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Autore: Roberto_Yoda    21/03/2010    1 recensioni
Un ultimo addio tra vittima e carnefice. Nei capitoli successivi a quelli della vicenda di Hitomiko, Naraku riceve una visita da un fantasma del passato, rivive eventi da tempo trascorsi ...
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kikyo, Naraku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quale fan sfegatato di Kikyo, sottoscrivo in pieno quanto detto da Rosalia e Diana, anche se devo aggiungere che i due innamor

La cucitura del maledetto stivale sta cedendo.

 

Ha la testa abbassata a fissarlo, mentre cammina e a ogni passo solleva nuvolette di polvere, perciò la sua smorfia si perde tra le ombre del suo viso. Proprio in questo villaggio squallido e dimenticato dai Kami dovevano cedergli le cuciture dello stivale? Non c’è neppure un artigiano a cui chiedere di aggiustarlo – e lui non ha né voglia né tempo di occuparsene.

Già.

 

Questo è un villaggio di hinin, d’altronde. La casta delle non-persone. Non ci si può aspettare che sia molto meglio di com’è. Né lui è infastidito nel mischiarsi coi fuori casta, anche se è pronto ad ammazzare chiunque lo scambi per uno di loro.

Gli piacciono gli hinin. Li si può uccidere liberamente, e questo è … divertente.

 

“Dai, Onigumo. Lasciami portare il bottino! Chi ha detto che debba tenerlo tu per tutto il tempo?”

 

Onigumo alza la testa e fissa il ciccione col suo sguardo spento e torbido.

 

“Prenditelo, se vuoi.”

 

Il ciccione è l’unico dei tre più grosso di lui, ed è probabilmente anche più forte. E’ pure un combattente abile e spietato, Onigumo ne è stato testimone. Eppure, appena lui lo fissa, si scosta tanto in fretta da far ballonzolare il suo rivoltante doppio mento.

 

Prima che il ciccione possa rispondergli, l’ubriacone si mette in mezzo.

No, non è ubriaco in questo momento; anzi, l’ha visto solo una volta sopraffatto dai fumi dell’alcool. Ma il saké gli piace davvero molto! Capillari rossi gli attraversano di già il naso e le guance, anche se ha un anno in meno di lui. Quando il suo corpo non riuscirà più a sopportare tutto quel che si caccia in gola ogni giorno, si squaglierà come uno di quegli stupidi pupazzi di neve che i marmocchi si divertono a fare quando nevica.

Onigumo sorride di piacere all’idea. Sempre che sopravviva fino a quel giorno, s’intende.

 

“Su, Noriki, non c’è bisogno di litigare tra noi, giusto? Tanto tra pochi giorni ci separeremo e ognuno andrà per la propria strada. Giusto, Onigumo?”

 

“Giusto. Hai parlato bene.” Ribatte Onigumo, il sorriso ancora stampato sulla bocca. Il ciccione si chiama Noriki. L’ubriacone, invece, è Kasetsu. Aggrotta la fronte. Col passar degli anni, gli è sempre più difficile ricordare i nomi della gente, anche di coloro coi quali ha a che fare, come questi tre imbecilli che lo hanno aiutato a derubare il mercante di seta. Il mercante di seta aveva fatto proprio dei buoni affari, come gli avevano riferito i suoi contatti. La prova sta dentro il sacchettino di pelle pieno di monete che gli preme sulla gamba, da dentro la saccoccia. E ci sono addirittura delle monete d’oro! E due perle! Due!

 

L’ubriacone annuisce soddisfatto, credendo forse che il sorriso di Onigumo sia il risultato delle sue parole.

 

“Potremmo anche spartire il bottino stasera stessa. Prima ci separiamo, prima i nostri inseguitori avranno un maggior numero di piste da seguire. La nostra fuga diventerà più facile.”

 

Gambestorte non è furbo come crede di essere, questo Onigumo lo sapeva già. Trattiene un sospiro infastidito prima di rispondere.

 

“La città di Ishimatsu è a due giorni di marcia ed è il posto migliore dove far perdere le nostre tracce. Se ci dividessimo adesso, ci dirigeremmo comunque tutti là. Cioè, a meno che tu non decida di scappare in campo aperto, dove i segni del tuo passaggio saranno molto più facili da seguire.”

