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Autore: CowgirlSara    02/08/2005    1 recensioni
PICCOLO RITOCCO. È tempo di tornare per un Cavaliere d’Oro. Dopo cinque anni passati a far finta di dimenticare, è ora di scoprire cosa è veramente cambiato e cosa è rimasto dolorosamente uguale.
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Rising - Back to the Sanctuary' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Buonasera

Buonasera! Eccoci qua con un nuovo capitolo, sempre che interessi a qualcuno… Beh, alla fine della settimana parto per le vacanze, ma penso di mettere almeno il capitolo 4 (anche perché il resto è in lavorazione ^__^). Grazie a kiana, blustar, Lilychang e Eirien per i commenti. Un bacio a tutti!

Sara

 

~ 3 ~

 

La macchina percorreva senza fretta le strade della città immerse nelle ultime luci del crepuscolo; i lampioni e le insegne dei locali si accendevano uno dopo l’altro, silenziose, oltre i vetri oscurati del fuoristrada.

L’atmosfera all’interno dell’abitacolo era strana; Milo si stava domandando se Camus ce l’avesse con lui, era sempre difficile sapere cosa stesse pensando l’amico. Impenetrabile come un muro di ghiaccio. Lui, invece, non era adirato: lo aveva provocato e meritava una punizione; la ferita al labbro, però, bruciava ancora.

La sua mente ritornò per un attimo alla discussione del pomeriggio. I suoi dubbi restavano intatti; per cinque anni non si era chiesto cosa succedesse al Santuario, sapeva solo che, se lo avessero richiamato, sarebbe dovuto tornare. Lui era un cavaliere, il suo primo dovere era verso la Dea e, per quanto ne poteva sapere, Arles parlava per Lei. Adesso, però…

Le parole di Camus avevano smosso qualcosa dentro di lui, toccato un dubbio che forse covava dentro il suo animo da tempo; per anni la sua mente era stata rivolta altrove, occupata in altri pensieri. Foschi pensieri. Adesso era tempo di riprendere il suo posto, di essere il cavaliere che era nato per essere. O forse era solo un modo qualunque per risalire la china.

Qualunque fosse il motivo, l’unico modo per fugare le sue incertezze era restare ad Atene.

Scrutò il profilo serio di Camus, che fissava attento la strada, le sue lunghe mani eleganti sul volante; perché non gli rivolgeva la parola? Sì, certo, era tipo capace di tenere rancore per una vita, ma…

“Hai voglia di mangiare pesce, oppure…” L’improvvisa domanda rispose alle sue elucubrazioni; il tono era normale, controllato.

“No, pesce no, ti prego!” Rispose Milo, alzando le mani. “Non ho mangiato altro per cinque anni!” Aggiunse inorridito.

“Una bistecca italiana?” Chiese allora Camus, girandosi con un sorriso; Scorpio acconsentì e proseguirono, dopo essersi sorrisi con complicità.

Milo tornò a guardare fuori dal finestrino. L’elegante carrozzeria blu oltremare dell’auto sfilava sotto i primi lampioni della sera, lucida e silenziosa; il ragazzo sfiorò con una mano la superficie del prestigioso sedile in pelle nera e carezzò con gli occhi l’ipertecnologico ma funzionale cruscotto, poi si girò verso l’amico con uno dei suoi sorrisetti ironici.

"Certo che hai messo su proprio una macchina da figo." Affermò infine.

Camus si girò appena, spalancando gli occhi sorpreso. "Che, non sono un figo, io?" Gli fece.

"Come no." Replicò lui, sprofondando in quel sedile comodo come una poltrona. "Ma questa è un auto da figo che se la tira." Aggiunse con disincanto.

L’occhiata di Acquarius fu gelida. "Senti…" Rispose quindi, con un gesto della mano. "…non fare tanto l’alternativo con me, li conosco i tuoi gusti in fatto di macchine, e poi, scusa, già là dentro…" Ed indicò un punto alle sue spalle con il pollice. "…sono costretto ad abbassare la testa davanti ad insignificanti vermi, che almeno fuori la gente capisca subito che sono superiore!"

Milo lo guardava divertito. "A me va benissimo." Ribatté quindi, alzando le mani. "Basta che al prossimo semaforo non sali sopra ad un’utilitaria…"

La presa in giro era talmente palese che anche a Camus venne da ridere; cercò di trattenersi, ma non gli riuscì. "Non cambierai mai, Milo, è bello riaverti qui!" Esclamò quindi, dandogli una pacca sul ginocchio.

