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Autore: bluemary    22/03/2010    3 recensioni
"Non avrebbe dovuto importargli molto della faccenda, ma… cavoli! Quello in fondo era anche il suo appartamento, quella davanti a cui si era soffermato per un tempo fin troppo lungo era la sua porta, e la ragazza ingenua e incosciente che aveva invitato il nemico in camera era la sua coinquilina." Tutto era perfetto tra loro, prima che arrivasse lui. Unica soluzione? Eliminarlo, ovviamente.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per la Caccia alle uova (iniziativa di Fanworld).
Uovo n°18, prompt: scrivere una storia di qualsiasi tipo in cui compaia tre volte la parola uovo.



Questione di territorialità

Una porta chiusa.
Si mise a camminare nervosamente avanti e indietro, lanciando di tanto in tanto un’occhiata torva a quell’insormontabile barriera, indeciso su quale reazione una simile scoperta avrebbe dovuto scatenare nel suo animo: era la prima volta da quando si conoscevano che Valeria, la sua migliore amica e confidente, nonché sua unica coinquilina in quel piccolo appartamento, rimaneva nella sua stanza tanto a lungo senza farlo entrare.
Fece una smorfia.
Ormai erano trascorse quasi due ore da quando lui era comparso, distruggendo la tranquillità di quello che sarebbe dovuto essere un piacevole pomeriggio simile a tanti altri; la ragazza glielo aveva presentato come Federico, un normale compagno di università con cui avrebbe cercato innocentemente di capire un po’ di matematica, ma un sesto senso particolarmente sviluppato gli aveva subito fatto temere il peggio.
E il peggio era arrivato: dopo un vago tentativo di studio in salotto, il ‘normale compagno di università’ aveva proposto di spostarsi in un luogo più appartato e privo di distrazioni, con un’aria losca che non gli era sfuggita, e, anche se la sua coinquilina sembrava beatamente ignara dei reali piani di quel viscido individuo, lui era certo che si trattasse di una scusa per mettere in atto le peggiori intenzioni concepibili da un essere umano.
Gli sfuggì un sospiro di biasimo, rivolto all’ingenuità dell’amica.
Non sapeva che non bisognava mai fidarsi dei Federichi, specialmente di quelli che volevano studiare in camera?
Lanciò l’ennesimo sguardo colmo di rancore alla porta chiusa, da cui riusciva a captare insopportabili risatine e qualche parola sicuramente non inerente alla matematica, quindi le diede le spalle.
In realtà, da maschio orgoglioso e fiero della propria indipendenza, che non aveva mai avuto alcun interesse a sviluppare veri e propri legami con qualcuno e tanto meno con una femmina, non avrebbe dovuto importargli molto della faccenda, ma… cavoli! Quello in fondo era anche il suo appartamento, quella davanti a cui si era soffermato per un tempo fin troppo lungo era la sua porta, e la ragazza ingenua e incosciente che aveva invitato il nemico in camera era la sua coinquilina.
Di malavoglia si diresse verso il salotto, alla ricerca di Scrat, il piccolo di casa, l’unico essere vivente di cui potesse sopportare la presenza in un momento tanto tragico; tuttavia, per quanto discreto e simpatico risultasse quel clone in miniatura di gatto Silvestro, dopo averlo guardato rincorrersi la coda per cinque minuti interi si rese conto di ambire a una compagnia più loquace e intelligente di un cucciolo soprannominato “la Quaglia” per motivi non del tutto estranei alla sua incredibile vigliaccheria.
Tristemente conscio di non avere molte alternative per passare il tempo senza Valeria, si posizionò davanti alla televisione già accesa, ma perfino il fidato elettrodomestico quel giorno sembrava divertirsi a complottare contro di lui, vista l’incredibile quantità di programmi strappalacrime in onda.