 

Non aggiunge ‘idiota’ ma il timbro della sua voce è più che sufficiente a lasciarlo intendere.

La faccia brutta come la malaria di gambestorte si contorce in una smorfia; ma non riesce a sostenere il suo sguardo per molto.

 

“Ah, va bene. Come ti pare.”

 

Onigumo scrolla le spalle massicce. E’ avvezzo all’effetto che fa sugli altri. Anche se il ciccione è più forte di lui, l’ubriacone più furbo – fin quando il suo cervello non finirà spappolato dal suo vizio – e gambestorte è più brutale quando si abbandona alla violenza, lo accettano tutti e tre come il loro capo.

E non perché è stato lui a concepire l’astuzia che ha permesso loro di derubare il mercante di seta: Onigumo è il primo a riconoscere di essere stato assistito da una buona dose di fortuna, come spesso gli capita.

E’ che questi tre idioti hanno paura di lui, come chiunque altro lo abbia conosciuto, e questo senza che Onigumo abbia fatto niente di speciale per ispirargliela – non ancora, almeno.

 

“Se vogliamo separarci prima, non dobbiamo far altro che attraversare il bosco, invece di costeggiarne il bordo. Risparmieremo più di un giorno di viaggio, non avremo testimoni del nostro passaggio e le nostre tracce si perderanno facilmente.”

 

“Ma Onigumo. Li hai sentiti anche tu! Dicono che il bosco sia infestato da terribili youkai! Nessuno osa entrarvi, e chi ha tentato non ne esce, tranne i pochi fortunati che hanno abbandonato solo la ragione, e non anche la vita, tra gli alberi! Gli unici insediamenti sorti vicino a questa foresta maledetta, infatti, sono quelli degli hinin! Sì, a parte quel tempio shinto e le sue misteriose miko. Che a me fanno paura quasi come gli youkai, però! Chi può sapere di cosa siano capaci quelle streghe?”

 

Onigumo alza la voce, infastidito dal tono stridulo dell’ubriacone.

 

“Stupidaggini. Youkai! Bha! Leggende, sciocche leggende per ingannare i creduloni! Le miko entrano nel bosco, giusto? Se ci riescono quelle stupide donne, possiamo farlo anche noi!”

 

Prima che qualcuno dei suoi compagni possa ribattere, Onigumo viene interrotto da una risata stridula da vecchia alla sua sinistra.

 

“Potresti scoprire di non essere forte quanto una delle stupide donne che tanto disprezzi, straniero.” La voce cigolante, quasi artritica, immobilizza Onigumo. Gli altri tre si scambiano occhiate timorose.

 

Onigumo gira rigidamente la testa. Rannicchiata nella polvere, la schiena ingobbita poggiata alla parete in legno di una capanna, il corpo sottile coperto di stracci, c’è una vecchia dai capelli sparuti.

Onigumo le si avvicina, il passo pesante.

 

“Che cos’hai detto, vecchia?” le chiede.

 

“Mi hai sentito, straniero.” Ribatte la vecchia, levando la testa verso la voce di lui. Onigumo vede i pochi denti ballerini occhieggiare nel suo sorriso raggrinzito, e le pupille oscurate dalle cataratte. La vecchia è cieca. Un umore biancastro le cola lento dagli occhi.

“Quelle donne potrebbero stupirti. Oh sì!”

 

Onigumo si rannicchia per portare la testa alla stessa altezza di quella della vecchia.

 

“Quelle donne sono uguali a tutte le altre; buone per una cosa sola. E quando poi diventano dei rottami come te, vecchia cieca, non sono più buone a nulla.”

 

La faccia avvizzita della vecchia si raggrinzisce ulteriormente, ma Onigumo si accorge che non è né arrabbiata né spaventata: questo stuzzica la sua pigra curiosità.

