Note pre-lettura:
Spiego
velocemente: il titolo è ispirato ad una canzone dei Queen
(anche se, invero, originariamente era stata cantata dagli
Scorpions
– gruppo rock degli anni sessanta/settanta), “Love
of my life”
è una delle ballate rock – un rock molto soft, se
provate a
sentire la
canzone su You Tube vi accorgerete che più che una
canzone è una vera e propria melodia –
più famose degli anni
Settanta, canzone che è
stata rifatta da molti artisti per la sua
bellezza, appunto.
Una
delle mie canzoni preferite, diametralmente opposte a quelle che mi
sono uscite a sorteggio – la maggior parte non le conoscevo,
infatti XD.
Non è proprio il mio genere, anzi, io vivo tra gli anni
Settanta e gli anni Ottanta, con rari sbalzi verso i Novanta, indi
è
stato parecchio difficile adattarmi.
Spero
di esser riuscita a collegare bene le frasi, e, in verità,
tengo
molto a questa ShikaIno, non soltanto perché sono il mio
OTP, ma
anche perché
scrivere di storie d'amore che nascono dal dolore è
una cosa che mi tocca dentro, quasi a immedesimarmi coi personaggi.
Devo dire di esser stata parecchio
a scrivere tutto, nonostante non
possa sembrare così a prima vista. Benché non
gradisca le Au nel
mondo narutiano – anche se ne ho fatte parecchie,
però, come
dire... Adoro molto di più gli intrecci con la
realtà che circonda
i personaggi *_* – la mia ispirazione ha comandato
così, questa
volta,
quindi spero davvero che gradiate!
Buona
lettura.
Kiki, la paladina biancaH <3
***
Sul
suolo asfaltato si sentì solamente il rumore degli
scarponcini, che
con gran lena correvano verso una meta precisa.
Due buffe guance si
presentarono al suo cospetto e, per un momento, gli sembrò
di venir
abbagliato dal suo sorriso – una serie di perle immacolate
che
sembravano ravvivare anche le giornate più uggiose.
Ino
Yamanaka, otto anni, era una bambina di statura bassa e corporatura
esile e vista da un occhio sconosciuto poteva far parecchia
tenerezza...
Non certo a quel nerd di Shikamaru Nara, perennemente
annoiato e distaccato dal mondo esterno, ora poggiato sulla parete
della cucina.
La
cosa che odiava maggiormente erano quei pomeriggi all'insegna della
noia, con una seccatura che abitava a pochi isolati da lui, troppo
ebbra
di felicità per i suoi gusti.
«Andiamo, Shika! Guardiamo la nuova cassetta insieme!»
Lo supplicava lei, strattonandogli la manica della camicia. Shikamaru roteò le pupille in alto, aveva le braccia incrociate tra loro e lo sguardo assente.
«Mmh... No.»
Non
gli importava se Ino piangeva – anche se, avrebbe voluto
vedere
almeno una volta la traccia di una lacrima su quel volto
perennemente
irradiato dai raggi solari – o rideva, anche quando aveva
messo il
broncio, quella volta.
Da
quel giorno non si era presentata più a casa sua e per
Shikamaru
doveva essere una liberazione. Dopotutto, non era quello che
desiderava?
Però, aveva fatto persino l'abitudine a quel suo
bighellonare in casa, il rumore degli scarponcini, i saltelli che
faceva quando andava da una parte e
dall'altra, quasi la vita fosse
una grande festa. È risaputo, quando l'abitudine prende il
sopravvento è difficile ricordare cosa si faceva prima.
Ino
però abitava solo a qualche isolato da lui, i loro genitori
si
conoscevano sin dai tempi del liceo, potevano dirsi cresciuti
insieme; la cosa che però
lo frenava era l'orgoglio, non poteva
presentarsi sulla soglia come se non fosse successo nulla.
Così
passarono i giorni, i mesi... E, alla fine, anche gli anni.
Nessuno dei due aveva mai mollato la presa, forse Ino si era perfino
dimenticata di lui, un
piccolo insolente che non aveva fatto altro
nella sua vita che denigrare ogni sua proposta.
Sì, gli mancava: come gli elementi naturali potrebbero mancare alla natura, proprio perché essi ne fanno parte.
Anche i silenzi lo sai, hanno parole (*)
Un
nuovo giorno era sorto, l'alba di un nuovo dì. Si potrebbe
dire che
era un giorno uguale a mille altri, un anonimo
lunedì.
Per quanto
Shikamaru volesse rinnegarlo, doveva rendersi conto di una cosa:
erano passati ben dieci anni, dall'ultima volta che le aveva
parlato.
