Buonasera! Eccoci qua con un nuovo capitolo, sempre che interessi a qualcuno… Beh, alla fine della settimana parto per le vacanze, ma penso di mettere almeno il capitolo 4 (anche perché il resto è in lavorazione ^__^). Grazie a kiana, blustar, Lilychang e Eirien per i commenti. Un bacio a tutti!
Sara
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3 ~
La
macchina percorreva senza fretta le strade della città immerse nelle ultime
luci del crepuscolo; i lampioni e le insegne dei locali si accendevano uno dopo
l’altro, silenziose, oltre i vetri oscurati del fuoristrada.
L’atmosfera
all’interno dell’abitacolo era strana; Milo si stava domandando se Camus ce
l’avesse con lui, era sempre difficile sapere cosa stesse pensando l’amico.
Impenetrabile come un muro di ghiaccio. Lui, invece, non era adirato: lo aveva
provocato e meritava una punizione; la ferita al labbro, però, bruciava ancora.
La
sua mente ritornò per un attimo alla discussione del pomeriggio. I suoi dubbi
restavano intatti; per cinque anni non si era chiesto cosa succedesse al
Santuario, sapeva solo che, se lo avessero richiamato, sarebbe dovuto tornare.
Lui era un cavaliere, il suo primo dovere era verso la Dea e, per quanto ne
poteva sapere, Arles parlava per Lei. Adesso, però…
Le
parole di Camus avevano smosso qualcosa dentro di lui, toccato un dubbio che
forse covava dentro il suo animo da tempo; per anni la sua mente era stata
rivolta altrove, occupata in altri pensieri. Foschi pensieri. Adesso era tempo
di riprendere il suo posto, di essere il cavaliere che era nato per essere. O
forse era solo un modo qualunque per risalire la china.
Qualunque
fosse il motivo, l’unico modo per fugare le sue incertezze era restare ad
Atene.
Scrutò
il profilo serio di Camus, che fissava attento la strada, le sue lunghe mani
eleganti sul volante; perché non gli rivolgeva la parola? Sì, certo, era tipo
capace di tenere rancore per una vita, ma…
“Hai
voglia di mangiare pesce, oppure…” L’improvvisa domanda rispose alle sue
elucubrazioni; il tono era normale, controllato.
“No,
pesce no, ti prego!” Rispose Milo, alzando le mani. “Non ho mangiato altro
per cinque anni!” Aggiunse inorridito.
“Una
bistecca italiana?” Chiese allora Camus, girandosi con un sorriso; Scorpio
acconsentì e proseguirono, dopo essersi sorrisi con complicità.
Milo
tornò a guardare fuori dal finestrino. L’elegante carrozzeria blu oltremare
dell’auto sfilava sotto i primi lampioni della sera, lucida e silenziosa; il
ragazzo sfiorò con una mano la superficie del prestigioso sedile in pelle nera
e carezzò con gli occhi l’ipertecnologico ma funzionale cruscotto, poi si girò
verso l’amico con uno dei suoi sorrisetti ironici.
"Certo
che hai messo su proprio una macchina da figo." Affermò infine.
Camus
si girò appena, spalancando gli occhi sorpreso. "Che, non sono un figo,
io?" Gli fece.
"Come
no." Replicò lui, sprofondando in quel sedile comodo come una poltrona.
"Ma questa è un auto da figo che se la tira." Aggiunse con
disincanto.
L’occhiata
di Acquarius fu gelida. "Senti…" Rispose quindi, con un gesto della
mano. "…non fare tanto l’alternativo con me, li conosco i tuoi gusti in
fatto di macchine, e poi, scusa, già là dentro…" Ed indicò un
punto alle sue spalle con il pollice. "…sono costretto ad abbassare la
testa davanti ad insignificanti vermi, che almeno fuori la gente capisca subito
che sono superiore!"
Milo
lo guardava divertito. "A me va benissimo." Ribatté quindi, alzando
le mani. "Basta che al prossimo semaforo non sali sopra ad
un’utilitaria…"
La
presa in giro era talmente palese che anche a Camus venne da ridere; cercò di
trattenersi, ma non gli riuscì. "Non cambierai mai, Milo, è bello
riaverti qui!" Esclamò quindi, dandogli una pacca sul ginocchio.
La
cena fu all’insegna del vino rosso e dei vecchi aneddoti. Scorpio scoprì così
che fine aveva fatto una sua acerrima nemica. Pelle candida, profumo di
caprifoglio e… artigli spietati: Shaina cavaliere d’argento dell’Ofiuco.