 

“Ah! Parole coraggiose da dire a una vecchia cieca, vero, straniero? Ma chissà se saresti altrettanto coraggioso davanti alle creature che infestano i boschi qui attorno. Io li ho visti, sai, straniero? Sì, li vidi molte e molte volte, spiriti della notte e del giorno, di tenebra e pazzia e bellezza e nobiltà senza pari, davanti ai quali tu sei meno della polvere che mi si incolla agli stracci che indosso.”

 

“Io non ho paura di niente e di nessuno, vecchia cieca.”

 

La vecchia prosegue senza dar mostra di averlo udito.

 

“Mi ricordo di luci rosse, e di ombre che sparivano non appena ne scorgevo il movimento, e di festoni di muschio che erano ben altro, e di una nebbia che strisciava come viva – e affamata. Vidi tante cose; fin quando i miei occhi decisero di precedermi nella morte e non vidi più nulla.”

 “Tutti mi chiamano pazza e mi stanno lontani. Scommetto che lo trovi divertente! Una vecchia che persino gli hinin evitano! Scommetto che hai un sorriso in faccia e sorridi all’idea che io non possa vederlo. Ho indovinato?”

 

Il sorriso di Onigumo si spegne. “Attenta a quel che dici, vecchia.”

 

La vecchia sghignazza. “Oh sì, attenta devo essere! Perché altrimenti, cosa potresti farmi, coraggioso straniero, che la vita non mi abbia già fatto prima di te? Ho udito e visto, cose che tu non udrai né vedrai nella tua vita intera!” La vecchia ride ancora, forte, e un impalpabile velo di saliva sfiora la guancia di Onigumo. La mano del bandito scatta veloce ad afferrare con le dita dure il braccio secco della vecchia.

Onigumo sente una scossa propagarglisi dalla mano su per il braccio e in tutto il corpo, fino a raggrinzirgli i lombi. Ringhia, stringendo di più la presa sul braccio della vecchia, in una reazione istintiva. Dalla bocca spalancata della vecchia cola un filo di bava; gli occhi ciechi ruotano nelle orbite. Un artiglio rachitico ghermisce la mano di Onigumo che le stringe il braccio.

 

“Cosa stai facendo, vecchia?”

 

“Mi sbagliavo! Oh, mi sbagliavo!” La voce della vecchia sembra al tempo stesso, più forte e più lontana, fredda e colma di timore. “Non c’è paura in te, no. Ma neppure coraggio! Cos’è che vai cercando? Eh? Cos’è che vai cercando?”

 

Il peso nel ventre di Onigumo aumenta. E’ come se avesse mangiato pietre per colazione. E’ come se avesse addentato limoni acerbi. E’ come se un furetto gli stesse rosicchiando l’inguine.

 

“Cosa stai facendo, vecchia pazza? Smettila subito … o …”

 

La voce gli viene meno. Onigumo cerca di allentare la presa, ma senza riuscirci.

 

“Cos’è che vai cercando senza posa, morto dentro? Cos’è che vai cercando? Il tuo coraggio? La tua paura? La fame che non riesci a soddisfare? La forma del fuoco da cui ti lasci divorare? E’ questo che cerchi, morto dentro? E’ questo? Cos’altro può essere?” La vecchia chiude le palpebre; una smorfia come se le si fosse parato innanzi uno spettacolo ributtante. “No! No, non voglio vedere! No, Kami, non fatemi vedere, vi prego no, è troppo non lo sopporto vattene vattene! Vattene nel tuo inferno vattene nella tua morte! Non ho niente a che fare con te morto dentro vattene vattene!”

 

Onigumo impallidisce mentre la voce della vecchia cresce sempre più d’intensità fino a diventare un urlo stridulo.

Non riesce a muoversi.

Uno dei suoi compagni potrebbe colpirlo alle spalle e prendergli il bottino, come farebbe lui, senza neppure starci a pensare, se le loro posizioni fossero invertite.

Sa che gli hinin stanno formando un capannello, attratti dalle grida della vecchia.

Eppure niente di tutto ciò lo preoccupa. Riesce a pensare a una cosa soltanto.

 

“Smettila di chiamarmi così.” Spinge a fatica le parole attraverso i denti digrignati. “Smettila subito di chiamarmi così, vecchia pazza, o rimpiangerai di non essere nata morta.”