E non era trascorso un solo giorno, che non avesse guardato dietro i
riflessi del vetro una spumeggiante diciottenne, lunghi capelli
biondi danzavano sulla schiena,
alta e snella. Capo branco di tutti,
come un leader, guidava uno pseudo gruppo di adolescenti allupati,
che fissavano molto di più il suo fondo schiena,
piuttosto che
prestare attenzione ai suoi occhi.
Com'era possibile?
Shikamaru
prese la vecchia cartella di pelle, la mise sotto braccio ed
uscì
fuori di casa, percorrendo la direzione opposta.
Con il treno
arrivava in minor tempo a destinazione, non la incontrava nemmeno, a
parte uno scambio di occhiate fuggitive a scuola non
c'era rapporto
tra di loro. Poteva chiedere di meglio?
Sì: poteva riavere la vecchia amica di un tempo. Anche se non gli sarebbe bastato più, ormai.
Love of my life
«Buongiorno, signorina.»
Non
aveva avuto nemmeno il tempo di rimettere al proprio posto i suoi
libri nell'armadietto, che una voce familiare
– troppo lusinghiera
per non riconoscerne il proprietario – proruppe dietro di
lei.
«Sparisci»
Non
lo degnò della benché minima attenzione, si
limitò a far scattare
la serratura dell'armadietto e procedere con indifferenza nella
propria aula.
Eppure, non demordeva il ragazzo.
Kiba
le piombò letteralmente davanti, un nuovo cerotto attaccato
sopra il
folto sopracciglio, l'ennesimo di una lunga lista.
Non si prese la
briga di chiedergli come se lo fosse procurato, sicuramente avrebbe
iniziato a narrarle qualche avventurosa rissa per un
motivo così
inutile che si sarebbe potuto risolvere con una serie di battute
civili fra uomini.
Un
discorso che non valeva la pena affrontare, con quello che era il suo
ex-ex-ex-ex ragazzo. I tira e molla erano perdurati per così
tanto
tempo che alla fine
era arrivata a chiedersi perché lo perdonasse
ancora, e, soprattutto, cosa poteva provare per lui, se non un
affetto fraterno.
Forse
era stato il primo amore, e, come tale, non avrebbe mai potuto
rinnegarlo; riconosceva di aver vissuto con Kiba le prime esperienze,
di aver capito
cos'era l'amore davvero e quanto può essere
straziante. Sembrava che quel discorso non l'avesse affatto compreso,
poiché continuava a riconquistarla
con suppliche varie, ma queste
cose sembravano non tangere minimamente su di lei, anzi.
«Cinema?»
Kiba
le mostrò due biglietti, un sorriso speranzoso sul volto.
Eluse
completamente la cosa Ino, sorpassandolo senza troppi indugi.
Prima o
poi si sarebbe innamorato di una ragazza decisamente diversa da lei,
sarebbe stato ricambiato e lei sarebbe stata solo un antico ricordo,
la pagina di un libro appartenente ad un antiquariato.
You never know when the pain and heartbreak's over
[Perché non lo so
Prese
il suo posto, osservando da lontano un disinteressato Shikamaru Nara,
completamente estraneo alla lezione.
Non che lei prestasse un certo
interesse al mondo irrazionale delle equazioni matematiche, i suoi
occhi andavano a dirigersi continuamente sulla figura mai troppo
attiva del ragazzo; con il tempo probabilmente la loro amicizia era
andata sfumandosi, il vecchio ricordo di un'infanzia decisamente meno
complicata,
all'insegna dell'innocenza dettata dall'età e dalle
genuinità ancora fanciullesca.
Ormai
era parte del passato, eppure se ogni sera da quel giorno si
affacciava dal balcone della sua camera solo per intravedere la sua
finestra, doveva esserci un motivo.
Semplice curiosità?
Avrebbe
voluto tanto averlo accanto, in quel momento. Shikamaru l'avrebbe
convinta che la vita faceva davvero schifo, a differenza delle
dicerie dei suoi amici,
ma che... cavolo, un motivo c'è se siamo
sulla terra, quindi datti da
fare per sorridere e, se sei troppo
pigro per farlo, limitati ad ammirare un tramonto, osservare la
luna,
contemplare la pioggia. Vedi? Non è così male,
c'è ancora qualcosa
di buono se inizi a guardarti in giro.
Avrebbe fatto un discorso del genere, grossomodo.
Anche
se, avrebbe preferito affrontare un altro genere di discussione; a
quel punto smise di fantasticare, riavviò i capelli
indietro, poi
prese un boccolo biondo
e inizio a rigirarlo spasmodicamente tra le
dita, com'era solita fare. Tra lei e Shikamaru, anche volendo,
un'amicizia non ci sarebbe stata più; il bisogno
estremo
di un
qualcosa di concreto, di più di un abbraccio, era troppo...
