Fianchi rotondi
Capitolo 7
Cadeva una stella.
La luna si mostrava e si eclissava misteriosa e lasciva dietro una
nuvola come un’odalisca; tutto intorno era argento; gli ultimi borbottii dei
soldati che si ritiravano nelle loro stanze si smorzavano in quell’aria
asfissiante, quasi soporifera.
- Sai, ha scoperto.
Sfilò prontamente il dito che aveva
attorcigliato tra i capelli e si voltò. Non incrociò il suo
sguardo. Quello, era smarrito tra le stelle che firmavano il cielo di
Babilonia. – E com’è riuscito?
- Non lo so. Ma
c’è di mezzo l’indovino. – un’altra stella luccicava,
ma la fissità degli occhi di Bagoas probabilmente non se
n’accorgeva. – Mi hanno chiesto qualcosa. Hanno cercato di capire
se fossi coinvolto.
- E tu?
- E io ho negato di saperne alcunché.
- Alessandro soffre.
Tra gli alberi si levò finalmente un pacato sussurro di vento; e lo straziante frignio di un
gatto in amore. – Partirete?
Narda abbassò lo sguardo e
inumidì con la lingua il labbro inferiore. – Veramente, no.
Bagoas sembrò
riemergere da un cupo torpore, la sua voce si alterò un poco.
– E perché?
- Efestione non vuole partire. Dice che ha promesso al suo re che sarebbe rimasto al suo
fianco fino alla morte, e non ha intenzione di abbandonare l’esercito.
Schiodò lo sguardo dal cielo per
piantarlo in faccia all’ancella. - Dannazione, Narda, ma tu puoi
corromperlo! Lui ti ama! Non capisci che…
Narda scosse la testa. – No. Io…
ho visto i suoi occhi. Bagoas, lui è legato ad Alessandro da qualcosa
che va oltre l’amore nella sua forma meramente concepibile. Comincio a
pensare che sia stato tutto inutile.
Fu un attimo, e le dita di Bagoas si
aggrapparono disperatamente alle spalle nude di Narda. – Ma perché? Perché? Ma cosa devo fare, Narda? Dimmelo! – lacrime scure di
bistro ombreggiarono i suoi occhi e colarono crudelmente sulle sue gote sciupate. – Cosa devo
fare per essere amato un poco? Non ho più parole, Narda, e non so
più cosa fare.
- Non otterrai l’amore di Alessandro facendo allontanare Efestione da lui. Forse
sarebbe stato meglio se avessi disciolto la pozione nel bicchiere di Alessandro.
- Non l’avrei mai fatto! Il suo amore
dev’essere sincero, non frutto di un artificio.
- Per quest’amore maniacale state soffrendo
entrambi.
Bagoas si sforzò di non sentire quello
che Narda gli stava dicendo e si voltò per dare sfogo ad altre dolorose
lacrime. – Devo trovare un modo per allontanare definitivamente Efestione
dai suoi occhi, cosicché non soffra più e possa sentire il
desiderio di occuparsi totalmente di me.
- Sei meschino; e inoltre, non ce la farai. Te
l’ho detto: lo seguirà fino alla morte.
Bagoas scacciò un sasso davanti ai suoi
piedi. – Solo fino alla morte,
lo seguirà. – si voltò e sorrise a Narda.
- Sì.
Il vento infuriò e la luna si nascose.
Bagoas tremò appena e abbassò lo sguardo verso i piedi di Narda,
scalzi.
- Narda, ti ringrazio per tutto quello che hai
fatto. – la sua voce venne rapita dal vento.
- Cosa? Non capisco;
parla più forte.
- Ho detto che ti
ringrazio per tutto quello che hai fatto.
- Non è stato per niente.
- Ti voglio chiedere un ultimo favore. –
sfilò dalla tasca dei suoi calzoni un sacchetto tintinnante di denaro.
La lucerna si era da poco consumata.
Efestione giaceva
scompostamente e un piede sporco penzolava dal letto, era nudo, spossato, la
bocca era socchiusa e le palpebre dischiuse; la luna l’osservava dalla
finestra, indecisa se uscire allo scoperto; il vento s’era calmato e
s’udiva solo lo stridere delle cicale.
Nulla vibrava, nulla gridava.
I servi si erano ritirati nelle loro stanze, i soldati giacevano soli o
stringendo il seno delle donne del campo, le concubine del re sospiravano addossate le une alle altre nell’ennesima uggiosa
notte d’estate, alcune si toccavano e sorridevano, si guardavano negli
occhi e gemevano; una si alzava e danzava leggiadra, oscillava la veste e i
campanellini, i capelli scuri davanti al viso, e i fianchi rotondi.
