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Autore: ZeparFurfur    23/03/2010    1 recensioni
"Era difficile da comprendere, ma per me Alfred era un'ancora di salvezza: non ero io ad insegnargli a crescere, era lui che mi insegnava a vivere." Arthur Kirkland, giovane rampollo inglese, frequenta una ricchissima Accademia frequentata da giovani da tutte le parti del mondo. Attorno a lui gireranno vortici di amori ed incomprensioni, tali che anche lui stesso sarà vittima di un amore non corrisposto verso una persona della sua infanzia, che non ha mai dimenticato. E farà di tutto pur di riconquistarla... Anche calpestare tutte le sue amicizie.
Genere: Romantico, Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Non appena vidi Arthur scomparire dietro la soglia della porta dell'ufficio del Consiglio Studentesco, sospirai, prendendo il mucchio di fogli che aveva abbandonato sulla sua scrivania, con l'intenzione di metterli seriamente a posto una volta per tutte. Lanciai un ultimo sguardo alla porta prima di sedermi su uno dei divanetti e rimboccarmi le maniche, pronta a “divertirmi” con la miriade di documenti che il preside ci aveva gentilmente affibbiato quel giorno. Francis seguì il mio esempio, guardandomi però abbastanza confuso.

«Come mai tutta questa voglia di lavorare?», mi chiese, infatti.

«Non è che ho voglia di lavorare, ma dobbiamo farlo no..?» fu l'unica cosa che mi venne in mente da dire, abbassando poi lo sguardo verso i fogli e prendendo a leggerli e firmarli senza prestare più attenzione alle parole del biondo di fronte a me.

Francis non sembrò troppo convinto della mia risposta, ma evitò ugualmente di commentare ancora, prendendo anche lui una penna per firmare.

Nonostante per una volta fossi davvero intenzionata a lavorare seriamente, la mia mente vagava per ben altri mondi. Il comportamento di Arthur, che solitamente era piuttosto strano di suo, sembrava quasi esserlo diventato il doppio. Quando aveva incontrato quel ragazzo, quell'americano, era sicuramente successo qualcosa dentro di lui. L'avevo notato, il modo malinconico e irritato con cui osservava Alfred che parlava con Matthew, e sapevo che se Arthur Kirkland si arrabbiava c'era sempre qualcosa sotto. Il problema era, appunto, capire cosa. Ho sempre avuto difficoltà nel capire cosa frullasse in quella testolina bionda, ma penso che la cosa valga per chiunque. Arthur è l'incarnazione del prototipo dell'inglese borioso e sempre scocciato, che si fa gli affari suoi e non fa amicizia con nessuno. L'avevo capito sin dal primo giorno in cui l'avevo incontrato che lui non era il tipo di persona amichevole che avevo invece sperato di incontrare. Era anche fin troppo strano, con le sue manie per il lavoro e la serietà. Noioso, non osavo definirlo in altro modo.

Francis interruppe i miei pensieri schiarendosi la voce, per poi guardarmi con un sopracciglio alzato e un non so ché di sospettoso nello sguardo.

«Da quando ti sottometti così facilmente agli ordini di Arthur?», chiese poi, continuando a mettere a posto i fogli firmati.

Alzai lo sguardo verso di lui. Era incredibile come Francis sapesse leggere ogni singolo fatto mi riguardasse alla perfezione. Non gli sfuggiva niente, nemmeno che mi ero stranamente arresa agli ordini dell'inglese senza opporre troppa resistenza.

«Non mi sono sottomessa, voglio solo tornare in fretta in camera e dormire!», cercai di sorridere in modo convincente, abbozzando anche un semi-sbadiglio per fargli credere che, effettivamente, la mia vera intenzione era proprio quella che avevo lui raccontato.

Il francese sbuffò, di sicuro non se l'era bevuta, ma ancora una volta evitava di commentare ad alta voce. Sapevo benissimo quanto non gli piacesse vedermi schiavizzata da Arthur – come se io ci provassi gusto nell'indossare uno stupido collare da cane ogni volta che lo vedevo – ma sapevo anche che Francis non osava troppo farmi interrogatori, se non quando capiva che stavo realmente male. Probabilmente questa cosa l'aveva imparata col tempo – lo conosco da anni ormai – e aveva inteso che farmi domande su cose così inutili poteva solo irritarmi. Questa cosa, diceva, era uno dei punti che io ed Arthur avevamo in comune e che proprio non riusciva a capire. Già, Arthur... Francis aveva forse capito tutto quanto? Me lo chiedevo ormai da giorni, come da giorni mi continuavo a chiedere perché l'inglese popolasse continuamente i miei pensieri.