A volte
non basta una parola a catalogare un sentimento, alcune volte un
pensiero sa essere più
nocivo di una frase, piombare senza pietà e
sconquassare la mente... Furiosamente,
furiosamente, furiosamente.
E
quando non riesce ad esprimersi, si limita a dare segni di presenza
in altri modi... Magari, talvolta, si burlerà del suo animo,
assentandosi per qualche giorno.
Ma il pensiero è come la radice di
un albero: non abbandona la presa. E il sentimento è un
frutto
maturo che non marcisce, desidera solo glorificarsi, magari farsi
breccia nell'animo più degli altri sentimenti... per
autentico
esibizionismo.
Ino aveva imparato che il cuore agisce di propria volontà, insieme alla mente, sua rivale e, al contempo, sua confidente.
La
campanella era suonata, aveva prodotto un suono squillante che
sembrò
rimbombare nel suo cervello. L'aula si svuotò in meno di due
minuti,
la lezione era stata tutt'altro che avvincente, anzi, solamente le
prime file avevano prestato attenzione al gessetto dell'insegnante
che scriveva dal
basso verso l'alto incognite sconosciute.
«Mi dispiace per tua madre.»
In
un primo momento non riuscì a capire, afferrò
solamente dopo
qualche secondo il senso di quelle parole.
Quando alzò il capo
biondo, Shikamaru era scomparso, si sentiva solo un debole profumo di
colonia nell'aria. Intravide la sua immagine dietro una
vetrata,
si
stava grattando il capo con fare annoiato, tutt'altro che in simbiosi
con il resto del mondo. Ino allora si avvide di raggiungerlo; non
sapeva cosa dirgli,
né come presentarsi dopo tanti anni al suo
cospetto, di fronte quella voce matura e profonda – un po'
baritonale, invero – che era così diversa da quella
infantile che
aveva conosciuto anni prima.
Allora
lo seguì, svoltò l'angolo insieme a lui, senza
avventurarsi troppo
nella folla. D'un tratto la massa di gente che prima occupava i
corridoi dell'edificio
scomparve, sembrava esser popolato solamente
da loro due quel tratto di strada che conduceva sicuramente a qualche
aula. In quel momento i ticchettii
si fecero più sonori, i respiri
più ansanti, ogni rumore amplificato dal silenzio.
«Shikamaru...»
lo chiamò, con un fil di voce. Non si voltò, ma
seppe per certo che
aveva riconosciuto la sua voce, altrimenti non le avrebbe prestato
così attenzione.
«Come lo sai?» stavolta la sua espressione si
rabbuiò, affrontò quella domanda in modo cupo,
tristemente conscia
di una situazione familiare oltremodo critica.
«I miei genitori.»
Non espresse nessun altro sentimento, freddo come solo una lastra di marmo sa essere.
«Ah... Beh, allora...» balbettò a raffica, un velo d'imbarazzo sulle gote candide. «Grazie. Per esserti preoccupato di mia madre, intendo. Ti terrò informato.»
Fece dietrofront, ma una frase pungente la costrinse a non svoltare l'angolo.
«E per te.» sospirò Shikamaru, degnandola improvvisamente di uno sguardo. «Mi sono preoccupato di tua madre... e di te.»
Chiosò,
cercando in ogni modo di non incrociare i suoi occhi cerulei. Ino
allora sbatté un paio di volte le ciglia, il principio di
una
lacrima si stabilì sulla palpebra inferiore, tuttavia non
scese
sullo zigomo. Ma fu l'orgoglio a parlare – siamo esseri umani
fatti
di sentimenti,
anche i più molesti vanno trattati con la dovuta
calma. Siamo esseri umani, nobili
o miserabili,
non
possiamo fare a meno di sentirci un po' maligni, a volte.
Un po' meno
perfetti di come ci vedono gli altri... A renderci terreni sono una
sola cosa: i difetti.
«Avresti dovuto preoccuparti tempo fa di questo Nara, ormai è tardi.»
Fuggì,
vigliacca che non era altro. Non osò affrontarlo, aveva
paura di
essere ferita... e in cuor suo sapeva che non sarebbe riuscita
a
cicatrizzare la ferita che le avrebbe inferto Shikamaru. Le ferite
fanno più male se sono causate dalla persona che amiamo e
nemmeno
una medicina riesce a curarle,
anzi, rischia di far più male del
colpo stesso.
Don't
be a baby
Remember
what you told me(***)
[Non fare il bambino,
ricorda cosa mi hai detto]
Si
era comportato da vero coglione, doveva riconoscerlo con se
stesso.
