Me la ricordo ancora la piega che la tua bocca assumeva quando sorridevi ostentatamente.
Quando
tamburellavi con le dita perché la musica te la sentivi dentro, sempre, e forse
sentivi solo lei.
Ricordo io che mi lamento perché non era mai l’albero
giusto, mai quello che mi piaceva e lo facevo apposta sai, perché sembrava che
perdendo tempo potessi acquistarne a scapito di loro.
Ma la musica l’avevi davvero troppo dentro e ho
provato a tirarla fuori ma mi ha condannato.
Onestamente, non avevo mai letto il titolo ne il testo di quella canzone di quel gruppo sconosciuto che
mi avevi mandato per cullarmi la notte.
Parlava di un eroe che non moriva mai e la notte
era per sempre.
Diciamocelo, non sono mai stata me
stessa, quando lo sono stata mi scrutavi e i tuoi occhi erano troppo pungenti,
troppo lunghi, troppo... SCURI.
E
non ho potuto desistere ho voluto condurre il gioco.
Così siamo caduti, ma mi sono fatta male solo io
seduta sul pavimento.
Ma ti sei fatto male solo tu
quando non riuscivi a guardarmi e ti ho sputato in faccia che volevo andarmene.
Perché sai, non potevo davvero.
Certe volte ascolto ancora la tua canzone, cerco
sempre di capire cosi dici in fondo, conto che prima o poi
riuscirò. Ho tutto il tempo del mondo ora.
Ho archiviato il tutto in una cartella dimenticata
–se proprio devo- che mi ero riproposta di cancellare.
“Mai arrendersi finché troviamo le parole, finché troviamo le parole da dire
Fino a che troviamo le parole da dire”
E infatti le ho spese tutte, credo che dunque avevi ragione.
Mi avevi
chiesto due cose, una non l’ho fatta, l’altra sì, ho
fatto come hai detto tu ed ora sono qui felice.
E tu
invece? Non so nemmeno più come stai.