Contagiato dalla patetica storia dell’ennesimo caso umano trasmesso in diretta, si lasciò trasportare dai ricordi di una vita che, se lo sentiva fin dentro le sue ossa, non sarebbe stata più la stessa. Ripensò alle belle giornate trascorse assieme a poltrire, a tutte le occasioni in cui aveva offerto all’amica una spalla su cui piangere a causa dell’ennesima storia finita male o neppure cominciata, alle serate passate a vedere i film stravaccati sul letto, rigorosamente muniti di biscotti e copertina… E ora non ci sarebbe stato più niente di tutto questo: niente dolci sgraffignati dal suo piatto mentre lei guardava adorante Johnny Depp ne “I pirati dei Carabi”, niente avventure culinarie assieme, con resti di uovo e mascarpone sparsi per tutta la cucina e una parodia di tiramisù troneggiante orgoglioso al centro del tavolo, niente sonnellini sul divano l’uno contro l’altra.
Mentre i fotogrammi degli ultimi mesi assieme a Valeria si susseguivano nella sua mente, andando a punzecchiare in modo poco piacevole la parte sinistra del suo petto, qualcosa cominciò a ribellarsi dentro di lui, al pensiero di quella porta chiusa.
Un profondo senso di rancore nei confronti dell’intruso che si era intromesso nelle loro vite perfette lo avvolse, portando con sé l’impulso quasi irresistibile di andare da quel Federico-compagno-di-università e cacciarlo a pedate dall’appartamento; tuttavia sapeva di dover agire con un po’ di astuzia per non incappare nelle ire dell'amica, che quando si arrabbiava pareva dimostrare una stretta parentela con un certo Attila, vissuto diversi secoli prima ma ancora ricordato con terrore.
Per un attimo si cullò con la confortante speranza che Scrat diventasse all’improvviso un feroce predatore, incline a cacciare i Federichi e a morderli dove non batteva il sole, ma sapeva di non poter contare davvero su un paffuto cucciolo di gatto le cui caratteristiche primarie non risiedevano nell'imponenza e nella pericolosità: tralasciando la sua fobia delle mosche, con quell’espressione traumatizzata e avvilita appariva fin troppo evidente che non sarebbe stato una minaccia per nessuno, gli mancava solo il pezzo di guscio d’uovo in testa e poi sarebbe stato un perfetto Calimero di quattro chili e mezzo.
Scosse la testa sconsolato, prima di assumere un’espressione risoluta.
Avrebbe dovuto cavarsela da solo.

La sua solitudine era durata per altre tre ore, un tempo eterno durante il quale aveva affogato parte del suo dispiacere in una cena anticipata; poi Valeria e il suo compagno di università l’avevano raggiunto in sala da pranzo per decidere cosa ordinare da mangiare.
Lui si era limitato a seguire con scarso interesse il loro acceso dibattito pizza vs. cinese, la mente ancora impegnata a rifinire gli ultimi dettagli del piano. Sapeva per quale motivo la sua coinquilina non si fosse azzardata a proporre di metter mano ai fornelli: solitamente il cibo cucinato da lei aveva la propensione a incendiarsi, dimostrando un’incredibile capacità di combustione spontanea che avrebbe fatto la felicità di molti studiosi alla ricerca di nuovi esaltanti fenomeni fisici, o a risultare non commestibile, e fino a quel momento anche un semplicissimo uovo al tegamino era fuori dalla sua portata.
Siccome nessuno dei due desiderava rischiare un’intossicazione alimentare, Federico alla fine si era fatto consegnare una pizza a domicilio, mentre Valeria aveva preferito suo malgrado una cena leggera e scarsamente soddisfacente; la sera prima aveva subito una brutta coltellata alle spalle da parte della sua bilancia, comparsa improvvisamente in bagno dopo mesi di beata assenza, e ora stava fissando il suo piatto di carote e insalata con la stessa aria truce che avrebbe riservato a un pluriomicida.
La sua espressione, tuttavia, si rasserenò notevolmente, quando mise in tavola la torta portata dalla madre il giorno prima. Con un sorriso pregno d’aspettativa servì l’ospite, quindi si accinse a prendere la sua porzione.
- Ma tu non eri a dieta? – chiese Federico, con la bocca piena.
La ragazza lo fulminò sul posto per quel commento chiaramente inopportuno.
- Solo un po’. – disse, pugnalando la fetta che avrebbe desiderato mangiare in modo da dividerla in due parti.
Il suo coinquilino rimase ad assistere in silenzio per tutto il pasto, studiando con un interesse quasi scientifico la sua futura vittima.
