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Autore: DilettaWCG    22/03/2010    3 recensioni
Arrivava ogni sera, con vestiti costosi ma sgualciti indosso, quasi sempre di colori appariscenti; arrivava ogni sera e si avvicinava al bancone con passo stanco, forse per quei suoi tacchi sottili e altissimi; arrivava ogni sera e mi chiedeva il solito, un Barracuda con doppia dose di cognac, ben agitato e con due cubetti di ghiaccio. Si sedeva al suo tavolo, quello lontano dal bancone, e passava sulla superficie ruvida i suoi palmi pallidi, sporcandoli di polvere.
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il solito



E' un'incognita ogni sera mia...
Un'attesa, pari a un'agonia. Troppe volte vorrei dirti: no!
E poi ti vedo e tanta forza non ce l'ho!
Il mio cuore si ribella a te, ma il mio corpo no!
Le mani tue, strumenti su di me,
che dirigi da maestro esperto quale sei...


Lavoravo in quel piccolo bar vicino alla stazione Termini da quando avevo memoria d'aver imparato l'umile mestiere del cameriere. Non avevo che l'ambizione di riuscire a portare il peso di un vassoio di plastica opaca in equilibrio fino al tavolo più lontano dal bancone. Era un tavolo speciale, per me.
Era quadrato, di legno poco resistente e mal intagliato, esattamente come tutti gli altri. Tentennava leggermente verso destra per via di una gamba di un centimetro più corta delle altre. Sopra non c'era niente: nè una tovaglia, nè un centrotavola, nè una candela. Vi albergava solo un sottile strato di polvere, ma solo quando lei era felice.
Lei era l'unica ragione per cui quel tavolo si distingueva dagli altri.
Non credo d'aver mai visto creatura più bella in vita mia. Arrivava ogni sera, con vestiti costosi ma sgualciti indosso, quasi sempre di colori appariscenti; arrivava ogni sera e si avvicinava al bancone con passo stanco, forse per quei suoi tacchi sottili e altissimi; arrivava ogni sera e mi chiedeva il solito, un Barracuda con doppia dose di cognac, ben agitato e con due cubetti di ghiaccio. Si sedeva al suo tavolo, quello lontano dal bancone, e passava sulla superficie ruvida i suoi palmi pallidi, sporcandoli di polvere. Posava lo sguardo sull'anello d'argento che portava all'anulare della mano destra e rimaneva immobile finchè io non le consegnavo ciò che aveva chiesto. Mi sorrideva e cortesemente, in silenzio, mi invitava a lasciarla da sola con quel bicchiere di finto cristallo. Vi posava le labbra e beveva tutto d'un sorso, lasciando che l'alcool le incendiasse la gola.
Quando se ne andava, ogni sera, non riucivo a distogliere lo sguardo dal segno lasciato dal suo rossetto sul bordo del bicchiere. Era di un rosso scarlatto, vivo, acceso. Ma i contorni di quell'impronta erano sempre indefiniti, irregolari, asimmetrici. Mi sembrava che da quel segno di potesse capire tutto di quella donna. Mi sembrava che da lì si potesse comprendere quanto la sua vita la soddisfacesse solo a metà.
Una sera mi feci coraggio e glielo chiesi, le domandai come mai si ostinava a bere un cocktail troppo forte, a tornare a casa con le tempie pulsanti e a dormire sonni agitati. Ricordo che mi sorrise, rivelando denti sporchi di rossetto, e disse che per essere davvero sicuri di sè occorre essere molto soli. Non capii cosa intendesse veramente finchè qualche tempo dopo non fece cadere accidentalmente un bicchiere e fu costretta a parlarmi di nuovo, per scusarsi. Mi raccontò la storia di un uomo a cui non sapeva dire di no per via di un sentimento troppo grande per essere gestito. Disse che lui era il suo capo e che inizialmente lei aveva accettato quella relazione solo per cercare di avere una promozione. Ricordo che mentre lo diceva aveva le lacrime agli occhi, ma scoppiò a ridere. Proseguì descrivendomi quest'uomo in ogni minimo particolare, come se il suo volto e il suo corpo fossero stati impressi come un marchio a fuoco nella sua mente, indelebile. Da ogni singola parola si capiva quanto si detestasse per la sua insicurezza, per la debolezza che le impediva di realizzare il no per cui aveva optato.
Da quella sera, quando vedevo la polvere depositarsi su quel tavolo, mi auguravo che lei fosse felice. Se non aveva motivo di venire in questo angusto bar ad affogare la tristezza nell'alcool e a strofinare le dita sulla quella superficie ruvida di legno, significava che era riuscita a imporre il suo no e aveva preferito una bella serata con le amiche o con un uomo che la rispettasse, pensavo.
Ma puntualmente, la sera seguente, le mie speranze venivano spazzate via dalla folata di vento che entrava dalla porta d’ingresso insieme a lei.
« Il solito, grazie »

E vieni a casa mia, quando vuoi, nelle notti più che mai,
dormi qui, te ne vai, sono sempre fatti tuoi.
Tanto sai che quassù male che ti vada avrai
tutta me, se ti andrà per una notte...
... E cresce sempre più la solitudine,
nei grandi vuoti che mi lasci tu!

  
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