Per quante mi conoscessero
già, eccomi tornata!So che è da
un bel po’ che non mi faccio vedere ma non ho proprio avuto
la possibilità di
lavorare al PC ultimamente…
Per chi non mi conosce, benvenute sulle mie pagine, scritte
irrimediabilmente di notte, nelle quali racconto storie avventurose, e
(sforzandomi di non sforare nel rosso) romantiche con protagonisti i
personaggi
della Meyer (talvolta con aggiunte mie)
Spero gradirete questa mia storia che, come le due
precedenti, sarà lunga ma (mi auguro) vi saprà
conquistare.
Non resterete
deluse se vi aspettate colpi di scena e una buona vecchia storia in
stile
Cassandra.
(lo so, lo so, mancha l’“ultimo” capitolo
de Con
ogni singolo battito del mio cuore ma quella
storia è così importante per me che non ho il
coraggio di finirla!!! Quasi due
anni della mia vita!!! Non preoccupatevi, la finirò, quando
troverò la forza
psicologica per farlo… chiedo perdono.)
Un bacio e a presto, seguitemi in tante e lasciate un segno
del vostro passaggio facendomi sapere se la storia suscita il vostro
interesse.
PS: questo capitolo è un po’ lungo in quanto è il primo.
Cassandra
On a rainy day
In un giorno di pioggia…
Bella’s POV
Pioveva.
Quella maledetta mattina pioveva a dirotto.
Non che a Forks, stato di
Washington, la pioggia
rappresentasse una novità…
Il solo piccolo, insignificante problema era il fatto
totalmente trascurabile che mi stessi per sposare!
Alice, seduta di fianco a me sulla sua porche gialla,
non faceva altro che lamentarsi:
< Spero proprio che non piova il tredici! Come
facciamo se no? >
< Come farai tu. > sottolineai io. < Lo sai
che a me andrebbe benissimo sposarmi in cinque minuti in comune. Sei tu
quella
che vuole la cerimonia in giardino. >
< Bella, non sai cosa stai dicendo! Fra cent’anni
mi ringrazierai per aver reso memorabile il giorno più
importante della tua
vita.
Questo tempo impossibile… non vedo se pioverà!
È
troppo instabile. Per sicurezza dovremo organizzarci in modo da poter
tenere la
cerimonia al chiuso. Ho sempre odiato i gazebo. Tanto vale farla
direttamente
in casa invece che in giardino… a meno che il tempo non
migliori. Ma lo saprò
per certo solo tre giorni prima… >
Continuò a blaterare mentre io affondavo nel comodo
sedile in pelle. Mi strinsi nel cappotto e, assonnata, sbirciai fuori
dal
finestrino. Erano appena le sette e mezza e Port Angels si stava
svegliando nel
tiepido mattino di metà luglio. Alice mi aveva buttata
giù dal letto alle sei e
mezza con la scusa di dover portarmi a scegliere le bomboniere. Le
BOMBONIERE!
Come se a me importasse qualcosa!
Spinta fuori di casa a calci da
Charlie, non avevo
potuto far altro che sedermi e aspettare che Alice mettesse in moto.
Perché
Edward non era mai nei paraggi quando avevo davvero bisogno che mi
salvasse?
Altro che Victoria, altro che Volturi… Alice era un pericolo
per la mia sanità
mentale ed emotiva!
Mi accorsi che eravamo arrivate perché notai
un’insegna preoccupante: una sposa sorridente altra due metri
e avvolta da
tulle bianco.
< Bene Bella, eccoci qua. >
Istintivamente serrai le mani intorno al sedile, quasi
a non voler uscire.
< Bella, non fare la sciocca. Vedrai, non ci
metteremo molto. Il negozio apre tra un’ora. Adesso ti porto
a fare colazione.
Edward mi ha tanto raccomandato… >
A quelle parole mi illuminai. < Lo hai sentito?
>
Sospirò e, tenendomi saldamente per un braccio mentre
mi tirava fuori dall’auto, mi disse: < Questa notte.
Ha detto che è riuscito
a prendere due puma e che per colpa di Emmett un terzo è
fuggito. Si stava
divertendo ma ha anche detto che avrebbe preferito trascorrere la notte
con te.
