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Autore: Inucchan    27/03/2010    4 recensioni
Sette anni scivolano come frammenti di specchi dimenticati, sui bordi di vite intrecciate che continuano a dipanarsi tra i conflitti d'un mondo cambiato. I tuoi occhi, così uguali ai miei, nei quali scorgo solo la malinconia d'un ricordo lontano, spezzato ed infranto. Lascia ch'io ti conosca attraverso lo sguardo. L'abbandono ed il senso di vuoto, tutta una vita che sfiorisce e rifiorisce dietro un solo monito. Ed è nato tutto da un patto di sangue, dal quale non riesco più a liberarmi. Rimani incatenato a me, tu che hai gli occhi del mio stesso colore. Non lasciarti sfuggire il mio respiro sulle labbra, tu che dici d'essere la donna che amo. Perchè il destino ancora non ha smesso d'ordire le sue trame, ed ancora una volta ne siamo tutti inevitabilmente legati.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Io e te siamo legati da uno strano destino II - Il patto di sangue.

 

Capitolo II :  La sostanza dei sogni.

 

 

Sono questi i ventuno grammi dell’anima?

Quando pare che il male risalga improvviso dall’inferno, iniettandosi nella vita come un veleno, dolcemente, senza che ce se ne accorga; poi d’un tratto ci si ritrova soverchiati dal dolore in modo inevitabile, ed esso come una gramigna s’allaccia all’anima stretto, privandola del suo peso, pezzo dopo pezzo.

Vuoto, questa sarebbe sicuramente la facciata più visibile della sua essenza. Un deserto incolmabile, rimasto prosciugato da ogni oasi.

Avrebbe voglia di chiedersi cosa, effettivamente, nella sua vita sia stato così sbagliato da privarlo dei ricordi. Per quale motivo, ogni qualvolta si specchia sui vetri appannati della finestra a lui dinanzi, non scorge che algido rammarico? E’ l’unica sensazione rimastagli viva in corpo, accesa come la stessa fiamma che un tempo ardeva incontenibile negli occhi d’oro. Ha mai avuto espressione, quello sguardo spento che gli riverbera davanti? La mano si solleva sulla fronte, scivolando in una retta precisa sul volto sudato. Avrebbe voglia di distruggere quello specchio limpido di sé, per scrutare dall’altra parte del vetro e provare a spiarne oltre; riuscirebbe ad afferrare qualche memoria all’esterno?

L’immagine del suo riflesso somiglia ad un mostro. Un abominio, reso in graziosa forma dal solo fatto di possedere quel paio di strane orecchie sopra il capo. Perché sente d’aver già incontrato, in passato, questa sensazione di disagio?

E’ un guscio protettivo la stanza in cui si trova, probabilmente, se mettesse anche solo un piede fuori, il mondo lo divorerebbe senza pietà. Il palmo ora si ferma sotto lo sguardo, aprendosi pienamente. Poco più un basso, sul polso, si dirama un’ampia cicatrice che termina dopo qualche centimetro. Ha forse qualche significato quell’antica ferita?

Ringhia, lo fa con prepotenza, come se una radice del suo previo sé fosse tornata ad attaccarglisi al tronco della consapevolezza prontamente. Ecco un altro sintomo della sua forma demoniaca.

Cos’è stato quel rantolo di poco fa? I cani latrano, non gli esseri umani. In uno scatto solleva di nuovo gli occhi verso il suo riflesso …

“Cosa sono, io?” le palpebre si spalancano, mentre le pupille si riducono allo scontrarsi con un filo di luce esterna. Una mossa sbagliata, dacché il capo comincia di nuovo a pulsare dolorante.

A ogni frammento di ricordo, le sinapsi subiscono un collasso immediato. Nel suo status attuale, se fosse sottoposto ad un elettroshock, subirebbe sicuramente meno danni.

D’un tratto, è come se al suo interno, memorie e vita attuale entrassero in pericoloso conflitto, costringendolo a piegarsi in avanti per tamponare con entrambi i palmi la fonte del malessere.

Un tonfo sordo, mentre le ginocchia abbandonano la seggiola per cadere sul pavimento. Com’è possibile che sia così debole? Da cos’è dovuta questa sua fiacchezza?

E’ mai stato forte, in realtà?

Sono una spanna sopra gli altri.

Voci, che si sovrappongono, delirio, lo scardinarsi di certezze frammentarie. Vuoto. Solo immenso, ed insostenibile nulla.

Cattura una consistente quantità di respiro, per poi rigettarla come fumo nell’etere circostante. Ha bisogno di fuggire da questa realtà insulsa, di aggrapparsi ad una sola, reale certezza che non lo conduca alla gogna.