Pare che la sacerdotessa guerriero favorita del Gran Sacerdote, dopo
innumerevoli, quanto inspiegabilmente insistenti, attacchi ai Cavalieri di
Bronzo, e successivamente all’ennesimo fallimento, fosse scomparsa nel nulla;
forse passata al nemico, o forse, più probabile, ribelle agli ordini del
Santuario, partita da sola per un nuovo attacco. Fatto sta che era attualmente
irreperibile. Quello che Milo ricordava meglio di lei, era il suo affetto per la
piccola Celeste, un’energica sacerdotessa guerriero che era stata il primo
amore del saint dell’ottava casa, trasformato poi in rabbia violenta dopo
l’improvvisa sparizione di questa, a seguito della loro rottura; certo,
ricordava anche il suo maldestro tentativo di ucciderlo, senza sapere chi si
trovava di fronte. E la ricordava a terra, umiliata e dolente, con una puntura
della Cuspide nella spalla, senza nemmeno essersi accorta di come era successo.
I
casi della vita, le persone s’incontrano, a volte si piacciono, a volte no.
Non siamo sempre e comunque compatibili con gli altri. Era particolarmente vero
detto da lui, che negli ultimi cinque anni si era sentito incompatibile col
mondo intero.
Alzò
gli occhi su Camus, che stava finendo la sua bistecca. Acquarius era una delle
poche persone al Santuario che lui avesse veramente ammirato. Perché lui era
coerente con se stesso, non scendeva a patti, o era bianco o era nero; per il
cavaliere dell’undicesima casa non esistevano le grigie vie di mezzo in cui
Milo aveva trascorso l’esistenza. Quel giorno, però, aveva notato in lui una
fragilità che non conosceva. Una strana impazienza. E la rabbia. Era come se
Camus, nel momento in cui lo aveva colpito, avesse per un attimo abbassato la
maschera glaciale che indossava sempre, per mostrare l’uomo dietro al
cavaliere. L’attimo era durato troppo poco, e, adesso, Milo non poteva fare a
meno di chiedersi quanto profondo fosse il suo turbamento.
La
serata proseguì in un locale, e lì, Scorpio cominciò a preoccuparsi. Camus
continuava a ridere e scherzare, ma anche a bere… e lanciare occhiate
seducenti a tutte le ragazze carine che entravano, nonché ad attaccare bottone
con alcune di loro, anche in maniera piuttosto esplicita.
Beh,
certo, anche Milo s’era fatto notare, ma non certo per volontà; il fatto era
che da quelle parti non se ne vedevano molti come loro. Dalle occhiate che gli
lanciavano, il cavaliere si sentiva come un succulento pollo arrosto davanti ad
un massa di affamati. Ma lui non era pronto.
Cinque
anni. Quattro o cinque volte. Solo fisico. Poco appagante. Semplicemente
squallido. E poi tornava quel vuoto. Un vuoto che ti risucchiava l’anima come
il cuore di una stella morta. Morta. Come lei. Le ferite sanguinavano ancora.
Nessuno come lei.
Chissà
se un giorno avrebbe trovato qualcuno capace di curarle, le sue ferite, qualcuno
di benefico, di forte e dolce… qualcuno di speciale. Ci sperava, ci sperava
davvero.
Milo
si alzò quasi all’improvviso, rifiutando gentilmente la compagnia
dell’ennesima ragazza in minigonna attratta dai suoi occhi azzurri come il
cielo nel deserto, e si diresse verso il bagno, aveva bevuto decisamente troppo.
Quando tornò in sala, Camus era sparito.
Provò
a concentrarsi per percepire il suo cosmo. Il segnale gli arrivò distorto e
offuscato. Acquarius era ubriaco, ma non c’erano dubbi, si trovava fuori. Il
parcheggio non era grande e poco illuminato; i sensi da cavaliere di Milo gli
fecero percepire subito due voci ansimanti, nel buio alla sua destra.
Nell’angolo tra un muro ed una ringhiera c’erano Camus ed una ragazza dai
capelli troppo neri che si davano da fare. Scorpio spalancò gli occhi incredulo
e si diresse verso di loro a grandi passi.
"Per
tutti i fulmini di Zeus, ma che cazzo stai facendo?!" Gli gridò con
rabbia.
"Ma
che vuole questo?" Fece la ragazza con aria distratta, masticando una
gomma.
"Vuoi
unirti a noi, mon amis?" Domandò provocatorio Camus, rispolverando
il suo francese.