 

“Vattene! E’ la tua sposa che cerchi, dunque!? E allora vattene! Vattene nella foresta del tuo inferno, dalle fuoco col tuo fuoco! Vattene dalla tua sposa, morto dentro!”

 

Usando ogni grammo della sua volontà Onigumo solleva la mano libera. La voce della vecchia è un sibilo.

 

“La tua morta sposa attende il tuo cuore morto affinché possiate darvi l’un l’altra morte e vita.”

 

Si prende il polso e se lo torce, costringendosi a liberare il braccio della vecchia. Con un grugnito di rabbia si rimette in piedi, gira su se stesso, allontanandosi, beccheggiando come un marinaio sul ponte di una nave in balia delle intemperie. Sente la vecchia singhiozzare e ridere.

 

I pochi hinin che si sono fermati a seguire lo spettacolo si allontanano alla svelta, la testa bassa. Cinque bambini, lerci ma con la faccia raggiante di meraviglia, fuggono lanciando alte grida di paura non appena vedono la sua smorfia. Un sesto resta immobile, forse più lento o più coraggioso degli altri. Onigumo barcolla verso di lui col braccio levato, la testa ronzante e piena solo dell’immagine del suo pugno che fracassa la bocca del marmocchio. L’ubriacone gli blocca l’avambraccio, mentre il bambino scappa via.

 

“Cosa vuoi fare, Onigumo? Cosa succede!? Sei impazzito?”

 

Onigumo gli rivolge il suo sguardo smorto e l’ubriacone trema suo malgrado.

 

“Lasciami. Va bene. Tutto a posto, lasciami.”

 

“D’accordo. Però dimmi cosa …”

 

Onigumo lo allontana e torna sui suoi passi, verso la vecchia. Si sente già quasi del tutto se stesso, anche se non è abituato a provare ... turbamento, deve essere quella la parola.

La vecchia è piombata nel silenzio, il mento poggiato al petto, tremante. Onigumo sorride, si china di nuovo su di lei e le afferra la mandibola, costringendola a sollevare il volto. La vecchia piagnucola, cercando debolmente di sottrarsi.

 

“Non ridi più, vecchia pazza? Io non ho paura di nulla. E non sono quel che dici.”

 

“Come ti pare! Lasciami e vattene! Fai quel che vuoi! Io …”

 

Onigumo si bea nello spettacolo della paura che adesso tormenta la vecchia. Il suo ghigno si allarga quando un’idea nuova gli passa per la testa.

 

“Tu eri una miko, vero, vecchia pazza?” annuisce tra sé “Già, ecco come fai a sapere tante cose. Sì, una miko, una oh! persona così nobile e rispettata. Mi piacerebbe sapere come hai fatto a ridurti così, vecchia pazza, oggi che neppure gli hinin ti rivolgono la parola e i pidocchi fanno nido fra i tuoi capelli. Già, sono sicuro che ascoltare la tua storia sarebbe divertente. Un vero peccato non averne il tempo.”

 

Il fragile corpo della vecchia si scuote, un’unica lacrima solca la sua guancia rugosa: Onigumo capisce di averla ferita e se ne compiace.

 

“Ah! Lasciami! Vattene! Ti diverte così tanto tormentare una vecchia, morto dentro? Credi che ci sia coraggio in quel che fai? Se sei tanto forte, perché non …”

 

Le parole della vecchia vengono interrotte come da un colpo di scure, la nuca sbatte contro la parete della capanna quando la testa viene proiettata all’indietro, spinta via dallo schiaffo col quale Onigumo la colpisce.

 

“Ti avevo detto di non chiamarmi più in quel modo, vecchia pazza.”

 

La vecchia scivola in uno stato di semincoscienza. Onigumo si rialza in piedi, allontanandosi, senza pensare a nulla.

