Festeggiando fra quattro mura
Era ancora lui.
Dio mio, ma aveva soldi da
buttare? Scoppiai a ridere fra me e me: che battuta avevo fatto! Con un sospiro
che mi fece patire le pene dell’inferno risposi al cellulare.
-Lari! Passo a prenderti io?-
-Davide… senti
non sto bene. Mi dispiace, non penso ci potremo vedere: mi fa davvero male
tutta…-
Non riuscii a concludere la
frase, colta da una nuova fitta che mi colpì la gola e la parte infracostale facendomi salire le lacrime agli occhi.
Lo sentii prendere un bel
respiro, come faceva quando si sforzava di non lasciarsi prendere dal panico:
ma insomma! Io mi sentivo in punto di morte e lui usciva di testa?! Feci per
dire qualcosa ma un pizzicore fortissimo in gola mi impedì di farlo.
-Cos’è che ti fa male?
Sei andata da un dottore?-
Chiusi gli occhi cercando di
non perdere la calma: ma che domanda cretina! Riuscii a non rispondergli male
solo ripensando alla nota di preoccupazione che vibrava altissima nella sua
voce:
-No, D. non sono stata da un
dottore: devo ricordarti che è l’ultimo dell’anno? Quale dottore mi
visiterebbe?-
Sentii aumentare il suo
respiro: si stava forse arrabbiando? Perché mai?
Mi chiese di rimanere in
linea e mi lasciò in attesa per circa quattro minuti.
-Eccomi: allora, fra massimo
mezz’ora il mio medico personale sarà da te. Preferisci venga
anch’io o ti metterei a disagio e…-
Gli scoccai un bacetto
attraverso il microfono e piena di riconoscenza gli risposi:
-No, grazie D. mi basta il
tuo medico personale-
Non so se colse
l’ironia involontaria nella mia voce, ma se fu così non lo diede a
vedere, chiedendomi poi solo di fargli sapere le novità appena possibile.
E così feci.
-D…-
-Dimmi! Tutto bene? Solo
influenza, vero?-
Sorrisi riuscendo a capire
quanto grandi fossero la sua inquietudine ed apprensione e con il cuore in mano
gli dissi:
-D… è bronchite.
Bronchite al polmone destro. Mi spiace D. ma non posso muovermi di casa
e…-
Lui aveva trattenuto il
respiro e poi mi aveva interrotto in fretta, parlando concitatamente e con voce
leggermente tremante:
-Ti dispiace? Si può sapere
di cosa mai ti può dispiacere? Cristo, piccola, hai la bronchite! Dio santo! Ma
come…? L’altra sera? Quando abbiamo fatto tardi e…? E’
colpa mia! Lari quanto mi dispiace! Tu non hai idea! Il dottore ha già…-
Ora credeva anche che la
colpa fosse sua? Ma come diamine funzionava quel suo diavolo di cervello?
-Davide, primo smetti di
imprecare. Poi, non è assolutamente colpa tua: non è colpa di nessuno e sì il
dottore ha già provveduto a tutto, anzi mi ha anche assicurato che le medicine
mi verranno recapitate nei prossimi quaranta minuti. Io però prima che mi
interrompessi stavo cercando di dirti che mi dispiaceva perché non avremmo
festeggiato assieme-
Lo sentii ridere e poi
chiedermi divertito:
-E perché non dovremmo stare
insieme?-
Non lo capivo. Scherzava?
Cercai di farlo ragionare:
-Davide non vorrai startene
chiuso in casa con me quando puoi andare a festeggiare a Parigi, Londra,
Berlino, Hawaii o non so dove altro? Non fare il cretino e…-
Inutile spiegare il resto
della conversazione per lo più basata su discorsi da parte mia e risate dalla
sua.
Fra una risata e
l’altra mi faceva però delle domande come “Qual è il tuo colore
preferito? Champagne che ti piace di più? E che stuzzichini?” Cose che
per lo più già sapeva ma che mi richiese, come a tenermi più tempo possibile al
telefono.
Cosa che riuscì benissimo a fare, per poi uscirsene
con un’ultima domanda:
-Mi apri?-
Ci misi qualche istante a
capire: andai ad aprire la porta e lui era lì, tutto sorridente e con uno zaino
in spalla.
-Davide! Ti credevo già su
un aereo o simili!-
Mi ricacciò veloce in casa
scuotendo la testa:
-Non penso: mi conosci
troppo bene.-
Sorrisi nel constatare che
aveva ragione, come sempre.
Aprì lo zaino e ne tir
fuori un giaccone enorme, dei guanti, un cappello, una sciarpa e una coperta.
