Film > Alice nel paese delle meraviglie
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Autore: Angel666    21/03/2010    1 recensioni
Longfic. Elise è una ragazza che non hai mai creduto alle storie fantastiche che raccontava sua madre Alice. E' sempre stata una ragazza razionale e controllata finché anche lei a sua volta finirà nel Paese delle Meraviglie, dove scoprirà che quelle non erano solo favole. Dovrà sconfiggere una volta per tutte la Regina Rossa, che sta radunando una truppa, ed ha intenzione di tornare dall'esilio e riconquistare Sottomondo. Tra mille nuove avventure, vecchi amici, e un po’ di romanticismo.....la storia di una ragazza riflessiva che imparerà che un po’ di follia nella vita porta solo felicità! PLEASE R&R. [personaggi: un pò tutti]
Genere: Generale, Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nonostante non mi fosse ben chiaro quello che avrei dovuto fare, decisi di muovermi subito; anche perché volevo andare via da quel luogo inquietante il prima possibile.
La prima cosa che dovevo fare era procurarmi dei vestiti: non potevo certo andare in giro con una camicia da notte strappata!
Mi incamminai per il castello: nei corridoi vuoti e polverosi risuonavano i miei passi, e i ritratti appesi alle pareti erano ricoperti da uno strato di polvere.
Tutte le porte erano chiuse, come avrei fatto a trovare degli abiti?
Inconsciamente mi ritrovai di fronte ad un’enorme tenda di velluto rosso, decisi di oltrepassarla e subito rimasi senza fiato: mi trovavo in quella che doveva essere l’antica sala del trono. Era lunga e alta come l’interno di una cattedrale, le altissime vetrate colorate erano rotte in alcuni punti, da dove entravano fasci di luce ambrata creando uno strano gioco di chiaroscuri nell’aria.
Camminavo con la testa rivolta verso l’alto, per ammirare i bellissimi soffitti stuccati, fino a che non giunsi in prossimità del trono.
Avevo quasi un timore referenziale a guardarlo, ma sapevo che non c’era nessuno nel raggio di miglia, così decisi di dar sfogo a un piccolo sogno che ha ogni ragazza: sentirmi una regina, anche solo per un istante.
Salii i tre gradini e mi voltai verso una fantomatica corte esultante; feci un’elegante inchino e finalmente mi accomodai sul trono.
Era splendido, fatto d’oro e broccato ricamato, con rubini incastonati sopra la mia testa che formavano un cuore.
Certo mi mancava la corona, e anche una vera corte, ma non potei far a meno di sentirmi importante, anche solo per un secondo.


Dopo estenuanti ricerche giunsi nella camera che doveva appartenere alla Regina Rossa: era la più sfarzosa di tutte, con un’enorme letto a baldacchino e grazie al cielo, un immenso guardaroba.
Dai vecchi racconti di mia madre ricordavo che a discapito della sua testa grande, la regina in realtà era piuttosto piccola.
Aprii l’armadio e iniziai a tirare fuori alcuni vestiti. Erano tutti bellissimi, ma sembravano abiti per bambine!
Decisi di provarne uno lo stesso: quella che doveva essere la vita, mi arrivava sotto il seno, e l’orlo della gonna copriva a malapena il ginocchio. Sembravo una sorta di ballerina con un abito dai colori sgargianti. Sbottai a ridere guardandomi riflessa nello specchio, ma sapevo che, per il momento, non avrei ricavato nulla di meglio.
Con una nastro di seta rossa legai i miei lunghi capelli scuri in una coda alta e mi infilai un paio di scarpe rosse che, fortunatamente, mi calzavano a pennello.
Povera Regina, così deformata sarei stata perennemente arrabbiata anche io!
Quando riuscii in giardino, il cielo era sempre dello stesso colore arancione ‘Ma il tempo non passa mai qui?’ pensai.
La paura che avevo prima si era tramutata in ansia. Dovevo trovare i palmipedoni senza avere la più pallida idea né di dove cercarli, né di sapere che forma avessero.
Oltrepassai un’enorme cancello di ferro scardinato e seguii l’unico sentiero esistente, senza mai voltarmi indietro per guardare il castello.
Sebbene fossi sola, mi sentivo come osservata da qualcuno “ Sarà quello strano gatto.” Dissi a me stessa.
Mia madre era stata qui per ben due volte, dove in una aveva solo sette anni, e in un’altra aveva ucciso un mostro gigante. Se non era successo nulla a lei, perché avrei dovuto preoccuparmi? ‘ Dovrai dimostrare di essere degna di stare qui a Sottomondo.’ Le parole dello Stregatto mi risuonavano continuamente nella testa.
Quante persone sognano di vivere una fantastica avventura? Quante ragazze direbbero che sono fortunata ad avere una madre come la mia, che mi ha portato in questo luogo fantastico? Molte probabilmente.