Eppure averla davanti gli provocava un moto di rabbia, unito ad un
fremito che non sapeva spiegare ma che sentiva esser potente, come
una lama tagliente.
Non
sapeva perché, ma era capitato proprio davanti casa sua,
l'abitazione Yamanaka, un vero gioiello a detta di sua madre.
A
ravvivare l'atmosfera erano le pareti verniciate di un giallognolo
rilassante, alternato ad un bianco splendente, specialmente sotto i
portici e gli archi.
Il giardino finemente intagliato da un abile
giardiniere, era proprio come lo ricordava. Si trovò
indietro nel
tempo, improvvisamente;
il profumo d'innocenza lo avvolse in tante
spire e gli parve di avere una visione, frutto di una fantasia molto
ardita, di un futuro utopico,
se non si fossero mai separati,
se
quell'amicizia legata sin dal principio delle loro nascite
non fosse mai crollata in pezzi.
Eppure se ne stava lì, inebetito. Le mani mollemente lasciate cadere ai fianchi, un'espressione leggermente incredula e una smorfia di disdegno indugiava sulle labbra.
«Shikamaru.»
Proruppe
una voce. Stavolta distinse il timbro più austero del
genitore, una
versione di Ino in scala più grande, un uomo sulla quarantina
con
un'espressione che definì in modo garbato cadaverica, un
certo
sbigottimento e un moto di terrore erano stampati in volto.
«Signor
Yamanaka... » il giovane s'avvicinò, oltrepassando
il cancelletto
di ferro e pensando che l'uomo avesse bisogno di qualcosa, aveva una
cera davvero pessima.
L'uomo gli toccò il braccio, lo scosse un po',
come se avesse bisogno di qualcosa che non potesse in alcun modo
chiamare.
In quel momento un'altra figura apparve al suo fianco, uscì
anch'ella dall'uscio e lo ammonì con uno sguardo maligno.
«Non voglio vederti, Nara.»
Staccò la presa dal braccio dell'uomo il ragazzo, per calamitare la sua attenzione alla più giovane Yamanaka.
«Hai ragione: è tardi. Non pretendo nulla da te, non voglio nemmeno chiederti nulla... mi basta che tu non mi guardi così.»
Non poteva certo rivelarle tutto, sarebbe stato troppo degradante.
«Shikamaru.»
la sua voce profonda, le prime lacrime che zampillavano sul suo
volto, sfregiandolo.
In un infinitesimale secondo vide il capo della
ragazza gettarsi sul suo petto, non capì Shikamaru, ma
sentiva che
c'era qualcosa di strano nell'aria,
un'atmosfera tutt'altro che
rilassante. «Mia madre... è morta»
Restò
impalato. Lasciò che Ino si sfogasse su di lui, magari in
quel
momento si sarebbe fatto dare tutti gli appellativi che lei poteva
coniare,
non gli sarebbe importato. Pur di non vederla soffrire, in
simile stato.
«Ho perso me stessa... Io... Sono morta, Shika. Sono morta.»
Erano
le prime luci di un'alba appena sorta e Ino era ancora sveglia:
fissava con un'espressione assente il corpo inerme di sua
madre.
Era
seduta su una sedia, le mani intrecciate a quelle di Shikamaru
–
non si erano lasciate neppure per un momento – e dove egli si
dirigeva,
lei non mancava di seguirlo, con gli occhi inumiditi di
lacrime e le occhiaie pesantemente scavate sotto le palpebre.
L'ennesima
candela si stava consumando, la cera si stava sciogliendo sopra il
metallo, la debole luce stava venendo meno, facendosi poco a
poco
sempre più piccola. Shikamaru si trovò a
fantasticare, osservando
le sembianze di quel lume con la figura ormai sopita in
eternità
della madre di Ino.
Com'era stata lenta la morte... dolorosa, atroce,
l'aveva privata di tutti gli affetti. Crudele compagna di ogni essere
vivente, ella li esorta più volte a seguirla,
quasi fosse una dea
mai sazia. Ed è prelibato il suo banchetto: fatto di uomini,
eroi,
patrioti fedeli e donne morte per chissà quale nobile causa,
o
semplicemente perché, per un attimo, il destino era stato
loro
avverso, piombandogli in faccia e rovinando loro la realtà.
Shikamaru
le tese la mano, sperando che la ragazza la stringesse nella sua;
così fu, poiché sentì la consistenza
debole e ossuta della mano
principesca di Ino,
che cercava in qualche modo la sua. Voleva vedere
un semplice sorriso irradiare il suo volto, una qualsiasi emozione
che rianimasse quanto meno quella
figura, che ormai stava perdendo
ogni tratto umano, per somigliare sempre più ad una bambola
inanimata.