Grandi volumi riposavano impolverati tra gli scaffali della biblioteca;
le stoviglie nella credenza della cucina e le sedie attorno al tavolo del grande salone; dalle trifore penetrava la chiara luna ad
illuminare i lucidi pavimenti dei corridoi.
Era follia; l’ennesima. E tutto quel
denaro.
Per amare un soldato, per stringere in mano un
pugnale, non faceva alcuna differenza; non era tempo per gli scrupoli, non di
certo per chi aveva conosciuto le tenebre appiccicose della miseria, e a cui
l’oro pareva così splendente.
Era un rischio, e per lei e per Bagoas; ma era
la follia, l’estasi che avvicina l’uomo al suo Dio.
Che sciocca, pensava,
sciocca prostituta che era, mentre toccava il petto glabro dell’uomo che
l’aveva amata, col dito caldo e con la lama fredda, e quasi piangeva.
Alessandro giaceva solo, con gli occhi al soffitto, e non pensava a
niente.
Le palpebre erano tese e le labbra vibravano;
il sonno tardava ad arrivare, quella notte, il caldo era torrido e ogni
movimento era sudore.
Da tempo non visitava l’harem, da tempo non accoglieva nel suo letto altri che Bagoas; e in un
sospiro si alzò.
E anche Aristandro vegliava.
Continui spifferi disturbavano il suo sonno,
si copriva ma sudava, si scopriva e rabbrividiva,
eppure il cielo era ora terso, e le fronde degli alberi sonnecchiavano dettando
il silenzio.
Si alzò irrequieto, scostando le
coperte, scacciando una mosca. La coppa di bronzo era lì dove
l’aveva appoggiata l’ultima volta; nessuno, nessuno in quel palazzo
sembrava saperne qualcosa.
Avanzò fendendo l’oscurità
con i suoi capelli canuti accarezzati dal chiarore lunare; i suoi occhi miopi
non videro quell’instabile seggiola che urtò violentemente
rovinando a terra un barattolo di vetro, le schegge si sparsero ovunque,
pericolose, allorché il vecchio tastò qua e là per trovare
la lucerna e l’accese.
E la concubina danzava ancora, e tutti gli occhi erano sui suoi candidi
piedi che volteggiavano, e sul corpo sinuoso avvolto dai veli, le mani che
s’alzavano e s’intrecciavano tra loro; Alessandro si sollazzava tra
le braccia delle altre ragazze, non riuscendo a staccare gli occhi dalla
danzatrice, aggraziata e leggera come una piuma
abbandonata al vento; le altre sospiravano e sorridevano e accendevano la pelle
del re, e tutte guardavano lei, la più bella tra loro; ma il vento
spirò forte.
Cercava la sua carne ma non aveva il coraggio
di affondarla e dilaniarla, cosa sarebbe stato di lei? Prostituta e vigliacca,
ecco cos’era.
Tutt’intorno era così silenzioso,
ed Efestione non si muoveva; quella notte gli avrebbe stretto per
l’ultima volta le braccia, avrebbe accolto per l’ultima volta il
suo sospiro, e il suo gemito. Si lasciò
sfuggire una lacrima, che si affrettò ad
ingoiare per non farla cadere sul suo petto.
Quel povero cuore non aveva colpa se non di
essere amato così tanto; com’è
crudele Eros, pensava lei, che asfissia la mente degli innamorati, e fa
compiere loro azioni così empie e sciagurate; e lei, abbacinata dallo
splendore di quell’oro, che sfidava ogni legge e giustizia divina, alla
mercè di un pazzo preso d'amore.
Chiuse gli occhi tremando e lasciò andare la mano.
I suoi piedi cedettero al suolo, la sua grazia
s’infranse e i veli l’avvolsero a terra, mentre Alessandro
d’un tratto trattenne il respiro.
Sul pavimento, tra le schegge di vetro, s’allargava una pozza
color rosso intenso.
Non c’era tempo da perdere.
Il presagio parlava chiaro, il pericolo era
imminente, o forse era già troppo tardi.
I suoi sensi erano acuminati più che
mai, e dirigevano i suoi passi diretti come le stelle i
marinai; sentiva già l’odore del sangue pervadere i corridoi,
dimenticò la sua età e si precipitò nella stanza di
Efestione.