Sei un’illusione.

“Non è così! Non è così!” esiste. Lo grida, mentre il corpo, esausto, ricade interamente sul pavimento immobile, piegato in posizione fetale con le orecchie schiacciate sul cranio.

Sei un mostro, sei senza ricordi, sei inutile.

“No! Dannazione, non è vero!” negare, perpetuare una realtà della quale nemmeno lui è sicuro. E’ giusto auto convincersi d’essere qualcosa, se non se ne hanno fondamenti?

“E’ così divertente osservarmi nella follia, vero? Non ne hai avuto abbastanza, non è così? Dammi ciò che cerco!” solleva un braccio, aggrappando la mano al davanzale. La richiesta è tutta per te, sì, proprio a te che lo osservi senza dir nulla da quel ramo, e dondoli la lunga coda come fosse un pendolo che scandisce gli attimi della sua vita. E’ delizioso vederlo brancolare nel buio, non è così?

Ridammi la mia vita …

Quella stanza, impietosamente grande che rinchiude come una gabbia d’oro i suoi lamenti. Quando avrà fine lo strazio della sua anima?

 

 

“E’ tutto legato al patto di sangue, un solo ricordo equivale all’avvicinarsi della tua fine. Non lo capisci Inuyasha? E’ solo grazie a me, che sei ancora su questo mondo”. La mano artigliata agita un’ampolla, che racchiude poche stille di sangue. Un sorriso sghembo, mentre le iridi cremisi si spostano verso un’altra finestra ora, abbandonando quella precedente. “Non posso far nulla, sono solo un messaggero della morte, io. Sto attendendo un’anima; che sia tua o sua non ha alcuna importanza”. Aspetterà, lo farà per obbligo, perché questa è la sua condanna.

Credi di essere l’unico senza ricordi?

 

 

“Okaasan!” ad un grido di dolore, corrisponde, in altra forma, il gioioso richiamo dell’innocenza, all’esterno, che tenta d’attirar l’attenzione sulla madre sopita. Alla sua destra Sango, al fianco di Miroku, che non se la sono sentita di abbandonare la donna in quelle condizioni.

Il bambino saluta da lontano, solo la migliore amica della madre risponde al gesto, in un debole saluto; portando poi l’indice dinanzi alle labbra per intimargli silenzio, sorridente, ad indicargli che Kagome sta riposando.

“Sei stato duro con lei” comincia, piano, per non farsi udire, in corrispondenza del marito. Lui si limita a cambiare la direzione dello sguardo, in un’intima disconnessione col mondo.

Cobalto che si alza verso la volta, scontrandosi con una tonalità più chiara della sua. E’ così, ha esagerato forse, ma come sarebbe potuto rimanere indifferente dinanzi alla vista d’una parte di sé, caduta in rovina?

Oh sì, quel mezzo demone era, un tempo, e forse lo è tuttora, un tassello di se stesso inamovibile. La sua assenza equivale ad una parte d’animo rimossa. Lo scontro di poc’anzi, con quelle iridi brulle che per nove anni, avevano invece posseduto, in forma differente, una vitalità incontrastata; è stato come ritrovarsi improvvisamente senza aria. Inuyasha ha sempre avuto con sé una sorta di energia che in ogni caso, che fosse arrabbiato, triste, depresso, felice, eccitato: si trasferiva automaticamente in qualsiasi persona gli si trovasse a poca distanza.

Soprattutto per lui, quella sua vita, celata spesso al di dietro d’una corazza spessa, è sempre stata empatica. Amicizia, condivisione, o semplice sorreggersi a vicenda, non v’è mai stato un attimo nel quale non avvertisse quell’essenza simile al fuoco.

Ora non arde più. Sposta la mano sopra le palpebre per massaggiarsele, quante volte ha evitato di lasciarsi scappare quell’umanità che tanto l’ha sempre segnato? Piangere, diceva l’altro, è sinonimo di debolezza.

Per questo non piango mai.

Una stupidaggine. Sango lo ripete quotidianamente. Per quale motivo, però, s’è sempre imposto di non farlo per non tradire l’hanyou? Perché le sue parole, d’una forza travolgente, seppur concise e semplici, avevano un trasporto incomparabile. Non vorrebbe che fossero versate lacrime per una sua debolezza, perché lo sa, sente sin dentro le ossa che per Inuyasha questa sua perdita di memoria, non corrisponde ad altro che ad una temporanea infermità.

Chi, tra i due, lo è di più?