 

Il ciccione, l’ubriacone e gambestorte gli si accodano, mantenendo una certa distanza, sconcertati. Onigumo vede con la coda dell’occhio gambestorte fare un segno per allontanare la mala sorte. Lascia che i suoi piedi lo accompagnino dove vogliono. Fissa la cucitura dello stivale che sta cedendo. Si tocca la sacoccia col denaro. Spiriti? Sciocchezze! Youkai? Ah! Eppure …

(morto dentro)

Onigumo rialza la testa. La strada polverosa finisce, là dove finiscono le capanne. Le capanne più squallide di questo squallido paesello di hinin. Persino tra i senza casta ci sono differenze, dunque? Persino quando si viene gettati in un fosso pieno di fango, già, si può sempre scavare.

 

Queste sono le case più vicine al bosco di salici. Da qua il terreno declina ripido per una cinquantina di metri tappezzati di erba scura. Nessuno coltiva niente in questa striscia di terra.

I tronchi degli alberi sono vestiti di muschio, le fronde dei salici gli ricordano capelli di donna che cadono disordinati per nascondere un volto tumefatto. Sì, è estate, eppure c’è freddo. Onigumo avverte sulla pelle sudata il freddo che si protende verso di lui. Chissà se quel freddo può avere la meglio sul suo fuoco?

 

Il suo ghigno riprende vigore. Si tocca di nuovo la tasca colle monete.

 

“Avanti, Onigumo. Beviamo un goccetto e dimentichiamoci di quella vecchia! E poi andiamocene da questo villaggio.” L’ubriacone. E’ capace di pensare solo a bere, già.

 

“No. Ce ne andiamo subito.” Senza voltarsi, fa un piccolo balzo e abbandona la strada. Passi rapidi. Evita d’istinto le buche nascoste tra l’erba alta.

 

“Ehi, Onigumo! Cosa stai facendo!? Sei impazzito!?” Patetico ciccione, corrimi dietro se ci riesci.

 

Piccola corsa.

Il freddo aumenta alla pari del suo ghigno. La cucitura dello stivale gli cede un altro po’. Se dovesse rompersi adesso cadrebbe in malo modo. E cosa gli farebbero i suoi compagni se dovessero raggiungerlo? Sì, pericoloso. Ma a lui non importa. Non gli importa niente, come non gli è mai importato niente. Di. Niente. Sposta il peso del corpo e accelera l’andatura, correndo e saltando a destra e a sinistra come una scimmia idrofoba.

 

“Fermo! Onigumo, fermati subito!”

 

Sente che gambestorte ha abbandonato la strada, ma non lo sta inseguendo con molta convinzione.

 

E adesso Onigumo vola, salta un piccolo fossato pieno d’acqua torbida. Le ombre nel bosco dei salici sono fitte. Appena raggiunge i primi alberi, si ferma col fiato corto e si gira poggiando una mano su un tronco scivoloso.

I tre idioti sono a più di quaranta metri.

 

“Ho deciso che prenderemo una scorciatoia!” Ansima e i polmoni gli si riempiono d’aria fredda. “E’ la soluzione migliore. Su, venite! Non avrete paura?”

 

Gambestorte sfodera la wakizashi. “Se torni indietro subito, potremmo decidere di non ucciderti, Onigumo.”

 

“Non credo che tu capisca, dato che sei tanto stupido quanto brutto, ma non importa. Avanti, sbrighiamoci. Oh, se non ve la sentite, potete prendere la strada più lunga, ma non so se i nostri cammini si incroceranno di nuovo in questa vita.”

 

I tre lo fissano a bocca aperta.

 

“Onigumo, non puoi dire sul serio …”

 

Con un inchino beffardo, Onigumo si incammina nel folto della vegetazione.

 

 

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Approfitto di questo piccolo spazio per ringraziare due nuove lettrici:

 

@Angorian: non preoccuparti, anch'io mi sono scoraggiato per la lunghezza!! Non era affatto previsto che questo racconto diventasse così lungo XD  A maggior ragione, sono contento che tu l'abbia apprezzato - e abbia apprezzato il fascino malefico di Naraku :P

@Crisan: ogni tanto passa anche qualche vecchietto per questi lidi! XD Ma l'importante è essere giovani dentro! (sì, sì, certo ...). Bene, spero proprio di avere soddisfatto almeno un po' le tue aspettative; fatti sentire, se ti va - eh, adesso sono un po' curioso, devo ammettere.

  
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