Così
il ragazzo trovò la forza per tirarla su, allontanarla di
qualche
metro da quella stanza che non possedeva più nulla di
materno ma
che, anzi,
pareva diventata un baratro oscuro, ghermito di
reminiscenze ancora vive.
«Hai bisogno di distrarti.»
Le
suggerì Shikamaru, facendola accomodare sul divano. L'aveva
trasportata via da quell'atmosfera cupa, dallo stuolo di persone che
esprimevano
commiserazione per la defunta. Non sapeva se la sua casa
fosse il luogo più sicuro, ma tanto valeva farla distrarre.
«Non vengo qui da parecchio»
Disse
Ino, in tono atono. I suoi occhi vitrei espressero per un attimo un
certo stupore, distinse probabilmente i profili della camera,
l'arredamento spartano ed essenziale che la adornava, gli oggetti che
da bambini avevano tenuto loro compagnia, anche nei giorni in cui
tutti i giochi
sembravano esauriti. Era bello essere bambini, pensò
Ino, prendendo tra le mani un vecchio peluche, ormai inutilizzabile.
Non c'era nulla di più innocente e vero di un bambino, nulla
che
eguagliasse in qualche modo la sorgente di verità che loro
erano.
Un
certo sgomento e, forse, una punta di malinconia non tardarono a
tempestarle di lacrime gli occhi, quel giorno c'erano tanti
motivi
per piangere, le sembrava surreale trovarne uno per sorridere.
Le
spalle di Shikamaru erano un riparo sicuro dal male, il suo petto non
profumava di colonia, come molti altri ragazzi della sua
età,
piuttosto un odore acre, amaro,
ma che lo rendeva in qualche modo
diverso, affascinante in un modo che poteva piacere solo a lei. Ino
avrebbe giurato che il suo vecchio amico avesse iniziato a fumare;
eppure, non era una sensazione che le dava fastidio, anzi, cercava di
assorbire e di inspirare quanto più odore potesse, come se
tutto
quello di lì a poco sarebbe diventato
solamente un ricordo, nulla
più.
Non
sapeva esattamente quante ore aveva trascorso tra le sue braccia,
cullata dal suo silenzio e dal regolare battito del suo cuore
–
Shikamaru era così controllato, lei, invece, aveva il cuore
che
pulsava a mille – che in quel momento le parve l'unica musica
degna
di essere ascoltata. I
l tramonto calò e, al posto di questo, fece la
sua plateale entrata l'incostante luna, che quella sera riusciva a
donar loro solo un pallido spicchio,
quasi non ne fossero meritevoli.
Ino
intravide numerosi bagliori luccicare nel cielo, da quella
prospettiva il mondo sopra di loro non era così
lontano:
accarezzò
addirittura l'idea di poterlo dividere con qualcuno lassù,
sarebbe
scesa addirittura a patti se questo fosse significato rivedere sua
madre.
Ecco,
il pensiero s'agitava nel cuore e un gelo interiore la consumava
tutta, inasprendo il suo spirito combattivo.
La morsa poco a poco si
era fatta più debole, era arrivata addirittura a smettere di
sentire
il dolore...
Era il tarlo della sofferenza che logorava il suo animo,
ma non sarebbe stata di certo lei a fermarlo.
Forse l'indomani
sarebbe stata meglio, pensò, mentre le braccia di Shikamaru
la
cingevano in un abbraccio e l'ultima cosa che vide
fu il volto
materno di uno spicchio lunare, tremendamente somigliante al sorriso
di sua madre.
Poi, il vuoto. Solo le mani del ragazzo nelle sue, l'unico contatto con la realtà.
Shikamaru
l'aveva osservata un'intera notte, senza mai cadere nel tranello di
Morfeo. Aveva come l'impressione di essersi perso i ricordi,
li aveva
ripescati durante durante le numerose ore che precedevano il giorno,
affiancandoli poi come un puzzle, al fine di ricostruire un quadro
generale.
Ino
era proprio al suo fianco: i capelli biondi, sciolti, le
incorniciavano il viso che aveva dei tratti sempre più
maturi ma
godeva
ancora dell'ingenuità fanciullesca e la pelle nivea,
candida,
paragonabile all'aspetto della luna, ora più pallida che mai
in
cielo.
Sentì
di profanare la sua pelle, quando con un dito sfiorò il suo
profilo;
in effetti, di fronte a lei, le sue difese venivano meno, temeva di
piegarsi,
così come lo stelo di un fiore... Shikamaru non l'avrebbe
ammesso – o, perlomeno, non in quel momento – ma
lui l'amava, da
lungo tempo.
