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Autore: Hayley Lecter    29/03/2010    3 recensioni
- Non posso.. -
Bill era stordito, confuso. Sembrava essere entrato in trance, guardava fisso il pavimento, mentre stava seduto, gli occhi vitrei e senza espressione.
Jessica gli sfiorò la mano destra, che penzolava, poggiata sulla rispettiva gamba.
Ma a quel contatto, Bill si scansò, e in quel momento lei capì.
Si rese conto in quell'attimo di aver perso tutto, tutto quello che aveva bramato, lo aveva ora perso, ed era già cosciente, che nessuno avrebbe mai potuto ridarglielo.
Lo conosceva e proprio per questo, era arrivata alla conclusione che forse era meglio così, non voleva infierirgli altro male, non era quello che si meritava.
Genere: Malinconico, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Black.

Ogni riferimento a cose o fatti è puramente casuale. Questa fanfiction non ha assolutamente scopi di lucro,
è stata semplicemente creata con l'intenzione di riversare sulla carta,
un mondo che appartiene alla sottoscritta, appartiene solo a me.
E sono felice, di avere questo piccolo spazio, questa piccola terra dove rifugiarmi.
Tu ci sei sempre stato per me, c'è stato un periodo in cui pensavo che evitarti sarebbe stato meglio.
Ho negato a me stessa, quel pezzo di cuore che è sempre stato mio. Sempre.
Ma non l'avevo capito.
E adesso che ho compreso quanto tu possa essere importante, chiudo qui questo piccolo prologo,
che ho aperto solo per far sapere al mondo, che dietro un lurido pc, ci sono anch'io.
Non troverete nulla di speciale in questa storia, almeno non per me, non riesco ad accontentarmi mai per quello che faccio.
Comunque, un commento non guasta ù.ù, accetto critiche, di tutto >_<