Eppure io non riuscivo a gioirne. Nella mia vita ero sempre stata abituata ad avere tutto sottocontrollo, a sapere esattamente come si sarebbero svolte le mie giornate. Le persone poi, erano tutte così prevedibili da dove venivo. Che noia, potrebbero dire alcuni.
Forse avrebbero ragione, ma per l’evasione avevo sempre avuto i libri, il tetro, mia madre….

Persa così nei miei pensieri, non mi ero resa conto che il panorama attorno a me era completamente cambiato: mi trovavo all’interno di un fitto bosco. I rami sulla mia testa erano così attaccati che non riuscivo più a scorgere il cielo soprastante.
La sensazione di immobilità qui era molto più accentuata; era come se mi trovassi all’interno di una scatola. Riuscivo a vedere, ma non capivo da dove venisse la luce, sembrava una fonte artificiale: era ovunque, ma era immobile e fioca.
C’era ben poco che potessi fare, così continuai a seguire l’unico sentiero.
Non avevo mai visto un bosco simile: gli alberi erano tutti uguali e non c’era neppure un rumore che rivelasse la presenza di animali.
“Che strano, dai racconti di mia madre questo mondo mi sembrava molto più affollato.” Dissi.
Per tenermi compagnia presi a canticchiare una vecchia canzone. Però arrivata alla seconda strofa mi bloccai: non ricordavo più le parole.
“E’ davvero assurdo…ero convinta di saperla a memoria!” ma più ci pensavo, meno le ricordavo. Continuai a camminare perplessa, a mano a mano che mi addentravo la luce era sempre più debole. “Che strano questo posto. Questi…sono tutti uguali!” mi fermai di botto. Avevo gli occhi incollati sugli alberi attorno a me, eppure non riusciva a venirmi il loro nome!
Pensai al mio nome, a quello di mia madre, a quello di mio padre, agli oggetti di uso più comune…eppure non riusciva a venirmi in mente nulla.
Una volta avevo letto in un libro che se non ricordi più qual è il tuo nome, è come se avessi perso la parte più importante di te stessa. Io non volevo dimenticare! Soprattutto non volevo scordarmi del nome di mio padre, dato che era l’unica cosa che mi restava di lui.
Avevo paura che se fossi andata avanti mi sarei dimenticata di tutto e sarei rimasta bloccata in questo bosco per sempre. Decisi di tornare indietro, ma quando mi voltai notai con orrore che il sentiero era sparito. Partiva dai miei piedi e andava avanti, ma dietro di me non c’era più nulla. Ero dunque io che tracciavo il percorso?
Senza nessuno a cui chiedere aiuto, non sarei mai più uscita da questo posto!
Dovevo assolutamente ricordare “Pensa! Avanti devi ricordarti il tuo nome! Inizia per….A, no no per F! Oddio….”
Piangermi addosso non sarebbe servito a nulla: ero sempre stata una persona pragmatica e con un forte senso di auto-controllo; mi vantavo di sapermela cavare benissimo da sola e ci sarei riuscita anche questa volta.
‘Che cosa si fa in questi momenti?’ pensai. Quando si è soli e si brancola nel buio senza appigli ci si deve fidare del proprio istinto, mi dissi.
Chiusi gli occhi e inspirai a fondo tre volte. Poi presi a girare su me stessa, finché non persi completamente il senso dell’orientamento.
Quando mi fermai il sentiero ai miei piedi era sparito. Sorrisi “Se mia madre ce l’ha fatta senz’altro posso riuscirci anche io!”
Iniziai a correre tra gli alberi con tutta la forza che avevo, dovevo solo credere che avrei trovato l’uscita e questa si sarebbe materializzata: ne ero sicura.
Non so da dove mi venisse quell’idea, ma in compenso la sensazione di non essere più sola era tornata più bruciante di prima.
Non ricordo per quanto tempo corsi, so solo che avevo il cuore che stava per scoppiarmi in gola e la vista appannata per lo sforzo; ma non mi fermai mai finché non vidi gli alberi diradarsi e non fui finalmente fuori da quel bosco maledetto.
Mi appoggiai al tronco per riprendere fiato e mi accorsi che il cielo sopra di me era ricoperto di stelle: era notte fonda. Che meraviglia, quanto mi era mancato!
Feci la prova per vedere se mi era tornata la memoria “ Il mio nome è Elise Lincoln, Mia madre si chiama Alice e mio padre Thomas!” Scoppiai in una risata liberatoria: ancora una volta mi era andata bene.
In lontananza su una collina, vidi una casa con le luci accese e il fumo che usciva dai comignoli: finalmente qualcuno a cui chiedere indicazioni!