Non
era quella la priorità, ma non avrebbe ingannato il suo
cuore
fingendo di esserle solamente un buon amico: non ce l'avrebbe
fatta,
resistere sarebbe stata un'autentica opera di masochismo. Or dunque,
se non poteva essere qualcosa di più, tanto valeva che
evitasse di
importunarlo ancora...
Cosa stava blaterando, ora?
Ino
era uscita da una difficile situazione familiare, un equilibrio
precario che ormai da anni minacciava di annullarsi del tutto.
Non
poteva certo abbandonarla a se stessa, in balia del nulla, totalmente
sola – se non per quel gruppo ristretto di amici che
frequentava.
Però, aveva come la sensazione che questi non la capissero
veramente, ma mirassero alla sua persona per puro profitto personale,
approfittando della sua beata innocenza e dell'innocua bellezza che
le garantiva un posto di riserva nel cuore di molti giovani.
Siamo
tutti così egoisti: talmente presi dalla vita, iniettati di
vana
gloria e stupida vanità che dimentichiamo perfino di
possedere dei
sentimenti e
che in fondo gli umani non sono macchine robotiche,
nonostante il progresso miri a farci diventare tali.
L'egoismo è il
modo migliore per liberarsi dei problemi: un modo come un altro, una
scorciatoia... Ma a quale prezzo?
Shikamaru
si stava trastullando con quei quesiti esistenziali, fin quando non
sentì la mano di Ino stringersi maggiormente alla
sua,
i suoi occhi
aprirsi piano, le sue labbra schiudersi con lentezza, aride come un
deserto, totalmente prive di vita.
«Shika... Non dormi?»
Aveva ripreso a chiamarlo con quel nomignolo, un vezzo che aveva da bambina.
«Quando troverò un motivo per dormire.»
Quelle frasi enigmatiche non le aveva mai capite troppo Ino, né si era curata di farlo; il ragazzo sicuramente le avrebbe risposto in malo modo.
«Grazie.»
Mormorò
lei, balzando sulla sua guancia. Era solo ad un centimetro dalle sue
labbra, non avrebbe faticato molto a raggiungere la meta.
La sua
mano, morbidamente persa tra i suoi capelli e la sua barba appena un
po' ispida stava carezzando con avidità il suo
volto,
privandolo
dell'ultimo granello di dignità e d'orgoglio rimastogli.
I
suoi occhi cerulei, così in tinta con il cielo mattutino,
riflettevano dentro di lui tutto il suo mondo: Ino stava cercando di
dirgli qualcosa,
nonostante i suoi atteggiamenti apparentemente
infantili era una donna matura, che stava facendo i conti con la
realtà che la circondava,
per la prima volta aveva realizzato cosa
fosse successo nelle ultime ventiquattro ore.
«Puoi stringermi ancora un po'?»
Chiese,
a bassa voce, come se si vergognasse. Il ragazzo s'avvicinò
maggiormente alla sua figura, toccò coi piedi le sue gambe,
lasciò
che il suo
capo biondo scivolasse sul suo petto, in prossimità del
cuore.
La sua mente nel suo cuore: erano tutto quello che gli bastava.
Un anno dopo.
«Shika,
davvero non vuoi venire con me?» l'espressione rabbuiata
della
ragazza, dovette farlo ricredere circa il suo temperamento.
Shikamaru
non aveva voglia di discutere, anche perché con la nuova
stagione in
arrivo il caldo andava a surriscaldare i suoi neuroni, indi,
il suo
discreto quoziente intellettivo, facendo venir meno le sue forze.
«Sei una seccatura, Yamanaka.»
Si fece trascinare letteralmente, la pigrizia gli impediva il benché minimo spostamento.
Ino
era davanti a lui, raggiante e vivace: il cappellino bianco le
donava, aggiungeva qualcosa in più al suo fascino, risaltava
i suoi
occhi e il
riflesso dorato dei capelli brillava insieme al sole, in
perfetta sincronia.
Nell'ultimo
anno, aveva potuto riprendere i contatti con la famiglia Yamanaka:
volente o meno lo sconcerto aveva turbato l'unico genitore rimasto ad
Ino,
più volte i suoi genitori erano andati a fargli visita, da
lì
avevano ripreso i contatti come prima, indi, direttamente con Ino.
Quest'ultima frequentava solo
per rare passeggiate o uscite serali
gli amici abituali di prima; in realtà passava molto
più tempo con
Shikamaru, parlando, sfogandosi, nei primi tempi piangendo,
per ore,
settimane, mesi... Poi il sorriso era ricomparso anche sul suo volto.