> Mi squadrò e poi disse: < Bella, ricorda che
è troppo tardi per
cambiare il colore dell’abito, quindi vedi di non fare
cavolate prima del
matrimonio… >
Sospirai e la rassicurai: < Alice, fossi in te non
mi preoccuperei. Edward non cederà adesso che ha quasi
vinto. Non ci sarà
bisogno di rinunciare al bianco. Resterò
“intatta” ancora per… oddio, ormai
solo due settimane! >
Rise vedendomi avvampare e mi
trascinò fino ad una
sala da the. La pioggia batteva veloce ritmicamente contro il suo
ombrello
gigantesco. Mi ricordava il suono del mio cuore quando Edward mi
baciava.
Dopo che ebbi scelto la bomboniera (o meglio, dopo che
Alice mi ebbe mostrato quella che le piaceva di più e avermi
costretto a dire
“sì”) lasciai mia
“sorella” a prendere gli accordi con le commesse ed
uscii.
Tremai quando sentii dire: < centodieci pezzi >
Quante persone aveva osato invitare?!
Una coltre spessa di nubi oscurava il cielo ma per lo
meno aveva smesso di piovere.
Appena pochi metri più avanti avevo visto una
libreria. Pensai di dare un’occhiata alla vetrina in attesa
che Alice mi
raggiungesse. In fondo si trattava solo di attraversare la
strada…
Infilai le mani in tasca e, dopo aver rivolto un
ultimo sguardo all’insegna “Sposa di
classe”, decisi di andarmene da quel luogo
di torture.
Riuscii a fare però solo
pochi passi.
Mi trovavo proprio in mezzo alla
strada quando,
improvvisamente, un’auto uscì da un incrocio a
destra. Correva a tutta velocità
sull’asfalto bagnato.
Tutto durò una manciata di secondi appena. Troppo poco
perché persino Alice potesse aiutarmi.
Venni accecata dall’auto per un istante e poi cercai
di tornare indietro ma le mie gambe non rispondevano.
Feci appena in tempo a portarmi le braccia sopra al
capo in un infantile tentativo di proteggermi e poi sentii un suono
acuto e
spaventoso.
Il guidatore, accortosi di me,
aveva cercato di
sterzare.
Ma l’asfalto era bagnato
e lui perse il controllo del
veicolo.
Di quei momenti ricordo solo la luce accecante, e il
dolore terribile nel momento in cui l’auto colpì
il mio corpo. Rimbalzai sul
cofano e ruppi il parabrezza.
Sentii alcuni vetri tagliarmi la pelle delle braccia,
della schiena. Il colpo mi aveva bloccato i polmoni, non riuscivo a
respirare.
Rotolai a terra, di lato, e vidi l’auto correre a
tutta velocità prima di schiantarsi contro un palo. Un altro
botto. La testa, a
quel ulteriore suono, cominciò a pulsare. I suoni erano
ovattati, come se le
voci che gridavano intorno a me venissero da lontano. Troppo lontano
perché io
potessi raggiungerle.
Mi ritrovai a terra, incapace di muovermi. Vedevo
delle sagome accalcarsi intorno a me. La pioggia intorno al mio corpo
formava
delle pozze rosse come rubini…
Mi accorsi di star respirando di nuovo solo perché
ogni volta che il mio petto si gonfiava delle fitte terribili mi
percorrevano
il costato. Rantolai cercando di parlare.
Tra tutte quelle voci che si susseguivano
vorticosamente intorno a me, improvvisamente ne distinsi una,
più vicina delle
altre. Qualcuno piangeva inginocchiato di fronte a me.
Alice tremava e mi chiamava. Erano
le sue le mani
gelate che mi accarezzavano il capo?
< Bella! Bella! Non
preoccuparti. Non è niente. Non
è niente. Ti prego, rispondimi. Riesci a sentirmi? Isabella!
>
Ripeteva queste frasi come un disco rotto. Non l’avevo
mai vista così preoccupata.
I suoi occhi stavano perdendo la tonalità dorata in
favore di quella nera.
In quel momento tanto assurdo, tanto sbagliato, la
prima cosa che riuscì a sussurrare fu: <
Alice… i tuoi occhi… hai sete…
>
< Bella! Oddio Bella… non preoccuparti. Edward sta
già tornando. Gli ho appena telefonato. E Carlisle sta
arrivando. Adesso ti
portiamo all’ospedale… > Sentivo le sue
dita cercare di pulirmi il viso,
liberandolo da quella sostanza calda e viscosa che mi impastricciava la
pelle.