 

La cena fu all’insegna del vino rosso e dei vecchi aneddoti. Scorpio scoprì così che fine aveva fatto una sua acerrima nemica. Pelle candida, profumo di caprifoglio e… artigli spietati: Shaina cavaliere d’argento dell’Ofiuco. Pare che la sacerdotessa guerriero favorita del Gran Sacerdote, dopo innumerevoli, quanto inspiegabilmente insistenti, attacchi ai Cavalieri di Bronzo, e successivamente all’ennesimo fallimento, fosse scomparsa nel nulla; forse passata al nemico, o forse, più probabile, ribelle agli ordini del Santuario, partita da sola per un nuovo attacco. Fatto sta che era attualmente irreperibile. Quello che Milo ricordava meglio di lei, era il suo affetto per la piccola Celeste, un’energica sacerdotessa guerriero che era stata il primo amore del saint dell’ottava casa, trasformato poi in rabbia violenta dopo l’improvvisa sparizione di questa, a seguito della loro rottura; certo, ricordava anche il suo maldestro tentativo di ucciderlo, senza sapere chi si trovava di fronte. E la ricordava a terra, umiliata e dolente, con una puntura della Cuspide nella spalla, senza nemmeno essersi accorta di come era successo.

I casi della vita, le persone s’incontrano, a volte si piacciono, a volte no. Non siamo sempre e comunque compatibili con gli altri. Era particolarmente vero detto da lui, che negli ultimi cinque anni si era sentito incompatibile col mondo intero.

Alzò gli occhi su Camus, che stava finendo la sua bistecca. Acquarius era una delle poche persone al Santuario che lui avesse veramente ammirato. Perché lui era coerente con se stesso, non scendeva a patti, o era bianco o era nero; per il cavaliere dell’undicesima casa non esistevano le grigie vie di mezzo in cui Milo aveva trascorso l’esistenza. Quel giorno, però, aveva notato in lui una fragilità che non conosceva. Una strana impazienza. E la rabbia. Era come se Camus, nel momento in cui lo aveva colpito, avesse per un attimo abbassato la maschera glaciale che indossava sempre, per mostrare l’uomo dietro al cavaliere. L’attimo era durato troppo poco, e, adesso, Milo non poteva fare a meno di chiedersi quanto profondo fosse il suo turbamento.

La serata proseguì in un locale, e lì, Scorpio cominciò a preoccuparsi. Camus continuava a ridere e scherzare, ma anche a bere… e lanciare occhiate seducenti a tutte le ragazze carine che entravano, nonché ad attaccare bottone con alcune di loro, anche in maniera piuttosto esplicita.

Beh, certo, anche Milo s’era fatto notare, ma non certo per volontà; il fatto era che da quelle parti non se ne vedevano molti come loro. Dalle occhiate che gli lanciavano, il cavaliere si sentiva come un succulento pollo arrosto davanti ad un massa di affamati. Ma lui non era pronto.

Cinque anni. Quattro o cinque volte. Solo fisico. Poco appagante. Semplicemente squallido. E poi tornava quel vuoto. Un vuoto che ti risucchiava l’anima come il cuore di una stella morta. Morta. Come lei. Le ferite sanguinavano ancora. Nessuno come lei.

Chissà se un giorno avrebbe trovato qualcuno capace di curarle, le sue ferite, qualcuno di benefico, di forte e dolce… qualcuno di speciale. Ci sperava, ci sperava davvero.

Milo si alzò quasi all’improvviso, rifiutando gentilmente la compagnia dell’ennesima ragazza in minigonna attratta dai suoi occhi azzurri come il cielo nel deserto, e si diresse verso il bagno, aveva bevuto decisamente troppo. Quando tornò in sala, Camus era sparito.

Provò a concentrarsi per percepire il suo cosmo. Il segnale gli arrivò distorto e offuscato. Acquarius era ubriaco, ma non c’erano dubbi, si trovava fuori. Il parcheggio non era grande e poco illuminato; i sensi da cavaliere di Milo gli fecero percepire subito due voci ansimanti, nel buio alla sua destra. Nell’angolo tra un muro ed una ringhiera c’erano Camus ed una ragazza dai capelli troppo neri che si davano da fare. Scorpio spalancò gli occhi incredulo e si diresse verso di loro a grandi passi.

"Per tutti i fulmini di Zeus, ma che cazzo stai facendo?!" Gli gridò con rabbia.

"Ma che vuole questo?" Fece la ragazza con aria distratta, masticando una gomma.