Milo,
a questa battuta, perse il controllo, face un ultimo passo, afferrandolo ad un
braccio con una stretta d’acciaio e strappandolo dalla ragazza con un ringhio;
la tipa cercò di ricomporsi, per quanto possibile.
"Che
cazzo!" Imprecò Acquarius, barcollando per qualche passo. "Ma
vaffanculo!" Aggiunse, scostandosi bruscamente e allontanandosi.
Alla
ragazza non restò che riprendere la borsetta e andarsene. "Beh, finita la
festa, i fidanzatini hanno litigato!" Commentò rassegnata.
Camus,
nel frattempo, camminava verso la propria macchina, seguito da uno Scorpio
nerissimo, che fissava la sua schiena come fosse un bersaglio.
"Si
può sapere che cosa pensavi di fare?" Gli domandò torvo, quando Acquarius
si fermò con le mani appoggiate al tetto dell’auto e la testa piegata in
avanti.
"Pensavo
di scoparmela, guarda un po’." Rispose lui arrogante.
"Io
non credo a quello che sento." Commentò l’altro. "Ma non hai un
briciolo di rispetto per lei…"
"E’
soltanto sesso, Milo!" Sbottò Camus, girandosi a braccia allargate.
Lo
fissò per un attimo negl’occhi, preso da un sospetto. "Non è la prima
volta che la tradisci…" La rivelazione era stata improvvisa e
chiarissima; si guardarono in silenzio.
L’immagine di una donna apparve nella mente di Scorpio. Una donna bella e altera come una regina scolpita nel ghiaccio. Giovane e antica. Con negl’occhi la luce della potenza concessale dal Padre. Distaccata, eppure capace di compassione. La donna che Camus proclamava di amare da una vita.
Camus fu il primo ad abbassare gli occhi. Non avrebbe potuto resistere un attimo di più a quello sguardo inquisitorio e tagliente come un cristallo. Lui era il custode delle energie fredde, perché gli Dei non gli avevano donato un paio d’occhi come quelli, capaci di gelare con un solo sguardo? Invece era il proprietario di due grandi e vellutati occhioni blu, da principe azzurro del cazzo. I soliti Dei ingiusti, cui piace troppo giocare con la sorte degl’uomini.
Il cavaliere sapeva perché stava indugiando in quei pensieri inutili, non era così ubriaco come sembrava, soltanto era difficile riuscire a rispondere. E poi, come diavolo si fa a voltarsi verso quello sguardo appuntato su di te, accusatorio, pungente come l’ago della Cuspide del suo proprietario?
“Camus…”
Lo appellò l’amico; il suo tono era deluso, stanco, ma esigente di una
risposta. Ti sta crollando un mito, eh Milo?
“Che cosa ti devo dire?” Fece lui alla fine, stringendosi nelle spalle. “L’ho fatto solo per esasperazione.” Aggiunse voltandosi.
Si accorse subito che Scorpio non aveva smesso un attimo di fissarlo, e sempre con la stessa espressione inquisitoria. Distogli quegl’occhi, per amore di Atena, non li sopporto, non li sopporto più! Ma l’amico non sembrava intenzionato a mollare.
“Credevo che l’amassi.” Affermò Milo. Vabbene, se vuoi distruggermi, allora continua così…
Camus si allontanò di qualche passo, fermandosi sotto un lampione, appoggiò una mano al palo e rise amaramente. Se l’amava? Se l’amava?! Oh, sì, certo…
“La verità… la verità è che quella donna io la odio.” Affermò poi, con rabbia; Milo spalancò gli occhi incredulo. “Oh, e anche lei odia me.” Continuò, con un sorriso amaro; sentiva che, ormai, anche aiutato dall’alcool, aveva rotto l’argine. “Ci odiamo perché siamo uguali, siamo uno lo specchio dei difetti dell’altro, e ci amiamo… ci amiamo per lo stesso motivo, perché riflettiamo anche i pregi, ma è un equilibrio precario… mi fa paura l’idea che un giorno l’odio possa prendere il sopravvento, e allora… e allora…” Strinse i pugni.
“Camus, sei ubriaco.” Intervenne preoccupato Milo, avvicinandosi.
“Lasciami in pace!” Reagì lui, intimandolo con la mano di stare lontano. “Ma guardami, il grande cavaliere di Acquarius…” Affermò poi, in un attacco improvviso di autolesionismo. “…sono solo un uomo in trappola, ho giocato il suo gioco per troppo tempo, e quel gioco l’ha resa… forte, molto più forte di me, potrebbe resistere a qualsiasi cosa, superare di tutto, mentre io… se mi lasciasse sarei finito, perché… perché Elettra è l’unica divinità in cui ho mai veramente creduto…” I suoi occhi si erano fatti lucidi.