Cercai di muovermi, non capendo a cosa si riferisse ma
lei mi bloccò a terra con le sue mani gelide. < Cerca
di restare ferma. Ti
prego, non muoverti… Oddio! Oddio! Ma
com’è potuto succedere? Perché non ho
visto… Bella, mi dispiace, mi dispiace! È colpa
mia, solo colpa mia. Edward non
mi perdonerà mai! Avrei dovuto… mi dispiace, mi
dispiace… >
Nel frattempo altri rumori, altrettanto assordanti, si
sovrapposero alle urla. Un fastidiosissimo suono elettronico mi
dilaniò i
timpani prima di cessare, a pochi metri da me.
Vidi, prima di chiudere gli occhi, Alice allontanarsi,
tenuta per le spalle da uno sconosciuto vestito di giallo fosforescente
e poi
senti altre mani, calde, posarsi sul mio viso.
< Ehi? Signorina? Mi senti?
Se mi senti rispondimi.
Mi senti? > qualcuno mi stava tenendo il polso e toccandomi la
gola. Mi
aprirono gli occhi.
Sbattei le palpebre, colpita da una
luce improvvisa e
poi sussurrai: < Sì… la sento. >
< Bene. Adesso ti portiamo via da qui. Ricordi come
ti chiami? >
Ci pensai un attimo prima di rispondere… <
Sì.
Bella… >
In quel momento venni sollevata da terra e appoggiata
su qualcosa di morbido. Quel movimento mi fece girare la testa ed ebbi
un
conato di vomito. Mi vergognai ma il signore gentile che continuava a
parlarmi
mi sussurrò: < Non preoccuparti tesoro, non
preoccuparti. >
Mi lagnai dicendo che mi faceva male ovunque e lui,
accarezzandomi il volto mi rassicurò: < Bella, va
tutto bene. Fra poco non
sentirai niente. > poi, facendomi aumentare il mal di testa,
urlò a qualcun
altro:
< Possiamo portarla via. La ragazza con i capelli
neri viene con noi. >
Non cercai neanche di capire le sue parole.
Il capo pesante mi si poggiò di lato e vidi delle
chiazze di sangue nel punto in cui mi ero trovata fino a qualche attimo
prima.
Il dolore, che fino a qualche istante prima
attanagliava il mio corpo, stava lentamente scemando in favore di un
torpore
strano ed innaturale.
Qualcosa di freddo mi venne
appoggiato sul viso. Mi
resi conto di avere gli occhi chiusi ma le palpebre erano troppo
pesanti per
cercare di riaprirli. I suoni mi giungevano sempre più
attenuati fino a
scomparire nell’oscurità che mi circondava.
Edward’s POV
< Carlisle! tu non
capisci! Non ti rendi conto? >
< Edward, mi rendo esattamente
conto della situazione. Lo sai perfettamente. Proprio come sai che non
ha senso
trattare Alice in questo modo. Non te lo permetto. Non se lo
merita. >
< Ma sarebbe bastato che
fosse stata un po’ più attenta! Sa benissimo che
Bella è… è… come ha potuto
perderla di vista? Era troppo impegnata con i suoi stupidi giochetti
per la
festa! Ti rendi conto? Bella non la voleva nemmeno la cerimonia! Avrei
dovuto
darle retta. Sono stato così egoista da costringerla a fare
come volevo io! E
Alice? Se solo fosse stata un po’ più
moderata…
Carlisle! Bella non voleva
tutto questo! È solo colpa mia. Mia e di Alice! Possibile
che non sia riuscita
a vedere ciò che stava per accadere? Certo, era troppo
impegnata nei
preparativi di quello stupido party per pensare
all’incolumità di Bella… >
< Edward, per favore,
adesso smettila. Alice è già abbastanza turbata.
Da quando le hai urlato
contro, quattro giorni fa, non ha più detto una parola.
Jasper è disperato.
>
<
E io allora? E IO
ALLORA? Bella è in coma! Ti rendi conto! >
<
Ci sono speranze che si
ristabilisca. Bella è stabile. Le ferite che ha riportato
non sono così gravi da
pregiudicare la possibilità di un suo possibile
recupero… >
Gli impedii di proseguire. Alzai
il viso dalle lenzuola e lo fissai con rancore.
< Come sarebbe a dire non
gravi! > Gli urlai ormai fuori di me. Sapevo che lui non voleva
offendermi,
che stava solo cercando di farmi ragionare, di rassicurarmi. Ma Bella
giaceva
esamine sul letto davanti a me, coperta di punti, con quattro costole
incrinate,
un trauma cranico e ferite sulla schiena e sul viso, oltre al braccio
ingessato.