"Vuoi unirti a noi, mon amis?" Domandò provocatorio Camus, rispolverando il suo francese.

Milo, a questa battuta, perse il controllo, face un ultimo passo, afferrandolo ad un braccio con una stretta d’acciaio e strappandolo dalla ragazza con un ringhio; la tipa cercò di ricomporsi, per quanto possibile.

"Che cazzo!" Imprecò Acquarius, barcollando per qualche passo. "Ma vaffanculo!" Aggiunse, scostandosi bruscamente e allontanandosi.

Alla ragazza non restò che riprendere la borsetta e andarsene. "Beh, finita la festa, i fidanzatini hanno litigato!" Commentò rassegnata.

Camus, nel frattempo, camminava verso la propria macchina, seguito da uno Scorpio nerissimo, che fissava la sua schiena come fosse un bersaglio.

"Si può sapere che cosa pensavi di fare?" Gli domandò torvo, quando Acquarius si fermò con le mani appoggiate al tetto dell’auto e la testa piegata in avanti.

"Pensavo di scoparmela, guarda un po’." Rispose lui arrogante.

"Io non credo a quello che sento." Commentò l’altro. "Ma non hai un briciolo di rispetto per lei…"

"E’ soltanto sesso, Milo!" Sbottò Camus, girandosi a braccia allargate.

Lo fissò per un attimo negl’occhi, preso da un sospetto. "Non è la prima volta che la tradisci…" La rivelazione era stata improvvisa e chiarissima; si guardarono in silenzio.

 

L’immagine di una donna apparve nella mente di Scorpio. Una donna bella e altera come una regina scolpita nel ghiaccio. Giovane e antica. Con negl’occhi la luce della potenza concessale dal Padre. Distaccata, eppure capace di compassione. La donna che Camus proclamava di amare da una vita.

Camus fu il primo ad abbassare gli occhi. Non avrebbe potuto resistere un attimo di più a quello sguardo inquisitorio e tagliente come un cristallo. Lui era il custode delle energie fredde, perché gli Dei non gli avevano donato un paio d’occhi come quelli, capaci di gelare con un solo sguardo? Invece era il proprietario di due grandi e vellutati occhioni blu, da principe azzurro del cazzo. I soliti Dei ingiusti, cui piace troppo giocare con la sorte degl’uomini.

Il cavaliere sapeva perché stava indugiando in quei pensieri inutili, non era così ubriaco come sembrava, soltanto era difficile riuscire a rispondere. E poi, come diavolo si fa a voltarsi verso quello sguardo appuntato su di te, accusatorio, pungente come l’ago della Cuspide del suo proprietario?

“Camus…” Lo appellò l’amico; il suo tono era deluso, stanco, ma esigente di una risposta. Ti sta crollando un mito, eh Milo?

“Che cosa ti devo dire?” Fece lui alla fine, stringendosi nelle spalle. “L’ho fatto solo per esasperazione.” Aggiunse voltandosi.

Si accorse subito che Scorpio non aveva smesso un attimo di fissarlo, e sempre con la stessa espressione inquisitoria. Distogli quegl’occhi, per amore di Atena, non li sopporto, non li sopporto più! Ma l’amico non sembrava intenzionato a mollare.

“Credevo che l’amassi.” Affermò Milo. Vabbene, se vuoi distruggermi, allora continua così…

Camus si allontanò di qualche passo, fermandosi sotto un lampione, appoggiò una mano al palo e rise amaramente. Se l’amava? Se l’amava?! Oh, sì, certo…

“La verità… la verità è che quella donna io la odio.” Affermò poi, con rabbia; Milo spalancò gli occhi incredulo. “Oh, e anche lei odia me.” Continuò, con un sorriso amaro; sentiva che, ormai, anche aiutato dall’alcool, aveva rotto l’argine. “Ci odiamo perché siamo uguali, siamo uno lo specchio dei difetti dell’altro, e ci amiamo… ci amiamo per lo stesso motivo, perché riflettiamo anche i pregi, ma è un equilibrio precario… mi fa paura l’idea che un giorno l’odio possa prendere il sopravvento, e allora… e allora…” Strinse i pugni.

“Camus, sei ubriaco.” Intervenne preoccupato Milo, avvicinandosi.

