così pallida, arrossì.
< wow… > la sentii bisbigliare, trasognata e sorrisi.
In quel momento Esme chiamarmi dal corridoio. nessun umano avrebbe udito il suo sussurro.
< Bella, devo uscire per qualche minuto. Vado da Esme. È qui, fuori dalla porta. È felicissima che tu ti sia svegliata. Carlisle adesso ti visiterà meglio. Non voglio essere d’impiccio. Sarò da te non appena avranno finito. >
Mi fissò ancora, con lo stesso sguardo confuso e rapito di poco prima e poi balbettò imbarazzata: < Va bene… >

Mentre mi chiudevo la porta alle spalle, sorridendo ad Esme, la sentii sussurrare di nuovo, con voce debole e stanca: < Wow >

 

                                                                                                                                            

  
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