Quando giunsi in prossimità della casa, provai a sbirciare da una finestra, per vedere chi fossero gli abitanti.
L’interno era molto caldo ed accogliente, con pareti in pietra, mobili di legno e un bel caminetto acceso su cui stava scaldando una zuppa.
A quella vista il mio stomaco si ribellò dalla fame. Inoltre potevo vedere una donna di spalle intenta a cullare un bambino, e una cuoca che armeggiava con utensili da cucina. Questo mi diede il coraggio per entrare: ero stanca e affamata, non ce l’avrei mai fatta ad affrontare altre situazioni assurde al momento.
Ovviamente non avevo idea di quello che mi aspettava all’interno della casa.
Bussai timidamente e subito venne ad aprirmi una rana travestita da valletto, con tanto di parrucchino e livrea.
Sbigottita lo fissai per un attimo, poi mi schiarii la voce “Buona sera, sono qui per chiedere cortesemente la vostra ospitalità per questa notte.”
Senza dire una parola il valletto mi fece segno di seguirlo.
Quando mi condusse nella cucina, fui subito investita da una nuvola di fumo mista a pepe.
Inizia a starnutire senza sosta “Ecciù! Buona sera signora, io sono qui…Ecciù! Perché mi sono persa nel bosco e non ho un posto dove passare la… Ecciù! Notte.”
La cuoca continuava a pepare la zuppa come se non fosse entrato nessuno, e la donna senza voltarsi mi disse “Bhè? Cosa stai aspettando, siedi a tavola.” E continuò a cantare una grottesca ninna-nanna al suo bambino.
‘Povero piccolo, con tutto questo pepe nell’aria sfido io che continua a piangere.’ Pensai.
“Mi rincresce molto signora irrompere così, mentre state cenando.” Dissi educatamente.
“Nessun problema, da quando la Regina Rossa non c’è più, mi è rimasto ben poco da fare. Ah come mi mancano le sue partite a croquet, oramai non si decapita più nessuno!” fece aspramente.
Deglutii intimorita “Bhè, forse il fatto che nessuno venga più decapitato non è poi una cosa negativa.” Azzardai.
La donna finalmente si voltò, e io riuscii a vederla in faccia.
Istintivamente allontanai la sedia dal tavolo: non avevo mai visto una persona così brutta. Aveva il viso aguzzo, completamente deformato e dai lineamenti grotteschi di una maschera.
Il suo bambino poi non sembrava umano: assomigliava vagamente a un porcellino.
Trattenni il fiato, mentre lei mi studiava per bene “Hai un viso vagamente familiare: ci siamo incontrati altre volte?” mi chiese.
Probabilmente si confondeva con mia madre; nonostante il diverso colore di capelli, eravamo molto simili, soprattutto per conformazione fisica e colore degli occhi.
“No signora, probabilmente lei ha incontrato mia madre: Alice.” Le dissi.
Rimase fissa per qualche secondo, ignorando il bambino che urlava e scalpitava nel suo grembo.
“Alice….ora ricordo. Quella strana bambina che incontrai una volta dalla Regina. Tu sei sua figlia?”
“Si, signora.”
“Come sei finita qui?” mi chiese, riprendendo a cullare il bambino.
“Ecco…stavo viaggiando su una nave durante una tempesta, poi sono caduta in mare e sono finita qui.” Non sapevo se piangere o ridere per il mio racconto; a raccontarlo suonava ancora più assurdo, ma la donna di fronte a me non faceva una piega e mi ascoltava attentamente “In seguito ho attraversato una strana foresta….dove non riuscivo a ricordarmi più nulla, e alla fine mi sono ritrovata fuori dalla sua casa.” Conclusi.
“Mm…la Foresta Senza Nome….lì ogni cosa perde il proprio nome. E’ molto difficile riuscire ad uscire se non si sa la strada. Sei stata molto fortunata ragazzina. Molti esseri sono rimasti lì a vagare per lungo tempo intrappolati nel nulla.” Disse la donna lentamente.
Avevo i brividi solo a pensarci, così decisi di cambiare argomento “Signora, mi scusi, le per caso sa che cosa siano i palmipedoni?” chiesi.
Ella sbotto a ridere “E’ ovvio, carina! Come fai tu a non conoscerli?”
Mi strinsi nelle spalle “Non ne ho mai visti.”
“I palmipedoni sono delle piccole palme colorate, dell’altezza di due pollici circa, che dimorano nel terreno.” Disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo “Hanno un fantastico senso dell’orientamento, e sono utili per chiedere informazioni.” Concluse soddisfatta.
“E lei sa dove posso trovarli?” chiesi.
“Nei campi.”
Il silenzio ricadde tra noi, interrotto solo dal piangere del bambino e dal rumore della minestra che bolliva sul fuoco. Tutto quell’odore di pepe mi aveva fatto passare la fame. In tutto questo tempo la cuoca non si era fermata un attimo e non mi aveva degnato di uno sguardo.