Nei dieci minuti precedenti, l’ignaro ragazzo, sotto gli occhi di una Valeria profondamente irritata per il digiuno forzato da dolci e affini, aveva sezionato chirurgicamente la sua porzione di torta, in modo da separare il pezzo superiore con lo zucchero a velo dal resto della fetta, e ora stava coccolando con lo sguardo un boccone tanto prelibato, pregustando il momento in cui l’avrebbe mangiato.
Lui si permise un invisibile sorriso e, approfittando del momento in cui Federico si era alzato per prendere dal frigo un’altra lattina di coca-cola, si avventò sul suo piatto, afferrando l’ultimo pezzo di dolce.
- Ehi, quello era mio! Ridammelo! – esclamò lo sgradito ospite, invano, in quanto lui aveva già messo in bocca metà del bottino e ora lo stava masticando con gran soddisfazione e uno scintillio di sfida nelle iridi castane. Sotto lo sguardo chiaramente furioso dell'intruso, deglutì, addentò l’ultima parte, la masticò e deglutì ancora, per poi leccarsi le labbra con ostentazione, troppo impegnato a gustarsi il dolce per rispondere alle sue proteste; non era minimamente preoccupato del fisico muscoloso e sicuramente più atletico di quel ragazzo più vecchio: ormai stava superando le soglie dell’adolescenza per raggiungere l’età adulta, ma aveva imparato fin da piccolo che la natura lo aveva dotato di armi ben più terribili ed inarrestabili della semplice forza bruta. Prima ancora di darle il tempo di intervenire, si volse verso l’amica, spalancando gli occhi nello sguardo dolce e speranzoso che lo faceva assomigliare terribilmente a un cucciolo di Labrador, e che aveva mietuto innumerevoli vittime tra nonne arcigne, madri severe e virago dall’aspetto mascolino.
Intenerita, lei gli sorrise, prima di rispondere al compagno che ancora reclamava giustizia.
- Vale, digli qualcosa! Non dovresti insegnargli un po’ di educazione? Non può andare a rubare il cibo dal piatto della gente.
- Smettila, Fede, quello era un pezzo che avevi avanzato, che ti costa lasciarglielo?
- Non l’avevo avanzato, era il pezzo più buono e me lo stavo tenendo per ultimo. Poi lui ha già cenato, no?!
- Potevi sbrigarti a finirlo. – chiuse il discorso Valeria, non senza una sfumatura vendicativa che affondava le sue radici nell’infelice commento dell’amico riguardo la sua dieta.
- Ma…– provò debolmente a protestare il ragazzo, subito interrotto.
- Non essere egoista, hai mangiato una fetta intera!
Soddisfatto di quello che aveva scatenato e in misura ancora maggiore del dolce rubato al nemico, lui gli lanciò un ultimo sguardo compiaciuto, senza sentire il bisogno di ribadire a parole questa piccola vittoria, e scomparve in salotto, mentre ancora lo sentiva discutere con la coinquilina.
Adesso poteva mettere in atto il suo piano e vero e proprio.

Valeria era seduta sul letto assieme all’amico.
Una volta finito di mangiare, si erano nuovamente chiusi in camera sua, tuttavia adesso non poteva impedirsi di provare un forte senso di colpa per aver lasciato nuovamente solo il suo coinquilino.
Lo sentì camminare tristemente avanti e indietro, come già aveva fatto prima della cena, e qualcosa si contrasse nel suo cuore, mandando a monte ogni progetto di serata romantica con il suo quasi-ragazzo.
- Adesso lo faccio entrare. – disse a Federico, che subito scosse la testa.
- Mandalo via.
- Si può sapere cos’hai contro di lui? – sbottò lei, mentre apriva la porta e abbassava lo sguardo sul suo adorato coinquilino, con lo stesso bagliore materno e affettuoso di una madre alle prese con il suo bambino preferito.
- È tutto il giorno che mi guarda storto e cerca di provocarmi, come se fosse geloso. Prima ho avuto la netta sensazione che mi odiasse e volesse cacciarmi di casa.
L’oggetto della conversazione entrò con il suo solito passo felpato, salendo poi sul letto dov’era già seduto Federico e stiracchiandosi con quella soddisfatta pigrizia che solo i felini riescono ad esprimere.