Avevano
avuto così tante cose, da dirsi: quanti anni passati, quanti
ricordi
sopiti e ora risvegliati improvvisamente dalla tomba sepolcrale delle
reminiscenze,
quanta dolcezza nelle parole di Ino e negli sguardi di
Shikamaru, riprendendo in mano cose che sembravano parte di un
passato ormai remoto.
Non avevano affrontato mai discorsi che
riguardassero loro due, non ve n'era bisogno, avevano pensato
ambedue, per il bene
di quell'amicizia restaurata.
Per
quanto il turbamento interiore e la guerra nell'animo combattessero
il ragazzo, egli aveva giurato di non rivolgere nemmeno una parola
in
merito a quell'amore che doveva restare chiuso così com'era:
dall'amicizia all'amore c'era un salto più lungo di una
gamba, non
era consono farlo.
Però,
questo doveva far riflettere: quant'è davvero
la distanza, il
varco, il salto o dir si voglia, dall'amicizia all'amore? Quanto
può
essere fatale giurarsi
innamorati e poi promettersi amici, come se
fosse un sacrilegio far parola di quel sentimento... Shikamaru aveva
riflettuto così a lungo,
si era bastonato più notti all'idea che
lei un giorno potesse diventar di qualcun altro – sarebbe
arrivato
quel dì, per quanto lo negasse, presto o
tardi Ino si sarebbe
invaghita di un giovinotto... E lui, a quel punto, cos'avrebbe fatto?
Si sarebbe goduto il boccale dell'invidia, oppure, molto
più
plausibilmente, avrebbero rotto una volta per tutte quei ponti,
altresì denominati legami, che avevano instaurato per anni e
anni?
È
un salto così precipitoso, l'amore. Si può
scegliere di saltare
oppure di cadere, in entrambi i casi si corre un rischio, ma saltare
è molto più pericoloso,
un passo nel vuoto completo, in balia solo
del destino... Eppure, rimanere fermo lì, immobile,
totalmente
ignaro del pericolo,
non era una situazione che gli si confaceva, suo
malgrado.
Realizzò
solo in quel momento dove si trovavano: Ino non era mai voluta andare
al cimitero da sola, per paura di vedere chissà quale
immaginario
fantasma.
Inerzie, le aveva ripetuto spesso, ma la mente di una donna
era complicata quasi al pari delle stagioni che si susseguivano fra
loro.
Seduti
in ginocchio, totalmente in preghiera, i due sentivano solo il fiato
del vento, più volte rapido, che pizzicava con una
certa
imprudenza
sull'epidermide.
«Scusa se ti porto ogni volta qui»
Mormorò, destando la sua attenzione.
«Ormai mi hai costretto... Gli inconvenienti che deve sopportare un amico.»
Ino
si aspettava una risposta del genere, ecco perché rise a
bassa voce,
alzandosi poco dopo dal gradino di cemento sul quale aveva poggiato
le ginocchia.
Shikamaru la imitò, mettendo nuovamente le mani nelle
tasche e proseguendo verso una meta non precisa. Ino lo seguiva, gli
occhi bassi,
in meditazione, il vestito a pieghe svolazzante che
seguiva il ritmo del vento.
Non
avrebbe faticato a dirsi un angelo, quella che camminava in un
cimitero, vestita totalmente di bianco e con l'aria apparentemente
assente...
Shikamaru cercò di non calamitare la sua attenzione,
avrebbe rischiato di lasciarsi andare troppo.
«Fumi, vero Shika? Il tuo è un odore diverso, un po' amaro.»
Quelle
domande a ciel sereno non riusciva proprio a capire da dove
spuntassero, tuttavia, rispose annuendo.
Non voleva che Ino lo
vedesse fumare, forse perché era abituato a vederla come una
divinità, un qualcosa da adorare e venerare ogni singolo
giorno –
di cui lui non era degno, men che meno capace. Quelle convinzioni,
così prepotentemente insite dentro di lui, non gli avevano
mai
permesso di confidarle quel piccolo segreto, che tale non era, dal
momento che si erano accorti praticamente tutti di quel suo vezzo.
«Shika?»
Lo richiamò per l'ennesima volta.
«Cosa c'è, ancora?»
Menzionò l'ultima parola, in tono vagamente inviperito.
«Ti amo»
Ino
non aveva mai detto quelle parole, nemmeno quando era stata con Kiba.
Le sembravano appropriate più ad un film che ad una
dichiarazione
vera e propria... Fino quel momento aveva perfino pensato che non le
avrebbe mai dette, poiché erano troppo impegnative per i
suoi gusti.