Lo guardai con sguardo interrogativo e lui scoppiò a ridere:
-Devo imbacuccarti ben bene-
Mi tirò a sé e iniziò a
coprirmi con tutti quei vestiti. Mentre mi avvolgeva accuratamente la sciarpe
attorno al collo riuscii a biascicare:
-D… no posso uscire-
Lo fissai con gli occhi
lucidi, ma lui continuava a sorridere:
-Non usciremo dal palazzo-
E così fu: stringendomi a sé
mi portò su fino all’ultimo piano e lì aprì una porta in fondo al
corridoio, sul lato della casa che dava lontano dalla città.
Dentro era buio e veniva
della luce solo dal salone. Cominciò a svestirmi dalle coperture eccessive
facendomi notare che lì c’erano all’incirca ventotto gradi.
Mi portò poi in salone: la
luce proveniva dalla finestra: un’enorme vetrata prendeva l’intera
parete e dava sul nulla, o meglio su un’norme radura verde, probabilmente
i giardini pubblici che lo Stato non aveva ancora utilizzato.
Mi lasciò un attimo
avviandosi verso il centro della stanza verso quello che sembrava un tavolino:
vi accese due candele rischiarando così maggiormente la zona.
Sul tavolo c‘erano
champagne e stuzzichini: quelli che gli avevo suggerito io. Poi due enormi puf
erano vicini davanti al tavolino e davano sulla vetrata.
Per concludere i muri
laterali della stanza erano ricoperti da una decina di televisori a schermo
piatto.
Lui mi guardava e io
ricambiai il suo sguardo con un sorriso:
-Cosa hai combinato questa
volta?-
Rise e mi fece accomodare
fra le sue braccia sui puf:
-Niente di che, mi sono
mantenuto. Avevo pensato a tantissime cose: farti prelevare fuori casa da un
jet, o rapirti con il mio medico… e molte altre mille volte più pazze di
queste. Ma poi ho pensato che stando male forse era meglio non farti agitare
troppo e quindi di non far impazzire il tuo cuoricino così... eccoci qui!-
Quasi non sentivo più
dolore: le sue mani che mi accarezzavano erano meglio di qualsiasi medicina.
-Mi spieghi?-
Lui mi soffiò sul collo
prima di rispondere in un bisbiglio:
-Subito piccola-
Afferrò un aggeggio nero e
sentii solo un clic, quindi tutti i televisori si accesero: trasmettevano ognuno
qualcosa di diverso che poi riconobbi come tanti diversi conti alla rovescia.
Vi era quello a Parigi,
quello a Londra, quello a Berlino, quello alle Hawaai
e molti altri ancora: mi stava facendo vivere contemporaneamente in tutto
il mondo.
Colse la mia sorpresa e
rise. Adoravo quella risata.
-E non è finita piccola.-
Come mai me lo aspettavo?
Festeggiammo così: in una
stanza ed allo stesso tempo ovunque.
Bevendo, ridendo e godendo
dei nostri baci… in un modo unico nella sua semplicità.
Incredibile nella sua bellezza. Inimitabile nella sua dolcezza.
A mezzanotte meno cinque
però glielo chiesi. Sapevo cosa mi avrebbe risposto, o almeno speravo di
saperlo, ma avevo lo stesso bisogno di sentirlo dire a lui.
-Perché ti sei ridotto a
passare qui il 31 invece che in posti dove veramente ne sarebbe valsa la pena?
Cioè io non…-
Ma lui non mi fece
concludere, come sempre. E mi fermò le labbra con un bacio.
-E me lo chiedi anche
piccola? Per andare in tutti quei posti è sufficiente comprare un biglietto,
cosa che io poso fare sempre. La tua compagnia, invece, i tuoi baci, queste
labbra, proprio queste qui, non si possono comprare. Tutti i miei soldi su di
te non possono niente. Quindi che augurio migliore per il nuovo anno potevo
volere, del passare qui con te l’ultimo dell’anno?-
Se anche voleva dire
qualcos’altro non glielo permisi: appropriandomi della sua bocca,
giocando vogliosamente con e sue labbra… quasi non sentimmo il conto alla
rovescia, già immersi nel bacio che sarebbe dovuto iniziare di lì a pochi secondi.
A farci dividere riuscì solo
quello che Davide ancora non mi avevo detto, il resto della sorpresa: fuori
dalla nostra finestra, probabilmente a pochi metri di distanza da noi,
iniziarono a sparare i fuochi dì artificio. Fuochi che durarono per più di
un’ora e mezza. I fuochi più belli del mondo: più belli di quelli a
Parigi o a Berlino. I fuochi dei colori e delle forme che volevo io. I migliori
in assoluto. Ed erano lì per noi.
Se anche fossero stati dei
banali frizzi frizzi io li avrei adorati per il
semplice fatto che lui l’aveva fatto per me. Ma Davide cercava
immancabilmente di sorprendermi, e non falliva mai.
Le parti migliori di in
assoluto nei miei ricordi sono due: le parole con cui mi aveva incantata il 31
notte ed il bacio con cui mi aveva svegliata il primo mattina.
*