Il sangue che macchiava le bende mi faceva riardere la gola. Ormai
l’odore di
quello delle trasfusioni era svanito. Da quando ero arrivato in
ospedale non
aveva dato segni di vita se non quando aveva sbattuto le palpebre, il
primo
giorno.
Indicai con un gesto della
mano la mia fidanzata. La rividi negli occhi di Carlisle: Lui cercava
di
guardarla in modo obbiettivo, come ad una paziente e non come ad una
figlia. Stava
analizzando la flebo collegata al suo braccio così come la
mascherina sul
volto. Il tubo che aveva in gola non pareva sconvolgerlo come invece
sconvolgeva me. Per lui era solo uno strumento per aiutare una paziente
a
restare in vita.
Io vedevo solo la donna che
amavo giacere sul letto bianco di un grande ospedale.
Cercai di reprimere la mia
rabbia e affondai di nuovo il volto tra le sue lenzuola. Con la fronte
le
sfiorai il braccio, caldo e profumato.
< Edward, quello che
intendo dire… > ma poi si bloccò. Ascoltai
i suoi pensieri… “Edward, lo sai
benissimo quali erano, anzi sono, i desideri di Bella. Se la situazione
dovesse
peggiorare, o non migliorare in un tempo ragionevole, la cambieremo. Ti
aiuterò. Non sarai costretto a farlo da solo. Il suo cuore
è forte. Vedrai, non
dovrete separavi.”
Rabbrividii all’idea che
Bella dovesse abbandonarmi.
Annuii lentamente senza
sollevare il capo. Sottovoce sussurrai: < scusa, sono fuori di
me. È così
sbagliato tutto questo… >
“sta arrivando Charlie. Cerca
di controllarti.” Pensò prima di sedersi sul
piccolo divano vicino alla porta.
Pochi istanti dopo il padre
di Bella bussò piano alla porta.
< Avanti. >
< Permesso… >
< Entra pure Charlie. >
< Carlisle, Edward… >
Quando
fece il mio nome,
alzai leggermente il capo per salutarlo e notai sul suo volto i segni
della
stanchezza. Si era rifiutato di prendere delle ferie al lavoro. Diceva
che lo
aiutava a distrarsi. Appena smontava, veniva in ospedale a controllare
la
situazione. A giudicare dal suo aspetto, non aveva dormito molto negli
ultimi
quattro giorni. Reneé e Phil,che si erano precipitati a
Forks non appena li
avevamo avvisati di quanto era accaduto, alloggiavano a casa sua.
Reneé veniva
tutti i giorni ma non riusciva a restare per più di una
mezzora. E poi, Phil
non voleva che lei si agitasse troppo perché aspettava un
bambino. La notizia
avrebbe dovuto essere una sorpresa per Bella. Reneè aveva
aspettato apposta per
dirglielo di persona, quando sarebbe venuta da noi per il matrimonio.
Adesso,
lo stress dell’incidente rischiava di compromettere la
gravidanza e lei passava
quasi tutto il giorno a casa, a letto. Carlisle prima di venire in
ospedale
andava sempre a controllarla ed anche Esme si fermava da lei spesso,
per farle
compagnia e rassicurarla.
Charlie prese la sedia e la
trascinò vicino al letto, sul lato opposto al mio. Prese la
mano di Bella e poi
chiese: < Qualche novità? >
Mi riappoggiai alle lenzuola
mentre mio padre cominciò a fargli il resoconto della
giornata. Con la mano che
non stringeva quella di Bella, cominciai ad accarezzarle il viso
facendo
attenzione a non toccarle i tagli. Mi appoggiai il palmo della sua mano
sulla
guancia e inspirai profondamente il suo odore.
< Edward… Edward… >
Charlie mi stava chiamando.
< Sì? >
< Perché non vai a casa a
riposarti un po’? hai
un aspetto
tremendo. Sono sicuro che Esme non approvi questo tuo comportamento.
Non puoi
compromettere la tua salute per… >
< Per chi? Per Bella?
Certo che posso. > Charlie non aggiunse altro ma nei suoi
pensieri stava
analizzando le mie occhiaie violacee. Una piccola parte della mia mente
si rese
conto della sete bruciante che mi attanagliava. Per quanto ancora avrei
resistito? Non importava. Non potevo neanche pensare di lasciarla,
nemmeno per
poche ore.