- Non posso.. -
Bill era stordito, confuso. Sembrava essere entrato in trance, guardava fisso il pavimento,
mentre stava seduto, gli occhi vitrei e senza espressione.
Jessica gli sfiorò la mano destra, che penzolava, poggiata sulla rispettiva gamba.
Ma a quel contatto, Bill si scansò, e in quel momento lei capì.
Si rese conto in quell'attimo di aver perso tutto, tutto quello che aveva bramato, lo aveva ora perso,
ed era già cosciente, che nessuno avrebbe mai potuto ridarglielo.
Lo conosceva e proprio per questo, era arrivata alla conclusione che forse era meglio così,
non voleva infierirgli altro male, non era quello che si meritava.
La sua figura alta e imponente, si erse ed uscì dalla stanza, senza proferir parola.
Non si voltò, non ci fu gesto che Jessica pregava in quel momento che Bill potesse fare.
Semplicemente, sapeva che da quel momento in poi i loro occhi non si sarebbero mai più incontrati.
Lei vagò per i corridoi, nella speranza di trovarlo, asciugandosi in fretta le lacrime che le imperlavano il viso,
ma tutto quello che le rimaneva di Bill si trovava tre piani più sù, nella camera dove avevano dormito la sera scorsa,
e l'ultima probabilmente dove avrebbero dormito insieme.
Jessica salì i gradini a due a due, non si preoccupò nemmeno di prendere l'ascensore.
Le lenzuola erano ancora smosse, il telecomando poggiato sul settimanile, proprio lì dove Bill lo aveva lasciato,
prima di andare a fare colazione. Era successo tutto troppo in fretta, ma doveva acccadere.
Lei non avrebbe più potuto vivere con un tale peso sulla coscienza, e così di punto in bianco, adesso, si ritrovava a piangere solo e soltanto per causa sua,
circondata da quelle quattro mura proprio dove lei e il suo ragazzo, avevano atteso che il sole sorgesse,
l'una tra le braccia dell'altro.
In quel momento, mentre Bill la circondava amorevolmente con affetto, le fu chiaro che non meritava altro dolore.
Non avrebbe più sofferto per causa sua.
Afferrò delicatamente quel lenzuolo,
quasi per timore che potesse polverizzarsi tra le sue dita e rimase in attesa di un suono, che non arrivò.
Passò dieci minuti buoni, a singhiozzare tra quelle coperte,
inspirando il profumo che aveva lasciato il suo corpo, pentendosi come mai.
Si rifiutava di ammettere qual'era stata la fortuna che l'aveva baciata, continuò a ripetersi che non l'aveva mai meritata.
Si alzò lentamente, trascinando il lenzuolo con sè, finchè imboccò nel bagno e sul lavandino trovò una matita nera.
L'afferrò senza pensarci due volte e la strinse talmente forte da farsi male, le unghie le perforarono la carne,
tanto aveva stretto le mani in pugni.
Piccoli rivoli di sangue le scivolarono sulle dita, non le importava, oramai non le importava più nulla di cosa fosse il dolore,
o di quanto ne stesse provando. Niente più contava.
Poteva solo pregare in silenzio, che la morte sopraggiungesse presto su di lei.
Si guardò allo specchio, e non vide altro che un viso sfigurato dal pianto, dalla menzogna, dalla disonestà.
Il trucco era già colato via, somigliava tanto ad un clown, con gli occhi cerchiati di nero, la bocca e le guance arrossate.
Proprio l'altra sera, davanti a quello specchio, Bill le stava dicendo quanto effettivamente stesse bene anche senza trucco.
Lui l'aveva accettata così com'era, senza uno specifico make-up nè acconciature strane,
non aveva mai preteso nulla da lei, tranne forse di rifornire casa sua di dolci e schifezze,
quando si davano appuntamento lì e passavano le serate libere, davanti alla tv,
condividendo il divano e rimpinzandosi di caramelle gommose e patatine.
Ma adesso, tutto questo apparteneva al passato, e un chiaro e lucido ricordo, venne assalito da una strana nebbia,
divenne nebuloso e le immagini si allontanarono velocemente e niente l'aiuto a riprenderne il possesso,
proprio come se avesse provato ad acchiappare dell'aria con le mani.
Riuscì a malapena ad uscire da quella stanza, senza voltarsi, afferrò il pomello della porta e la sbattè alle sue spalle.
Aveva visto abbastanza, decisamente troppo.
Ripose frettolosamente la matita nera e il lenzuolo, che adesso sembrava più un fagotto bianco,
ripiegato malamente, sul fondo della borsa.
Scese le scale, incontrò un cameriere che la guardò allibito, passò in rassegna a diverse porte,
finchè dopo una seconda rampa di scale, giunse nella hall,
dove un paio di valigie erano state allineate davanti all'entrata principale, e avevano un'aria familiare.
- Il signor Kaulitz? Sono la sua ragazza... -
Le tremolò la voce, quando debolmente si sforzò di pronunciare quelle parole.
Sapeva di non essere più degna di poterlo fare, ma voleva almeno per un'altima volta, vederlo.
Il portiere, la scrutò attentamente, poi le rivolse uno sguardo dolce,
e Jessica si sentì sprofondare ancor di più nel senso di colpa.
- Attende con il resto della band nel salottino, signorina. La navetta per l'aereoporto stà per arrivare. -
Fluttuò per il corridoio, cercando di non cedere, le gambe non le avrebbero retto,
e intanto continuava ad avanzare, con il cuore in gola e la testa vuota, che le rimbombava.
Nell'istante in cui attraversò di un millimetro l'ingresso del salottino, fece appena in tempo a scansarsi,
che i ragazzi passarono in fila indiana, uno dietro l'altro, senza guardarla in faccia.
Bill era l'ultimo, e mentre Jessica teneva lo sguardo basso, lui la fulminò con il suo, poi girò la testa dall'altra parte,
e si diresse a passo svelto verso l'uscita dove il giovane facchino, che aveva già caricato la sua valigia in vettura,
lo attendeva speranzoso per una mancia.
Lei tirò sù col naso, studiando la sua figura allontanarsi, scendere gli scalini e poi, salire sulla navetta.
Si avvicinò al vetro della grande finestra del salottino, scostò una tenda e da lì,
poteva ben vedere Georg e Gustav che scambiavano due parole, e dietro, nei sedili posteriori sedevano Tom e Bill.
Il primo, aveva l'aria imbronciata. Chiaramente irritato tentò di proferir parola a Bill, che forse per caso, gettò uno sguardo sulla finestra.
I loro occhi si incrociarono, e in quel momento entrambi seppero che no, una prossima volta non ci sarebbe mai più stata.
La vettura partì, Jessica udì il suo motore rombare fino ad un certo punto,
finchè pian piano andò ad affievolirsi e sparì, inghiottito dai chilometri che li distanziavano.
  
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