“Lasciami in pace!” Reagì lui, intimandolo con la mano di stare lontano. “Ma guardami, il grande cavaliere di Acquarius…” Affermò poi, in un attacco improvviso di autolesionismo. “…sono solo un uomo in trappola, ho giocato il suo gioco per troppo tempo, e quel gioco l’ha resa… forte, molto più forte di me, potrebbe resistere a qualsiasi cosa, superare di tutto, mentre io… se mi lasciasse sarei finito, perché… perché Elettra è l’unica divinità in cui ho mai veramente creduto…” I suoi occhi si erano fatti lucidi.

Milo osservava la scena incredulo. Camus gli aveva parlato molte volte del suo amore per la Sacerdotessa di Zeus, ma dietro alle sue parole non aveva mai sospettato un coinvolgimento ed una complessità del genere. Ricordava una frase che l’amico gli aveva detto una volta: «Se Elettra mi chiedesse la luna, sfiderei le frecce di Artemide, pur di portargliela». Solo ora capiva che non si trattava della solita frase retorica da amanti, ma della pura e semplice verità.

“Ti faccio pena, eh?” Gli domandò senza ironia. Non, non gli faceva pena, Milo sapeva bene quanto si poteva soffrire per amore. “Se penso a tutto quello che ho fatto per lei…” Riprese Camus, guardando il vuoto mentre scuoteva il capo. “…per quella stupida, arrogante, ragazzina bionda… vent’anni, ho aspettato vent’anni per un suo bacio! Vent’anni! Sono proprio un idiota!”

“Smettila di farti del male.” Gli ordinò deciso Milo; l’amico alzò gli occhi su di lui. “Adesso hai bisogno di un caffè ed una dormita, domani ti sveglierai con un bel mal di testa e sarà passato tutto…”

“Tu non capisci.” L’interruppe Camus; si era raddrizzato e la sua espressione era quasi normale. “Le ho chiesto di sposarmi, ha detto di no.” Ora si spiegavano molte cose. “Sta per lasciarmi Milo, io lo sento, e non può succedere ora, perché lui sta arrivando.”

“Lui?!” Esclamò perplesso Scorpio, aggrottando la fronte. E questo ora chi è…

Camus gli diede le spalle. “Sì, l’allievo del Maestro dei Ghiacci.” Rispose calmo, sembrava improvvisamente ridiventato il solito, glaciale Acquarius. “Colui che l’ha sconfitto, che ha osato sfidare il suo maestro.”

“Hyoga del Cigno… si chiama così, non è vero?” Chiese Milo.

“Sì.” Annuì Camus. “E quando ci affronteremo gl’insegnerò ben io qual è il suo posto, che non si può essere tanto arroganti da sfidare il proprio maestro, che per scontrarsi con un cavaliere d’oro bisogna essere molto più che uomini…” Il tono della sua voce si era alzato, diventando pericoloso. “…che nessuno potrà mai paragonarsi a me, il Signore delle Energie Fredde!”

“Vaneggi…” Commentò allarmato Milo. “Che intenzioni hai?” Domandò quindi.

L’amico fece un sorrisetto strano e inquietante. “Solo di dargli la sua ultima lezione.”

“Mi chiedo se ti rendi veramente conto di quello che sta succedendo.” Affermò serio Scorpio; Camus lo guardò perplesso. “Se loro verranno qui, e lo faranno, cambierà tutto, per sempre.” Aggiunse con fermezza.

“Sono solo cavalieri di bronzo.” Ribatté sprezzante l’altro; Scorpio fissò di nuovo i suoi occhi trasparenti in quelli dell’amico.

“Ma hanno fede in chi li guida, mentre noi… l’abbiamo persa, ormai.” Dichiarò, e la verità di quelle parole li colpì entrambi.

Rimasero immobili per un lungo momento, sembrava che si muovessero solo i moscerini intorno al lampione; la luce gialla e stanca gli lambiva la punta delle scarpe. Scorpio guardava Acquarius che teneva la testa china, fissando il marciapiede.

“Vieni.” Suggerì ad un certo punto Milo. “Guido io per tornare a casa.”

 

CONTINUA

 

NOTE:

-          ehhh, ci sono andata giù dura col povero Camus, e devo dire che il suo rapporto con Elettra sta uscendo assai più complesso di come l’avevo concepito all’inizio (ma si parla di anni fa);

-          magari non vi piacerà l’idea che un virtuoso cavaliere tradisca la sua donna, ma a me piace immaginarli con dei veri difetti, e poi penso che ci stia bene in un rapporto così conflittuale.

 

Per lo Sfogo Malupino stasera non saprei che dire, questo capitolo non è adatto, anche se i nostri eroi sono sempre in splendida forma! ^__-

See you

CrazyCow

   
 
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