Quando ormai era notte
inoltrata, lo sceriffo si alzò dalla sedia e, dopo aver
baciato Bella sulla
fronte, si congedò con un “ A domani”
spento e triste. Quando si fu richiuso la
porta alle spalle, Casrlisle si alzò in piedi e mi venne
vicino. Poggiando la
mano sulla mia spalla, mi sussurrò: < Edward, io
vado. Ti raggiungerà
Emmett, insieme a Jasper. Ci vediamo domani mattina. >
Annuii
distratto mentre lui
raggruppava le sue cose e si metteva la giacca. Uno stupido gesto umano
per
salvare le apparenze.
< Esme e Rosalie verranno
domattina. Anzi, fra qualche ora. > constatò
guardando l’orologio.
< Ci vediamo dopo. >
< A dopo. Ti chiamo se ci
fossero novità. > Bisbigliai. Lui annuì
con il capo e poi uscì.
Rimasto solo con Bella, nel
silenzio della camera spoglia, ascoltai i battiti del suo cuore, il
sangue che
pulsava caldo ed invitante nelle sue vene, le gocce della flebo
rincorrersi…
Alla millesima goccia, Emmett
aprì entrò nella stanza. Mi salutò con
un cenno del capo e poi si sedette dove
qualche ora prima si era sistemato Charlie. Jaz si appoggiò
al muro.
<
Edward > incominciò
Emmett serio. < Dobbiamo parlarti. >
< Edward, guardami. È
importante. > Sollevai lo sguardo, a malincuore.
Contemporaneamente, sentii
il potere di Jasper inondare la stanza. Non mi opposi. Mi avrebbe
aiutato a
calmarmi un po’, a calmare la rabbia dentro di me.
< Edward, siamo venuti a
parlarti perché crediamo che sia importate che tu sappia
cosa pensiamo. Ne
abbiamo discusso a lungo, tutti insieme a casa, e siamo tutti
d’accordo.
Che ne diresti se la
portassimo a casa da noi? > ed indicò Bella con il
capo. < Carlisle è
disponibile a prendersi
cura di lei,
sotto il profilo medico. Aspetteremo qualche settimana, tanto per non
destare
sospetti, e poi tu la trasformerai. Carlisle la dichiarerà
morta e diremo a
Charlie che sarebbe meglio non vederla nella bara. Che sarebbe meglio
ricordarla com’era… con l’aiuto di Jaz,
non sarà difficile convincerlo. Al
funerale ci sarà la bara chiusa e nessuno sospetterebbe
nulla.
E poi ce ne andremo. >
Scossi veementemente la
testa.
< Edward, lo diciamo per
te, per lei. Sai che potrebbe non riprendersi più. Ha
picchiato il capo, molto
forte. Non ha dato segni di ripresa. Non ha molte speranze di
risvegliarsi dal
coma… >
< Emmett, ci sono persone
che si risvegliano dopo anni! > sibilai tra i denti. Ero tornato
a fissarla,
a fissare le sue labbra socchiuse. Alla mascherina che aveva sostituito
il tubo
per respirare.
< Vuoi farle questo? Vuoi
aspettare anni? Sai bene cosati direbbe se ora fosse presente.
Ti direbbe che sei impazzito. Ed avrebbe ragione. Vuoi
che si risvegli a trent’anni, con un corpo che non sarebbe
più il suo? Vuoi che
non si riconosca più allo specchio? E poi, ammesso anche che
possa
risvegliarsi, più in là si sveglierebbe,
più difficile sarebbe per lei tornare
ad una vita normale. Il suo corpo farebbe fatica e lei dovrebbe
rieducarlo a
muoversi e a fare tutto,persino mangiare. Per cosa poi?
Perchè tu la morda
qualche settimana dopo? Non credo che ti permetterebbe mai di farle un
simile
torto. E poi, lo sai anche tu. Alice non vede segni di ripresa. Mordila
adesso
e vedrai che lei ti dirà che hai fatto la cosa giusta. Il
veleno la guarirà.
Guarirà tutto. E sarete felici. >
Era
sincero e mentre parlava
evocava delle immagini molto vivide nella sua mente. Sapevo che aveva
ragione
ma non riuscivo ad ammetterlo a me stesso.