Stava per scoppiarmi un forte mal di testa “Bene signora, la ringrazio molto per l’ospitalità, ma ora devo proprio andare.” Dissi alzandomi.
“Ma come, di già? Non hai neppure assaggiato la zuppa!”
“Sono sicura che sarà per la prossima volta.” Dissi sorridendo; senza voltarmi, uscii da quel posto così assurdo.
Fuori era ancora notte fonda, l’aria fredda mi fece tornare lucida. In lontananza vidi una macchia argentata nel buio: forse un laghetto illuminato dalla luna.
Giunta in prossimità, mi lasciai cadere sull’erba morbida. Bevvi a lungo, mi sciacquai il viso e mi sdraiai per guardare le stelle.
Mi sembrava impossibile che meno di 24 ore prima mi trovavo su una barca diretta a Londra, e invece ora stavo vagando in un mondo senza senso con una missione da compiere della quale non sapevo nulla.
Questa mia madre me l’avrebbe pagata.
“Popopò-poroppopò!” un canticchiare profondo mi riscosse dal torpore. Mi alzai a sedere ma non vidi nessuno.
Poi a pelo d’acqua la luna riflessa si capovolse e apparve il sorriso dello Stregatto.
“Vedo che hai conosciuto la mia deliziosa padrona: la Duchessa.”
“Era una duchessa? Non lo sapevo.” Dissi sorpresa.
“Lei e il suo orrido porcello se ne stanno tutto il giorno a respirare pepe…ma dimmi di te, cara, hai trovato le risposte che stavi cercando?”
Scossi la testa “Non ancora.” Calò il silenzio.
“Stregatto? Credi che incontrerò mai il Bianconiglio e il Cappellaio Matto?” chiesi.
“Ogni cosa a suo tempo ragazza mia. Permettimi da darti un consiglio però, quando hai qualche dubbio, la cosa migliore da fare è trovare le proprie risposte.”
“Ma che cosa ovvia è questa; è logico che devo trovare le mie risposte, il problema è che non so che cosa fare! Qui mi sembrano tutti matti.” Dissi sconsolata.
“Allora forse dovresti diventare matta anche tu, per poterli capire.” Sorrise.
“ La follia non è cosa che vene a comando.” Risposi.
“Certo che no! Ma tu sei sulla buona strada.” Detto questo sparì da dove era venuto.
‘Aaaahhhggr!’ strinsi i fili d’erba con tutte le mie forze. In che situazione mi ero cacciata?
Con un moto di rabbia strappai un fiore dal terreno, ma con mia immensa sorpresa il suo fusto era composto da due gambe, e una mi diede un calcio sul dito.
“Oh!” lo lascia cadere, e subito gli altri fiori che erano sulla sponda del lago si tirarono su dal terreno e iniziarono a correre via.
‘Che strana forma che hanno, sembrano proprio dei….’
“Aspettate vi prego! Io vi chiedo scusa non volevo farvi del male!” urlai. “E’ molto che vi cerco, ho bisogno del vostro aiuto.” Dissi con più calma.
Lentamente i palmipedoni uscirono fuori dai cespugli d’erba e si disposero intorno a me.
“Vedete, io non so di preciso cosa devo chiedervi, ma lo Stregatto mi ha detto che voi mi avreste condotto dalla risposta, così io…..oh accidenti! Devo compiere una missione molto importante per Sottomondo, sono la figlia di Alice.” Appena dissi il nome di mia madre, quelli iniziarono a correre e a disporsi in un’enorme freccia sul terreno.
Balzai in piedi e li inseguii senza perdere tempo.




A/N: Salve a tutti! Come vi è sembrato questo capitolo? Lo so, lo so che non vedete l’ora di incontrare il cappellaio e co. E vi posso assicurare che non manca molto. E’ che ho così tante idee in testa che la cosa si sta dilungando. Poi voglio evitare di fare i capitoli troppo lunghi.
Già dal prossimo capitolo incontreremo un personaggio noto ai più (la duchessa cmq non è mia invenzione, è nel secondo libro di Alice, così come la foresta senza nome) qualcuno vuole provare a scoprire di chi si tratta?? Come ho spiegato in una risposta ad un commento, ho strutturato questa storia come un viaggio catartico che la nostra protagonista compirà, dai luoghi e personaggi sempre più cupi, legati alla ragione, fino a personaggi folli e luoghi luminosi, legati alla pazzia. Spero di sentire i vostri pareri, se c’è come al solito qualcosa che posso migliorare. Vi assicuro che nel prossimo chapter non mancheranno altri incontri folli e colpi di scena. Un abbraccio!!
   
 
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