La danzatrice si alzò elegantemente, ma un
tiepido rossore si diffuse sulle sue gote d’avorio; imbarazzata
s’inchinò dinnanzi ad Alessandro inquieto, mentre una procace
concubina si trastullava tra i suoi capelli dorati; la danzatrice riprese il
suo posto tra le altre ragazze, ma il re la desiderava e, afferratala per un
fianco, la strinse forte a sé.
Si lasciò cadere a terra e i capelli le annebbiarono il viso,
coprendolo come avrebbero fatto le sue mani sporche di sangue e di vergogna, si
rannicchiò in un angolo sperando che l’oscurità
l’inghiottisse e la sbranasse, avrebbe preferito
morire oramai, si sarebbe lasciata morire d’inedia, ma no, Alessandro
l’avrebbe giustiziata prima, meglio così allora, piuttosto che
vivere con quella macchia indelebile nell’anima.
Nemmeno l’entrata improvvisa di Aristandro le riscosse le spalle. Se ne rimaneva
lì, contro il muro, nell’angolo buio, a rimestarsi il sangue sulle
dita. Misera donna.
Aristandro cadde in ginocchio. Efestione
giaceva sul proprio letto candido macchiato di sangue, l’espressione era
tirata, ancora agonizzava e non riusciva ad urlare.
- Ah, se Alessandro fosse qui! –
imprecò il vecchio – Ah, misera donna! Aspetta che lo veda!
Narda scoppiò in un pianto nervoso e
quasi si annullò nell’angolo buio, il vecchio si prese i capelli e
li strattonò forte, afferrò il pugnale sul letto e lo
brandì verso di lei, ma le sue mani tremarono e il pugnale andò a imbrattare il pavimento di marmo. Come meglio poté
caricò Efestione sulle proprie spalle e si diresse a svegliare il medico
Filippo.
Alessandro furente si gettò contro la porta della stanza del
medico e ai piedi della barella su cui giaceva Efestione, pallido ed esangue, e
gli prese una mano gelida tra le sue.
- L’ho trovato così. –
asserì grave il vecchio indovino.
- Ma chi? Chi? Per la
grazia di Dio, chi?
Aristandro scuoteva la testa, Efestione
guardava disperatamente Alessandro e gli stringeva la mano, sebbene ogni movimento
gli costasse un alito di vita; le sue labbra cercavano di pronunciare quel
nome.
- Alessandro, c’è ancora qualche
speranza.
- Ma chi? Chi ha
potuto? Dimmelo, Aristandro! Perché taci?
– appoggiò anche l’altra mano su quella dell’amico e
la sfregò per scaldarla.
- Nar… da. Ales…
- Cosa, Efestione?
Che cos’hai detto?
Aristandro abbassò il capo. – Narda, Alessandro. Questo è
quello che ha detto.
- Narda?
– Sì, Alessandro, proprio lei.
L’ho trovata nella stanza.
- Ma…
perché?
Filippo fece capolino nella stanza con
medicamenti e un’aria preoccupata. – Una ferita di pugnale,
fortunatamente non ha colpito il cuore.
- Ma
sopravvivrà? Potrà farcela?
- Sta perdendo molto sangue, ma forse siamo
ancora in tempo.
- E allora forza,
cosa fai con le mani in mano?
Esortato, Filippo scattò a prodigarsi
alle cure. Efestione non si muoveva, pareva morto, e ben presto
perse i sensi.
Alessandro si voltò verso il vecchio
indovino. – Narda… ma perché? Perché
l’ha fatto? Credi che volesse ucciderlo? Perché allora non l’ha colpito al cuore?
- Alessandro, credo che si trovi ancora nella
stanza di Efestione. Era veramente scossa. Non ho la
più pallida idea di cosa stia succedendo.
- Nella stanza? Ma
perché non è scappata? – le vene del collo erano turgide e
il viso era paonazzo; Aristandro scosse la testa, il re era veramente fuori di
sé. - Scellerata! E’ andata cercandosi la morte. Non la passerà liscia, lo giuro. – uscì dalla
stanza come un leone ferito, seguito a ruota da Aristandro.
Si guardava allo specchio.
I suoi occhi brillavano di follia. La morte
non lo spaventava, nemmeno il pensiero lo sfiorava.
Eros l’aveva completamente bendato, l’aveva fatto suo e non aveva
intenzione di uscire da lui, non ora che erano così vicini e quasi si
toccavano.
Tese le braccia a raggiungere la sua morbida
immagine e l’accarezzò lentamente.
Alessandro, il suo amato Alessandro senza
Efestione.
Sorrise.