- Come fai a dire certe sciocchezze? È un gatto, non può certo essere geloso di te. E poi è così adorabile! – tubò Valeria, nell’esatto momento in cui il tenero animale affondava i suoi denti nell’avambraccio del ragazzo, in un attacco non troppo convinto, quasi volesse assicurarsi che fosse commestibile prima di fare un vero e proprio tentativo di assaggio.
Federico si ritrasse di scatto.
- Mi ha morso!
Come per smentire simili parole, il bel gatto tigrato si strusciò contro la spalla della ragazza con l’espressione più tenera e indifesa del suo repertorio, che avrebbe fatto passare per carnefice perfino un cucciolo di foca, e lei reagì subito nel modo sperato, poggiandogli una mano sulla testa in una leggera carezza.
- Guarda che voleva solo fare amicizia. – commentò, con un’occhiata truce all’indirizzo dell’amico – Adesso vado in bagno, tu la finisci di dargli fastidio o devo portarlo con me?
- Non sono io quello che sta dando fastidio. – borbottò lui, facendole comunque cenno che poteva andare senza temere spargimenti di sangue.
Non appena Valeria chiuse la porta, Federico si accovacciò sul letto in modo da sovrastare il gatto, per quello che secondo lui doveva essere un chiarimento sulla sua autorità.
- Allora, fai il bravo o no? – non riuscì nemmeno a finire la frase che nuovamente il felino gli addentò l’arto, questa volta con la chiara intenzione di tatuargli l’intera arcata dentaria in corrispondenza del polso.
Il ragazzo si alzò in piedi all’istante, senza poter trattenere un gridolino per la sorpresa e il dolore.
- Staccati subito, stupido gatto!
Si mise a scuotere freneticamente il braccio, nel tentativo di scrollarsi di dosso l’animale che stava dimostrando la capacità morsicatoria di un rottweiler, ma tutti i suoi sforzi ebbero come unica conseguenza quella di intensificare la pressione sulla sua pelle.
Dopo un primo momento di panico al pensiero di poter subire danni permanenti -ragazzo poco più che ventenne reso invalido da un placido gatto domestico-, adagiò il suo nemico sul letto, deciso a far valere la propria forza.
- L’hai voluto tu! – ringhiò, cominciando a tirargli il pelo per costringerlo a mollare la presa.
Con sua grande sorpresa, il gatto lo lasciò subito andare, ma una voce infranse la sua vittoria.
- Cosa stai facendo al mio Tigro?! – lo aggredì Valeria, appena tornata dal bagno, gli occhi furenti puntati sulle sue dita, ancora colpevolmente strette alla pelliccia del felino.
Federico la mollò di scatto, registrando con una sorta di sconforto lo sguardo di pacifica sopportazione stampata ora sul suo muso, che lo aveva fatto passare da piranha a cucciolo indifeso in meno di mezzo secondo.
- Mi ha morso di nuovo! – si lamentò, ostentando i punti rossi sulla sua pelle nella tenue speranza di un po’ di comprensione.
- Perché tu lo stai infastidendo! Smettila di pizzicargli la pancia e stagli lontano! – sbottò Valeria, mentre si prendeva in braccio il gatto con la stessa cura che avrebbe riservato al reduce di una sanguinosa battaglia e allo stesso tempo lanciava occhiate torve all’amico.
- Io dovrei stargli lontano?! Caccia via lui, piuttosto!
- Non costringermi a scegliere, Fede, io e Tigro conviviamo da prima che ti conoscessi!
Borbottando una risposta chiaramente offesa, al ragazzo non rimase che tornare a sedersi sul letto, questa volta attento a lasciare parecchi centimetri tra sé e Valeria, e rimuginare silenziosamente sulle ingiustizie della vita e la perfidia generale dei felini, con la mano stretta al braccio dolorante.
Dovette appellarsi a ogni singola goccia della sua pazienza per fingere di non sentire la ragazza, a cui era stato pronto a donare il suo cuore, rassicurare l'animale sul fatto che “non avrebbe mai più permesso al malvagio Federico di fargli ancora del male”.
Il gatto socchiuse le palpebre, non senza avergli prima lanciato uno sguardo di derisione, e si adagiò più comodamente sul grembo della sua coinquilina per godersi le sue carezze sotto il mento, mentre le sue fusa trionfanti risuonavano nella stanza in segno di esultanza.
Ancora una volta aveva vinto lui.
   
 
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