Il palmo si apre completamente, coprendo l’intero volto; mentre il busto si reclina in avanti sopra le gambe. “Lui è più forte di me, Sango” sussurra breve nel tono, che quasi subisce un’impercettibile inclinazione. Non cederà, non piangerà per lui, perché non è ciò che vuole.

La consorte lo osserva, portandogli una mano sulla schiena per carezzarla amorevolmente. “Credere ciecamente in qualcuno, significa essere deboli?” lo sguardo del codinato si alza, tra le dita, per guardarla da dietro la mano in un misto di sorpresa e sentito ringraziamento. Ecco, forse è per questo che l’ha sposata dopotutto. Comprensione. Un inguaribile dongiovanni come lui, come avrebbe potuto sperare di trovare una donna che sopportasse giornalmente le sue scappate d’ingegno?

Lei, l’unica disposta a farlo nonostante lui sia così. Prende un grande respiro, sforzandosi di sorriderle come meglio può, Kagome non ha bisogno di questo, non di gente che delira depressione attorno a lei.

Lo sguardo va a Nekogai ora. Quel piccolo corpo, recinto da più segreti di quanti ne sia realmente consapevole, protetto da un volere più grande del suo stesso destino. Quante volte sua madre ha pianto la sua nascita? E quante altre s’è maledetta d’aver pensato di non volerlo?

Ne segue i movimenti, mentre si muove libero sul cortile di casa Higurashi, correndo a perdifiato ignorando il dolore delle gambe sbucciate, dei gomiti feriti e dei graffi provocati dal gioco. E’ un bambino, e come tale deve permanere nell’innocenza che gli appartiene. Maledirlo solo per avere lo stesso volto di suo padre? Incolparlo d’essere la causa, non voluta, del suo stesso sacrificio?

No.

Sorride, poggiando il mento al palmo, per godere dell’immagine di serenità che profonde quell’hanyou nella sua piccolezza.

 

Kagome riposa sotto il portico, e il suo volto dormiente pare screziato d’una tranquillità assorta ora. Consumata dalle lacrime che ancora, asciutte, le marcano le guance rosee, sorride, chissà perché poi, nel sogno, mentre qualcun altro dall’alto della medesima posizione, da due angolature differenti, la osserva in silenzio, senza sapere chi lei sia, o che cosa c’entri col suo destino.

Il mezzo demone, che col volto immerso tra le braccia ne segue ogni movimento, dalla sua finestra, dal suo mondo inarrivabile.

Il demone, appostato sul ramo più alto del Goshinboku, invisibile; le cui iridi, a contatto con la sua figura, cambiano di tonalità, bagnandosi in un pece scuro, che annegano in una calma indescrivibile quando raggiungono il suo volto. Così le labbra, che si piegano da ghigno a sorriso.

Eppure per entrambi, una sola domanda: chi è lei, per sconvolgermi il mondo sino a questo punto?

 

 

“No!” imperativo, deciso a sostenere la sua tesi sino in fondo. Le labbra del mezzo demone s’incurvano in una smorfia risentita, mentre le braccia s’incrociano saldamente al petto in una posa che possa rinforzare il suo diniego.

“Eri in viaggio quando il suo nome è stato deciso, non puoi rifiutarti ora” lei gli da le spalle, mentre alza un sopracciglio con le labbra increspate in un sorriso soddisfatto, no, non la passerà liscia, Nekogai sarà il nome di suo figlio.

“Ho detto di no, e questa non è una richiesta, è un ordine!” le iridi d’ambra si scostano di sbieco verso la compagna, a cercarne la forma del ventre allargato, quasi pronto a sua detta ‘a sfornare il marmocchio’. “Mio figlio non avrà mai il nome di un sudicio felino, soprattutto di quel gatto!” inaffondabile la sua tesi, peccato che Kagome sappia il fatto suo quando si tratta di convincere la sua metà a patteggiare.

“Era il mio migliore amico, se fosse morto Miroku, e prego che ciò non accada mai, ed io ti avessi impedito di donare il suo nome a tuo figlio, cos’avresti fatto?” incrocia anche lei le braccia al petto, muovendo il collo come se lo stesse deridendo ora, è con le spalle al muro, senza dubbio!

“In primo luogo non chiamerei mai la mia prole col nome di un fottuto maniaco sessuale, secondo poi se fosse morto, resterebbe nella tomba e pace all’anima sua, terzo, sarebbe sicuramente migliore del nome di un gatto ad un …” prende una pausa, irritandosi al solo dover pronunciare una frase così idiota “cane…”. E’ come se stessero parlando di un animale domestico, ed il che, risulterebbe buffo da un’angolatura esterna.