Milo
osservava la scena incredulo. Camus gli aveva parlato molte volte del suo amore
per la Sacerdotessa di Zeus, ma dietro alle sue parole non aveva mai sospettato
un coinvolgimento ed una complessità del genere. Ricordava una frase che
l’amico gli aveva detto una volta: «Se
Elettra mi chiedesse la luna, sfiderei le frecce di Artemide, pur di
portargliela». Solo ora capiva che non si trattava della solita frase
retorica da amanti, ma della pura e semplice verità.
“Ti faccio pena, eh?” Gli domandò
senza ironia. Non, non gli faceva pena, Milo sapeva bene quanto si poteva
soffrire per amore. “Se penso a tutto quello che ho fatto per lei…”
Riprese Camus, guardando il vuoto mentre scuoteva il capo. “…per quella
stupida, arrogante, ragazzina bionda… vent’anni, ho aspettato vent’anni
per un suo bacio! Vent’anni! Sono proprio un idiota!”
“Smettila di farti del male.”
Gli ordinò deciso Milo; l’amico alzò gli occhi su di lui. “Adesso hai
bisogno di un caffè ed una dormita, domani ti sveglierai con un bel mal di
testa e sarà passato tutto…”
“Tu non capisci.” L’interruppe
Camus; si era raddrizzato e la sua espressione era quasi normale. “Le ho
chiesto di sposarmi, ha detto di no.” Ora si spiegavano molte cose. “Sta per
lasciarmi Milo, io lo sento, e non può succedere ora, perché lui sta
arrivando.”
“Lui?!” Esclamò perplesso Scorpio, aggrottando la fronte. E
questo ora chi è…
Camus gli diede le spalle. “Sì, l’allievo del Maestro dei Ghiacci.” Rispose calmo, sembrava improvvisamente ridiventato il solito, glaciale Acquarius. “Colui che l’ha sconfitto, che ha osato sfidare il suo maestro.”
“Hyoga del Cigno… si chiama così, non è vero?” Chiese Milo.
“Sì.” Annuì Camus. “E quando ci affronteremo gl’insegnerò ben io qual è il suo posto, che non si può essere tanto arroganti da sfidare il proprio maestro, che per scontrarsi con un cavaliere d’oro bisogna essere molto più che uomini…” Il tono della sua voce si era alzato, diventando pericoloso. “…che nessuno potrà mai paragonarsi a me, il Signore delle Energie Fredde!”
“Vaneggi…” Commentò allarmato Milo. “Che intenzioni hai?” Domandò quindi.
L’amico fece un sorrisetto strano e inquietante. “Solo di dargli la sua ultima lezione.”
“Mi chiedo se ti rendi veramente conto di quello che sta succedendo.” Affermò serio Scorpio; Camus lo guardò perplesso. “Se loro verranno qui, e lo faranno, cambierà tutto, per sempre.” Aggiunse con fermezza.
“Sono solo cavalieri di bronzo.” Ribatté sprezzante l’altro; Scorpio fissò di nuovo i suoi occhi trasparenti in quelli dell’amico.
“Ma hanno fede in chi li guida, mentre noi… l’abbiamo persa, ormai.” Dichiarò, e la verità di quelle parole li colpì entrambi.
Rimasero immobili per un lungo momento, sembrava che si muovessero solo i moscerini intorno al lampione; la luce gialla e stanca gli lambiva la punta delle scarpe. Scorpio guardava Acquarius che teneva la testa china, fissando il marciapiede.
“Vieni.” Suggerì ad un certo punto Milo. “Guido io per tornare a casa.”
CONTINUA
NOTE:
-
ehhh, ci sono andata giù dura col povero Camus, e devo dire che il suo
rapporto con Elettra sta uscendo assai più complesso di come l’avevo
concepito all’inizio (ma si parla di anni fa);
-
magari non vi piacerà l’idea che un virtuoso cavaliere tradisca la sua
donna, ma a me piace immaginarli con dei veri difetti, e poi penso che ci stia
bene in un rapporto così conflittuale.
Per lo Sfogo
Malupino stasera non saprei che dire, questo capitolo non è adatto, anche se i
nostri eroi sono sempre in splendida forma! ^__-
See you
CrazyCow