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Autore: Cara_Sconosciuta    27/03/2010    2 recensioni
Una lacrima ribelle scivolò a tradimento sulla guancia chiara.
Maledetta, sciocca lacrima.
La asciugò stizzita, con fastidio, senza fermarsi.
Non doveva piangere, lei.
Doveva solo andare a casa, preparare da mangiare e studiare il copione.
Doveva solo vivere, veloce anche lei, come quella città, sua per scelta.
Che fosse una scelta giusta, poi, non l’aveva mai detto nessuno.
Non c’era silenzio, lì, e lei lo voleva.
Ci era cresciuta, lei, nel silenzio.
Quello infrangibile e sacro dei laghi del grande Nord.
Quello che le aveva insegnato a sentire.
Che le aveva insegnato a sognare.
Genere: Generale, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzo del

Lago

 

Non può esserci che una e una sola dedica

per questo racconto:

A Paolo, il vero ragazzo del Lago

Questa è la dimostrazione che ti avevo promesso

del bene che ti voglio

Spero non ti imbarazzi troppo! :-P

Grazie di tutto, grande capo.

Per i momenti passati insieme

e per quelli che verranno.

Giglio Tigrato

 

Il treno fischiò il proprio arrivo

Correre.

Correre era tutto ciò che doveva fare per non perderlo.

Le zeppe di gomma non facevano rumore sul pavimento lucido della stazione.

Tacchi no.

Non li portava.

Non era mai riuscita ad imparare a camminarci.

 

Berlino, intorno, viveva.

Veloce.

 

Una lacrima ribelle scivolò a tradimento sulla guancia chiara.

Maledetta, sciocca lacrima.

La asciugò stizzita, con fastidio, senza fermarsi.

Non doveva piangere, lei.

Doveva solo andare a casa, preparare da mangiare e studiare il copione.

Doveva solo vivere, veloce anche lei, come quella città, sua per scelta.

Che fosse una scelta giusta, poi, non l’aveva mai detto nessuno.

Non c’era silenzio, lì, e lei lo voleva.

Ci era cresciuta, lei, nel silenzio.

Quello infrangibile e sacro dei laghi del grande Nord.

Quello che le aveva insegnato a sentire.

Che le aveva insegnato a sognare.

 

 

Il bianco era finito.

Sospirando, gettò via quel che rimaneva del pallido gessetto e ne raccolse un altro, di poco più scuro.

Ora avrebbe dovuto fare i riflessi con il verde chiaro.

O con il giallo.

Però no.

I riflessi non erano così... li aveva osservati per troppi anni per non conoscerli come le proprie tasche.

Fischiettando, recuperò il gessetto bianco e lo sgretolò sul marmo grigio e rosato.

La polvere avrebbe dovuto essere sufficiente.

Le note uscivano da sole dalle sue labbra, specchi invisibili di un ricordo dimenticato da tempo.

Di una canzone priva di titolo e parole.

Ogni tanto, una moneta cadeva nel contenitore dei suoi colori, tintinnando allegramente.

Ci avrebbe comprato del bianco.

Ne avrebbe avuto bisogno, il giorno dopo.

 

Berlino, intorno, viveva.

Veloce.

 

Troppo per lui che anelava alla pace del suo bel lago nel sud dell’Europa.

Come ci fosse finito, lui, in quella città bella e caotica, nemmeno se lo ricordava davvero.

 

 

C’era tanta gente in quel pezzo di mondo ricoperto di vetro.

Per forza.

Una stazione vuota è inutile.

Chissà quante persone con una storia simile alla sua le erano già passate accanto in quei pochi minuti.

Una storia allegra, tutto sommato.

Invidiabile.

Felice?

No, non ne era tanto sicura.

Che poi, alla fine, non aveva proprio nessun motivo per lamentarsi.

Era tutta la vita che glielo dicevano.

Bella famiglia: ti vogliono bene.

Buoni amici, sempre vicini, anche da lontano.

Né bella né brutta.

Discreta.

Guardabile.

Ambiziosa, magari anche troppo.

No, non stava male.

I momenti bui, però, capitano a tutti.

E allora non importa chi si è e si vorrebbe solo tornare bambini, quando l’abbraccio della mamma e una cioccolata calda guarivano ogni cosa.

 

Berlino, intorno, viveva.

Veloce.

 

Veloce e anche un po’crudele.

E lei non poteva fermarla né farla girare a rovescio.

Il passato è passato, l’unico luogo dove si può fuggire è il futuro.

Poi lo vide.

Giacca scura, capelli neri, seduto in un angolo, proteso in avanti, le mani di mille colori.

Davanti a lui, un lago arrabbiato pareva urlare, forando il marmo freddo del pavimento.

Lui era sempre lì, sempre nello stesso punto, sempre con il suo lago diverso, ogni giorno diverso, come uno vero.

I suoi occhi avevano catturato quell’immagine infinite volte, eppure lei non l’aveva mai notato.

Forse perché, egoisticamente, non ne aveva mai avuto bisogno.

Egoisticamente.

In una parola, la storia della sua vita.

 

Berlino, intorno, viveva.

Veloce.

 

Una goccia bagnò l’acqua agitata del lago, sbiadendo il rosso riflesso del tramonto.

Una goccia vera, fatta di vita e sentimento.

Una lacrima.

Sembravano un po’dei laghi anche loro, gli occhi che l’avevano lasciata cadere.

