Prologus
Nec morti esse locum, sed viva volare
sideris in numerum atque alto succedere caelo.
Per la morte non c'è spazio, ma le vite volano
e si aggiungono alle stelle nell'alto cielo.
P. Virgilio Marone
Era stata una giornata pesante. L'estate sembrava voler bussare alla porta fin troppo presto, portando con sé caldo e afa. L'aria era malsana, appiccicaticcia. Il ragazzo aveva lavorato nei campi ininterrottamente, noncurante del caldo e della fatica. Il suo unico scopo nella vita era arare, seminare, innaffiare e mietere. Niente di più, niente di meno. La sua esistenza era monotona, ma un ragazzo così sempliciotto non aveva nemmeno idea di come potesse essere diversamente. Ogni sera tornava alla fattoria, si abbandonava sul suo giaciglio di paglia dopo una cena frugale e si addormentava in un attimo. Non sognava mai, o forse i suoi sogli erano talmente effimeri che non riusciva a ricordarseli la mattina dopo, quando si alzava all'alba per andare a lavorare nei campi.
Quella sera camminava a capo chino verso la fattoria, con in spalla un sacco di iuta contenente i suoi attrezzi da lavoro. I suoi compagni di fatica erano poco avanti a lui e facevano schiamazzi, ridevano e scherzavano, contenti che fosse arrivata la sera.
Ad un certo punto le loro grida cambiarono: c'era terrore e sgomento nelle loro voci, ma il ragazzo non se ne accorse. Gli urli gli passavano attraverso le orecchie come se nulla fosse. Non vide nemmeno che i suoi compagni si erano messi a correre, per sfuggire da chissà cosa. Era troppo stanco, voleva solo tornare a casa.
Non ci sarebbe mai tornato.
Un urlo disumano alle sue spalle.
Si voltò apatico, appena in tempo per accorgersi del brillio del sole morente sulla spada nemica.
Nemmeno si accorse di morire: semplicemente tutto divenne buio, poi più nulla.