Più volte avevo sospettato di avere la febbre, di stare delirando, di avere un qualsiasi problema, ma ogni volta non trovavo neanche una linea di febbre, nessun motivo per delirare e sicuramente non avevo problemi psicologici vari. Ma continuavo a chiedermi per quale motivo Arthur Kirkland, dopo mesi passati a detestarlo, stava entrando nella mia testa e stava lentamente conquistando ogni mio pensiero, ogni angolo della mia mente, che ormai associava alla sua figura una sola parola: “bello”. Mai, mai avrei pensato che io, Sesel, la ragazza che in assoluto avrebbe dovuto detestarlo di più al mondo – causa principale: sempre quello splendido collare da cane – potessi anche solo pensare a quell'inglese come un ragazzo esteriormente apprezzabile. Il punto era che non mi sembrava semplicemente carino, ma lo trovavo a dir poco attraente. Attraente...Oh mon Dieu. Le chiacchiere delle mie compagne di classe avevano forse iniziato a fare effetto anche su di me? Loro si divertivano a decantare la bellezza del presidente del Consiglio Studentesco tutti i giorni, elogiando ogni sua qualità esteriore e interiore, incluse quelle assurde sopracciglia che gli avevano fatto guadagnare, da parte mia, il nome di “sopracciglione” - ma dopotutto è plausibile, no? Insomma, guardate che sopracciglia strane che ha! -. Avevo stranamente iniziato a considerarlo alla pari degli altri ragazzi, e pian piano era riuscito a guadagnarsi un posto in pole-position. Era diventato tremendamente interessante osservarlo, ascoltarlo, parlare con lui, ogni cosa che lo coinvolgeva sembrava avere un immenso valore ora. Spesso mi fissava confuso, non capendo il perché dei miei sguardi persi nel vuoto o volti alla sua figura, ero quasi sempre intenta a fissarlo e studiarlo. Ebbene, Arthur Kirkland - quel borioso e noioso Arthur Kirkland - stava iniziando a piacermi. ...era una cosa negativa o positiva?

Mentre la mia povera mente era tormentata da pensieri del genere, nonostante la mia immensa sbadataggine riuscii a finire – per una volta – il lavoro assegnatomi. Guardai soddisfatta il mucchio di fogli.

«Lo sapevo, non mi avrebbero sconfitta.», esclamai, soddisfatta.

Francis scoppiò a ridere, mentre finiva a sua volta di lavorare. Ci alzammo in piedi, posizionando i documenti sulla scrivania di Arthur, uscendo poi dall'ufficio, liberi di fare quello che volevamo.

«Sesel, perché non facciamo un salto alla mensa?», disse poi, sorridendomi come suo solito. A differenza di come si comportava con Arthur, era decisamente gentile con me. Beh, ma con Arthur come si poteva essere gentili..? Quel borioso inglesino non faceva altro che sbraitarci contro tutto il giorno.

Gli risposi annuendo, sbadigliando anche un poco, seguendolo fino alla nostra mensa. Quel luogo era immenso, quante volte mi ero persa lì dentro? Ci lanciammo subito sul buffet, prendendo giusto qualcosina da mangiare – non avevo molta fame, ma devo ammettere che quelle torte alla panna mi stavano proprio chiamando. Dopo aver preso quello che volevamo, andammo alla ricerca di un tavolo. Ed ecco che proprio in quel momento Francis mi indicò un tavolo lontano, che nemmeno avevo notato, dove se ne stava seduto un ragazzo. Era quello nuovo, quel Ma...Mathias...Mathieu...ma certo, Matthew! Andammo quindi a sederci al suo tavolo.

«Matthew, disturbiamo?», domandò Francis, avvicinandosi con un sorriso smagliante stampato in faccia.

«A-ah...no, no..!», rispose il ragazzo, titubante. Si vedeva lontano un miglio che si trovava a disagio, però.

Ci accomodammo al suo tavolo, poggiando i nostri vassoi vicino al suo. Curioso, stava mangiando pancakes, ricoprendoli di una strana...cosa, ma non sapevo assolutamente di cosa si trattasse. L'etichetta con scritto “maple” non mi diceva nulla. Francis iniziò ad intrattenerlo parlando in francese, e lui rispondeva timidamente di tanto in tanto, lanciando anche qualche sguardo a me. Era davvero timido quel ragazzo, senza dubbio. Per fortuna sembrava capire il francese, così iniziai anche io a parlare nella mia lingua, cercando di metterlo a suo agio. O almeno ci provavo.

E mentre noi intrattenevamo il nuovo arrivato con discorsi per lo più inutili, un'altra bionda presenza entrava nella mensa...

  
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