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Autore: Sophiae    30/03/2010    0 recensioni
Descrizione
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pioggia

Il taxi correva veloce per quanto potesse essergli possibile, sotto la triste atmosfera liberata dalla pioggia.
Questa cadeva componendo un assolo, liberante una soave tristezza.
La città grigia veniva ricoperta da un velo liquido, il cui profumo era lontano da quello dei prati bagnati.
Dava l’idea di una cantante che intonava la sua canzone accompagnandosi con la sola malinconia nel ricordare i giorni andati.
Era ben conscia di quanto quelle stesse parole sarebbero potute risuonare meglio se sorrette dalle note di una chitarra, ma, in quel posto, non l’aveva portata con sé.
Così la pioggia continuava a cadere con la veemenza decisa dal vento, componendo il suo assolo, priva dell’accompagnamento del fresco rumore della brezza campestre, del coro delle rondini che echeggiava dentro al nido, del rumore meccanico del tagliaerba lontano, delle percussioni frondose, delle voci dei pettegolezzi quotidiani.
La voce reale di una cantante, che si contrapponeva all’orchestra della mia memoria.
Un concerto che ascoltavo dall’alto di una terrazza, quando desideravo stendermi tra gli shanghai verdi della collina.
Mi mancava casa.
Tra i ricordi seguivo il volo degli ariae volucres, immaginando che disegnassero,on quel potere tanto invidiato dal Vinci, una chiave di violino.
La memoria mi aveva portato in quella terrazza, affianco all’alto cavalletto incatenato con boccioli di violette bianche.
Da lì osservavo l’agire del tempo sgretolare i mattoni crudi della vecchia stalla e la conquista della natura, che emergeva tra le tegole consumate, riappropriandosi di quella mattonella di mondo che l’uomo, anni prima, le aveva rubato.
Oltre il sovrapporsi dei petali arancioni e l’intrecciarsi delle foglie prato, intente a nascondere gli ultimi mandarini, si estendeva un tappeto alternativamente inclinato di tegole rosse.
Avrei potuto osservare il mondo da quello stesso punto per ore e ore, incapace di non notare qualcosa di diverso.
Un lenzuolo di foglie di edera copriva la tettoia sottostante, facendo trasparire solo qualche chiazza di grigio.
Più la osservavo, più notavo come le superfici delle foglie si immergevano nell’oscurità fangosa, nel buio fino a diventare un tutt’uno.
Una massa squadrata che diventava sempre più indefinita.
Pian piano mi accorsi del chiarore della parti svelate dei miei piedi, che si contrapponevano a quella forma scura, che aveva sostituito il verde bucolico.
Il tappetino di un taxi, calpestato dalla diversità del mondo durante una serata piovosa.

  
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