Il ragazzino ha le sue carte da giocare, peccato che Miroku non sia proprio l’esempio lampante d'uno stinco di santo, ma usare termini così poco carini rivolti ad un amico, che hanyou indolente.

“Sei proprio uno stronzo! E’ il tuo migliore amico, e non sei tu quello che deve portare in travaglio un demone caro mio, vorrei vederti al mio posto! Nessuna donna sarebbe in grado di reggere calci del genere! Mi sta sfondando la pancia!” gli urla contro, con una sorta di irritazione, probabilmente sintomo della gravidanza, nel timbro. “Dammi almeno questa soddisfazione, razza di sciagurato!”

“Non ti ho chiesto io di rimanere incinta” ribatte lui, in tutta tranquillità, con un solenne sogghigno sul lato destro della bocca.

“Ah! La metti così? Il seme è tuo brutto imbecille! Sei stato tu a combinare tutto questo, quindi, assumiti le tue responsabilità!” è astiosa ora, lo si comprende dal tic che hanno cominciato a muovere le labbra.

“Colpa tua, ci sei venuta tu a letto con me, non ti ho costretto!” scandaloso, ha ancora la forza di negare l’evidenza. E signori, questa è la goccia che fa traboccare il vaso. Miss Higurashi si avvicina pericolosamente al compagno, sollevando entrambe le mani per sbatterlo al muro nel vero senso del termine.

“Devo comportarmi come un padrone fa con un cane, vero? Bene!” solleva la mano, afferrandogli una ciocca di capelli per spingergli il volto a contatto con la pancia. “Sbattici il muso! Bestiaccia!  Se preferisci il giornale, farò di peggio!” e lo preme contro di sé, senza che lui possa ribattere in alcun modo. Non avrebbe difficoltà a spingerla via, o a divincolarsi dalla presa, ma la lascia fare, ritrovandosi a cozzare col naso sulla punta del ventre di lei.

“Mghgmmggmm!” ottima risposta, peccato che non sia stata carpita dalla diretta interessata al momento, troppo impegnata a soffocarselo contro.

“Lui è tuo figlio, che ti stia bene o no! E si chiamerà Nekogai, hai sentito? N-E-K-O-G-A-I!” lo grida, stavolta è lei a prendere il comando.

Il mezzo demone si stacca per riprendere fiato, livido di rabbia in volto, per lanciarle dal basso un’occhiataccia truce. Come può, un’insignificante umana come lei, tentare di dettar legge dove lui comanda?

Una mossa furba, forse, quella di Kagome. Nell’istante in cui l’hanyou tenta di ribattere, il piccolo essere dentro di lei scalcia, attirando, probabilmente, l’attenzione di Inuyasha che incuriosito, avvicina l’orecchio, smuovendolo appena contro il tessuto che copre la pancia della donna.

“… Hai fame?” mormora rivolgendosi a lei, prendendo il movimento per un borbottio dello stomaco.

“Idiota! E’ tuo figlio!” reclina il capo l’altro, interrogativo, sollevando l’indice sulla parte dove ha percepito il calcio. “Ohi, sei vivo la dentro? Davvero ti piace il nome che vuole darti questa pazza? Un calcio se ti piace, due se non ti aggrada” Kagome trattiene una risata, che mal cela dietro la mano che si solleva velocemente sulle labbra.

“Non può sentirti! Sei proprio deficiente” tenta di mascherare l’ilarità dietro un falso tono di rimprovero, ma no, tutta pizza e cavoli quel mezzo demone. E’ proprio scemo talvolta, ma proprio ottuso al quadrato!

Un calcio.

Il mezzo demone si solleva, sospirando. “E va bene, tanto qua dentro siete tutti pazzi! Uno più o uno meno, che differenza farà mai?” solleva le braccia, scrollando le spalle per allontanarsi e mettere il broncio. Quello là dovrebbe diventare padre?

Kagome scuote il capo, portando la mano sul ventre.

“Spero che l’intelligenza provenga da me, figlio mio, se riprendi da lui è finita” sospira.

“Hai detto qualcosa? Guarda che ti sento anche da qui, sai?” l’altro pare irritato, ancora più di prima. Le rapisce un altro sorriso.

“Sì, spero proprio che non riprenda da te, almeno in questo”.

 

 

Un ricordo, un sogno, fa differenza? L’onirica sostanza è un luogo nel quale il dolore può essere sostituito dalle gioie passate. Nessuno ha la capacità d’interrompere o interferire con i sogni. Per lei, forse, è l’unico frammento di cielo aperto rimastole, laddove può ancora sorridere senza rimpianto.

 

 

 

  
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