Laghi di cioccolata, gli venne da pensare.

Non da tedesca.

Occhi del suo paese, forse.

“Scusami...” Mormorò, con un accento che era tutto meno che berlinese. “Ho rovinato il tuo disegno...”

Lui si strinse nelle spalle, inclinando appena il capo di lato.

“No, no, stai tranquilla. Ora c’è l’acqua. È più vero.”

“Potrei piangerne uno intero di lago. Proprio qui, in questo momento.” Replicò lei, accovacciandosi e sfiorando il graffito con le dita sottili, ma un po’rovinate.

Non era mai riuscita a smettere di rosicchiarle.

“Il Lago Centrale di Berlino. Al secondo piano della stazione. Sarebbe simpatico.”

“Sarebbe patetico.”

“Sì...” Rispose lui, alzando gli occhi dal disegno. “Sì, lo sarebbe, un po’.” Affermò, fermando lo sguardo in quello di lei.

Sorriso triste.

Sorriso allegro.

 

Berlino, intorno, viveva.

Veloce.

 

Non aveva tempo per nessuno, Berlino.

Non certo per due sguardi incatenati sopra a un lago di gesso.

 

 

“Dov’è?”

“Ti sporcherai il cappotto.” La avvisò lui, vedendola sedersi, appoggiata ad un pilastro.

Lei si strinse nelle spalle.

Non aveva importanza.

Era solo un cappotto.

“Dimmi dov’è.” Ordinò, per poi mitigare il tono. “Assomiglia a casa mia.”

Nostalgia.

“È al mio paese, giù al sud. Sud Europa, Nord Italia. Punti di vista. Hai un lago anche tu?”

Lei annuì.

“Si chiama Inari. Sta su, al Nord, dove è sempre giorno o sempre notte. Non ci sono vie di mezzo, in cima al mondo. Solo tante zanzare. Vendiamo souvenir con le zanzare.”

“Non comprerei una tazza con disegnata una zanzara.”

“Nemmeno io. La gente lo fa.”

Lui sorrise, inseguendo un pensiero solo suo.

Non sembrava scandinava... non lo sembrava per niente.

“La gente è pazza.”

 

Berlino, intorno, viveva.

Veloce.

 

“Com’è che una ragazza finlandese con il cappotto rosso finisce a parlare con un mezzo pittore italiano sul pavimento di una stazione tedesca?”

“In Finlandia un’attrice non ha futuro. Qui è diverso: Berlino è viva.”

“E corre.”

“Troppo, a dire il vero.”

“Non puoi fermarti se sei stanco.”

“Sì che puoi farlo. Solo che nessuno se ne accorgerebbe.”

“E poi non c’è il lago... sarebbero tutti più calmi, se ci fosse il lago.”

“Forse avrei avuto più pazienza, vicino al lago. Avrei sopportato. Non è giusto lasciare chi ti ama.”

“Non è giusto nemmeno sopportare.”

Lei scosse il capo.

“Sono sola, ora.”

“Hai il lago.”

“È lontano, lui.”

“No.” Ribatté il pittore, prendendole la mano e portandola a sfiorare il disegno. “È qui, lui.”

 

Berlino, intorno, viveva.

Veloce.

 

E così quella era la vita, quella la cura per il suo brutto mal d’amore.

Il sorriso di un ragazzo sconosciuto seduto sulla sponda di un lago inesistente.

Sembrava una fiaba.

Una di quelle in cui non era più abituata a credere.

La principessa con il cappotto rosso che scappa da un principe che le va stretto, andando a cadere sopra ad un ranocchio che le spiega che proprio nulla è finito.

Anzi... tutto deve ancora iniziare.

Niente corona, solo tanti capelli spettinati.

E la scarpetta, poi... quella non era di cristallo.

Pazienza, avrebbe perso il cellulare.

Dopotutto, era la sua fiaba e poteva fare quello che voleva.

 

Berlino, intorno, viveva.

Veloce.

 

Ma a lei non importava più.

Con un sorriso tutto nuovo, raccolse un carboncino e lo porse al giovane, che firmò la sua opera con due sole lettere.

P.G.

Si rese conto solo in quel momento di non avere idea di che cosa quelle iniziali significassero.

Non che contasse molto, comunque: nemmeno lui le aveva domandato il nome.

“Me lo insegni?”

Il ragazzo le rivolse uno sguardo confuso.

“Cosa?”

“A fare i laghi.”

“Oh...e tu che mi dai in cambio?”

Lei si strinse nelle spalle.

“Una pizza?”

Gli occhi d’ebano si assottigliarono, fingendo di soppesare l’offerta.

“Italiana?”

“Ovviamente sì.”

“Ci sto.” Esclamò lui, sorridendo e porgendole un gessetto azzurro.

“Che lago ti senti oggi?”

“Un lago all’alba.” Replicò lei, quasi senza pensare. “Sento che è l’alba.”

“L’alba? L’alba di che cosa?”

“Di qualcosa di nuovo.”

 

Berlino, intorno, viveva.

Veloce.

 

C’è stata una sera dell’anno scorso che mi sono perso

nell’osservare il lago grosso, spumeggiante,

scuro come scure erano le montagne che,

accompagnate da un cielo giallognolo,

annunciavano un temporale coi fiocchi.

-P.G.-

 

The End

 

   
 
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