«Yamanaka, ti sei accorta di aver detto una cosa da adulti?»
Quel
buffone non la prendeva mai sul serio, così finiva per
inacidire le
parole, ed ecco che veniva fuori il suo lato peggiore.
L'espressione
di sconcerto del ragazzo non presagiva nulla di buono, ma ormai aveva
tirato fuori quelle parole, tanto valeva spiegare le sue ragioni.
«Ormai non sono più una bambina, Shika.» si avvicinò con cautela a lui, prendendolo per mano. «Tu... Tu mi ami, Shika?»
Sperò con tutto il cuore che quella crepa già precaria non si rompesse del tutto, se Shikamaru l'avesse ferita non sapeva quanto avrebbe tenuto duro.
«Tu non mi ami, Ino. Noi siamo amici.»
Riprese
lui, cercando di non sbilanciarsi troppo. Dopotutto, non poteva farla
soffrire e non era propriamente il suo tipo ideale,
anzi, tutto
quello che si sarebbe potuta aspettare da lui sarebbero stati
eloquenti sguardi, più che sdolcinate parole d'amore.
«E se... La mia amicizia fosse stata sempre amore?»
“Fiori che nascono tra i rovi,
Qui fuori cicatrizzano gli errori”
(****)
Un
groppo in gola minacciò seriamente il suo auto controllo,
tanto che
trasalì più volte quando vide le labbra di Ino
allungarsi, al fine
di
cozzare contro le proprie. Era dolciastro il loro sapore,
vagamente profumato di fragole... Tutt'altra cosa rispetto alle sue,
anonime, che
adesso però si lasciavano guidare da quelle della
ragazza, tentatrici.
«Se smetti di baciarmi, forse parlo.»
La provocò lui, allora lei dovette allontanarsi per forza, indietreggiando un po', poiché aveva alzato le punte per arrivare alla sua altezza.
«Non mi sembrava che ti stessi lamentando»
Shikamaru
sfiorò il suo viso con le dita, il suo capo era andato ad
impattare
in un debole scontro con il cappello di paglia bianco della
ragazza.
Glielo tolse, così da poter avere una visione completa di
Ino, in
piena attesa di un verdetto finale.
«Perché volevo io l'ultima parola, Yamanaka. Dovresti conoscermi.»
Disse,
prendendogli due ciocche bionde e arricciandosele intorno all'indice;
la ragazza allora si gettò fra le sue braccia, lasciando che
l'atmosfera la
travolgesse completamente, ignara di qualunque
passante che li vedesse compiere gesti poco consoni in un luogo sacro
come quello
– posto adattissimo per una dichiarazione d'amore,
c'era da dire.
Ma
non importava, ora che il destino aveva deciso di collaborare con le
loro vite, ora che anche Shikamaru le aveva detto che l'amava
– a
suo modo – si rese
conto che il vero amore era tutto intorno a lei:
suo padre, sua madre, Shikamaru... Non aveva dato loro il giusto
peso, forse, nel corso della vita, ma
per una persona che non c'era
più, un'altra avrebbe cercato di conquistare il suo cuore,
anche se,
invero, aveva fatto breccia da parecchio tempo.
(*) Di sole e d'azzurro – Giorgia.
(**) Beautiful Liar – Shakira ft Beyonce.
(***) Waking up in Vegas – Kate Perry.
(****) Primavera in anticipo – Laura Pausini ft James Blunt.
Note post-lettura:
Non sono riuscita a inserire una canzone, ahimè, era di Alvin Superstar e non riuscivo proprio a trovare un verso che calzasse con la fan fiction XD.
Bene, miei cari lettori, anche se sono senza Internet in questo momento – scrivo treamite biblioteche – non posso rinunciare alla mia linfa vitale, la scrittura per l'appunto *-*
Prima, con una ShikamaruIno, il mio pairing prediletto... La cosa mi ha fatta esaltare non poco! XD... Anche se inizialmente volevo scrivere un angst piuttosto pesante, in seguito ho cambiato idea, nonostante gli happy ending – specialmente i miei – non mi convincano mai troppo ._.
Dedicata a tutte le spartane che combattono il nostro pairing, con forza e tenacia, difendendolo con biancaH determinazione *_*
ShikaIno is the way!
Grazie a tutti per esservi soffermati a leggere,
complimenti a tutti gli altri partecipanti e ringrazio la giudice Valehina – ormai moschella grigio-bianca XD – per l'accurato giudizio. Grazie inoltre, per il premio Best Combination *_*.
E adesso, dopo aver riempito la pagina di mie storie, mi congedo ù_ù.
Un biancoH grazie a tutti!