< Emmett, no. Voglio
aspettare. Almeno un po’. C’è
più di una possibilità che si riprenda, che si
risvegli in un tempo ragionevole. >
< Ma perché aspettare?
Carlisle è pronto a trasferirla a casa già da
domani. >
< Emmett, noi ci dobbiamo
sposare. >
< E dov’è il problema? Vi
sposerete dopo! > sbottò incrociando le braccia.
< Facciamo così, tu
aspetti chessò, un mese? Se fra un mese le sue condizioni
non saranno
migliorate, la portiamo a casa. Aspettare di più sarebbe
inutile. >
< Emmett… > < No,
basta. A casa sono tutti d’accordo con me. Domani mattina
Esme e Rose verranno
a darci il cambio. Carlisle sarà qui di turno. Jaz
tornerà a casa da Alice e tu
verrai con me a caccia. E non dire di no. Dovresti guardarti in faccia.
Ne hai
troppo bisogno per poter aspettare ancora. In questo posto
c’è troppo sangue
umano libero per poter resistere a lungo. > e mentre diceva
così, pensò alle
bende insanguinate di Bella.
< Emmett, adesso non
riesco a pensare con lucidità. Se poi la portassimo a casa e
lei avesse una
crisi? Carlisle non dispone di una sala di rianimazione in salotto.
Magari più
avanti, tra un po’. E per la trasformazione, tutto quello che
hai detto è
giusto ma io voglio aspettare, ancora un po’. >
< Però domani ci vieni a
caccia. Almeno su questo non devi starci a pensare a lungo. >
Annuii stanco, sperando che
così mi lasciasse in pace.
Non disse più nulla e nella
stanza calò il silenzio. Quando l’orologio
segnò le sei e mezza e fuori si
intravedevano i primi raggi di luce, un’infermiera
entrò nella camera e ci
chiese di uscire perché doveva controllare Isabella. Fuori
ci aspettavano Esme
e Rose. Rosalie fissava il pavimento mentre Esme mi veniva incontro. Mi
abbracciò e dopo avermi scostato i capelli dal viso
pensò: “non può ridursi
così. Spero che Emmett lo abbia convinto ad uscire per
cacciare.”
< Non preoccuparti mamma.
Sto bene. Appena l’infermiera ce lo permette, torno dentro
insieme a voi. La
sete è più che sopportabile. > e accennai
un sorriso. Emmett sbuffò e sussurrò:
< Io ci ho provato ma evidentemente non mi ascolta. > < Scusa Em, non ce la
faccio ad andarmene.
>
Lui mi strinse la spalla
comprensivo e poi si allontanò insieme a Jasper.
Non appena l’infermiera uscì,
ritornai da Bella. Alle due di quel pomeriggio anche Charlie ci
raggiunse. Lui
ed Esme parlarono a lungo e mia madre gli ripeté il discorso
che Emmett aveva
fatto a me quella notte. Per lo meno, la parte sul trasferimento era
uguale.
Ovviamente non poteva
rivelargli cosa
realmente stessero progettando.
Carlisle passò per la visita
quel pomeriggio e constatò che non erano ravvisabili
miglioramenti e
l’espressione sul volto di Charlie si fece ancora
più addolorata e stanca.
Anche nei giorni successivi
le ore si susseguirono senza cambiamenti, senza risposte.
Venti
giorni dopo
l’incidente, io ed Esme eravamo seduti vicino al letto di
Bella mentre Carlisle
controllava i macchinari. Esme le strinse la mano e poi si
alzò per andare a
fare una telefonata a casa.
Si chiuse la porta alle spalle
ed io mi chinai a baciare la guancia a Bella.
Le ripetei le stesse parole
che le sussurravo da quando l’avevano portata in ospedale:
< Bella, amore…
mi senti? Bella? Bella… non preoccuparti amore, ci sono qui
io. Non avere
paura. >
Chiusi gli occhi e appoggiai
il capo sul cuscino. Ero stanco. Devastato.
Poi, improvvisamente,
avvertii un lieve movimento. le dita della sua mano si strinsero
intorno alle
mie. Alzai immediatamente la testa. Carlisle si era subito avvicinato.
Ricominciai a chiamarla,
questa volta con una nuova energia nella voce: < Bella, Bella?
Mi senti.
Riesci a stringermi ancora la mano? Bella? Bella? >
E
a quel punto lei sbatté gli
occhi. Una, due, tre volte. forse non riusciva ad adattarsi alla luce.
Piegò il
capo di lato, come per schivarla. Le accarezzai la guancia con mano
tremante. E
a quel punto mi vide. Sussurrò: < Ahia…
>
< Bella, sono Carlisle, mi
senti? > lui era già chino su di lei. Le
puntò una luce negli occhi che le
teneva aperti. Lei cercò di chiuderli, infastidita. <
I valori sono tutti
normali. Sembra recettiva. Bella? Bella? Come ti senti? Riesci a
parlare? >
Confusa, Bella muoveva lentamente
il capo da me a mio padre. Tossì due volte cercando di
parlare. < Mi fa
male, il petto, la testa. > sussurrò molto
lentamente, con voce arrochita.
La sua mano, stretta alla mia, tremava.
Mi
sentivo euforico, felice,
in preda ad una gioia profonda e quasi incontenibile. Mi stava
parlando. Si era
svegliata. Sempre tenendole la mano sulla guancia le dissi: <
Non
preoccuparti. È comprensibile che tu sia agitata. Va tutto
bene. Adesso
chiamiamo Charlie. Era così in pena… >
A quelle parole parve
riacquistare lucidità. Socchiuse gli occhi e mi
fissò prima di mormorare:
< Charlie? Che ci fa qui
Charlie? Dovè la mamma? Cos’è successo?
>
Interdetto,
le sorrisi. <
Bella, Charlie ci vive qui e tua madre vive a Jacksonville, con Phil.
Ma adesso
anche loro sono qui. >
Confusa, aggrottò le
sopraciglia. < Come sarebbe a dire che Charlie vive qui? e poi,
noi abitiamo
a Phoenix, in Arizona.Non a Jacksonville… Dove sono?
> con entrambe le mani
le accarezzai febbrilmente il volto, sistemandole i capelli dietro le
orecchie.
La mascherina sulla sua bocca era tutta appannata dal suo respiro
agitato.
< Bella, cosa dici? Tu
non… > Carlisle mi impedì di continuare
intromettendosi nella conversazione.
Parlava con voce calma, serena e tranquilla. Non mostrava alcun segno
di
tensione.
< Bella, sei in ospedale.
Sei a Forks. Anche tua madre si trova qui. Hai avuto un incidente. oggi
è il
nove agosto del duemilanove. Sei stata in coma per dieci giorni. Adesso
andiamo
a chiamare i tuoi genitori. Saranno qui tra breve. > Bella ci
guardava in
preda alla confusione. Mentre le parlava, Carlisle le stringeva
delicatamente
la mano. Lei chiuse gli occhi e poi disse: < Ho freddo. la mano
è fredda.
>
Rimanemmo in silenzio per
alcuni attimi e poi disse: < Mi dovete dimettere. Devo andare al
matrimonio.
devo andare al matrimonio. Non posso mancare. >
Il suo battito cardiaco
cominciò ad accelerare. Stava entrando nel panico. La sua
voce era bassa e
roca, affaticata.
< Non preoccuparti,
tesoro. Il matrimonio è rimandato. Non agitarti per questo.
Charlie sta
arrivando. Esme ha sentito che eri sveglia ed è corsa a
chiamarlo. Tra poco
sarà qui. >
Quasi senza rendersene conto,
lei sussurrò: < Charlie è qui? ma il
matrimonio… il matrimonio… >
< Bella, non preoccuparti
del matrimonio. Lo faremo tra un po’, quando starai meglio.
Non importa. >
Mi chinai per baciarle la
fronte e sentii il suo cuore impazzire. Anche il monitor, con il suo
bip sordo,
se ne accorse.
Nonostante fosse così
pallida, arrossì.
< wow… > la sentii
bisbigliare, trasognata e sorrisi.
In quel momento Esme chiamarmi dal corridoio. nessun umano avrebbe
udito il suo sussurro.
< Bella, devo uscire per
qualche minuto. Vado da Esme. È qui, fuori dalla porta.
È felicissima che tu ti
sia svegliata. Carlisle adesso ti visiterà meglio. Non
voglio essere
d’impiccio. Sarò da te non appena avranno finito.
>
Mi fissò ancora, con lo
stesso sguardo confuso e rapito di poco prima e poi balbettò
imbarazzata: < Va bene…
>
Mentre
mi chiudevo la porta
alle spalle, sorridendo ad Esme, la sentii sussurrare di nuovo, con
voce debole
e stanca: < Wow >